Cass. Sez. 3 n. 31031 del 20 luglio 2016 (Cc 20 mag 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Di Nicola Imputato: Giordano
Urbanistica.Ordine di demolizione e istanza di sospensione o revoca

In tema di reati edilizi, non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi in sede esecutiva la sospensione o la revoca dell'ordine di demolizione, ma solo un onere di allegazione, relativo, cioè, alla prospettazione ed alla indicazione al giudice dei fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi all'autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure l'impugnato provvedimento di rigetto dell'istanza di sospensione o revoca dell'ingiunzione a demolire, alla quale il ricorrente non aveva allegato la domanda di condono e neanche indicato gli estremi della sua presentazione o il suo contenuto, non consentendo così al Tribunale di dar corso ad una istruttoria diretta ad accertare i possibili esiti e i tempi di definizione del procedimento amministrativo).

RITENUTO IN FATTO

1. G.V. ricorre personalmente per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha respinto l'istanza con la quale il ricorrente chiedeva la revoca o la sospensione dell'ingiunzione a demolire sul presupposto, da un lato, dell'incompetenza da parte del pubblico ministero ad emettere l'ordine di ingiunzione, che sarebbe di competenza dell'autorità amministrativa, nonchè sul presupposto dell'attuale pendenza di una procedura di sanatoria in sede amministrativa.

Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale ha osservato come competesse esclusivamente al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 665 c.p.p., di determinare le specifiche modalità esecutive dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale e come l'istanza di sospensione non potesse essere accolta in mancanza di elementi concreti diretti a fare ragionevolmente presumere che un eventuale provvedimento di sanatoria potesse essere emanato in un brevissimo arco temporale.

2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza, il ricorrente articola un unico motivo di impugnazione, qui enunciato ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Con esso il ricorrente lamenta la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 125 c.p.p. e art. 666 c.p.p., comma 5, (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Assume che il tribunale ha totalmente ignorato la circostanza che sull'immobile in questione pendeva istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 39, con la conseguenza che, ai fini della richiesta di sospensiva, il tribunale avrebbe dovuto valutare, anche attraverso i poteri di integrazione previsti dall'art. 666 c.p.p., comma 5, la fondatezza dell'istanza di condono presentata e quindi stabilire se la stessa fosse prossima alla decisione, o al limite, avrebbe dovuto congruamente motivare sulle ragioni per le quali ha ritenuto di non richiedere tali accertamenti, incorrendo pertanto nel vizio di motivazione denunciato.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso, sul rilievo che il giudice dell'esecuzione non avrebbe dato atto della ricorrenza di alcuna delle condizioni per le quali, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'ingiunzione a demolire non potesse essere sospesa in attesa della definizione dell'istanza di condono.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

2. Occorre premettere che il ricorrente, all'istanza diretta al giudice dell'esecuzione e tendente ad ottenere la sospensione o la revoca dell'ordine di ingiunzione a demolire, non ha allegato la domanda di condono e neppure ha indicato gli estremi della sua presentazione o fatto cenno del suo contenuto.

Inoltre, l'ingiunzione a demolire riguarda un ordine di demolizione impartito con sentenza del 31 maggio 2006, irrevocabile il 3 novembre 2006.

3. Ciò posto, la Corte di cassazione, con orientamento al quale occorre dare continuità, ha affermato che, in tema di esecuzione penale, non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione, cioè un dovere di prospettare e di indicare (specificamente) al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi alla autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti (Sez. 5, n. 4692 del 14/11/2000, Sciuto, Rv. 219253).

Tale onere è stato disatteso dal ricorrente sotto un duplice profilo: innanzitutto perchè egli ha solo assertivamente affermato di aver presentato una domanda di condono e che la stessa fosse ancora pendente e, sotto altro assorbente profilo, perchè non si è fatto carico di allegare alcun concreto elemento dal quale il Giudice dell'esecuzione avesse potuto desumere che la domanda di condono fosse definibile in tempi brevi - posto che erano trascorsi oltre sette anni dalla data di irrevocabilità della sentenza contenente l'ordine di demolizione (3 novembre 2006) e la data in cui il pubblico ministero ha notificato al ricorrente l'ingiunzione a demolire (13 febbraio 2014) - in maniera che il Tribunale avesse potuto dare corso ad una istruttoria diretta ad accertare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell'istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell'esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261212).

Ne consegue che correttamente il giudice dell'esecuzione, con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, ha tratto il convincimento che mancassero elementi concreti diretti a fare ragionevolmente presumere che un eventuale provvedimento di sanatoria potesse essere emanato in un brevissimo arco temporale.

4. Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.500,00 alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016