Cass. Sez. III n. 16436 del 31 marzo 2017 (Ud 8 nov 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Liberati Imputato: Mellini ed altro
Urbanistica.Permesso di costruire ed abuso di ufficio

L'inosservanza dell'art. 13 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, secondo il quale "il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici" integra il requisito della violazione di legge rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 aprile 2012 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rieti, in esito a giudizio abbreviato, condannò Giuseppe Mellini, quale Sindaco del Comune di Vacone, alla pena di mesi sei di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 323 cod. pen. (per avere rilasciato un permesso di costruire, mediante il quale era stata assentita la costruzione di un nuovo fabbricato, illegittimo per violazione di legge) e 44, lett. b), d.P.R. 380/2001 (per avere concorso con il proprietario del fondo alla realizzazione di scavi di fondazione con platea in cemento e movimentazione terra, sulla base di permesso di costruire illegittimo), e Telemaco Minicucci, quale tecnico progettista 16436-17 e redattore di una relazione tecnico progettuale, contenente false attestazioni circa l'effettiva estensione dell'area boscata di un fondo in relazione al quale era stato chiesto il rilascio di permesso di costruire, alla pena di mesi due di reclusione ed euro 200,00 di multa, in relazione al reato di cui all'art. 481, comma 2, cod. pen.

La Corte d'appello di Roma, investita delle impugnazioni di entrambi gli imputati, con sentenza del 14 gennaio 2015 ha escluso, nei confronti del Minicucci, la configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 481, comma 2, cod. pen., rideterminando la pena inflittagli in giorni venti di reclusione, convertita in euro 5.000,00 di multa, e ha ridotto la pena inflitta al Mellini a mesi quattro e giorni dieci di reclusione, convertita in euro 32.500,00 di multa, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso Telemaco Minicucci, affidato a tre motivi.

2.1. Con un primo motivo ha lamentato l'erronea interpretazione delle risultanze probatorie in relazione alla configurabilità dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 481 cod. pen., di cui era stato ritenuto responsabile, avendo fondato il proprio giudizio, come espresso nella relazione tecnico - progettuale presentata al Comune di Vacone allo scopo di ottenere il rilascio del permesso di costruire a favore di Giacomo Lorenzoni, a proposito della entità della porzione arborata esistente nel fondo di proprietà di quest'ultimo, sui rilievi della AGEA, basati sulle riprese aereofotogrannnnetriche dell'area, senza alcuna intenzione di falsare la realtà allo scopo di favorire il committente.
L'incertezza sulla effettiva estensione dell'area boscata doveva indurre a ravvisare la propria buona fede, e, quindi, la mancanza di dolo nella condotta ascrittagli.

2.2. Con un secondo motivo ha denunciato l'erronea interpretazione dell'art. 23 delle Norme Tecniche di Attuazione del Comune di Vacone in relazione all'art. 25 della I. reg. Lazio n. 38 del 1999, in quanto la legittimità del nuovo intervento edilizio, quanto alla estensione del fabbricato da realizzare, derivava dalla circostanza che il rudere del fabbricato agricolo esistente nel fondo consisteva di soli frammenti murari, dai quali non era possibile desumere la sua originaria entità volumetrica, che quindi non poteva essere riedificato nella originaria consistenza.

2.3. Con un terzo motivo ha denunciato erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 10 della I. reg. Lazio n. 24 del 1998, in relazione all'art. 55, comma 6, della I. reg. Lazio n. 38 del 1999, essendo stato accertato dai tecnici incaricati che l'area boschiva era pari a meno del venti per cento della estensione del fondo, che quindi non poteva essere ritenuta sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. 42/2004.
Ha censurato anche la affermazione della insussistenza della destinazione a fini agricoli del nuovo fabbricato, di cui era prevista una porzione da destinare a deposito di attrezzi agricoli, con la conseguente legittimità, sotto tale profilo, della realizzazione del nuovo fabbricato.

3. Ha proposto autonomo ricorso Giuseppe Mellini, denunciando vizio della motivazione e violazione degli artt. 323 cod. pen. e 44 d.P.R. 380/2001, sottolineando che non può configurarsi il reato di abuso d'ufficio in caso di violazione di prescrizioni contenute nel piano regolatore o in altri strumenti urbanistici, che non rientrano nel novero dei regolamenti.
Ha aggiunto che non poteva, comunque, essere ravvisata violazione dell'art. 41 delle Norme Tecniche di Attuazione del piano regolatore del Comune di Vacone, in quanto tali norme nelle zone agricole devono essere integrate con quanto previsto dalla I. reg. Lazio 38 del 1999 ed essere ritenute soppresse se con essa contrastanti; l'art. 23 delle medesime Norme Tecniche di Attuazione aveva valore prescrittivo solo nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, nella specie non sussistente; non vi era stata violazione dell'art. 55 della medesima I. reg. Lazio n. 38 del 1999, in quanto la disciplina relativa alla edificabilità in zona agricola non richiede la qualifica di imprenditore agricolo in capo al costruttore, ma solo la verifica di una effettiva ed obiettiva connessione funzionale dell'opera da realizzare con il fondo agricolo, nella specie sussistente; la superficie arborata era inferiore al dieci per cento della estensione del fondo, e dunque non era ravvisabile neppure violazione dell'art. 55, comma 6, della medesima I. reg. Lazio 38 del 1999.
Ha, inoltre, ribadito la incolpevolezza delle eventuali violazioni di tali disposizioni, con la conseguente insussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 323 cod. pen., essendo, in particolare, incolpevole l'ignoranza della infedele riproduzione dello stato dei luoghi nelle carte della Regione Lazio e della effettiva estensione dell'area boscata.
Ha anche contestato di aver concorso alla commissione dell'illecito urbanistico, non avendo apportato alla realizzazione di tale reato, e, in particolare, delle opere in relazione alle quali lo stesso era stato configurato, un contributo causale rilevante e consapevole, essendo rimasto del tutto estraneo alla esecuzione di dette opere, della cui realizzazione si era occupato esclusivamente il proprietario del fondo, richiedente il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Vacone e considerato illegittimo dai giudici di merito a causa di plurime violazioni di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili.

2. La Corte d'appello, nel confermare la illegittimità del permesso di costruire rilasciato da Giuseppe Mellini, quale Sindaco del Comune di Vacone, anche a causa della violazione degli artt. 43 (per la mancanza del parere di congruità di un agronomo sotto il profilo agronomico, zootecnico e silvocolturale) e 21 (per essere stata consentita la realizzazione di un magazzino e di una cantina e di un nuovo fabbricato in zona ricadente nel Paesaggio naturale di continuità) delle Norme Tecniche di Attuazione, ha ritenuto, contrariamente a quanto affermato dall'imputato, compatibili tali disposizioni con l'art. 55 I. reg. Lazio n. 38 del 1999, che non aveva disciplinato gli aspetti regolati da tali norme, che dovevano, quindi, ritenersi integrative e non in contrasto con tale legge regionale.
La Corte territoriale ha, poi, sottolineato, sempre con riguardo alla illegittimità del medesimo permesso di costruire, l'inclusione dell'area in zona boschiva nel Piano Territoriale Paesistico Regionale, accertata anche in concreto dal Corpo Forestale dello Stato, con la conseguente sussistenza del vincolo paesaggistico anche ai sensi dell'art. 142, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004.
E' stata, inoltre, ribadita la illegittimità della realizzazione di un'opera del tutto nuova in zona agricola, consentita solo se necessaria per la conduzione del fondo e l'esercizio di attività agricole, mentre il richiedente non era agricoltore, né titolare di impresa agricola, né iscritto presso la Camera di commercio nella sezione agricoltura, e nella richiesta non era stata illustrata la relazione tra le opere e le esigenze del fondo.
La Corte territoriale, in accordo con il Tribunale, ha, inoltre, sottolineato, in punto di fatto, che, contrariamente a quanto prescritto dall'art. 55 della I. reg. Lazio n. 38 del 1999, che richiede una superficie minima di 30.000,00 metri quadrati per poter eseguire un intervento edilizio, nella specie l'area libera da bosco e concretamente disponibile era di soli 16.400,00 metri quadrati.
E' stata, poi, rilevata la consapevolezza dell'imputato di tale illegittimità, segnalata da due pareri contrari del tecnico comunale, che aveva sottolineato la non assentibilità dell'intervento edilizio, e l'evidente volontà dell'imputato di favorire, attraverso l'atto illegittimo, il proprietario dell'area, con la conseguente ravvisabilità anche del concorso del Mellini nell'illecito urbanistico.
La Corte territoriale, anche a questo proposito in accordo con il primo giudice, ha poi ribadito la piena consapevolezza della falsità della rappresentazione dello stato dell'area contenuta nella relazione redatta dal Minicucci e allegata a corredo della richiesta di rilascio del permesso di costruire, in quanto tale professionista era anche il progettista delle opere e quindi consapevole della valenza paesaggistica dell'area oggetto dell'intervento edilizio e della estensione della superficie boscata, con la conseguente irrilevanza della rappresentazione della stessa nella cartografia del 2003.

3. Alla luce di tale ricostruzione il ricorso proposto da Giuseppe Mellini risulta manifestamente infondato.
L'affermazione secondo cui il mancato rispetto delle previsioni dello strumento urbanistico non consentirebbe di ravvisare la violazione di legge o di regolamento richieste per la configurabilità del reato di cui all'art. 323 cod. pen., è priva della necessaria concludenza, perché omette di confrontarsi con le plurime violazioni della legge della Regione Lazio n. 38 del 1999 sulla base delle quali è stata ravvisata la illegittimità del permesso di costruire rilasciato dal Mellini quale Sindaco del Comune di Vacone (in particolare dell'art. 55, commi 1 e 6, e dell'art. 58, comma 1, per l'assenza di relazione tra le opere assentite e le esigenze di coltivazione del fondo, l'inesistenza di un fabbricato preesistente, l'insufficienza della superficie non boscata, la mancata istituzione di un vincolo di non edificazione), e non tiene conto del consolidato orientamento interpretativo di questa Corte secondo cui "L'inosservanza dell'art. 13 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, secondo il quale "il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici" integra il requisito della violazione di legge rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio" (Sez. 3, n. 39462 del 19/06/2012, Rullo, Rv. 254015; conf., Sez. 6, n. 11620 del 25/01/2007, Pellegrino, Rv. 236147).
Le censure relative alla insussistenza della violazione degli artt. 41 e 23 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano regolatore del Comune di Vacone e dell'art. 55 I. reg. Lazio n. 38 del 1999, peraltro prive di confronto con la motivazione della sentenza impugnata, consistendo nella mera riproposizione di doglianze già sottoposte al giudice d'appello e da questi motivatamente disattese, sono anch'esse manifestamente infondate, avendo la Corte d'appello correttamente evidenziato che tali norme tecniche hanno portata integrativa delle disposizioni regionali, che non hanno disciplinato il procedimento di rilascio del permesso di costruire, in relazione al quale quindi l'art. 41 delle Norme Tecniche di Attuazione ha legittimamente previsto il parere di un agronomo allo scopo di verificare la congruità dell'intervento sotto il profilo agronomico, zootecnico e silvocolturale; la Corte territoriale ha, poi, evidenziato, con accertamento di fatto adeguatamente motivato e dunque non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità, la natura boscata dell'area in questione, e la conseguente sussistenza del vincolo paesaggistico sulla stessa, che determina anche l'applicabilità dell'art. 23 delle citate Norme Tecniche di Attuazione e la sussistenza della violazione dell'art. 55, comma 6, della citata I. reg. Lazio 38/99; infine la Corte territoriale ha evidenziato anche la mancanza del necessario nesso di strumentalità tra le opere oggetto del permesso di costruire e le esigenze di coltivazione del fondo, con la conseguente sussistenza della ulteriore violazione dell'art. 55 della suddetta I. reg. Lazio 38/99.
Manifestamente infondata risulta anche la doglianza, anch'essa generica e priva di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, relativa alla insussistenza dell'elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio, avendo entrambi i giudici di merito adeguatamente motivato tale aspetto con l'esistenza di due pareri contrari al rilascio del permesso di costruire resi dal tecnico comunale e con il rilascio del permesso da parte dell'imputato solamente 20 giorni dopo la comunicazione di tali pareritraendone in modo logico la prova della volontà dell'imputato di favorire indebitamente il richiedente il permesso di costruire attraverso il rilascio di una atto amministrativo palesemente illegittimo.
Analogo ordine di considerazioni può essere svolto a proposito della doglianza, anch'essa del tutto generica, relativa alla insussistenza degli elementi necessari per poter configurare il concorso del Mellini nell'illecito urbanistico commesso dal richiedente il permesso di costruire, consistito nella realizzazione di scavi di fondazione con platea in cemento e movimentazione terra, eseguiti in forza del permesso di costruire illegittimo, avendo i giudici del merito correttamente sottolineato che il rilascio del titolo abilitativo illegittimo costituì il presupposto della realizzazione di tali opere, evidenziando la consapevolezza dell'imputato, sia di tale illegittimità sia della funzione del permesso, nella condotta palesemente contraria alla legge e alle prescrizioni e anche ai pareri dei tecnici comunali: tale motivazione risulta senz'altro adeguata e idonea a dare conto sia dell'apporto causale fornito dal Mellini alla realizzazione delle opere, sia della relativa consapevolezza dello scopo di tale apporto.
Il ricorso proposto da Giuseppe Mellini risulta, in conclusione, manifestamente infondato.

4. Il ricorso proposto da Telemaco Minicucci risulta inammissibile per essere, in realtà, volto a censurare la ricostruzione della vicenda sul piano del merito, quanto alla effettiva estensione della superficie boscata del fondo di proprietà del richiedente il permesso di costruire, compiuta, invece, in modo logico sia dal Tribunale sia dalla Corte d'appello.
Al riguardo il ricorrente ha affermato di aver fondato la propria relazione tecnica, nella quale era stata indicata in 53.300 metri quadrati l'estensione dell'area non coperta da bosco (poi risultata essere di soli 16.400 metri quadrati), sulla base dei dati catastali, dei rilievi del 2008 della AGEA (Agenzia  per le Erogazioni in Agricoltura), della Carta d'Uso del Suolo e dei sopralluoghi eseguiti, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere escluso l'elemento psicologico del reato ascrittogli.
A sostegno della propria buona fede il ricorrente ha, inoltre, sottolineato l'effettiva esistenza delle tracce di un preesistente fabbricato agricolo, escluse dal Corpo Forestale e dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, e richiamato la relazione degli agronomi forestali Andreani e Altobelli, sulla base della quale l'area in questione non poteva ritenersi sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004.
Tutti tali rilievi sono volti, in realtà, a censurare l'accertamento del fatto compiuto dai giudici di appello, per quanto riguarda l'estensione della superficie boscata dell'area oggetto dell'intervento edilizio, che, anche attraverso il richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado, la cui struttura giustificativa si salda dunque con quella di appello, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; conf. Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615), hanno affermato la consapevole falsa attestazione da parte del Minicucci della maggiore estensione della superficie boscata, sulla base di plurimi elementi, tra loro convergenti, considerati in modo logico e coerente.
E' stato, infatti, sottolineato, che la presenza di una vasta superficie boscata, quale accertata dal Corpo Forestale e dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, era circostanza nota nel Comune di Vacone, sia per la sua evidenza, sia per le numerose controversie tra i boscaioli, e che il Minicucci, quale progettista delle opere, aveva eseguito i necessari sopralluoghi nell'area (come peraltro dallo stesso riconosciuto), e dunque non poteva invocare a propria discolpa quanto emergente dalla cartografia del 2003: tali considerazioni risultano idonee a fondare l'affermazione della consapevolezza del ricorrente, riguardo alla difformità dal vero di quanto attestato nella relazione prodotta a corredo della richiesta di permesso di costruire e alla volontarietà di tale falsa attestazione, essendo tale conclusione frutto di plurimi elementi convergenti nel senso di detta consapevolezza, e le doglianze del ricorrente non attengono alla logicità e alla completezza di tale percorso argomentativo, bensì allo stato dei luoghi e alle modalità del loro accertamento, e sono, di conseguenza, inammissibili nel giudizio di legittimità.

5. In conclusione entrambi i ricorsi risultano inammissibili, stante la manifesta infondatezza del ricorso di Mellini e il contenuto non consentito nel giudizio di legittimità di quello di Minicucci.
L'inammissibilità originaria del ricorso proposto da Minicucci esclude il rilievo della eventuale prescrizione del reato ascrittogli, commesso il 23 aprile 2009, all'atto della presentazione della relazione tecnica, che si sarebbe verificata il 26 ottobre 2016, dunque successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. sentenza 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativannente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 8/11/2016