Cass. Sez. III n. 14130 del 10 aprile 2025 (CC 20 mar 2025)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Ambrosio
Urbanistica.Termine ultimo di legittimazione per la domanda di sanatoria ex art. 36 TUE

Una lettura letterale e sistematica dell’art. 36 del DPR 380/01, esaminato in rapporto, in particolare, agli artt. 10, 33 comma 1 e 2, 31 commi 3, 4 e 4 bis, conduce a ritenere che in caso di decorso di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione comunale e quindi di acquisizione al patrimonio dell’opera abusiva realizzata senza permesso di costruire o in totale difformità, diversa dalla ristrutturazione, non sussista più la legittimazione a presentare la domanda di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01, atteso che il riferimento alternativo, riportato in tale ultimo articolo, alla comminazione di sanzioni amministrative piuttosto che al termine stabilito dal responsabile dell’ufficio comunale per la eliminazione degli interventi di ristrutturazione, quale termine ultimo di legittimazione a presentare tale istanza da parte del proprietario dell’opera ovvero del responsabile dell’abuso, attiene ai soli distinti casi di ristrutturazione ex art. 10 comma 1 del TUE, per i quali sia impossibile ripristinare l’originario stato dell’immobile e si imponga quindi, in sostituzione, ex art. 33 comma 2 del DPR 380/01, la comminazione di sanzione amministrativa pecuniaria. 


RITENUTO IN FATTO 

1.    Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Nola, adito quale giudice dell’esecuzione nell’interesse di Ambrosio Felice per la sospensione dell’ordine di demolizione delle opere di cui alla sentenza di condanna del medesimo, del tribunale di Nola, del 15.5.2018, divenuta irrevocabile il 12.12.2019, a carico dell’Ambrosio citato, in ordine al reato ex art. 44 del DPR 380/01, rigettava la domanda.
 
2.    Avverso la predetta ordinanza Ambrosio Felice ha proposto ricorso per cassazione con il proprio difensore. Si contesta il rilevato difetto di legittimazione del ricorrente a presentare la domanda di sanatoria valorizzata in funzione della richiesta sospensione, per intervenuta acquisizione al patrimonio comunale dell’opera da demolire, osservando che, in realtà, la titolarità del bene non sarebbe stata persa per il mero decorso di 90 giorni dalla notifica della ordinanza comunale di demolizione, come ritenuto dal giudice, atteso che, piuttosto, la legittimazione alla predetta domanda di sanatoria persiste, ex artt. 36 comma 1 e 36 bis DPR 380/01 fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative, tra cui oltre alla acquisizione gratuita al patrimonio rientra anche la comminazione del pagamento di somma di denaro ed art. 31 comma 4 bis del DPR 380/01 non ancora disposta. Si aggiunge che mancherebbe anche la trascrizione della acquisizione nei registri immobiliari. Si aggiunge che le opere sarebbero altresì pertinenziali rispetto ad opera lecita.

3.    Con il secondo motivo si contesta la esclusione da parte del giudice della possibilità di futura adozione di un provvedimento di sanatoria, come argomentato in una memoria che illustrava come, a seguito di sopravvenuto PUC, le opere realizzate ricadrebbero nella perimetrazione b1 corrispondente a insediamenti urbani prevalentemente consolidati e, più in generale, secondo  talune disposizioni urbanistiche vigenti, le opere non inciderebbero sull’assetto edilizio preesistente e non inciderebbero sul carico urbanistico. Rispetto a tali argomentazioni non vi sarebbe stata risposta. Si rappresenta altresì che la domanda di sanatoria sarebbe stata presentata ai sensi dell’art. 36 bis del DPR 380/01, per cui sarebbe inconferente in richiamo del giudice al requisito della doppia conformità. Quanto alla tesi per cui l’eventuale provvedimento favorevole alla sanatoria non sortirebbe effetto estintivo delle contravvenzioni ex artt. 83 – 95 TUE vi sarebbe una contraddizione interna alla ordinanza, perché poco prima il giudice avrebbe piuttosto escluso la evenienza di una sanatoria. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.    Inammissibile è il primo motivo. E’ pur vero che la legittimazione a richiedere la sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, siccome estesa, ai sensi di tale disposizione, non solo al proprietario dell'immobile ma anche al responsabile dell'abuso, è più ampia rispetto a quella a richiedere il preventivo permesso di costruire ex art. 11 D.P.R. n. 380/2001, limitata al solo proprietario: ciò in ragione della scelta legislativa di accordare ai responsabili delle opere abusive la possibilità di utilizzare uno strumento giudiziario utile al fine di evitare le conseguenze penali dell'illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi (cfr. TAR Puglia (LE) Sez. III n. 1577 del 14 ottobre 2019; Consiglio di Stato, sez. VI sent. n.7305 del 2018). Tuttavia, la medesima disposizione di cui all'art. 31 citato pone dei limiti temporali all'esercizio della predetta facoltà, che, con particolare riguardo al caso di specie, si identificano nella scadenza del termine ex art. 31 comma 3 del DPR 380/01 (ossia nel momento della acquisizione dell'abuso al patrimonio comunale decorsi 90 giorni dalla notifica all'interessato dell'ordine di demolizione comunale). In altri termini è errata la lettura difensiva dei termini fino ai quali sussiste legittimazione alla domanda di sanatoria ex art. 36 citato. 
Occorre al riguardo esaminare la lettera della norma: “fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, ((...)) e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”. 
Dunque appare chiaro che la domanda di sanatoria legittima i soggetti astrattamente interessati, se effettuata entro dati termini, a seconda che:
–    o  emerga una opera abusiva realizzata senza permesso di costruire o in totale difformitò da esso, e in tal caso il termine è quello ex art. 31 comma 3 citato, di acquisizione al patrimonio comunale a causa di inottemperanza all’ordine di demolizione comunale;
–    oppure emergano interventi abusivi di ristrutturazione cd. “pesante”  priva di permesso o in totale difformità da esso, e in tal caso il termine finale è quello della ripristino degli edifici in  conformità alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza (decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso, art. 33 comma 1 cit.) e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative.
In tale quadro si deve notare che quest’ultima ulteriore citazione, che si rinviene nell’art. 36 quanto ai tempi massimi di presentazione della domanda di sanatoria, quale è la dizione aggiuntiva “e comunque fino all’irrogazione di sanzioni amministrative” e’ inserita dal legislatore subito dopo il rinvio al termine di cui all’art. 33 comma 1, che attiene ai casi, peculiari, di ristrutturazione “pesante”. Per i quali è prevista, in via ordinaria, ex art. 33 citato, la eliminazione degli interventi stessi, con ripristino della conformità urbanistica ed edilizia dell’immobile, entro il termine stabilito dal responsabile dell’ufficio comunale competente e, in subordine, solo in caso di impossibilità di eliminazione degli interventi integranti la ristrutturazione, la comminazione di sanzioni amministrative. Così infatti recitano i commi 1 e 3 dell’art. 33 citato: “1. Gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso. 2. Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio”.
Appare allora chiaro e inevitabile ritenere che il riferimento al termine costituito dalla comminazione di sanzioni pecuniarie attiene, per la collocazione letterale, posta subito dopo il rinvio all’art. 33 in tema di ristrutturazioni abusive, e per la previsione per le stesse della doppia ipotesi - alternativa - del ripristino o della sanzione amministrativa pecuniaria, al solo caso di ristrutturazioni “pesanti” abusive, e nella peculiare ipotesi in cui non si possa ordinare il ripristino dello stato anteriore dei beni e si debba solo comminare una sanzione amministrativa. 
Che il predetto riferimento a sanzioni amministrative non possa riguardare anche la sanzione, correlata alla acquisizione al patrimonio di nuove opere prive di permesso o in totale difformità dalla stesso, di cui all’art. 31 comma 4 bis del DPR 380/01, citata invece dalla difesa, lo si desume altresì anche dalla particolare articolazione del quando e quomodo di tale ultima sanzione. Invero ai sensi del predetto art. 31 e dei commi 3, 4 e 4 bis, è previsto, da una parte, che si adotti in presenza dell’opera abusiva ivi contemplata esclusivamente l’ordine di demolizione, con acquisizione al patrimonio comunale, decorsi 90 giorni dalla notifica dell’ordine medesimo (comma 3); quindi è altresì disposto che “l’'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente” (comma 4) e, infine, al comma 4 bis, che “l'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga (altresì, e non in via alternativa ndr) una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. 
In altri termini, l’inottemperanza dell’ordine di demolizione per opere abusive diverse e più gravi della ristrutturazione “pesante”, determina sia l’acquisizione  al patrimonio sia la necessaria irrogazione di una sanzione, laddove, invece, per le ristrutturazioni abusive “pesanti” è prevista, in via alternativa, il ripristino oppure la sanzione amministrativa, così da potersi giustificare – solo per le predette fattispecie di ristrutturazione abusiva -  la previsione di due distinti quanto alternativi termini entro cui potere presentare la domanda di sanatoria ex art. 36 citato. Consegue, dunque, che il rimando di cui all’art. 36 citato, quanto ai termini massimi entro cui potere chiedere la sanatoria ivi disciplinata, agli artt. 31 comma 3, 33 comma 1 “ e comunque fino all’irrogazione di sanzioni amministrative”, se da una parte appare coerente, ove si ricolleghi quest’ultima evenienza alla sola fattispecie delle ristrutturazioni abusive, nel senso e per i casi di impossibilità di ripristino sopra illustrati, al contrario, fornirebbe una lettura distonica della predetta formulazione dei termini massimi di legittimazione di cui all’art. 36, laddove si dovesse affermare, come invece sostenuto dalla difesa, che secondo tale norma la domanda di sanatoria, anche in caso di interventi sine titulo o in totale difformità dal permesso di costruire, diversi dalle ristrutturazione, avrebbe un doppio termine non alternativo: l’acquisizione al patrimonio “ e comunque” anche l’irrogazione della sanzione pecuniaria, di cui al comma 4 bis dell’art. 31, che scatta, secondo lo stesso art. 36 citato, già proprio dal momento della acquisizione al patrimonio e quindi dalla perdita di ogni titolarità in capo alla res da parte di chi vorrebbe ottenerne la sanatoria. 
Puo’ dirsi, conclusivamente, che una lettura letterale e sistematica dell’art. 36 del DPR 380/01, esaminato in rapporto, in particolare, agli artt. 10, 33 comma 1 e 2, 31 commi 3, 4 e 4 bis, conduce a ritenere che in caso di decorso di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione comunale e quindi di acquisizione al patrimonio dell’opera abusiva realizzata senza permesso di costruire o in totale difformità, diversa dalla ristrutturazione, non sussista più la legittimazione a presentare la domanda di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01, atteso che il riferimento alternativo, riportato in tale ultimo articolo, alla comminazione di sanzioni amministrative piuttosto che al termine stabilito dal responsabile dell’ufficio comunale per la eliminazione degli interventi di ristrutturazione, quale termine ultimo di legittimazione a presentare tale istanza da parte del proprietario dell’opera ovvero del responsabile dell’abuso, attiene ai soli distinti casi di ristrutturazione ex art. 10 comma 1 del TUE, per i quali sia impossibile ripristinare l’originario stato dell’immobile e si imponga quindi, in sostituzione, ex art. 33 comma 2 del DPR 380/01, la comminazione di sanzione amministrativa pecuniaria.  Quanto alla deduzione della mancanza trascrizione della acquisizione nei registri immobiliari, essa è irrilevante, atteso che in materia edilizia, l'acquisizione al patrimonio comunale del manufatto abusivo, conseguente all'inottemperanza all'ordine di demolizione emesso dall'autorità comunale, si verifica "ope legis" all'inutile scadenza del termine fissato per l'ottemperanza, mentre la notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza è unicamente titolo necessario per l'immissione in possesso dell'ente e per la trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di acquisizione. (Sez. 3, n. 1819 del 21/10/2008, dep. 2009, P.m. in proc. ercoli, Rv. 242254 – 01; da ultimo anche Sez. 3, n. 23718 del 08/04/2016, Pacera, Rv. 267676 - 01). Riguardo, infine, al rilievo difensivo per cui le opere sarebbero altresì pertinenziali rispetto ad opera lecita si tratta di affermazione meramente assertiva oltre che irricevibile a fronte dell’intervenuto giudicato che ha definito una autonoma e nuova opera abusiva. 

    2. Quanto al secondo motivo con cui si contesta la esclusione, da parte del giudice, della possibilità di futura adozione di un provvedimento di sanatoria, si tratta innanzitutto di una censura meramente assertiva e rivalutativa, laddove rappresenta e non dimostra l’attuale e nuova disciplina urbanistica in cui dovere inserire, secondo la difesa, l’opera abusiva. La censura è inoltre irrilevante, atteso che la sanatoria ex art. 36 richiede il requisito della doppia conformità, mentre la deduzione difensiva attiene solo al rapporto tra lo stato attuale della disciplina urbanistica e l’opera, obliterando l’accertata difformità edilizia e urbanistica al tempo della sua realizzazione. Emerge in tal caso una questione giuridica per la quale opera il noto principio per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate, diversamente dal caso di specie, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 Emmanuele).
Quanto alla tesi per cui la domanda di sanatoria sarebbe stata presentata ai sensi dell’art. 36 bis del DPR 380/01 (parziale difformità) per cui sarebbe inconferente il richiamo del giudice al requisito della doppia conformità, non richiesto per tale fattispecie a seguito della recente novella normativa intervenuta in ordine al TUE, essa è del tutto erronea quanto assertiva. Invero le opere in questione sono quelle oggetto di sentenza di condanna, cui ha fatto seguito, per quanto emerge in ordinanza, e nella stessa relazione tecnica allegata al ricorso (che pure a pagina 6 esclude ogni titolo abilitativo), una ordinanza di demolizione comunale riguardante tali opere, che appaiono corrispondere a plurimi manufatti autonomi, realizzati senza permesso: per essi quindi non può parlarsi, come prospetta la difesa e il suo tecnico,  di “parziale difformità” e quindi neppure può trascurarsi la opportunità, giova sottolinearlo,  di una verifica di profili di falsità penalmente rilevanti, per non corretto esercizio, da parte del tecnico di parte, della necessaria discrezionalità, meramente  tecnica, in sede di redazione e presentazione della relazione citata, nell’ambito della riferita richiesta di sanatoria ex art. 36 bis citato depositata presso il comune. 
Dunque, va ribadito, non emerge alcuna possibilità di qualificare le opere in questione come opere in parziale difformità, in assenza di qualsiasi primigenio permesso di costruire rilasciato al riguardo, come invece sostenuto in ricorso. Si ribadisce al riguardo che la sanatoria ex art. 36 bis DPR 380/01, fa riferimento al solo caso di difformità parziale, che solo ricorre allorquando sia rilasciato un titolo abilitativo per la costruzione di un manufatto e, nel corso della sua realizzazione e nei termini di legge della stessa, si effettui un intervento in difformità dal titolo stesso rilasciato. Caso, questo, del tutto estraneo a quello in esame, in cui solo emerge l’autonoma realizzazione ex novo di manufatti senza alcun possibile titolo edilizio di riferimento cui rapportare eventuali difformità.
E corretta è altresì la esclusione di ogni possibile previsione di rilascio di un permesso in sanatoria. 
Quanto alla tesi per cui il rilievo del giudice, secondo il quale l’eventuale provvedimento favorevole alla sanatoria non sortirebbe effetto estintivo delle contravvenzioni ex artt. 83 – 95 TUE, implicherebbe una contraddizione interna alla ordinanza, perché poco prima il giudice avrebbe piuttosto escluso la evenienza di una sanatoria, si osserva che non si tratta di alcuna contraddizione, tantomeno decisiva, per quanto finora osservato, emergendo, piuttosto, un ragionamento ad abundantiam, con cui il giudice ha escluso ogni sanatoria in ogni caso, quantomeno in ragione della violazione della disciplina antisismica. Va qui ribadito che in tema di reati edilizi, il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cd. "doppia conformità"), richiesto ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è da ritenersi escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell'autorizzazione sismica. (Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Casa', Rv. 284058 - 01).

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
Così deciso, il 20.3.2025