Cass. Sez. III n.38495 del  16 settembre 2016 (Ud 19 mag 2016)
Pres. Fiale Est. Aceto Ric. Waly
Beni Ambientali. Distruzione ovvero alterazione delle bellezze naturali

Qualsiasi intervento su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce ripresa dell'attività criminosa originaria integrante un nuovo reato identico a quello precedente e non attività irrilevante sotto il profilo penale. In altre parole, allorché l'opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive comunque finalizzate al suo consolidamento, il proprietario (anche se diverso dall'autore dell'abuso) non acquista il diritto di ricostruirla o comunque di ristrutturarla o manutenerla senza alcun titolo abilitativo anche se originariamente l'abuso non sia stato represso, giacché anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente

RITENUTO IN FATTO

1. La sig.ra W.H. ricorre per l'annullamento della sentenza del 03/11/2014 della Corte di appello di Roma che l'ha definitivamente condannata alla pena di venti giorni di arresto e 8.000,00 Euro di ammenda per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), perchè, recita la rubrica, senza permesso di costruire, aveva sostituito la copertura di una preesistente veranda realizzata in modo abusivo e già oggetto di altro processo penale; fatto commesso in (OMISSIS).

1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), vizio di carenza di motivazione in ordine al dedotto carattere pertinenziale e non abusivo della veranda preesistente.

1.2. Con il secondo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la carenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione circa la qualificazione dell'intervento edilizio, argomento che la Corte di appello risolve con motivazione apparente, dando per scontata la sostituzione dell'intera copertura sulla base della testimonianza dell'operante che effettuò il sopralluogo senza nemmeno prendere in considerazione quelle dei testimoni a discarico (che avevano riferito della sostituzione di un solo pannello), testimonianza in base alla quale era stata sollecitata, con l'impugnazione, una diversa qualificazione dell'intervento in termini di manutenzione ordinaria, piuttosto che straordinaria come ritenuto dal Tribunale.

1.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), vizio di mancanza di motivazione sulla legittimità dell'ordine di demolizione disposto in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

3. I motivi di ricorso, comuni per l'oggetto, sono totalmente infondati e l'eccepita carenza di motivazione sulla natura dell'intervento preesistente (argomento sul quale in effetti la Corte di appello non si sofferma) non è decisiva.

3.1. Risulta, infatti, dalla sentenza di primo grado la seguente descrizione della veranda, non contestata con l'atto di appello: "l'unità immobiliare ubicata al piano sesto dell'edificio (...) appartenente all'odierna imputata, fu ampliata mediante l'installazione, sul solaio di copertura dell'edificio, di una struttura avente le dimensioni di m. 3,00 x 4.50 e l'altezza compresa tra m. 2,80 e m. 2.60 (...) la struttura venne installata nel 2004; l'intervento non fu preceduto dal rilascio del permesso di costruire (...) l'installazione della veranda determinò la realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica, delimitato da tutti i lati da strutture stabilmente ancorate al pavimento, avente una concreta e ben visibile incidenza sulla fisionomia dell'immobile di cui risultano mutati il volume complessivo e l'aspetto esteriore".

3.2. Nel caso di specie non si è nemmeno trattato della chiusura di un balcone preesistente mediante l'installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica (opera che comunque necessita del permesso di costruire; così, da ultimo, Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013, Summa, Rv. 258295), bensì della costruzione di un manufatto che ha comportato un consistente ampliamento della sagoma dell'immobile preesistente (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e.1) e dell'appartamento dell'imputata, il che ne esclude pacificamente la natura pertinenziale.

3.3. Da sempre questa Suprema Corte sostiene che, in materia di reati edilizi, la nozione di pertinenza ha caratteristiche sue proprie diverse da quella contemplata dal codice civile e si sostanzia in un'opera che pur essendo preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e quindi non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato (Sez. 3, n. 18299 del 17/01/2003, Chiappalone, Rv. 224288), sicchè non costituisce pertinenza l'opera priva di propria individualità ed autonomia con la quale venga completamente racchiuso uno spazio aperto (balcone o terrazzo), creando così un tutto materialmente e giuridicamente unitario, che comporti soltanto una relazione interna di reciproco servizio nello ambito dell'edificio che lo comprende (così, la risalente Sez. 3, n. 3831 del 14/02/1983, Toppi, Rv. 158762; nonchè, più recentemente, ex plurimis, Sez. 3, n. 28504 del 29/05/2007, Rossi, Rv. 237138, secondo cui l'ampliamento di un fabbricato preesistente, nella specie consistito nella realizzazione sul lastrico solare di una struttura di alluminio anodizzato di mq. 15, non può considerarsi pertinenza, ma diventa parte dell'edificio perchè, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all'edificio medesimo; nel senso che le tettoie realizzate a copertura di lastrici non possono essere considerate pertinenze, cfr. anche Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro, Rv. 257290; Sez. 3, n. 21351 del 06/05/2010, Savino, Rv. 247628; Sez. 3, n. 17083 del 07/04/2006, Miranda, Rv. 234193; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232363).

3.4. Non ha alcun rilievo la circostanza che l'opera fosse solo imbullonata a due pareti del palazzo e dunque precaria, secondo la tesi difensiva, perchè la precarietà dell'opera edilizia non deriva dalle modalità dell'ancoraggio al suolo della struttura ma dal suo asservimento a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e.5), e art. 6, comma 2, lett. b). Circostanza che può essere esclusa nel caso in esame dal dato obiettivo che non solo l'opera preesisteva da anni all'intervento descritto dalla rubrica.

3.5. Tanto premesso, le eccezioni che hanno ad oggetto la qualificazione giuridica dell'intervento realizzato e l'omessa pronuncia della Corte di appello sulla legittimità dell'ordine di demolizione del manufatto sono irrilevanti e comunque manifestamente infondate.

3.6. Secondo un principio già affermato da questa Corte e fatto proprio dai Giudici di merito, che deve essere ulteriormente ribadito, confermato e precisato, qualsiasi intervento su una costruzione realizzata abusivamente, ancorchè l'abuso non sia stato represso, costituisce ripresa dell'attività criminosa originaria integrante un nuovo reato identico a quello precedente e non attività irrilevante sotto il profilo penale. In altre parole, allorchè l'opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive comunque finalizzate al suo consolidamento, il proprietario (anche se diverso dall'autore dell'abuso) non acquista il diritto di ricostruirla o comunque di ristrutturarla o manutenerla senza alcun titolo abilitativo anche se originariamente l'abuso non sia stato represso, giacchè anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente (in senso analogo, Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232364).

3.7. Ciò sul decisivo rilievo che se l'opera abusivamente realizzata (e non sanata) deve essere demolita e non può essere oggetto, nemmeno in parte, di trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46), non se ne può contraddittoriamente consentire la conservazione, dovendosene invece ordinare la demolizione nella sua interezza, se a tanto in precedenza non si sia provveduto.

3.8. Ne consegue che correttamente e legittimamente il Giudice di primo grado aveva ordinato la demolizione dell'intera opera abusiva la cui astratta sanabilità/condonabilità costituisce circostanza di fatto non deducibile per la prima volta in questa sede.

4. La inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare cause di estinzione del reato, quale la prescrizione, verificatesi successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata.

Alla detta declaratoria consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere per la stessa delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016