Cass. Sez. III n. 39753 del 5 novembre 2021 (CC 16 set 2021)
Pres.Marini Est. Semeraro Ric. Straffella
Urbanistica.Illegittimità titolo edilizio e poteri del giudice penale

Ai fini dell'integrazione dei reati di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. 380/2001, fatta salva la necessità di ravvisare in capo all'agente il necessario elemento soggettivo quantomeno colposo, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche quando il titolo, pur apparentemente formato, sia (oltre che inefficace, inesistente o illecito) illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia sostanziale di fonte normativa o risultante dalla pianificazione.Da ciò consegue il potere-dovere del giudice penale di valutare la conformità al modello legale del titolo edilizio (apparentemente) formatosi in relazione ad un'attività di trasformazione del suolo per poter affermare che questa si sia svolta in forza del necessario presupposto di legalità sostanziale; ciò in base al fondamentale principio contenuto nella disposizione generale secondo cui il permesso di costruire deve essere rilasciato «in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» (art. 12, comma 1, d.P.R. 380/2001), ribadito in termini ancor più estesi - quanto alla doverosa osservanza della disciplina normativa di fonte primaria e secondaria - dall'articolo successivo («il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici»: art. 13, comma 1, d.P.R. 380/2001)

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza del 6 aprile 2021 il Tribunale del riesame di Lecce ha dichiarato inammissibile il riesame proposto da Antonio Strafella e rigettato quello proposto da Elisa Ada Franco, quale legale rappresentante della Salento Sunrise s.r.l., avverso il decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce del 9 marzo 2021 di sequestro preventivo di un chiosco bar in Torre Lapillo, posto sulla proprietà di Giulia Rita Massarelli, per i reati ex artt. 44 lett. C) d.P.R. 380/2001 e 181 e 142 d.lgs. 42/2004.

2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione il difensore di Antonio Strafella ed il difensore e procuratore speciale della Salento Sunrise s.r.l., in persona del legale rappresentante Franco Elisa Ada.
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione quanto alla dichiarazione d’inammissibilità del riesame proposto da Antonio Strafella per carenza di interesse. In estrema sintesi, l’interesse del direttore dei lavori deriverebbe dalla qualifica di detentore qualificato dell’area su cui insiste l’opera e sulla quale lavorano le maestranze da lui scelte.
2.2. Con il secondo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione in relazione al rigetto del motivo di riesame con cui si eccepì la violazione del ne bis in idem e del giudicato cautelare.
L’insussistenza del fumus dei reati poi contestati con il decreto genetico sarebbe stata ritenuta dal Giudice per le indagini preliminari con il provvedimento del 20 agosto 2020, il cui contenuto è sintetizzato nel ricorso, di rigetto della prima richiesta di sequestro preventivo avanzata dal Pubblico ministero.
La successiva richiesta del Pubblico ministero si fonderebbe su atti istruttori che avrebbero dovuto essere realizzati precedentemente e che, contrariamente da quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, non muterebbero il quadro indiziario.
Sarebbe sufficiente che sul punto si sia pronunciato il giudice, per produrre l’effetto preclusivo; inoltre, il Pubblico ministero avrebbe richiesto il sequestro preventivo in base agli stessi atti già valutati in precedenza e per lo stesso manufatto, nell’ambito dello stesso procedimento.
Nel ricorso si ricostruisce la successione dei provvedimenti giudiziari, relativi al sequestro probatorio e preventivo sul bene; si sintetizza il contenuto del decreto del Giudice per le indagini preliminari del 20 agosto 2020 di rigetto della richiesta di sequestro preventivo.
L’opera sarebbe stata realizzata a seguito del rilascio del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesistica della soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio di Lecce del 25 settembre 2017; le opere realizzate sarebbero state ritenute conformi al permesso di costruire; furono emessi due pareri positivi in materia paesaggistica (del 17 e 18 luglio 2017).
Il Giudice per le indagini preliminari escluse, con il primo rigetto, che il manufatto fosse stato realizzato in zona di inedificabilità assoluta.
Con il successivo decreto genetico, oggetto del riesame, sarebbe stata realizzata solo una rilettura, in assenza di elementi di novità.
2.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione in relazione al fumus commissi delicti e alle conclusioni del consulente tecnico del Pubblico ministero, condivise dal Tribunale del riesame.
Agli indagati è contestata la lett. c) dell’art. 44 d.P.R. 380/2001 ma non sarebbe stata realizzata alcuna lottizzazione abusiva; le opere sarebbero state realizzate in conformità dei titoli abilitativi e non in variazione essenziale, difformità o in assenza del permesso di costruire.
La fattispecie contestata riguarderebbe l’illegittimità dei provvedimenti autorizzatori, che avrebbe dovuto essere contrastata mediante l’azione in via amministrativa per rimuoverli. Il Tribunale del riesame non avrebbe svolto la valutazione sulla correttezza della situazione amministrativa; non avrebbe considerato che la società era in possesso di atti amministrativi perfetti, irrevocabili ed incontestabili.
Nonostante il mutamento di opinione della Soprintendenza, l’autorizzazione paesistica non sarebbe stata annullata in sede di autotutela.
Si contesta altresì che la l’illegittimità dei titoli amministrativi, ritenuta dal Tribunale del riesame, possa integrare l’elemento soggettivo dei reati contestati.
Sulla presenza dell’opera nei territori costieri, rilevanti ex art. 142, comma 1, lett. a), d.lgs. 42/2004, 41 e 45 delle NTA del PPTR, si rappresenta che il lotto di terreno sarebbe ricompreso nel piano regolatore generale del 1985 nella zona «B di completamento», con la conseguenza che si applicherebbe il regime derogatorio di cui al comma 2 dell’art. 142 d.lgs. 42/2004 e quello previsto dall’art. 90, comma 3, delle NTA del PPTR che richiama le esclusioni di cui al comma 2 citato.
Né avrebbe valore derogatorio a quanto stabilito dal piano regolatore del 1985 la deliberazione della Giunta Regionale della Puglia n. 2331 del 2017, trattandosi di atto amministrativo di rango minore, delibera ritenuta invece dal Tribunale del riesame di valore di chiarimento e di indirizzo alla Soprintendenza ed al comune interessato.
L’elemento di novità sarebbe consistito dalle sommarie informazioni rese dal Soprintendente dott. Piccarreta sulla non autorizzabilità da punto di vista paesaggistico, cioè dallo stesso soggetto che avrebbe firmato un parere favorevole mai revocato; elementi che avrebbero consentito di contestare anche i reati di falso. Si contesta la credibilità di tale teste, che avrebbe scaricato la responsabilità sull’arc. Ressa, responsabile dell’istruttoria e che avrebbe modificato la tesi espressa in un parere ormai perfetto e definitivo; ciò non avrebbe dovuto essere consentito, ponendo incertezza nei rapporti giuridici. Tali elementi però non si riferirebbero ai ricorrenti e pertanto non costituirebbero elementi di novità.
Anche le indagini della Guardia Costiera sarebbero già state valutate in precedenza dal Giudice per le indagini preliminari nel provvedimento di rigetto e non avrebbero dunque valore di novità.
2.4. Con il quarto motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sulla ritenuta sussistenza del periculum. La motivazione sarebbe contraddittoria; le dune ritenute danneggiate non esisterebbero; la zona sarebbe altamente urbanizzata ed antropizzata; la movimentazione della sabbia sarebbe avvenuta legittimamente, come dimostrato dai documenti giustificativi e si tratterebbe di materiale di risulta e non di dune. La motivazione sarebbe illogica con riferimento alla valutazione della consulenza tecnica del Pubblico ministero e delle dichiarazioni della d.ssa Piccarretta.
La struttura non è stata ultimata: il sequestro genererebbe danni economici alla società ricorrente, illustrati nel ricorso.
L’ordinanza del Tribunale del riesame si fonderebbe sulle dichiarazioni della d.ssa Piccarretta, fondate sulla visione di una foto, nonostante il parere favorevole da lei rilasciato proprio sull’inesistenza di alterazioni alle visuali panoramiche del contesto vincolato.
Il completamento delle opere non potrebbe protrarre le conseguenze dei reati, che non esisterebbero; l’impatto ambientale sarebbe insussistente, perché la zona sarebbe già densamente abitata, con insediamenti abitativi e turistici. La mera esistenza della struttura non integrerebbe i requisiti di concretezza ed attualità del pericolo; sul punto si richiama la giurisprudenza di legittimità.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da Antonio Strafella è inammissibile per carenza di interesse. Il ricorrente, secondo quanto rappresentato nel ricorso, è il direttore dei lavori, i limiti della cui responsabilità per i reati edilizi sono indicati nell’art. 29 d.P.R. 380/2001.
1.1. Il Tribunale del riesame ha correttamente applicato il principio espresso da Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Solinas, Rv. 276545 – 01, per cui l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell'art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all'impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro. In motivazione, la Corte ha precisato che è onere di chi impugna indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro, idonea a consentire la restituzione del bene in proprio favore. Si rinvia per ragioni di sintesi alla motivazione di tale sentenza sull’interpretazione sistematica.
1.2. Tale principio di diritto è stato di recente confermato da Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, Di Luca, Rv. 281098 – 01; nel caso esaminato la Corte ha escluso che fosse titolare dell'interesse alla restituzione del fondo su cui erano state realizzate opere abusive la committente di tali opere non proprietaria del fondo e sul quale non poteva vantare una detenzione qualificata.
1.3. Il direttore dei lavori non ha alcun diritto alla restituzione delle opere sottoposte a sequestro, poiché la sua relazione con la cosa dipende esclusivamente dal rapporto giuridico con il proprietario o con il committente e non è qualificabile neanche quale detenzione.
1.4. Correttamente, il Tribunale del riesame, ha ritenuto la sussistenza della detenzione qualificata per la società ricorrente, quale conduttore dell’area di proprietà altrui: non è ipotizzabile giuridicamente l’esistenza di un ulteriore rapporto di detenzione qualificata da parte del direttore dei lavori.

2. Tutti i motivi sono poi inammissibili nella parte in cui si deduce il vizio della motivazione: avverso le ordinanze emesse nella procedura di riesame delle misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., soltanto per violazione di legge.
2.1. È preclusa ogni censura relativa ai vizi della motivazione, salvi i casi della motivazione assolutamente mancante - che si risolve in una violazione di legge per la mancata osservanza dell'obbligo stabilito dall'art. 125 cod. proc. pen. – e della motivazione apparente, tale cioè da rendere l'apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi, inidonei, a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov).
2.2. Inoltre, il vizio della motivazione non è denunciabile con riferimento a questioni di diritto, come avvenuto invece nei primi due motivi, perché secondo il costante indirizzo della giurisprudenza il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto, alla giustificazione della ricostruzione storica del fatto per cui si procede.

3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. Secondo Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, Buffa, Rv. 198213 – 01 «Il giudice competente a pronunciarsi sulla revoca della misura cautelare non incontra alcuna preclusione - quanto all'accertamento della carenza originaria (oltre che persistente) di indizi o di esigenze cautelari - nella mancata impugnazione dell'ordinanza cautelare nei termini previsti dagli artt. 309 comma primo e 311 comma secondo cod. proc. pen.
Ed invero, una preclusione processuale è suscettibile di formarsi a seguito delle pronunzie emesse, all'esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari; ma essa ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti di impugnazione avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali, intendendosi queste ultime come le questioni che quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte. Ne consegue che le pronunzie in esame - se non impugnabili o, a loro volta, non impugnate - spiegano un'efficacia preclusiva sulle suindicate questioni e che, pertanto, come non è consentita l'adozione di una nuova ordinanza cautelare sulla base degli stessi elementi ritenuti insussistenti o irrilevanti in sede di gravame, allo stesso modo le questioni in discorso restano precluse in sede di adozione di ogni successivo provvedimento relativo alla stessa misura e allo stesso soggetto».
3.2. La giurisprudenza successivamente affermatasi, in tema di libertà personale, ha affermato che nell'ipotesi in cui il Pubblico Ministero non abbia impugnato un'ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare personale, si forma un giudicato cautelare per cui sussiste una preclusione alla reiterazione, negli stessi termini, della istanza respinta e ciò in quanto il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari è una pronuncia su quanto dedotto, allegato e richiesto; mentre non vi è preclusione nell'ipotesi in cui la nuova richiesta contenga una diversità di allegazioni e deduzioni; così Sez. 6, n. 5374 del 25/10/2002, Ricceri, Rv. 223654 – 01.
Cfr. anche Sez. 5, n. 13083 del 09/02/2011, Docea, Rv. 249845 – 01, per cui l'omessa impugnazione dell'ordinanza reiettiva della richiesta di applicazione di una misura restrittiva dà luogo alla formazione del giudicato cautelare, che preclude la reiterazione della richiesta laddove la stessa non sia fondata su elementi nuovi, stante il principio di tassatività delle procedure esperibili in materia cautelare che limita i rimedi praticabili ai mezzi di impugnazione previsti dalla legge. Così anche Sez. 3, n. 10829 del 28/01/2014, Ierace, Rv. 261499 - 01.
3.3. Nelle procedure cautelari reali il principio è stato ribadito da Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245092 – 01, per cui la reiterazione di una richiesta di applicazione di misura cautelare reale, che contenga allegazioni e deduzioni diverse dalla precedente rigettata, non incontra la preclusione del cosiddetto, giudicato cautelare. Nel caso esaminato, l'ordinanza del Tribunale del riesame confermativa dell'ordinanza applicativa della misura cautelare reale aveva escluso la violazione del giudicato cautelare sul presupposto che la questione giuridica già ritenuta dirimente dal Giudice per le indagini preliminari fosse stata superata attraverso un mutamento della contestazione di reato e ulteriori allegazioni.
3.4. Il Tribunale del riesame ha correttamente applicato tali principi perché, oltre ad indicare nella parte iniziale che vi è stato un mutamento anche delle ipotesi di reato, poiché sono contestati anche i reati di falso, ha ritenuto che rispetto al precedente rigetto del Giudice per le indagini preliminari della richiesta di sequestro preventivo la richiesta del Pubblico ministero si fondava su nuovi elementi investigativi, costituiti dalla consulenza tecnica del Pubblico ministero e dalle sommarie informazioni testimoniali della d.ssa Annamaria Piccarretta, all’epoca Soprintendente per le province di Brindisi, Lecce e Taranto.
Sono poi irrilevanti, ai fini della decisione della questione processuale, le argomentazioni concernenti il merito o la tempistica dell’esperimento di tali atti di indagine.

4. Il terzo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, è, quanto all’elemento oggettivo del reato, manifestamente infondato.
4.1. Il richiamo all’insussistenza della lottizzazione abusiva è del tutto inconferente, perché agli indagati il reato ex art. 44, lett. c), d.P.R. 380/2001 è contestato per l’esecuzione di opere in zona vincolata e non per la realizzazione di una lottizzazione abusiva.
4.2. La fattispecie contestata è quella dell’assenza dei titoli abilitativi per la loro illegittimità. Sul punto, per ragioni di sintesi, si richiama la motivazione della sentenza della Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565 – 01, che ha affermato - tenuto conto del bene protetto e della finalità della norma di impedire trasformazioni del territorio in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia – il principio per cui ai fini dell'integrazione dei reati di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. 380/2001, fatta salva la necessità di ravvisare in capo all'agente il necessario elemento soggettivo quantomeno colposo, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche quando il titolo, pur apparentemente formato, sia (oltre che inefficace, inesistente o illecito) illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia sostanziale di fonte normativa o risultante dalla pianificazione.
Da ciò consegue il potere-dovere del giudice penale di valutare la conformità al modello legale del titolo edilizio (apparentemente) formatosi in relazione ad un'attività di trasformazione del suolo per poter affermare che questa si sia
svolta in forza del necessario presupposto di legalità sostanziale; ciò in base al fondamentale principio contenuto nella disposizione generale secondo cui il permesso di costruire deve essere rilasciato «in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» (art. 12, comma 1, d.P.R. 380/2001), ribadito in termini ancor più estesi - quanto alla doverosa osservanza della disciplina normativa di fonte primaria e secondaria - dall'articolo successivo («il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici»: art. 13, comma 1, d.P.R. 380/2001).
4.3. È, pertanto, manifestamente infondata la tesi difensiva per cui la presenza dei titoli abilitativi avrebbe dovuto essere contrastata mediante l’azione in via amministrativa per rimuovere i provvedimenti illegittimi o che l’autorizzazione paesistica avrebbe dovuto essere annullata in sede di autotutela; così come è del tutto irrilevante, sotto il profilo della condotta, che i titoli fossero «perfetti ed irrevocabili».
4.4. Quanto poi alla valutazione di illegittimità dei provvedimenti abilitativi (permesso di costruire e autorizzazione paesistica), il motivo è inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca, non confrontandosi con la motivazione del provvedimento impugnato.
4.4.1. I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest'ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822) in quanto la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
4.4.2. Il Tribunale del riesame ha infatti analizzato la tesi difensiva per cui non troverebbe applicazione l’art. 142, comma 1, d.lgs. 42/2004 perché l’area sarebbe stata delimitata nello strumento urbanistico come zona territoriale omogenea B. Ha però escluso la correttezza di tale tesi rilevando che sull’area vige non solo in vincolo di cui all’art. 142, comma 1, d.lgs. 42/2004 – per essere il luogo in una fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia – ma anche il vincolo provvedimentale ex art. 136 d.lgs. 42/2004, per essere stata la zona dichiarata di notevole interesse pubblico, e ciò escluderebbe la deroga di cui al comma 2, in relazione al comma 4 dell’art. 142 ed all’art. 143, comma 1, d.lgs. 42/2004. Con tale parte della motivazione il ricorso non si confronta in alcun modo ed è pertanto inammissibile.
4.5. Quanto poi alla deliberazione della Giunta Regionale della Puglia n. 2331 del 2017, le critiche non colgono la ratio della decisione: il Tribunale del riesame ha adoperato tale delibera per affermare che l’interpretazione effettuata con l’ordinanza impugnata sull’insussistenza della deroga ex art. 142, comma 2, d.lgs. 42/2004, per la presenza del vincolo ex art. 136, era stata proposta anche dalla Giunta regionale, con atto emanato un anno prima del rilascio del permesso di costruire de quo, quindi noto anche al comune di Porto Cesareo che l’aveva rilasciato. Non ha pertanto alcuna rilevanza il riferimento al rapporto gerarchico tra atti amministrativi.
4.6. Attengono poi al merito le argomentazioni sulle dichiarazioni della d.ssa Piccarretta, qui non valutabili. Sul punto, il motivo è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
4.7. Del tutto generico è il ricorso quanto alla motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
4.7.1. Il Tribunale del riesame ha applicato il costante orientamento della giurisprudenza, ribadito anche da Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565 – 01, prima richiamata ed afferente a fattispecie analoga, per cui il Tribunale del riesame può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, qualora esso emerga ictu oculi.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto che dagli atti risultassero elementi documentali per affermare la sussistenza dell’elemento soggetto del reato.
In applicazione dei principi della sentenza Iodice, il Tribunale del riesame ha infatti ritenuto che l’illegittimità degli atti sia macroscopica.
4.7.2. La sentenza Iodice, in motivazione, ha precisato che la «macroscopica illegittimità» del permesso di costruire, pur non costituendo una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato, rappresenti un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito.
4.7.3. L’illegittimità macroscopica è stata ritenuta per la presenza di atti amministrativi che prima del rilascio del permesso di costruire avevano chiarito i termini della questione e l’ineseguibilità delle opere per i vincoli esistenti.
Con tale motivazione il ricorso non si confronta ed è, sul punto, inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca.

5. Manifestamente infondato è il quarto motivo sul periculum in mora, fondato in gran parte su considerazioni di merito.
È incontestato che le opere non siano state completate: la motivazione dell’ordinanza impugnata è, pertanto, del tutto corretta nella parte in cui rileva che il sequestro ha la finalità di impedire che l’opera sia portata a compimento e pertanto di impedire l’aggravamento delle conseguenze del reato commesso.

6. Concludendo, il ricorso di Antonio Strafella deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente Antonio Strafella al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Il ricorso di Elisa Ada Franco, quale legale rappresentante della Salento Sunrise s.r.l., deve essere rigettato. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Antonio Strafella e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta il ricorso di Elisa Ada Franco, quale legale rappresentante della Salento Sunrise s.r.l., e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/09/2021.