Urbanistica. Oblazione e concessione in sanatoria
Una volta pagata la somma determinata ai sensi dell’art.13 comma terzo dell legge 28 febbraio 1985 n. 47( ottenendo così la concessione in sanatoria e la conseguente estinzione del reato) non è più possibile contestare dinanzi al giudice amministrativo l’ammontare della somma in questione.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 9464 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 1997
sul ricorso in appello n. 9464/1997 , proposto dalla Società il Mattone s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Umberto Pillitteri e Giovanni Pratesi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare n.71;
il Comune di Varese , in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ugo Ferrari, Achille Cutrera e Stefano Soncini, elettivamente domiciliato in Roma, via P.A. Micheli n. 78, presso lo studio del terzo difensore
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia- seconda sezione 15 luflio 1996 n. 1105;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Varese ;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 19 dicembre 2006 , il Consigliere Caro Lucrezio Monticelli; uditi!Fine dell'espressione imprevista, altresì, l’Avv. Pillitteri e l’Avv. Ferrari!Fine dell'espressione imprevista;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
La società il Mattone s.p.a. era stata autorizzata dal Comune di Varese a eseguire un piano di recupero riguardante un complesso immobiliare del centro storico sito tra via Manzoni, p.zza della Repubblica e via Dazio Vecchio, identificato con il n. 69. In particolare per l'edificio prospiciente via Dazio Vecchio era stato previsto il recupero senza demolizioni.
A seguito di un sopraluogo del marzo 1991, il Comune di Varese, constatata la completa demolizione dell'edificio di via Dazio Vecchio, ordinava la sospensione dei lavori e inoltrava il dovuto rapporto ai giudice penale; a seguito di ciò la predetta società presentava una richiesta di concessione in sanatoria per la avvenuta demolizione e successiva ricostruzione dell'edificio, che il Comune accoglieva quantificando l'oblazione dovuta ai sensi del terzo comma dell'art. 13 della legge 47/85 in lit.122.247.359.
Il pagamento dell'importo consentiva il rilascio della concessione in sanatoria e la conseguente estinzione del procedimento penale a mente dell'art 22 della citata legge.
La società interessata proponeva tuttavia ricorso dinanzi al Tar Lombardia, ritenendo l'importo quantificato dal Comune non dovuto, e comunque eccessivo.
La ricorrente, infatti, reputava che fosse soggetta ad autorizzazione la demolizione a cui sarebbe stata costretta in corso d'opera, con la conseguenza che il Comune avrebbe dovuto applicare l'ultimo comma dell'art. 13.
In ogni caso, a suo parere, la fattispecie ricadrebbe nell'art. 15 della medesima legge, cioè si tratterebbe di variante in corso d'opera e oltretutto non sarebbero collegabili alla concessione in questione quegli oneri urbanistici che solo giustificherebbero la richiesta dell'importo; peraltro la società rilevava di aver già provveduto al pagamento degli oneri in relazione alla primitiva concessione edilizia, per cui nulla sarebbe dovuto trattandosi di demolizione e fedele ricostruzione di un edificio per il quale era stata autorizzata la ristrutturazione.
Si è costituito nel giudizio di primo grado il Comune di Varese , sostenendo che il ricorso sarebbe stato inammissibile ed infondato .
Il Tar Lombardia , con sentenza n. 1105 del 13 luglio 1996, ha dichiarato, in accoglimento dell’eccezione sollevata in tal senso dalla difesa del Comune, inammissibile il ricorso, in quanto la società istante non avrebbe potuto con il ricorso al Tribunale amministrativo tentare di far venire meno a posteriori, il presupposto per il rilascio di un provvedimento il cui effetto era stato quello di estinguere una fattispecie prevista dall'ordinamento come reato.
Avverso detta sentenza ha proposto appello il Mattone s.p.a., la quale ha in via preliminare contestato l’assunto secondo cui il pagamento della somma a titolo di oblazione avrebbe precluso il ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ribadendo poi nel merito le censure dedotte in primo grado.
Si è costituito in giudizio per resistere all’appello il Comune di Varese, confermando le difese già svolte dinanzi al Tar.
La sezione, poiché il difensore della società appellante aveva, all’udienza del 12 maggio 2006, chiesto un rinvio della discussione (giusta istanza dell’11.5.2006) allegando la pendenza di trattative miranti ad una definizione stragiudiziale della controversia, disponeva, con ordinanza 25 luglio 2006 n. 4661, l’acquisizione di una relazione di chiarimenti in proposito.
L’amministrazione comunicava tuttavia che non era stato possibile raggiungere alcuno accordo.
L’appello deve essere respinto.
Va infatti condivisa la tesi del Tar secondo cui, una volta pagata la somma determinata ai sensi dell’art.13 comma terzo dell legge 28 febbraio 1985 n. 47( ottenendo così la concessione in sanatoria e la conseguente estinzione del reato) non è più possibile contestare dinanzi al giudice amministrativo
Deve invero considerarsi che tale somma, benché commisurata al contributo di concessione, è corrisposta a titolo di oblazione.
Orbene l’oblazione, secondo la giurisprudenza della Cassazione ( Cass, civ., sez. I, 24 aprile 1979 n. 2319; Cass, pen., sez. I, 18 marzo 1988), consiste in un negozio giuridico unilaterale, processuale o extra processuale, produttivo di effetti giuridici di diritto pubblico costituiti dal riconoscimento della sussistenza dell’illecito con conseguente rinuncia irretrattabile alla garanzia giurisdizionale e da cui deriva la rinuncia dello Stato all’applicazione di una sanzione superiore, sicchè va esclusa la ripetibilità della somma pagata ed è irrilevante ogni riserva fatta a tal fine.
Né può sostenersi che in tal modo sarebbe compresso il diritto di difesa di fronte ad una richiesta esorbitante dell’amministrazione, giacchè l’interessato può far valere le proprie ragioni di fronta al giudice amministrativo prima di corrispondere la somma.
D’altra parte non possono nemmeno determinarsi conseguenze negative a carico dell’interessato per l’eventuale ritardo del pagamento rispetto alla richiesta dell’amministrazione, perché è evidente che tali conseguenze negative non possono configurarsi allorquando il ritardo è causato da un accertato errore dell’amministrazione stessa.
In ogni caso poi il possibile allungamento dei tempi della procedura amministrativa non può avere alcuna conseguenza negativa sul piano penale, perché l’art.22 della legge n. 47/1985 prevede che l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finchè non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria.
Per le suesposte considerazioni l’appello deve dunque essere respinto.
Sussistono ragioni, in considerazione della complessità della questione trattata, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge l’appello.
Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 19 dicembre 2006 , dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Raffaele Carboni CONSIGLIERE
Caro Lucrezio Monticelli est. CONSIGLIERE
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Caro Lucrezio Monticelli f.to Sergio Santoro
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
F.to Livia Patroni Griffi