Cass. Sez. III n. 18919 del 5 maggio 2023 (UP 13 apr 2023)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. Paolini
Urbanistica.Modifica destinazione uso con opere

In tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, pur a fronte delle modifiche apportate dall'art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all'art. 3 del d.P.R.380/2001, non confluisce nella categoria degli interventi di manutenzione straordinaria comprensivi di frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, seppur comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, in quanto quest’ultima nozione richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d'uso


RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza del 16 maggio 2022, la Corte di appello di Roma riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Velletri del 15 marzo 2021, assolvendo Paolini Laura dai reati ascrittile limitatamente alla abusiva esecuzione di servizi igienici oltre a dichiarare non doversi procedere nei confronti della stessa limitatamente alle altre condotte contestate per essere il reato estinto ex art. 181 comma 1 quinquies del Dlgs. 42/2004, ad eccezione di un cambio di destinazione di uso di locali. Riduceva quindi la pena per la residua condotta, confermando nel resto la sentenza.

    2. Avverso tale sentenza Paolini Laura, mediante il proprio difensore, ha proposto ricorso, deducendo quattro motivi di impugnazione.

    3. Deduce con il primo il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. per violazione dell’art. 521 comma 2 cod. proc. pen. e degli artt. 177 e 178 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. oltre a vizi di motivazione. La corte di appello, avendo ribadito che la realizzazione di un bar sarebbe stata abusiva e che nel contempo sarebbe stata non sussistente la realizzazione di servizi igienici,  avrebbe riconosciuto come il fatto sarebbe risultato diverso da quello contestato e tuttavia non avrebbe trasmesso gli atti al Pubblico ministero per consentire alla difesa di interloquire rispetto alla nuova e diversa contestazione del fatto. Si aggiunge che si sarebbe violata la logica e la sintassi del capo di imputazione, nella misura in cui si è ritenuto sussistente un cambio di destinazione di uso in bar pur riconoscendo l’insussistenza della realizzazione di bagni, connessi indissolubilmente con la predetta ritenuta condotta. In tal modo la difesa non si sarebbe altresì confrontata rispetto ad un tema di accusa ignoto, quale un abuso paesaggistico ritenuto esistente nonostante l'insussistenza del requisito essenziale della creazione di servizi igienici.

    4. Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, per erronea applicazione dell’art. 181 comma 1 del Dlgs. 42/04 con carenza di motivazione nella parte in cui, nonostante l’insussistenza di servizi igienici quale opera abusiva, e’ stata ritenuta esistente la fattispecie criminale contestata. Si afferma, in proposito, che in assenza di servizi igienici vi sarebbe stata solo una modifica non strutturale di 4 cabine da ritenersi assentita, eventualmente in corso d’opera per la precedente presentazione di CILA. Come confermato dal tecnico Comunale esaminato e dalle dichiarazioni del consulente di parte, a fronte di assenza di motivazione da parte della corte di appello sul punto. Richiamandosi talune fonti di prova, si sostiene che l’imputata avrebbe fatto quanto necessario e richiestole per “licenziare” un manufatto già in essere e completato da precedente concessionario demaniale, aggiungendosi che la corte di appello, travisando le dichiarazioni del tecnico di parte, non avrebbe considerato le responsabilità amministrative che avrebbero impedito l’esaurirsi dell’iter diretto all’ottenimento di un’autorizzazione demaniale. Si rappresenta, inoltre, che la condotta della ricorrente non avrebbe integrato una lesione al paesaggio demaniale, anche a fronte di interventi in realtà già prima realizzati da altri, e la stessa sarebbe stata comunque dichiarata estinta ex art. 181 comma 1 quinquies del Dlgs. 42/2004. Peraltro, quanto ascritto alfine alla imputata sarebbe in contrasto con il diritto alla libera iniziativa economica ex art. 41 della Costituzione, né si rinverrebbe alcun danno alla sicurezza e alla tutela del paesaggio demaniale.  Vi sarebbe anche un grave arbitrio perpetrato attraverso l’intervenuto sequestro preventivo.

    5. Con il terzo motivo deduce la sussistenza di una motivazione contraddittoria con riguardo alla intervenuta abnorme sospensione, illegittima, della esecuzione di un ordine di dissequestro, con rigetto delle deduzioni difensive sulla nullità del sequestro medesimo. A tale ultimo riguardo si aggiunge che, diversamente da quanto ritenuto dalla corte di appello, per cui le questioni di nullità sollevate dalla difesa avrebbero perso attualità a seguito della intervenuta emissione di un decreto di sequestro preventivo, sarebbe ancora inevitabile una declaratoria di nullità delle ordinanze di rigetto della richiesta di rilevare la nullità di un sequestro giudiziario intervenuto  per violazione del diritto di difesa, stante il mancato avviso, alla allora indagata, della facoltà di essere assistita da un difensore all’atto del sequestro giudiziario di urgenza. La nullità del primo sequestro si riverberebbe poi sul successivo sequestro disposto dal gip.


    6. Con il quarto motivo deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. poiché il dispositivo non recherebbe la sospensione dell’ordine di esecuzione del dissequestro, riportato solo in motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo e secondo motivo, essendo omogenei, siccome inerenti al tema della insussistenza di condotte penalmente rilevanti, in quanto limitate a interventi integranti una modifica non strutturale, in assenza della abusiva realizzazione di servizi igienici, devono essere esaminati congiuntamente. Essi sono manifestamente infondati, sia perché integrano censure rivalutative dei fatti – inammissibili in questa sede per tale loro ontologica essenza (sul punto cfr. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507) – sia perché si tratta della mera riproposizione dei medesimi motivi di gravame su cui la corte si è già ampiamente espressa, validamente respingendoli, effettuata nonostante il noto principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. 2 - , n. 42046 del 17/07/2019 Rv. 277710 – 01). Ed invero, la corte di appello ha coerentemente osservato la irrilevanza della rivendicazione di una Cila ottenibile per le opere in esame, posto che il reato contestato, di cui all’art. 181 del Dlgs. 42/04, richiede l’assenza dell’autorizzazione  paesaggistica, effettivamente mai intervenuta, quale titolo diverso dalla Cila,; questione, quest’ultima, su cui invero neppure si spende la ricorrente, in ricorso. Inoltre, la stessa Corte, nel ribadire la intervenuta trasformazione, da una parte, di 4 cabine e di un annesso deposito in un unico locale bar e, dall’altra, la insussistenza di servizi igienici abusivi, non risulta essere incorsa in alcun vizio motivazionale né tantomeno in un difetto di correlazione tra contestazione e sentenza, posto che non risponde ad alcuna massima logica di esperienza la tesi difensiva, per cui in assenza dei servizi igienici non si potrebbe configurare la  contestata modifica di uso di cabine e locale deposito in locale bar,  di per sé, invece, enucleabile, laddove i servizi igienici, evidentemente, al più ne potrebbero costituire un mero completamento, senza che la loro sussistenza o meno incida sulla tipologia del fatto contestato. Con conseguente automatica assenza di fondamento, altresì, della affermazione per  cui, in assenza della realizzazione di un bar, si tratterebbe alfine di mere opere di manutenzione, penalmente irrilevanti, posto che in tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, pur a fronte delle modifiche apportate dall'art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all'art. 3 del citato d.P.R., non confluisce nella categoria degli interventi di manutenzione straordinaria comprensivi di frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, seppur comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, in quanto quest’ultima nozione richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d'uso (Sez. 3, n. 3953 del 16/10/2014 (dep. 28/01/2015 ) Rv. 262018 – 01).
Coerente è anche il rilievo della non applicabilità, per tali ultime opere, della fattispecie ex art. 181 comma 1 quinquies citato, siccome mai demolite, diversamente da quanto solo assertivamente sostenuto in ricorso.
Né appaiono pertinenti le disquisizioni sui danni arrecati, posto che il reato, previsto dall'art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è formale e di pericolo, e quindi indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, sanziona la violazione del divieto di intervento in determinate zone vincolate senza la preventiva autorizzazione amministrativa, laddove è la contravvenzione punita dall'art. 734 cod. pen., con cui esso puo’ concorrere, che invece presuppone l'effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione. (Sez. 3 - , n. 8499 del 26/11/2020 (dep. 03/03/2021 ) Rv. 280920 – 01). Del tutto irrilevante ai fini in esame appare poi la disquisizione sui ritenuti pregiudizi arbitrariamente arrecati con il sequestro.

2. Il terzo motivo, sulla motivazione contraddittoria con riguardo alla intervenuta abnorme sospensione, illegittima, della esecuzione di un ordine di dissequestro, non appare fondato. Va premesso che non sussiste intrinseca incompatibilità tra il dissequestro di opere insistenti sul demanio, come tali da restituire all’avente diritto, e la esecuzione dell’ordine di demolizione (rectius di ripristino) impartito per le opere abusive (sul piano paesaggistico) rinvenute. Né alcuna norma si rinviene, idonea a procrastinare il sequestro, pur revocato, solo per l’attesa della demolizione. Nel contempo deve però anche ribadirsi che in tema di misure cautelari reali, quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile di condanna – come era nel caso di specie quella qui impugnata al momento della sua pubblicazione - deve escludersi l'esecutività immediata dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo anche nell'ipotesi in cui non ne sia stata disposta la confisca, salvo che le esigenze cautelari giustificative del vincolo siano cessate. (Sez. 6, n. 40388 del 26/05/2009 Rv. 245473 – 01). L'art. 323, co. 3, c.p.p., nel prevedere che, in caso di condanna, gli effetti del sequestro preventivo permangano soltanto se sia stata disposta la confisca dei beni sequestrati, fa esclusivo riferimento alla ipotesi in cui la pronuncia di condanna abbia assunto carattere di irrevocabilità: in difetto di tale condizione, il fatto che la confisca non sia stata disposta non implica che debba necessariamente darsi luogo alla restituzione dei beni in sequestro, dovendosi invece comunque verificare, da parte del giudice, la permanenza o meno delle esigenze cautelari (cfr. Sez. 5, n. 26889 del 20/02/2017 Rv. 270865 - 01Cass., sez. I, 9.1.2013, n. 8533, rv. 254927; Cass., sez. III, 14/12/2007, n. 6462, rv. 239289). In tale prospettiva si è anche coerentemente evidenziato che in tema di misure cautelari reali, quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile di condanna deve escludersi - salvo che siano cessate le esigenze cautelari giustificative del vincolo - l'esecutività immediata dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo anche nell'ipotesi in cui non ne sia stata disposta la confisca, potendo quest'ultima intervenire, nei casi in cui si a prevista, nel successivo grado di giudizio di merito e, ricorrendo l'ipotesi di confisca obbligatoria, anche in sede esecutiva (Sez. 5, n. 26889 del 20/02/2017 cit.).
    2.1. Tanto precisato va quindi osservato, in concreto, che l’ordine di dissequestro non appare sospeso nel dispositivo, Che come tale deve ritenersi prevalente sulla motivazione, laddove con la stessa si sospende invece espressamente l’esecuzione della intervenuta revoca del sequestro. Tanto in applicazione del principio per cui in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo può essere derogata a condizione – non rinvenibile nel caso di specie - che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e che da esso, quale espressione della volontà decisoria del giudice, non derivi un risultato più favorevole per l'imputato. (Sez. 3 - , n. 2351 del 18/11/2022 (dep. 20/01/2023 ) Rv. 284057 – 04).
2.2. Pertanto la questione sulla abnormità della sospensione della restituzione riportata in motivazione non ha pregio, posto, lo si ribadisce, che ciò che nel caso concreto prevale è il dispositivo. Nel contempo tuttavia, sarebbe comunque rimasta, fino alla irrevocabilità della sentenza, la operatività del principio sopra già riportato, per cui in tema di misure cautelari reali, quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile di condanna, deve escludersi l'esecutività immediata dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo anche nell'ipotesi in cui non ne sia stata disposta la confisca, salvo che le esigenze cautelari giustificative del vincolo siano cessate. (Sez. 6, n. 40388 del 26/05/2009 Rv. 245473 – 01).
2.3. Quanto alle censure sollevate avverso le ordinanze di rigetto delle deduzioni di nullità del sequestro di urgenza poi seguito dal sequestro impeditivo disposto dal gip, sono manifestamente infondate, alla luce del principio per cui l'obbligo di dare avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, previsto dagli artt. 356 e 364 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen. per il sequestro probatorio, non trova applicazione nella diversa ipotesi di sequestro preventivo, poiché mentre il primo è atto di indagine per il quale, al momento della sua esecuzione, è necessario l'eventuale presidio della garanzia difensiva, il secondo ha natura di misura cautelare finalizzata ad evitare che la libera disponibilità del bene possa protrarre o aggravare le conseguenze del reato o determinare la commissione di altri reati ed è atto disposto dal giudice quale soggetto processuale neutrale (Sez. 1, n. 12025 del 20/01/2021 Rv. 280978 – 01) nonché in considerazione della ulteriore regola per cui, in caso di sequestro di iniziativa nullo, ciò inficia il provvedimento di convalida, e non anche il distinto provvedimento con il quale il Gip ha poi disposto il sequestro preventivo, legittimando la misura cautelare. Del resto, il provvedimento di convalida del sequestro preventivo disposto di urgenza dalla polizia giudiziaria è destinato o ad essere implicitamente caducato ovvero ad essere sostituito dal decreto del giudice (cfr. in motivazione, Sez. 3, n. 40361 del 11/03/2014 Rv. 261358 – 01; Sez. 3, 23.3.2011 n. 11671, rv 249919; Sez. Un., 7.6.2005 n. 21334, rv. 231055).

3. Con riferimento  all’ultimo motivo inerente il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. poiché il dispositivo non recherebbe la sospensione dell’ordine di esecuzione del dissequestro riportato solo in motivazione, esso è infondato  alla luce delle osservazioni immediatamente prima formulate.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta  il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso, Roma, 12 aprile 2023