Cass. Sez. III n. 3966 del 4 febbraio 2022 (PU 10 gen 2022)
Pres. Rosi Est. Corbo  Ric. Pollino
Urbanistica.Leggi regionali e legge statale

In materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali, anche se a Statuto speciale, devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 5 luglio 2021, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Messina che aveva dichiarato la penale responsabilità di Giuseppe Pollino e Maria Eni per i reati di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, e di cui agli artt. 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001, ed aveva condannato il primo alla pena di cinque mesi di arresto e 15.000,00 euro di ammenda, e la seconda alla pena di tre mesi arresto e 10.000,00 euro di ammenda, con diniego, per entrambi, delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale.
Secondo i giudici di merito, Giuseppe Pollino e Maria Eni hanno realizzato in zona sismica, in assenza del permesso di costruire, senza dare previo avviso al Genio Civile e senza autorizzazione di questo, la trasformazione di un terrazzino in parte di un ambiente chiuso adibito a cucina-soggiorno, per una superficie pari a circa 34 metri quadrati, altezza alla gronda di circa 2,25 metri e volume non autorizzato di circa 77,45 metri cubi, nonché il collegamento di un balcone interno al predetto terrazzino, e la realizzazione su questo di un vano con copertura e chiusura in coibentato di superficie pari a circa 5 metri quadrati, in epoca antecedente e prossima al 14 novembre 2016. Giuseppe Pollino, inoltre, ha realizzato in zona sismica, in assenza del permesso di costruire, senza dare previo avviso al Genio Civile e senza autorizzazione di questo, lavori di sbancamento per la realizzazione di una strada di accesso ad un terreno, realizzando sezioni di sbancamento di altezza variabile da uno a sette metri circa, in epoca antecedente e prossima al 15 giugno 2017.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Giuseppe Pollino e Maria Eni, con un unico atto a firma dell’avvocato Adalgisa Bartolo, articolando quattro motivi, preceduti da una premessa, nella quale si dà indicazione di circostanze fattuali poi richiamate nello sviluppo dei motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati.
Si deduce che i fatti in contestazione non costituiscono reato perché le opere risultano assentite a norma dell’art. 20 della legge Regione Sicilia 16 aprile 2003, n. 4, come riconosciuto anche dalle autorità competenti, le quali hanno rilasciato concessione in sanatoria senza apposizione di condizioni in data 5 dicembre 2017, anche tenendo conto del versamento di 1.721,00 euro a titolo di oblazione in data 25 gennaio 2010. Si riporta il testo dell’art. 20 legge regionale cit., il quale consente la chiusura di terrazze di collegamento o di terrazze non superiori a 50 metri quadrati con strutture precarie.  
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che la motivazione addotta a fondamento del diniego del beneficio è inesistente o comunque meramente apparente.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 157 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
Si deduce che alla data della sentenza di appello era ampiamente decorso il tempo necessario a prescrivere. Si premette che i lavori relativi alla chiusura della terrazza e del balcone sono stati realizzati già nel 2010, e comunque da moltissimo tempo, come risulta: -) dalla relazione dell’ingegnere Mezzatesta, il quale depositò il 25 gennaio 2010 la richiesta di asseveramento presso il Comune; -) dall’architetto Capezzuto, la quale, all’esito di un accesso eseguito nel 2012, redasse una relazione di stima dell’intero immobile siccome sottoposto ad una procedura esecutiva immobiliare; -) dall’esposto del signor Midiri del 14 novembre 2016, il quale dava atto dell’avvenuta trasformazione della terrazza; -) dall’architetto Emmi, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune competente, il quale, nel verbale di sopralluogo del 5 dicembre 2016, accertò l’avvenuta «trasformazione del terrazzino, già coperto e chiuso […]», facendo inoltre cenno alla relazione di asseveramento e al pagamento dell’oblazione del 25 gennaio 2010. Si rappresenta, poi, che l’unica sospensione del termine di prescrizione si è verificata per il rinvio dell’udienza dal 3 dicembre 2019 al 10 dicembre 2019, e che non è applicabile al caso concreto la sospensione di cui all’art. 83 d.l. n. 18 del 2020. Si espone, infine, che i lavori di realizzazione della strada sono stati eseguiti nell’anno 2016 e per soli fini agricoli.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 131-bis cod. pen., e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
Si deduce che, in ogni caso, sussistono i presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., in quanto i fatti consistono nella semplice chiusura di un terrazzo con materiale leggero, e non sussistono cause ostative attinenti all’abitualità o alla personalità degli imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate.

2. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel primo motivo che contestano la qualificazione dei fatti come reato, in particolare deducendo che per le opere di realizzazione di vani chiusi sul terrazzo e sul balcone non occorreva alcun provvedimento abilitativo a norma dell’art. 20 della legge Regione Sicilia 16 aprile 2003, n. 4, e che per la realizzazione della strada non erano necessari né il previo avviso, né l’autorizzazione del Genio Civile.
2.1. Occorre premettere che il riferimento all’art. 20 della legge Regione Sicilia n. 4 del 2003 non ha alcuna incidenza ai fini della esclusione della qualificazione dei fatti come penalmente rilevanti a norma dell’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001.
Innanzitutto, l’art. 20 cit. non è in alcun modo riferibile alla realizzazione di strade, perché ha come oggetto esclusivamente la «chiusura di terrazze di collegamento» e la «copertura di spazi interni».
In secondo luogo, poi, secondo un principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza penale di legittimità, in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali, anche se a Statuto speciale, devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (cfr., proprio con riferimento alla disciplina di cui all’art. 20 legge Regione Sicilia n. 4 del 2003, tra le tante, Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016, dep. 2017, Calabrò, Rv. 270210-01, e Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007, dep. 2008, Giangrasso, Rv. 238555-01).
E questo principio deve essere confermato in questa sede perché, come ripetutamente evidenziato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, il potere di incidere sulla sanzionabilità penale spetta al solo legislatore statale, anche in materia di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità (Corte cost., n. 232 del 2017, n. 183 del 2006, n. 70/2005, n. 196/2004, n. 327/2000, n. 149/1999 e n. 487/1989), ed anche con riferimento alle Regioni ad autonomia speciale, pur quando esse, nei loro statuti, prevedano competenze legislative di tipo primario. Anzi, il principio in forza del quale le Regioni ad autonomia speciale, per quanto nei rispettivi statuti prevedano competenze legislative di tipo primario, devono, in ogni caso, rispettare il limite della materia penale e di quanto è immediatamente riferibile ai principi di grande riforma, come nel caso del titolo abilitativo edilizio in sanatoria è stato recentemente ribadito anche in relazione ad una disciplina dettata dalla Regione Sicilia (cfr. Corte cost., n. 232 del 2017).
2.2. Posta l’irrilevanza della legislazione regionale per escludere la qualificazione dei fatti come penalmente rilevanti, la necessità del permesso di costruire ai fini dell’applicabilità dell’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 per le opere di cui è stata accertata l’esistenza deve essere valutata in considerazione della disciplina urbanistica nazionale.
Le opere di cui è stata accertata l’esistenza consistono precisamente: a) nella trasformazione di un terrazzino in ambiente chiuso, con volume pari ad oltre 77 metri cubi, collegamento dello stesso con un balcone interno, e realizzazione di un vano coperto di superficie pari a circa 5 metri quadrati; b) nella costruzione di una strada, effettuata mediate sezioni di sbancamento di altezza variabile da uno a sette metri circa.
Ora, costituisce principio assolutamente consolidato quello in forza del quale per la realizzazione di una tettoia è necessario il permesso di costruire, ai sensi degli artt. 3, 10 e 31 d.P.R. n. 380 del 2001 (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016, dep. 2017, Calabrò, Rv. 270210-01, la quale, nell’occasione, ha anche precisato che le disposizioni appena citate del d.P.R. n. 380 del 2001 prevalgono rispetto alla disciplina di cui all’art. 20 legge Regione Sicilia n. 4 del 2003).
Allo stesso modo, è principio ripetutamente ribadito senza contrasti quello per cui, in tema di reati edilizi, è soggetta a permesso di costruire l'esecuzione di opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio (cfr. tra le tantissime, Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 2017, Palma, Rv. 268847-01, e Sez. 3, n. 4916 del 13/1/2014, dep. 2015, Agostini, Rv. 262475-01).
2.3. Corretta risulta anche l’affermazione della sussistenza della fattispecie penale di cui agli artt. 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001, anche con riferimento alla realizzazione della strada, effettuata mediate sezioni di sbancamento di altezza variabile da uno a sette metri circa.
Invero, gli obblighi concernenti il preavviso scritto al Genio civile e la necessità di acquisire l’autorizzazione dello stesso riguardano, a norma dell’art. 83, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 «[t]utte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zona sismica […]». Questa previsione, topograficamente la prima del Capo IV del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato «Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche», indica l’oggetto di pertinenza della disciplina in materia di costruzioni in zone sismiche. Ad essa, quindi, deve farsi riferimento, per evidenti ragioni di coerenza sistematica, ai fini della interpretazione sia dell’art. 93 d.P.R. cit., il quale fissa l’obbligo di preavviso scritto al Genio civile per le «costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni» nelle zone sismiche, sia dell’art. 94 d.P.R. cit., che stabilisce la necessità di autorizzazione prima dell’inizio di «lavori» nelle zone sismiche.
Ed infatti, la giurisprudenza ritiene che le nozioni di «costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni», ovvero di «lavori», implicitamente richiamate dall’art. 95 d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto lo stesso sanziona «[c]hiunque violi le prescrizioni contenute nel presente capo [Capo IV] e nei decreti interministeriali previsti dagli articoli 52 e 83», abbiano un vasto campo di applicazione. In particolare, proprio sul presupposto che la previsione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 95 d.P.R. n. 380 del 2001 non sia limitata agli edifici, ma si estenda ad ogni opera in grado di esporre a pericolo la pubblica incolumità, si è precisato che la violazione della disposizione appena citata è integrata dall’inosservanza degli obblighi di preavviso e di autorizzazione anche con riguardo alla costruzione di semplici “volumi tecnici” (cfr. Sez. 3, n. 17707 del 31/01/2019, Sciandrù, Rv. 275568-01), alla installazione di pannelli autostradali a messaggi variabili (Sez. 3, n. 24086 del 11/04/2012, Di Nicola, Rv. 253056-01), alla edificazione di muri di semplice recinzione costruiti con dei “forati” (Sez. 3, n. 9126 del 16/11/2016, Aliberti, Rv. 269303-01), e alla realizzazione di una piscina prefabbricata priva di elementi di muratura e di cemento armato (Sez. 3, n. 6591 del 24/11/2011, dep. 2012, D’Onofrio, Rv. 252441-01).
In considerazione delle nozioni di «costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni» e «lavori» rilevanti a norma dell’art. 95 d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto implicanti la realizzazione di qualunque opera in grado di esporre a pericolo la pubblica incolumità, deve ritenersi che non risulta in alcun modo irragionevole la riferibilità di esse anche alla realizzazione di una strada, effettuata mediate sezioni di sbancamento di altezza variabile da uno a sette metri circa.      

3. Manifestamente infondate sono anche le censure esposte nel secondo motivo, che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche, deducendo inesistenza o apparenza di motivazione.
La Corte d’appello, infatti, ha negato il benefico invocato evidenziando la gravità delle condotte complessivamente considerate, caratterizzate da reiterazione degli abusi, l’esistenza di precedente specifici a carico di Giuseppe Pollino e l’assenza di elementi favorevolmente valutabili a vantaggio dei ricorrenti.

4. Diverse da quelle consentite sono le censure proposte nel terzo motivo, che contestano la mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, deducendo, in particolare, che le opere relative alla terrazza e al balcone risultavano eseguite già nel 2010, e che la strada era già stata realizzata nel 2016 e per fini agricoli.
4.1. Per quanto attiene alle opere relative alla terrazza e al balcone, la datazione delle stesse ad epoca antecedente e prossima al 14 novembre 2016 risulta incensurabile.
A fini dell’esame delle censure sul punto, la sentenza impugnata contiene una precisazione importante. La decisione, in effetti, evidenzia che l’architetto Capezzuto, nell’accesso effettuato nel 2012 ai fini della redazione di una relazione di stima dell’immobile per una procedura esecutiva, aveva riscontrato opere «ben diverse e molto più contenute» rispetto a quelle poi riscontrate all’atto del sopralluogo del 5 dicembre 2016, in quanto aveva dato atto di lavori più modesti, senza fare alcuna menzione delle trasformazioni e del collegamento di un balcone interno al terrazzino e della realizzazione su altro vicino balcone di un vano con copertura in coibentato.
Questa indicazione, in ordine alla quale non è denunciato alcun travisamento della prova, rende irrilevante ogni riferimento alla precedente relazione dell’ingegnere Mezzatesta depositata il 25 gennaio 2010 presso il Comune, ed esclude, quindi, che le opere siano state realizzate prima del 2012.
Di conseguenza, ai fini della datazione delle opere relative alla terrazza e al balcone nessun significato utile nella prospettiva dei ricorrenti può essere attribuito al verbale di sopralluogo del 5 dicembre 2016, solo perché questo, come rilevato nel ricorso, richiama la relazione dell’ingegnere Mezzatesta. Questa relazione, infatti, così come rilevato dalla Corte distrettuale, non è idonea ad attestare l’esistenza di opere di maggiore entità di quelle individuate due anni dopo, nel 2012, dall’architetto Capezzuto, e, quindi, non è rilevante ai fini della individuazione del momento consumativo dell’illecito.
Né la datazione delle opere relative alla terrazza ed al balcone ad epoca antecedente e prossima al 14 novembre 2016 può essere ritenuta inattendibile perché la denuncia del vicino del 14 novembre 2016 parlava di avvenuta realizzazione del terrazzo. Si tratta, infatti, di un riferimento del tutto generico, non valutabile in questa sede. D’altro canto, la denuncia del vicino è proprio del giorno indicato nell’imputazione, ossia di un giorno ritenuto in sentenza come immediatamente successivo a quello di consumazione dei reati relativi a tali opere.  
4.2. Anche per quanto concerne la data del completamento dei lavori per la realizzazione della strada, indicata in epoca antecedente e prossima al 15 giugno 2017, le conclusioni della Corte d’appello risultano incensurabili.
In disparte da ogni altra considerazione, le censure formulate sul punto sono del tutto generiche, perché si limitano ad asserire, senza alcun supporto, e senza nemmeno ulteriori precisazioni sul periodo, che i pertinenti lavori erano stati effettuati nel corso del 2016.
4.3. La datazione dei lavori in epoca immediatamente antecedente al 14 novembre 2016 ed al 15 giugno 2017 esclude che si sia verificata la prescrizione in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza impugnata.
La decisione della Corte d’appello, infatti, è stata pronunciata il 5 luglio 2021, e quindi prima che fossero decorsi cinque anni dalle date di commissione dei reati, indipendentemente da qualunque periodo di sospensione della prescrizione.
Né rileva il tempo decorso successivamente, posta l’inammissibilità dei ricorsi esaminati in questa sede.

5. Diverse da quelle consentite sono anche le censure enunciate nel quarto motivo, che contestano la mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, deducendo che i lavori sono modesti e che non ricorrono motivi soggettivi ostativi.  
La sentenza impugnata, infatti, ha incensurabilmente valorizzato la gravità dell’offesa arrecata dai lavori all’assetto urbanistico-edilizio del territorio, in considerazione delle modifiche determinate a quest’ultimo dalle opere realizzate.

6. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/01/2021