Cass. Sez. III n. 31821 del 5 agosto 2024 (CC 12 lug 2024)
Pres. Ramacci Rel. Giorgianni Ric. Cascone
Urbanistica. Sanatoria dell'abuso edilizio e demolizione

In tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. Allo stesso modo, il requisito della doppia conformità è da ritenersi escluso in caso di edificazioni eseguite – come nel caso in esame – in assenza del preventivo ottenimento dell’autorizzazione sismica

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza datata 14 marzo 2024, il Tribunale di Nocera Inferiore, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza presentata da Cecilia Cascone e diretta ad ottenere la revoca e/o la sospensione dell’ordine di demolizione n. 56/2012 R.E.D., emesso dalla Procura della Repubblica a seguito della irrevocabilità della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore in data 02/10/2008, irrevocabile il 12/05/2012.

2. Avverso l’indicata ordinanza, Cecilia Cascone, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.

2.1 Con il primo motivo, la ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, assenza e manifesta illogicità della motivazione ex art. art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla richiesta di permesso a costruire in sanatoria depositata in data 07/03/2018.
Espone la ricorrente che la richiesta di permesso di costruire in sanatoria depositata al comune di Angri veniva respinta dall’Amministrazione locale per mancata allegazione della documentazione prescritta dal regolamento urbanistico e dalle norme di attuazione del PUC, senza dunque svolgere una reale attività istruttoria, dal momento che non veniva formalizzata, da parte dell’ente, alcuna richiesta di integrazioni alla ricorrente. Lamenta, pertanto, che, non essendovi stato un giudizio amministrativo nel merito della istanza di permesso a costruire in sanatoria, il giudice avrebbe potuto procedere con ulteriori accertamenti tecnici, ordinando al dirigente dell’ufficio tecnico comunale di riscontrare la possibilità che le opere dichiarate abusive potessero ricevere un provvedimento in sanatoria con esito positivo perché conformi agli strumenti urbanistici.

2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, assenza e manifesta illogicità della motivazione ex art. art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla richiesta di sospensione dell’ordine di esecuzione per la pendenza di altro procedimento penale riguardante opere realizzate sul medesimo immobile e definito con sentenza di prescrizione.
Espone la ricorrente che, a fronte di ulteriori opere realizzate sull’immobile oggetto di demolizione, veniva instaurato un procedimento penale, definito con sentenza n. 232/2023 di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Lamenta, pertanto, che l’esecuzione dell’ordine di demolizione necessitava di un approfondimento tecnico-amministrativo per la valutazione statica dell’immobile in relazione alle ulteriori opere edili realizzate e al pregiudizio che ne deriva dall’abbattimento. Difformemente da tanto nessuna valutazione preventiva veniva effettuata in merito dal competente ufficio tecnico del comune di Angri; dell’assenza di detta valutazione dava atto il giudice dell’esecuzione. Sostiene, quindi, la ricorrente che era necessario un approfondimento di indagine tecnica non disposto dal giudice dell’esecuzione.

2.3 Con il terzo motivo, la ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, assenza e manifesta illogicità della motivazione ex art. art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione al richiamato principio di affidamento.
Espone la ricorrente che, una volta attribuita natura di sanzione amministrativa all’ingiunzione di demolizione, sorge l’obbligo in capo alla Pubblica amministrazione e alla Procura della Repubblica di motivarne adeguatamente l’emissione soprattutto quando l’ordine venga emesso a distanza di anni dal costituito abuso secondo i principi affermati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Lamenta, pertanto, la ricorrente che, alla luce del predetto orientamento e tenuto conto della entità delle difformità accertate, l’ingiunzione a demolire, emessa a distanza di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, non fornisce adeguata motivazione sull’esigenza della demolizione e, dunque, sull’interesse pubblico attuale a demolire e a sacrificare posizioni giuridiche consolidate nel tempo, nonostante il tempo trascorso e il conseguente affidamento ingeneratosi in capo al privato, non potendo la motivazione essere supplita dalla considerazione del carattere di atto dovuto del provvedimento sanzionatorio.
  
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 
Il giudice dell’esecuzione, nel disattendere l’istanza di sospensione e/o revoca dell’ordine di demolizione, ha dato atto di avere accertato che la richiesta di permesso di costruire in sanatoria presentata dalla ricorrente era stata rigettata dall’ente locale, sul presupposto che l’intervento non risultava assentibile perché la pratica era carente della documentazione prescritta dal regolamento edilizio e dalle norme di attuazione.
La decisione presa dal giudice dell’esecuzione è conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, non rientrando tra i compiti del giudice dell’esecuzione quello di svolgere d’ufficio ulteriori accertamenti tecnici al fine di valutare la sanabilità delle opere abusive. E’ stato, infatti, ripetutamente affermato dalla Corte di legittimità che incombe su colui che intende avvalersi di una facoltà o godere di un beneficio che siano previsti dalla legge, fornire la prova della sussistenza del presupposto su cui la domanda si fonda, non potendosi, in assenza di una norma che lo preveda espressamente, stabilire a carico del giudice competente a decidere su di essa l'obbligo di acquisirla di ufficio (Sez. 1, n. 2564 del 07/05/1998, Gobbi, Rv. 210788, fattispecie nella quale, in sede di incidente di esecuzione avverso ordine di carcerazione, il condannato aveva dedotto l'apparente passaggio in giudicato della sentenza di condanna per essere stata omessa la notifica dell'avviso di fissazione dell’udienza dinanzi alla Corte di cassazione per la discussione del ricorso: nell'enunciare il principio sopra indicato, la S.C. ha ritenuto che spetti all'interessato fornire la prova dei fatti posti a base della sua domanda, e non al giudice l'onere di acquisirla d'ufficio; Sez. 3, n. 2230 del 17/12/2021, dep. 2022, Favasuli, Rv. 282692, fattispecie nella quale il giudice dell’esecuzione aveva rigettato l’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione per non aver il ricorrente allegato alcun documento che dimostrasse l’effettivo deposito della domanda di condono edilizio).
Tale interpretazione è coerente con un sistema che tenda ad evitare istanze puramente dilatorie, cosicchè sarebbe stato onere della ricorrente verificare lo stato della domanda di sanatoria presentata in sede amministrativa e la possibilità di un positivo esito, corredando la domanda della documentazione necessaria richiesta dai competenti uffici dell’ente locale, per poi sostenere ritualmente l’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione avanzata in sede di esecuzione penale.
Deve, invece, escludersi che il giudice dell’esecuzione debba sopperire all’omesso adempimento dell’onere che grava sulla parte.
Va, tuttavia, anche rimarcato che, nella fattispecie, il titolo esecutivo costituito dalla sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore del 02/10/2008, irrevocabile il 12/05/2012, era stato emesso sulla base del reato edilizio di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380/2001 e delle violazioni antisismiche, violazioni queste ultime che, se persistenti, ridondano negativamente sulla possibilità di ottenere la sanatoria prevista dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001.
Infatti, secondo l’affermazione costante di questa Corte (cfr., ex multis, Sez. 3 del 20/03/2024, Baiocco; Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, Rv. 277265 e Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422), in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. Allo stesso modo, il requisito della doppia conformità è da ritenersi escluso in caso di edificazioni eseguite – come nel caso in esame – in assenza del preventivo ottenimento dell’autorizzazione sismica (Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Casà, Rv. 284058 - 01; Sez. 3, n. 29179 del 05/07/2023, Carceo; Sez. 3, n. 14645 del 13/03/2024, Erbasecca).

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La questione investe l’ipotesi nella quale vengano emessi più ordini di demolizione da distinte sentenze nei riguardi di un unico immobile ed uno di essi venga caducato per la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
2.1 Secondo pacifico orientamento di legittimità, l’ordine di demolizione pronunciato in una sentenza penale irrevocabile rimane eseguibile anche quando ulteriori ordini di demolizione aventi ad oggetto il medesimo immobile vengano caducati per la declaratoria di prescrizione del reato di prosecuzione delle opere abusive oggetto di accertamento in un diverso processo.
Ogni ordine di demolizione, infatti, pronunciato ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380/2001 ed emesso all’esito di un giudizio penale avente ad oggetto una specifica condotta violativa dell’art. 44 d.P.R. n. 380/2001, è relativo alle opere abusive realizzate con la specifica condotta contestata in quel giudizio. Cosicchè la caducazione per prescrizione del reato di uno degli ordini di demolizione relativo ad opere abusive in prosecuzione non esplica alcuna incidenza in ordine alla efficacia di altro ordine di demolizione "cristallizzato" in una sentenza di condanna irrevocabile relativo ad altre opere abusive, anche pregresse, eseguite sullo stesso immobile.
2.2 E’ stata, così, ritenuta la legittimità dell'ordine di demolizione dell'intero manufatto, anche se per alcune opere meramente complementari (nella specie, casseformi armate dirette alla sopraelevazione) era in precedenza intervenuta revoca dell'ordine di demolizione, conseguente a declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 3, n. 38947 del 09/07/2013, Amore, Rv. 256431 - 01). E questo in continuità con il più generale principio secondo cui l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio oggetto del procedimento che ha dato vita al titolo esecutivo ma anche ogni altro intervento, che, per la sua accessorietà all'opera abusiva, renda ineseguibile l'ordine medesimo, non potendo consentirsi che eventuali ulteriori edificazioni possano, in qualche modo, ostacolare l'integrale attuazione dell'ordine giudiziale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 41180 del 20/10/2021, La Rosa; Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, Molinari, Rv. 268831-01, fattispecie quest’ultima nella quale la Corte di legittimità ha ritenuto che correttamente la Corte territoriale, in funzione di giudice dell'esecuzione, avesse respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell'ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell'abuso).
In altri termini, ciò che viene in rilievo è l'intangibilità dell'ordine di demolizione relativo al fabbricato nella sua interezza visto che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (Sez. 3, n. 21797 del 27/04/2011, Apuzzo, Rv. 250389 – 01; conf., Sez. 3, n. 24066 del 09/05/2024, D’Abundo; Sez. 3, n. 690 dell’11/10/2023, dep. 2024, Favicchio).
2.3 Ed è stato anche ritenuto che l'ordine di demolizione conseguente a sentenza di condanna, previsto dall'art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, anche se relativo ad interventi edilizi di prosecuzione e/o di completamento di un precedente abuso edilizio dichiarato estinto per prescrizione ed in relazione al quale il precedente ordine demolitorio era stato revocato, deve comunque essere eseguito sull'immobile considerato nella sua interezza.
La giurisprudenza ha affermato, infatti, che la prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza una nuova condotta illecita, a prescindere dall'entità dei lavori eseguiti ed anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione sia maturato il termine di prescrizione, atteso che i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale strutturalmente ineriscono (Sez. 3, n. 30673 del 24/06/2021, Saracino, Rv. 282162 - 01).
Qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell'attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente (Sez. 3, n. 48026 del 10/10/2019, Casola, Rv. 277349).
2.4 Nella fattispecie, alla luce dei principi testè esposti e coerentemente con gli ulteriori principi affermati nell’esame del primo motivo di ricorso, era onere della ricorrente dimostrare che la demolizione delle opere abusive interessate dall’ordine di demolizione da eseguire avrebbe potuto danneggiare opere del fabbricato non interessate dalla demolizione e non rientranti nel complesso delle opere accessorie e complementari, o comunque nelle c.d. superfetazioni successive, sulle quali si estende il carattere abusivo della costruzione originaria, tanto più che il giudice dell’esecuzione ha appurato, attraverso audizione del tecnico comunale, che non vi erano accertamenti attestanti l’impossibilità della demolizione delle opere abusive oggetto della sentenza passata in giudicato.

3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo un consolidato orientamento di legittimità, l'ordine di demolizione delle opere edilizie abusive, avendo natura di sanzione amministrativa, non è suscettibile di estinzione per decorso del tempo (Sez. 3, n. 43006 del 03/12/2010, La Mela, Rv. 248670); il decorso del tempo potrebbe far venire meno l’interesse dello Stato alla punizione, ma non quello di eliminare dal territorio un manufatto abusivo (Sez. 3, n. 3918 del 03/12/2009, dep. 2010, D’Apice, Rv.  246009).
Ciò trova spiegazione nella circostanza che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha dunque finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di "pena" nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetto a prescrizione (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 - 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 - 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 - 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 - 01).
Tanto premesso, l'affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull'inerzia della Autorità Giudiziaria non ha rilevanza: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 17/10/2017).
Deve essere rilevato al riguardo che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez. 3, n. 37906 del 22/5/2012, Mascia; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino, Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996, dep. 1997, Luongo, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/08/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
Va anche ricordato che l'ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell'ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all'esito di un processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato, pertanto, non può "lucrare" sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza invocando il principio dell’affidamento in tal modo ingenerato, perché l'ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia (Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, Esposito, Rv. 284627).
In definitiva, il tempo trascorso dalla sentenza di condanna non può legittimare alcun affidamento sull'inerzia dei pubblici poteri perché l'ingiunzione a demolire è causata proprio dalla condotta omissiva del condannato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

4. All'inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio del 12/07/2024.