Consiglio di Stato Sez. II n. 2814 del 2 aprile 2024
Urbanistica.Differenze tra varianti e variazioni essenziali
Il concetto di variazione essenziale attiene più propriamente alla modalità di esecuzione delle opere e va pertanto distinto dalle “varianti”, che pur afferendo alla medesima, consentono di adeguare il titolo autorizzativo originario in corso di edificazione. Mentre, cioè, le varianti in senso proprio, ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante (rectius, a d.i.a., in luogo della presentazione della quale il privato può optare per la richiesta di titolo esplicito), complementare ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire; le varianti essenziali, caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, sono soggette al rilascio di un permesso di costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto al primo, e per esso valgono le disposizioni vigenti al momento della loro realizzazione.
N. 02814/2025REG.PROV.COLL.
N. 01474/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1474 del 2022, proposto dalle signore Cinzia Emanuela Boicelli e Roberta Boicelli, nella loro qualità di eredi del signor Piero Boicelli, rappresentate e difese dall’avvocato Daniele Granara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, n.7;
contro
il Comune di Maissana, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
nei confronti
dei signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli, rappresentati e difesi dall’avvocato Vittorio Petrocco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, sez. II, 5 luglio 2021, n. 635, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 4 marzo 2025, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le appellanti l’avvocato Daniele Granara e per le controinteressate l’avvocato Vittorio Petrocco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Oggetto della controversia è l’esatta portata del provvedimento con il quale il Comune di Maissana ha ingiunto ai signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli la demolizione di un abuso edilizio la cui permanenza in loco, nell’attuale consistenza di fatto, è contestata dalle appellanti.
1.1. Le signore Cinzia Emanuela Boicelli, Roberta Boicelli e Ernestina Lavagnino (rispettivamente, figlie e moglie del signor Piero Boicelli, originario proprietario dell’abitazione a confine del manufatto di cui è causa) si costituivano ad opponendum nel procedimento instaurato innanzi al T.a.r. per la Liguria (n.r.g. 411/2020) dai signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli per l’annullamento dell’ordinanza n. 1 del 2 aprile 2020 con la quale veniva loro ingiunta la rimessa in pristino dello stato dei luoghi, essendo stata constatata, in occasione del sopralluogo del responsabile dell’area tecnica del comune del 10 dicembre 2019, la realizzazione di opere in difformità dai titoli edilizi posseduti. In maggior dettaglio, l’atto si fonda sull’avvenuto accertamento di un ampliamento delle dimensioni della pavimentazione dell’area asfaltata soprastante i box, posta a livello della strada provinciale -e quindi anche dell’abitazione delle controparti - sia in lunghezza (ml. 13.25, anziché ml. 12), che in larghezza (ml. 11,30, invece di ml. 11,70), ancorché il manufatto in sé, cui si accede da piazzale sottostante, diverga in lunghezza di soli ml. 0,60 (misurando ml. 19,20, anziché ml. 18,60). Ridetto piazzale sottostante, di accesso ai singoli box chiusi, risulta invece largo in media ml. 11,30, anziché ml. 11,70. Venivano rilevate altresì delle difformità di natura per così dire estetica, quali la mancata copertura dei muri di sostegno e contenimento in conglomerato cementizio con pietrame a faccia vista (in particolare, il muro lato valle), l’utilizzo di materiali non conformi a quelli indicati nella relazione tecnica e l’adibizione a deposito, oltre che a parcheggio, del manufatto. Il tutto su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale ai sensi dell’art. 136 del d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, idrogeologico, nonché di riqualificazione ai sensi del vigente P.U.C., in regime di salvaguardia, “NI-CO” nella cartografia dell’assetto insediativo del P.T.C.P.
2. Il T.a.r. per la Liguria, con sentenza n. 635 del 5 luglio 2021, accoglieva in parte il ricorso, sull’assunto che l’atto avrebbe applicato l’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.u.ed.), anziché, come sarebbe stato più corretto, l’art. 34 del medesimo testo unico; fatto riferimento a una non chiara modifica di destinazione d’uso (stante che già la concessione in sanatoria n. 1 del 2003 aveva assentito la destinazione di area e manufatto come parcheggio e garage); infine omesso di indicare l’oggetto della demolizione, lasciando così gli interessati nell’incertezza circa le modalità per adempiere all’ingiunzione. In sintesi, pur affermando la sussistenza dell’abuso edilizio rilevato, e quindi la correttezza nell’an dell’ingiunzione a demolire, ne ha censurato i presupposti e i contenuti, siccome perplessi.
3. Hanno impugnato la sentenza le sole signore Cinzia Emanuela Boicelli e Roberta Boicelli, deducendone l’erroneità sotto tre profili.
3.1. Con il primo motivo di censura hanno riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto non notificato a nessuna delle tre eredi (ovvero loro stesse e la loro madre), pur trattandosi di controinteressate in senso sostanziale. La sentenza al riguardo avrebbe ravvisato la titolarità di una situazione favorevole solo potenziale e quindi per così dire “riflessa”, ammettendone contraddittoriamente l’intervento in giudizio. In realtà, quindi, non sarebbe stato tenuto nella debita considerazione il nocumento derivante alla proprietà viciniore dal mancato rispetto delle prescrizioni a tutela imposte nei titoli rilasciati alle controparti, così da consentire l’espansione dell’area in conglomerato bituminoso a ridosso della loro abitazione, con conseguente perdita di valore e di vivibilità della stessa, giusta l’asservimento del garage e del parcheggio ad un immobile destinato a struttura ricettiva e pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande.
Per tale ragione, il loro dante causa, signor Piero Boicelli, aveva più volte compulsato il potere di vigilanza del Comune affinché verificasse la conformità delle opere a quanto dallo stesso assentito, minacciando anche di agire avverso il riscontrato inadempimento anche alle richieste di accesso agli atti, nonché impugnando l’autorizzazione paesaggistica ambientale prot. n. 871 del 25 agosto 2016 (ricorso al medesimo T.a.r. per la Liguria, n.r.g. 76/2020).
3.2. Con la seconda doglianza hanno lamentato il difetto di motivazione della sentenza, che si è risolto in un vizio di ultrapetizione. Pur avendo i signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli evidenziato solo vizi procedurali nell’accertamento sfociato nell’atto sanzionatorio, il T.a.r. per la Liguria sarebbe entrato nel merito della qualificazione dell’abuso, indicando come congruo il riferimento all’art. 34 e non all’art. 31 del T.u.ed., giusta la rilevata consistenza minimale delle difformità riscontrate tra stato di fatto e stato di progetto. L’errore sarebbe tanto più grave ove si abbia a mente che in realtà la norma cui fare riferimento sarebbe piuttosto l’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, stante che, quale che sia la divergenza costruttiva rispetto al titolo (nella specie peraltro tutt’affatto che inconsistente), trattandosi di interventi realizzati in zona soggetta a vincolo andava configurata una “variazione essenziale”, con quanto ne consegue in termini di regime sanzionatorio applicabile. In relazione invece alla negata modifica di destinazione d’uso, il T.a.r. per la Liguria avrebbe equivocato le doglianze delle interessate, riferite non all’adibizione delle aree a garage e parcheggio, preesistente, ma all’ampliamento della stessa, sicché sul punto nessun rilievo sarebbe stato mosso al provvedimento di rimessa in pristino.
3.3. Con il terzo motivo hanno lamentato infine la violazione degli artt. 31, 32 e 34 del d.P.R. n. 380/2001, avuto riguardo in particolare alla asserita indeterminatezza dell’oggetto della demolizione. Esso infatti era agevolmente individuabile dall’elencazione delle difformità contenuta nell’atto impugnato, mutuate peraltro testualmente dalla relazione del sopralluogo del 10 dicembre 2019, redatta dal tecnico comunale procedente in data 24 dicembre 2019.
4. Si sono costituiti in giudizio i signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli, originari ricorrenti in primo grado. Con memoria versata in atti il 3 aprile 2022, dopo aver riferito di aver presentato in data 9 agosto 2021 una SCIA per la tinteggiatura delle autorimesse di cui è causa e per completare la copertura del muro con sassi a vista, hanno contestato la sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire delle appellanti, che non avrebbero né dimostrato di essere proprietarie del bene a confine, né il pregiudizio derivante dalla realizzazione dell’opera in difformità dall’assentito, non potendosi al riguardo dare rilievo alla lamentata perdita di valore immobiliare, evidenziata peraltro solo in una memoria (del 9 giugno 2021) successiva alla proposizione del ricorso ad opponendum (presentato il 31 luglio 2020). Tale prospettazione veniva ribadita anche nella successiva memoria del 30 gennaio 2025.
5. Le appellanti hanno replicato alle avverse difese affermando, in sintesi:
- che la costituzione in giudizio in qualità di eredi del signor Piero Boicelli sarebbe sufficiente a comprovarne la qualifica, essendo esse le figlie, che unitamente alla madre, Ernestina Lavagnino, sono le più dirette discendenti del deceduto ab intestato l’8 agosto 2020;
- che la sentenza si è spinta ultra petitum, avendo i ricorrenti lamentato solo la violazione delle garanzie partecipative e degli oneri istruttori e motivazionali da parte dell’amministrazione procedente e non la qualificazione dell’abuso;
- che in ogni caso le difformità riscontrate sono rilevanti ope legis, giusta il regime di maggior rigore previsto per le zone a vincolo dall’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001;
- che la parte da demolire era chiaramente deducibile dalla descrizione delle difformità contenuta nel verbale di accertamento, per giunta ritrascritto.
6. Sono seguite memorie di replica da parte di entrambi i contendenti.
6.1 Gli appellati hanno insistito sulla mancanza di legittimazione e di interesse delle appellanti, che mai avrebbero dimostrato la loro qualità di eredi attuali proprietarie del fabbricato a confine con l’area di cui è causa, né, men che meno, l’effettivo nocumento derivato loro, peraltro dal presunto ampliamento del parcheggio e del garage. Come affermato dalla giurisprudenza, quand’anche denuncianti dell’abuso edilizio non avrebbero avuto titolo ad essere evocate direttamente in giudizio.
6.2. Le appellanti a loro volta hanno eccepito la inammissibilità della riproposizione dei motivi di ricorso non valutati dal T.a.r. per la Liguria in quanto introdotti, peraltro in maniera generalizzata, con mera formula di chiusura inserita nelle memorie difensive, ove si afferma che esse sarebbero state presentate «[…]anche ai sensi e per gli effetti dei motivi di ricorso in oggi integralmente riproposti ex art. 101 CPA secondo comma e su ritrascritti alle lettere A, B e C punto 17) della superiore narrativa» (v. pag. 25 della memoria del 3 aprile 2022 e pag. 25 di quella del 30 gennaio 2025). Hanno infine chiesto lo stralcio dei due documenti versati in atti dalle controparti in data 31 gennaio 2025, in violazione del termine di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a.
7. All’esito della pubblica udienza del 4 marzo 2025, la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare va esaminata la richiesta di stralcio dei documenti versati in atti il 31 gennaio 2025 dagli appellati. Per quanto concerne il decreto presidenziale del 3 maggio 2020, n. 127, con il quale è stato dichiarato estinto il ricorso al T.a.r. per la Liguria intentato dal signor Piero Boicelli per l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica ambientale n. 871 del 25 agosto 2016, esso concretizza un atto di generalizzata accessibilità, rinvenibile - e autonomamente rinvenuto - in banca dati della giustizia amministrativa allo scopo di avere contezza degli esiti di quel procedimento, invocato a supporto delle proprie tesi proprio dalle appellanti. Per quanto attiene invece alla certificazione in data 31 gennaio 2025 (e dunque non producibile in precedenza) riferita alla volontà del Comune di Maissana di non costituirsi in appello, la assoluta neutralità rispetto agli atti di causa ne rende ininfluente l’espunzione, che comunque il Collegio in via del tutto tuzioristica ritiene di disporre.
2. Ciò detto, al fine di delineare il corretto perimetro della vicenda, occorre ancora sgombrare il campo dalle varie eccezioni sollevate dalle parti. In linea generale, come chiarito in premessa, il T.a.r. non ha messo in discussione la sussistenza dell’abuso, ma l’adeguatezza del rimedio sanzionatorio oppostogli. Ne consegue che per contestare tale affermazione, rivendicando la legittimità delle opere in quanto conformi alle progettualità presentate, come dimostrerebbe la verifica svolta in presenza del tecnico di parte, i signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli avrebbero dovuto presentare appello incidentale.
2.1. È vero, infatti, che in linea generale, come più volte affermato dai giudici di legittimità richiamando principi validi anche nel giudizio amministrativo, nel giudizio di appello la parte totalmente vittoriosa in primo grado può limitarsi a riproporre, al fine di evitare preclusioni, con il primo atto difensivo e comunque entro la prima udienza le domande e le eccezioni non accolte in primo grado poiché respinte o rimaste assorbite, in tal modo infatti sottraendosi alla presunzione di rinuncia delle stesse (v. Cass., SS.UU., 21 marzo 2019, n. 7940; ordinanza 16 marzo 2022, n. 8485). Ciò in quanto l’oggetto del giudizio non viene in alcun modo ampliato; la parte mostra soltanto l’interesse alla decisione su diritti o eccezioni a suo tempo ritualmente già dedotti.
Nel caso di specie, tuttavia, la sentenza del T.a.r. per la Liguria è di accoglimento solo parziale, con conseguente soccombenza, almeno in parte, dei ricorrenti in primo grado, sicché su tali domande ed eccezioni esaminate e rigettate dal primo giudice, anche in modo implicito, avrebbe effettivamente dovuto essere proposto un appello incidentale c.d. “improprio”. Trattasi, come noto, del risultato dell’elaborazione della giurisprudenza amministrativa, per effetto della quale ha trovato ingresso anche in ambito amministrativo il principio processualcivilistico della concentrazione delle impugnazioni, di cui all’art. 333 c.p.c. Solo in tal modo le parti avrebbero potuto criticare la sentenza ( non limitandosi a resistere all’impugnazione principale) rimettendo in discussione, appunto, la regolarità delle opere per il tramite della evocata irregolarità dell’accertamento dell’abuso.
2.2. In particolare, dunque, la riproposizione del motivo di ricorso sub A mediante semplice memoria non notificata alle controparti è effettivamente inammissibile, essendosi formato il giudicato implicito sui capi della sentenza che hanno “fotografato” come difforme dai titoli posseduti l’opera nelle modalità con le quali è stata realizzata, non valutandone necessario l’accertamento in contraddittorio e comunque non ravvisando in atti alcun avallo alle diverse opzioni ricostruttive avanzate dal tecnico di parte. Presupposto del provvedimento di rimessa in pristino è, dunque, esclusivamente il verbale del 24 dicembre 2019, a nulla rilevando quello del 20 febbraio 2020. Sul punto, il primo giudice, dopo aver richiamato l’introdotta presenza di profili di incertezza tra quanto verificato nel 2019 e nel 2020, ha espressamente affermato che « […] la relazione di parte ricorrente depositata dall’ingegner Traversone non riporta alcuna valutazione positiva proveniente dall’amministrazione in ordine alle misurazioni effettuate dall’indicato professionista, per cui va disattesa la tesi ricorrente secondo cui sarebbe possibile configurare come effettuata nel contraddittorio la misurazione esposta dal perito di parte».
3. Va invece scrutinata la riproposta eccezione di difetto di legittimazione e di interesse delle attuali appellanti, che avrebbe dovuto condurre il primo giudice a dichiararne improcedibile l’intervento ad opponendum. Infatti, in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo amministrativo tale tipologia di intervento, al pari di quello ad adiuvandum, può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata a o dipendente da quella del ricorrente in via principale (v. ex plurimis, sul punto, Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853; sez. V, 2 agosto 2011, n. 4557).
3.1. Il rilievo è privo di pregio.
3.2. La contestata legittimazione ad agire è ascritta al dato formale del non avere le parti dimostrato in causa la loro qualità di eredi del signor Piero Boicelli, originario contraddittore, quanto meno in via di fatto, degli attuali appellati. Nel giudizio amministrativo, ove non si controverta di questioni che presuppongono l’accertamento della titolarità formale del bene, la proposizione del gravame da parte dei familiari più stretti di un soggetto deceduto ab intestato (rispettivamente, coniuge e padre delle ricorrenti), appare sufficiente a comprovarne la legittimazione, tanto più che nel caso di specie neppure ne è contestata quanto meno la detenzione a titolo di godimento dell’abitazione che ricaverebbe svantaggio dall’intervento edilizio in controversia.
3.3. In relazione poi a ridetto svantaggio, necessario al fine di supportare il rivendicato interesse ad agire, diversamente da quanto affermato dagli appellati esso si deduce agevolmente dalla mera visualizzazione della copiosa documentazione fotografica presente in atti, a prescindere da quella da ultimo prodotta (peraltro tardivamente) dalle appellanti.
3.4. Come chiarito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, A.P., 9 dicembre 2021, n. 22), dunque, è vero che esso non si esaurisce nella c.d. vicinitas, intesa quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l’area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto contestato, atta a fondare caso mai la legittimazione ad agire. Ma è egualmente vero che lo specifico pregiudizio aggiuntivo richiesto «può comunque ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del giudicante, essendo questione rilevabile d’ufficio nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e quindi nel contraddittorio tra le parti». E la variegatezza dello stesso è conseguenza ineludibile della circostanza che si versa «[…] in una materia nella quale l’estrema varietà dei casi rende pressoché impossibile fornirne una classificazione o anche solo una ricognizione appena soddisfacente».
3.5. Nella specie, il deprezzamento dell’abitazione delle appellanti, pur esplicitato solo con una memoria sopravvenuta in corso di causa e non nell’atto di intervento originario, è palese sol che si ponga attenzione all’insistenza dell’area di sosta sovrastante il garage a livello del loro fabbricato, e nello specifico finanche delle finestre del piano terra, sicché è chiaro che quella che può sembrare, sulla carta, una minimale divergenza quantitativa, avendo ad oggetto un’area asfaltata adibita a parcheggio (e conseguente area di manovra) di veicoli a servizio di potenziali clienti di un pubblico esercizio a plurima vocazione (ricettiva e di somministrazione), determina un intuibile deterioramento della vivibilità della prima, che qualsivoglia accorgimento costruttivo finalizzato al distanziamento può, se non eliminare, quanto meno auspicabilmente attenuare.
Ciò spiega l’attenzione da sempre manifestata dal signor Piero Boicelli all’andamento dei lavori sull’area vicina, che lungi da esprimere mero spirito emulatorio si è risolta in iniziative atte a tentare proprio di calmierare, piuttosto che impedire, gli effetti delle scelte urbanistico-edilizie del Comune e, conseguentemente, dei propri vicini. Da qui la precisazione, contenuta nel terzo motivo di appello, della sostanziale indifferenza rispetto alla presunta modifica di destinazione d’uso consistita nell’adibizione del fabbricato anche a magazzino (peraltro potenzialmente meno pregiudizievole per l’ambiente circostante), ovvero della preesistenza del garage/parcheggio, opponendosi esse esclusivamente al suo ampliamento, per lo più riferito alla parte a livello della strada e quindi, come detto, della propria abitazione.
4. La valutazione positiva della sussistenza dell’interesse ad agire, tuttavia, non implica specularmente il riconoscimento alle appellanti della qualifica di controinteressate in senso formale, tali cioè da dover essere evocate in giudizio quali contraddittori necessari nel procedimento avverso l’ingiunzione a demolire riguardante altri.
4.1. L’interesse ad agire, infatti, va dimostrato ovvero desunto dagli atti di causa in base ad una disamina effettuata in concreto, dalla quale emerga il pregiudizio che la parte finirebbe per ricavare dalla mancata esecuzione di un atto sanzionatorio. Esso non può essere presunto dalla qualifica di denunciante un abuso edilizio, ancorché la vigilanza del Comune sia stata compulsata a tutela della propria proprietà. In sintesi, ciò che giustifica e legittima l’intervento ad opponendum ovvero anche l’impugnativa dell’atto sanzionatorio che abbia un diverso destinatario, non implica automaticamente l’acquisizione della qualifica di contraddittore necessario in un giudizio proposto da altri.
4.2. Con riferimento al denunciante, la giurisprudenza ha peraltro già avuto modo di occuparsi della questione, non sempre in verità addivenendo a soluzioni univoche. Il Collegio tuttavia aderisce all’indirizzo più restrittivo, già affermato anche dalla Sezione (Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2020, n. 1260; v. anche sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 486; sez. V, 23 agosto 2019, n. 5817), in quanto ritiene che non possa ipotizzarsi alcun automatismo in merito. Altrimenti detto per radicare la condizione di controinteressato in senso tecnico (ossia di contraddittore necessario nell’azione di annullamento di un atto sanzionatorio), oltre a sussistere, deve anche emergere dall’atto una diretta lesione, attuale o almeno potenziale, della proprietà o di altro diritto reale di godimento, in primo luogo comprovata dal necessario -ma non sufficiente - riferimento espresso al denunciante l’abuso. Un indiscriminato ampliamento del novero dei contraddittori necessari dal lato passivo (ferma ovviamente restando la loro, più estesa, facoltà di intervenire volontariamente nel giudizio ad opponendum ove vi abbiano interesse ) rischierebbe di risolversi nel corrispondente restringimento, quantomeno fattuale, della possibilità di agire utilmente in giudizio da parte del destinatario del provvedimento sanzionatorio, e dunque in un’indiretta limitazione del diritto di difesa in giudizio dei propri diritti e interessi, costituzionalmente garantito (cfr. sul punto ancora sez. II, n. 1260/2020, cit. supra, ove peraltro si dà atto dell’esistenza di orientamenti di segno diverso; sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 486; sez. V, 23 agosto 2019, n. 5817; sez. VI, 23 maggio 2017, n. 2416). Altrimenti detto, a radicare la condizione di controinteressato in senso tecnico (ossia di soggetto da evocare necessariamente nell’azione di annullamento), secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide, con le ulteriori precisazioni date, non basta la mera qualifica di denunciante, che comunque deve risultare dall’atto, né soccorre il possesso da parte dello stesso della c.d. vicinitas, essendo altresì necessario che emerga per tabulas la sussistenza di una diretta lesione, attuale o almeno potenziale, della proprietà (o di altro diritto reale di godimento) dall’errato esercizio del potere sanzionatorio cui con la propria denuncia si è dato impulso.
4.2. Né a diverse conclusioni può portare l’enfatizzato richiamo alle numerose interlocuzioni del signor Piero Boicelli con il Comune di Maissana, per assicurarsi il rispetto delle condizioni edificatorie imposte al vicino, né, men che meno, la circostanza che lo stesso avesse in passato impugnato uno (dei molti) titoli edilizi sottesi alla realizzazione dell’intervento, vale a dire l’autorizzazione paesaggistica ambientale prot. n. 871 del 25 agosto 2016. Anche a voler dare rilievo alla stessa, peraltro, non può sottacersi che il procedimento si è concluso con l’estinzione, non avendone l’interessato coltivato la prosecuzione. Il che parrebbe piuttosto deporre nella direzione dell’avvenuto superamento delle problematiche in essere.
5. Applicando le coordinate esposte al caso di specie, si ha che non solo nell’ordinanza di rimessione in pristino non è traccia della denuncia in forza della quale il Comune si sarebbe attivato, ma prima facie neppure si intuisce l’effettivo interesse sotteso alla conservazione di un atto riferito ad un ampliamento, e non alla realizzazione, dell’opera in contestazione. Per contro, solo attraverso un’approfondita disamina degli atti di causa, e segnatamente della già ricordata documentazione fotografica allegata agli stessi, emerge sia l’interesse ad intervenire ad opponendum in primo grado, sia, a maggior ragione, quello a contestare le affermazioni del T.a.r. per la Liguria, che rischiano di compromettere definitivamente il bene della vita per il quale ridetto intervento è stato posto in essere.
5.1. In sintesi, il Collegio non ritiene vi sia stata nella omessa notifica alle eredi del signor Piero Boicelli alcuna violazione del contraddittorio, che costituisce la ratio della disciplina della inammissibilità prevista per tale fattispecie. Il T.a.r. per la Liguria, nell’ammettere l’intervento ad opponendum delle stesse nel giudizio di primo grado, da un lato ha respinto esplicitamente tale eccezione, dall’altro ha rigettato implicitamente le censure dei ricorrenti, ritenendo ammissibile, ma non necessitata, la loro partecipazione al giudizio.
6. Nel merito, il Collegio ritiene l’appello fondato, nei sensi meglio chiariti nel prosieguo.
7. Occorre innanzi tutto precisare che la sentenza sconta effettivamente il lamentato vizio di ultrapetizione, ancorché in verità in un’accezione diversa da quella prospettata nel secondo motivo di appello. Il riferimento al paradigma di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 («Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali»), che sarebbe erroneamente evocato nell’atto, anziché a quello, che avrebbe dovuto esserlo, di cui al successivo art. 34 («Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire»), non trova riscontro in alcun dato testuale, finendo per configurare una inammissibile integrazione postuma della motivazione, che si è inteso poi correggere.
A ben guardare, infatti, l’ordinanza n. 1 del 2020 non reca alcun richiamo né all’una né all’altra delle su citate norme, limitandosi a disporre il ripristino dello stato dei luoghi in ragione delle riscontrate difformità rispetto ai titoli preesistenti, nominativamente richiamati, e segnatamente allo stato di progetto come risultante nella variante ai lavori di completamento del garage di cui alla C.I.L.A. del 28 luglio 2016, prot. n. 3141. Anzi, se un qualche riferimento alla qualificazione dell’abuso è dato cogliere nell’atto impugnato, esso va esattamente nella direzione auspicata dal T.a.r. per la Liguria, giusta il richiamo all’art. 34 del T.u.ed. contenuto, in verità, non nello stesso ma nella relazione di sopralluogo ad essa presupposta e da esso richiamata. Si legge infatti in tale relazione: «Tutto quanto sopra premesso e considerato, si evidenzia la presunta violazione delle normative edilizie ed ambientali di cui agli artt. 34 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 ss.mm.ii. e dell’art. 44, della L.R. n. 16/2008 ss.mm.ii, nonché dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 ss.mm.ii.».
8. Va ora ricordato come la parziale difformità dal permesso di costruire costituisca una categoria residuale presupponente che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, sia stato realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e assentite a livello progettuale, comunque tali da non snaturarne la consistenza. Si è, pertanto, in presenza di difformità parziale quando le modificazioni incidono su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera.
8.1. La totale difformità, invece, al pari della variazione essenziale, si ha quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione o ubicazione.
9. La disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni, che completa la parte definitoria degli interventi, contempla tre fattispecie ordinate secondo la loro gravità, per le quali è comunque prevista, almeno in via astratta, l’ingiunzione a demolire l’opera realizzata: l’ipotesi di interventi in assenza di permesso o in totale difformità; l’ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio; l’ipotesi residuale della parziale difformità da esso.
9.1. Il concetto di variazione essenziale attiene più propriamente alla modalità di esecuzione delle opere e va pertanto distinto dalle “varianti”, che pur afferendo alla medesima, consentono di adeguare il titolo autorizzativo originario in corso di edificazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 giugno 2021, n. 4279; id., 6 febbraio 2019, n. 891). Mentre, cioè, le varianti in senso proprio, ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante (rectius, a d.i.a., in luogo della presentazione della quale il privato può optare per la richiesta di titolo esplicito), complementare ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire; le varianti essenziali, caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall’art. 32 del d. .R. n. 380 del 2001, sono soggette al rilascio di un permesso di costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto al primo, e per esso valgono le disposizioni vigenti al momento della loro realizzazione (cfr. Cassazione penale, sez. III, 27 febbraio 2014, n. 34099). Detto altrimenti, per distinguere la possibilità di utilizzare una concessione in variante in luogo di una nuova concessione occorre che le modifiche quantitative e qualitative siano compatibili con il disegno globale che ha ispirato il progetto originario in modo che la costruzione stessa possa considerarsi regolata dal titolo originario.
10. Nel caso di specie, tuttavia, la natura abusiva dell’intervento e la tipologia di sanzione da irrogare non erano opinabili, insistendo lo stesso in area vincolata cui era applicabile l’art. 32, comma 3, secondo periodo, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, così come sostenuto dalle appellanti nel secondo motivo di gravame. La qualificazione dell’illecito, pertanto, in termini di totale difformità, di variazione essenziale ovvero di parziale difformità non incide sulla doverosità della sanzione demolitoria comunque riconducibile all’art. 31, comma 2, del medesimo decreto.
10.1. Il richiamato art. 32 del T.u.ed., infatti, dopo aver declinato la nozione di “variazione essenziale” demandandone l’individuazione alle regioni entro indici ben delineati (comma 1), prevede(va) nella formulazione vigente sino al 27 luglio 2024, che gli interventi qualificati tali, ove «[…] effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali».
10.2. Avuto riguardo all’interpretazione giurisprudenziale, il Consiglio di Stato, nell’applicare l’art. 32, comma 3, secondo periodo, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha significativamente affermato che le difformità riscontrate, quale che ne sia la consistenza, devono dunque essere ricondotte a quest’ultima ipotesi. In altre parole, ove gli interventi non costituiscano ex se variazioni essenziali, per le quali trova applicazione il regime sanzionatorio di cui agli artt. 31 e 44 del T.u.ed., essi vengono comunque equiparati alle stesse per così dire ope legis (sul punto, v. anche Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2022, n. 5421; id., 30 ottobre 2020, n. 6651). Deve dunque precisarsi come non costituiscano in nessun caso ipotesi di parziale difformità dal permesso di costruire ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 le opere eseguire su immobili soggetti a vincoli di tutela oppure su aree vincolate (come nel caso di specie). In tali ipotesi, l’art. 27, comma 2, prevede sempre la demolizione, senza acconsentire a forme alternative di sanzione (come quella pecuniaria di cui all’art. 34).
Ne consegue l’irrilevanza, prima ancora che l’erroneità, dell’affermazione del primo giudice che, sulla base della ritenuta – e opinabile – minima consistenza delle divergenze quantitative rispetto allo stato di progetto assentito, ha inteso ravvisare un vizio dell’atto nel suo mancato richiamo all’art. 34 del T.u.ed., anziché all’art. 31.
10.3. Anche la giurisprudenza penale si è espressa nel senso che, in presenza di un vincolo, le difformità dal titolo edilizio assumono, nella sostanza, valenza di difformità totali, statuendo che «[…] ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma terzo, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali» (così, tra le altre, Cass. penale, 24 novembre 2020, n. 32736).
11. Rileva il Collegio come le due ipotesi contemplate nella previgente stesura della norma in esame conseguissero ad una precisa scelta del legislatore di punire con maggior rigore gli scostamenti, anche minimali - fatta evidentemente eccezione per il regime delle c.d. “tolleranze costruttive” – dall’atto di assenso ove l’intervento edilizio sia realizzato su immobili o aree soggette a particolari regimi di tutela, ponendo in essere una vera e propria fictio iuris che rende superfluo qualsiasi maggior approfondimento in fatto e/o in diritto. Le opere realizzate sugli immobili di cui all’art. 32, comma 3, dunque, anche se minori e anche se accedono ad altre legittimamente edificate, mantengono comunque una specifica e predeterminata rilevanza, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo implicano l’immodificabilità dello stato dei luoghi senza il previo avallo ovvero al di fuori dei confini dello stesso, degli organi istituzionalmente competenti. Tale scelta (di qualificare almeno come “variazione essenziale” qualunque intervento effettuato su immobili sottoposti a vincolo ambientale, paesaggistico, idrogeologico o storico-artistico) trovava giustificazione nel carattere di assoluta preminenza che i beni giuridici oggetto della disciplina vincolistica hanno rispetto agli altri che vengono in rilievo nella difesa del territorio, assurgendo la tutela degli stessi al rango di principi fondamentali dell’ordinamento. Essa infatti si fonda sull’art. 9 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, la cui novella ad opera della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, depone nel senso di un rafforzamento del livello di salvaguardia anche in prospettiva di conservazione del bene-ambiente, intriso di tutti i suoi valori, anche culturali, per le generazioni future e di promozione dello sviluppo sostenibile (Cons. Stato, sez. IV, 21 marzo 2023, n. 2836).
12. Il Collegio ritiene che la ricostruzione proposta trovi conferma anche nella nuova stesura della norma, come conseguita alla legge n. 105 del 2024, di conversione del d.l. n. 69 del 2024 (c.d. decreto “salva casa”), che ha invece inteso sopprimere tale equiparazione, eliminando la parte finale del comma 3 dell’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001. A ciò è conseguito il venir meno del regime sanzionatorio più severo nei casi di parziali difformità dal titolo, per le quali non opera più la assimilazione normativa alla variazione essenziale di cui al comma 1 della medesima norma.
13. Preso atto che comunque il regime sanzionatorio, tanto per i casi di totale che di parziale difformità, è quello demolitorio, occorre ancora chiarire l’interesse delle appellanti alla riforma della sentenza nella parte in cui ha ritenuto (più) corretto far riferimento alla seconda, piuttosto che alla prima ipotesi.
14. In realtà, lo spartiacque è rappresentato da un lato dalla possibilità di monetizzazione dell’abuso (c.d. “fiscalizzazione”) prevista solo in ridetta ipotesi per i casi in cui la demolizione «non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità» (art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001); dall’altro, dalle conseguenze dell’inottemperanza alla sanzione ripristinatoria, che esclusivamente ove si versi in una situazione di totale difformità o variazione essenziale (oltre che, ovviamente, di radicale mancanza del permesso di costruire) sfocia nell’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime al patrimonio del Comune.
15. In tale ottica, ha evidentemente errato il T.a.r. per la Liguria laddove, interpretando e poi integrando l’atto impugnato ben al di là della sua portata letterale, ne ha ravvisato un profilo di illegittimità nel richiamo all’art. 31 del T.u.ed., anziché all’art. 34 dello stesso. Conseguentemente, la sentenza impugnata va riformata in parte qua.
16. Assai più complesso si palesa lo scrutinio del terzo motivo di appello, nel quale le ricorrenti contestano la asserita genericità dell’individuazione dell’oggetto della demolizione. L’ordinanza del 2020, infatti, non chiarisce -recte, sembra non chiarire – con precisione quale parte del manufatto debba essere demolito, ovvero finanche se ridetta demolizione lo investa nella sua interezza.
17. La questione non è di poco momento in quanto afferisce all’esatta interpretazione da dare all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, laddove equipara, quanto a regime sanzionatorio, i casi di totale difformità dal titolo e variazione essenziale, a quelli di sua assoluta mancanza, con ciò lasciando presumere che laddove l’intervento si sia a tal punto discostato dalla progettualità originariamente avallata, tale avallo è da considerare tamquam non esset, sicché nessuna differenza può sussistere rispetto alla fattispecie di sua riscontrata carenza assoluta. L’avvenuta realizzazione dell’aliud pro alio, cioè, proprio in quanto tale, finirebbe per vanificare e travolgere anche la parte di costruzione legittimata dal titolo che si è radicalmente travalicato, rendendone impossibile, in diritto, prima ancora che in fatto, il “recupero”.
Tale approccio rigoroso parrebbe trovare conforto, oltre che nella ricordata lettera dell’art. 31, nell’impostazione sistematica del Testo unico, che contempla un’unica ipotesi di valutazione della salvaguardia della parte “legittima” di un immobile con riferimento al caso di “fiscalizzazione” degli interventi eseguiti in parziale difformità. Il tecnico del Comune, infatti, in tali casi deve tener conto della possibilità di effettuare il ripristino senza comprometterla. Per contro, l’analoga valutazione richiesta agli uffici comunali per accedere alla monetizzazione dell’abuso nei casi di variazione essenziale o totale difformità dal titolo legittimante la ristrutturazione edilizia (art. 33), quindi afferenti a interventi su un patrimonio edilizio preesistente, deve basarsi esclusivamente su analisi di tipo tecnico-esecutivo.
18. Il Collegio ritiene tuttavia che al quesito posto non possa essere data una risposta univoca, dovendo essere vagliata caso per caso la frazionabilità della demolizione, ovvero la sua realizzabilità in concreto senza attingere la parte legittima, intesa come parte del manufatto che si sarebbe potuto realizzare regolarmente. Ciò appare sicuramente più semplice laddove la difformità totale consegua alla realizzazione di una superfetazione immobiliare, che se sono state alterate radicalmente le connotazioni strutturali e morfologiche dell’unico fabbricato, nel qual caso è evidente che pur in assenza di specificazioni da parte dell’amministrazione la demolizione/ripristino non potrà che essere radicale.
18.1. In tale direzione depongono, mutatis mutandis, i principi di proporzionalità e conservazione da ultimo richiamati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, laddove ha differenziato le ipotesi riconducibili all’avvenuta edificazione di un fabbricato rimasto incompiuto e non ultimabile giusta l’avvenuta decadenza dal titolo edificatorio (Cons. Stato, A.P., 30 luglio 2024, n. 14).
Saranno cioè le Amministrazioni vigilanti ad indicare l’esatto oggetto della demolizione in quanto identificabile con la parte difforme, ancorché radicalmente difforme, salvo le divergenze esecutive siano tali da compenetrare inscindibilmente il realizzato nell’assentito, neutralizzando in toto la portata abilitativa di quest’ultimo.
18.2. D’altro canto, proprio nei casi di parziali difformità in area sottoposta a vincolo, il previgente regime di assimilazione a variazione essenziale rende preferibile tale ricostruzione, ben potendosi “accettare” una regolarizzazione che non faccia tabula rasa del pregresso, fermo restando il ricordato regime sanzionatorio.
19. Chiarito quanto sopra, anche il terzo motivo di gravame merita accoglimento. Le stesse appellanti, infatti, non invocano la radicale eliminazione del garage e del parcheggio sovrastante e antistante lo stesso, ben consapevoli che la loro realizzazione consegue a titoli edilizi pregressi e non fatti oggetto di impugnativa a tempo debito (eccezion fatta per l’autorizzazione paesaggistica, il cui procedimento, come già ricordato, si è tuttavia estinto). Esse ne evocano caso mai il rispetto, e conseguentemente pretendono che venga eliminato quanto non rientrante nei titoli medesimi, per come descritto analiticamente nell’atto impugnato, richiamando lo stato di progetto di cui alla variante del 2016 (la cui ammissibilità mediante semplice C.i.l.a., alla luce delle considerazioni svolte circa il regime giuridico applicabile ratione temporis agli interventi di qualsiasi natura su area vincolata, esula dal perimetro dell’odierna decisione). Ed è a tale “stato di progetto” che il ripristino deve mirare, non essendo compito del Comune stabilire se per far ciò sia necessario demolire l’intero manufatto, ovvero solo la parte eccedente le misure assentite, nel contempo riducendo l’area a parcheggio ed ottemperando alle prescrizioni imposte a tutela anche dell’aspetto estetico dell’opera. Estranea al contenuto dell’atto sanzionatorio è, altresì, l’indicazione della modalità da seguire per ripristinare lo stato dei luoghi, essendo rimessa al destinatario, in assenza di specifiche necessarie a tutela dell’assetto del territorio, l’individuazione della modalità più consona (demolizione totale o parziale) per raggiungere l’obiettivo di ripristino dello stato dei luoghi.
19.1. Che tale sia la lettura da dare alla oggettiva portata dell’intimazione demolitoria trova del resto conferma nella sua formulazione letterale, che richiama espressamente le «opere abusive riscontrate, durante il verbale di sopralluogo e soprariportate […]», ovvero riconducendo alle giuste dimensioni sia la pavimentazione in asfalto soprastante i box, sia il garage ospitante gli stessi, come in dettaglio descritto in atti.
20. Per tutto quanto sopra detto l’appello va accolto. Conseguentemente, in riforma della sentenza del T.a.r. n. 635 del 2021, va respinto il ricorso dei signori Maria Carla Nicora e Boicelli Stefano e confermata la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino n. 1 del 2020, da riferire, come chiarito in motivazione, alle difformità (variazioni essenziali ope legis) riscontrate nel sopralluogo del 10 dicembre 2024, analiticamente descritte nel provvedimento impugnato.
21. La complessità della vicenda trattata e la novità di alcune delle questioni affrontate, giustificano la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso presentato innanzi al T.a.r. per la Liguria dai signori Maria Carla Nicora e Stefano Boicelli.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2025 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere