Consiglio di Stato Sez. VI n. 5038 del 22 maggio 2023
Urbanistica.Fiscalizzazione abuso edilizio

La c.d. “fiscalizzazione” dell’abuso ex art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 non condiziona la legittimità della ordinanza di demolizione, trattandosi di sub-procedimento che assume rilievo nella successiva fase di esecuzione della stessa. In particolare, l'applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall'Amministrazione solo nella fase esecutiva dell'ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire. Con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l'accertamento delle conseguenze derivanti dall'omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell'incidenza della demolizione sulle opere non abusive

Pubblicato il 22/05/2023

N. 05038/2023REG.PROV.COLL.

N. 07612/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7612 del 2021, proposto da
Comune di Torre del Greco, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lucio Perone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Di Stasio Ciro, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Merlino e Raffaele Montefusco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 2123/2021.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Di Stasio Ciro;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Giovanni Gallone;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato il 30 agosto 2021 e depositato lo stesso giorno il Comune di Torre del Greco ha proposto appello, previa concessione di tutela cautelare, avverso la sentenza n.2123/2021 emessa dalla della Sezione III del T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, pubblicata in data 31 marzo 2021 e mai notificata, con cui è stato accolto (limitatamente al primo ed al quinto motivo) il ricorso n. R.G. 853/2020 proposto da Ciro Di Stasio e, per, l’effetto, è stato disposto l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 381 del 13 dicembre 2019 con la quale il Dirigente dell’VIII Settore Urbanistica - Servizio Edilizia Privata del Comune di Torre del Greco ha ordinato al predetto di “procedere ai sensi del 2 comma dell’art. 31 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e s.m.i. a propria cura e spese, entro il termine di giorni 90 (novanta) alla demolizione di una unità immobiliare distinta in N.C.U.E. al folio 31, p.lla 1241, sub 27, della consistenza di circa 119 mq. ricompresa in un fabbricato condominiale sito in Torre del Greco alla via Litoranea n. 78”, nonchè dell’ordinanza di demolizione n. 395 del 19 dicembre 2019 con la quale il medesimo Dirigente ha ordinato ed ingiunto allo stesso (in elenco insieme agli altri comproprietari) “di procedere ai sensi del 2 comma dell’art. 31 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e s.m.i. a propria cura e spese, entro il termine di giorni 90 (novanta) alla demolizione del locale seminterrato adibito a garage della consistenza complessiva di circa m. 570, distinto al folio 31 p.lla 1241” (di proprietà pertinenziale di Di Stasio Ciro limitatamente al solo sub 30).

1.1 A sostegno del ricorso in appello sono state dedotte le censure così rubricate:

1) Error in iudicando. Irragionevolezza della sentenza di primo grado nella parte in cui il TAR ha condiviso ed accolto le censure formulate con il secondo motivo di ricorso di primo grado;

2) Error in iudicando, Erroneità e/o irragionevolezza della gravata sentenza nella parte in cui ha accolto il quinto motivo di ricorso.

2. In data 27 settembre 2021 si è costituito in giudizio l’appellato Ciro Di Stasio riproponendo ex art. 101 comma 2 c.p.a., in via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento dell’appello, le censure dedotte in seno al ricorso di primo grado e dichiarate assorbite dal giudice di prime cure.

2.1 In particolare ha riproposto il primo, terzo, quarto e sesto motivo di ricorso di primo grado così rispettivamente rubricati:

1) violazione dell’art. 31 della legge n. 1150/1942 difetto dei presupposti di diritto nonché dell’art. 10 della legge n. 765 n. 1971. - violazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001. violazione degli art. 40, comma 2° della legge n. 47/1985 e dell’art. 46 d.P.R. n. 380/2001;

2) eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. violazione degli artt. 27, 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001;

3) segue: stessi motivi che precedono – violazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/04 . difetto dei presupposti di diritto;

4) eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. ulteriore violazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

3. All’udienza in camera di consiglio del 30 settembre 2021 parte appellante ha rinunciato alla domanda cautelare ed ha chiesto la fissazione dell'udienza di merito. Il Presidente, preso atto della non opposizione dell’appellato, ha disposto rinviarsi al merito.

4. Il 30 dicembre 2022 il Comune appellante ha depositato memorie ex art. 73 c.p.a. insistendo per l’accoglimento del gravame.

5. Ad esito dell’udienza pubblica del 9 febbraio 2023 questa Sezione, con ordinanza collegiale n. 1493 del 2023, in accoglimento dell’istanza di abbinamento al ricorso n. R.G. 9909/2021 fissato all'udienza del 13 aprile 2023 da parte appellante, ha disposto il rinvio a detta ultima udienza.

6. Ad esito dell’udienza pubblica del 13 aprile 2023 questa Sezione, con ordinanza collegiale n. 3899 del 2023, rilevata la connessione esistente con il ricorso R.G. n. 9909 del 2021 (già rinviato, su richiesta di parte, all’udienza pubblica del 4 maggio 2023), ha disposto il rinvio della causa all’udienza del 4 maggio 2023 per la loro trattazione congiunta.

7. All’udienza pubblica del 4 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e va accolto.

2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza appellata nella parte in cui il T.A.R., nel ritenere fondato il secondo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stato dedotto un difetto di istruttoria e di motivazione dei provvedimenti di demolizione impugnati, ha affermato che sull’amministrazione comunale gravasse un onere rafforzato di motivazione in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso tra la realizzazione dell’abuso ed il suo accertamento e della circostanza che le opere abusive sarebbero state realizzate nel 1962 (all’epoca della costruzione del fabbricato) in epoca anteriore all’acquisto dei ricorrenti, odierni appellati (che avrebbero versato in condizioni di buona fede).

Osserva parte appellante che, secondo la giurisprudenza amministrativa in materia di abusi edilizi, il provvedimento con cui è ingiunta, ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, la demolizione di un immobile abusivo non richiederebbe una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata che impongono la rimozione dell'abuso anche laddove lo stesso sia adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'opera e l’immobile sia stato interessato da un trasferimento immobiliare in favore di soggetto estraneo all’abuso.

Parimenti irrilevanti sarebbero, secondo parte appellante, le altre circostanze fattuali valorizzate dal giudice di prime cure per fondare un obbligo di motivazione rafforzata in capo all’amministrazione comunale. Più segnatamente, non assumerebbe rilievo la circostanza che “le asserite difformità dal titolo edilizio riguardano un fabbricato in cemento armato che presenta una struttura portante unitaria il cui reticolato strutturale costituisce un corpo unico omogeneo (come, peraltro, verificabile dalla documentazione fotografica in atti)”. Alla stessa maniera si sostiene che anche il pagamento di tributi locali non costituirebbe elemento per giustificare la mancata demolizione di un manufatto abusivo, anche tenuto conto che non esiste un nesso di correlazione tra la legittimità del manufatto e il pagamento delle imposte (che, per esempio, nel caso della T.A.R.I. sono una tariffa correlata alla erogazione di un servizio, quale è quello della raccolta dei rifiuti). Ancora, non assumerebbe rilievo, secondo parte appellante, neppure il rilascio di titoli abilitativi (D.I.A. e C.I.L.A.) per la ristrutturazione del fabbricato non avrebbero alcuna incidenza sulla esistenza dell'abuso accertato dal Comune.

Parte appellante aggiunge, per contro, che la maggiore altezza (caratterizzata da un piano in più) sarebbe stata chiaramente rilevabile, oltre che dalla istruttoria posta in essere dal Comune (ove si legge che “l'ultimo piano e il piano seminterrato [...] risultano realizzati abusivamente in difformità dalla licenza edilizia”), anche dalla comparazione tra i grafici allegati alla licenza edilizia n. 885 (pag. 12 e pag. 13 della relazione di parte), ove si contano n. 6 piani fuori terra, e la documentazione fotografica (pag. 16 e pag. 17 della relazione di parte), ove si contano n. 7 piani fuori terra.

Quanto al rilevato difetto di istruttoria parte appellante deduce, infine, che il provvedimento di demolizione gravato in primo grado sarebbe stato preceduto dal sopralluogo del 14 ottobre 2019 e dalla relazione tecnica prot. n. 0082882 dell’11 dicembre 2019, redatta da tecnici del Servizio Antiabusivismo Edilizio del Comune di Torre del Greco che a seguito di sopralluogo hanno accertato “la realizzazione delle opere edilizie abusive consistenti nel «piano seminterrato ed il sesto e ultimo piano (quest'ultimo costituito da n. 4 unità immobiliari: ad uso residenziale, già oggetto di relazioni tecniche protocolli nn. 0077550, 0077551, 0077555 e 0077556 del 22.11.2019) del fabbricato di Via Litoranea civico 78, realizzati abusivamente in difformità della licenza edilizia n. 1316 rilasciata dal Sindaco di Torre del Greco in data 27 febbraio 1962 … il piano seminterrato ha una superficie di circa mq 570,00 con altezza di circa m 3,00, la struttura è in c.a. ed è composto da un unico ambiente indiviso. L'intero piano è adibito a garage con accesso diretto dalla Via Litoranea tramite piccola rampa e l'accesso è chiuso con porta in ferro a due battenti, è presente un altro vano porta chiuso con infisso in ferro ad un battente che si collega con il cortile retrostante, sulle pareti perimetrali del locale sono presenti delle piccole finestre rettangolari complete di infisso. Al centro del locale è posizionato il vano della cabina ascensore che porta ai piani superiori»”.

In ultimo, il T.A.R. avrebbe errato anche nel ritenere “l'edificio di cui alla licenza [...] non può essere qualificato come totalmente abusivo in quanto costituisce difformità rispetto al titolo edilizio del 1962”. Si osserva, in proposito, che il disposto dell'art. 31 del Testo Unico dell'Edilizia è riferito non solo agli immobili totalmente abusivi (perché realizzati in assenza di titolo), ma anche a quelli realizzati in totale difformità o con variazioni essenziali e che la descrizione degli abusi edilizi oggetto di demolizione, contenuta nelle relazioni istruttorie e che dà atto dalla presenza di due piani non assentiti (l'ultimo sopra terra e quello interrato di fatto utilizzato come box), rende evidente come il fabbricato esistente sia totalmente diverso da quello assentito dal Comune nel 1962.

2.1 Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza appellata nella parte in cui il giudice di prime cure, nel ritenere fondato il quinto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata dedotta la violazione degli artt. 7 e 10-bis della L. n. 241 del 1990, ha affermato che le ordinanze di demolizione per cui è causa dovessero essere precedute dalla comunicazione di avvio del procedimento in quanto i presupposti di fatto da accertare per l’adozione di tale atto sarebbero stati, nel caso di specie, suscettibili di vario apprezzamento e, comunque, non verificabili in modo immediato ed inequivoco.

Secondo parte appellante il T.A.R. avrebbe errato, in particolare, nello statuire che l’amministrazione comunale avrebbe potuto concretamente porre in essere un provvedimento diverso da quello adottato, in ragione dell’apporto partecipativo della parte ricorrente in primo grado, in quanto quest’ultima, ove messa in condizione di farlo, avrebbe potuto rappresentare in sede procedimentale circostanze rilevanti (quali la posizione di terzo acquirente in buona fede, l’insussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione ed il decorso di un notevole lasso di tempo, circa sessanta anni, tali da rendere necessaria una accurata istruttoria circa le riscontrate difformità).

Osserva parte appellante, anche richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio, che l’ordine di demolizione, essendo un atto rigidamente vincolato, non necessiterebbe della comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista in capo all'Amministrazione la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. Si aggiunge, poi, che, per le medesime ragioni, la mancata comunicazione di avvio del procedimento non avrebbe in ogni caso potuto condurre all’annullamento dell’atto impugnato, dovendo trovare applicazione il meccanismo ex art.21-octies, comma 2 della Legge n.241 del 1990.

In ultimo, parte appellante deduce che, nel caso in esame, gli abusi riscontrati rientrerebbero a pieno titolo dell'art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 trattandosi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, con la realizzazione di intere e consistenti volumetrie, completamente abusive. Con riguardo, in particolare, al volume nel piano seminterrato adibito a parcheggio si osserva che, pur ammettendo che il riferimento normativo che l'amministrazione avrebbe dovuto applicare fosse rinvenibile nell'art.17 della L. n. 765 del 1967 che rende obbligatori i parcheggi pertinenziali, il piano seminterrato rimarrebbe ugualmente abusivo in quanto realizzato alcun titolo e senza il deposito di calcoli strutturali. Nel dettaglio, dai grafici del progetto quanto assentito consisterebbe in una semplice intercapedine poco più alta di 1 m., non praticabile e senza alcun accesso, nel mentre dalla relazione tecnica di sopralluogo si evincerebbe che l’ambiente effettivamente realizzato ha un’altezza di ben 3 m. e presenta un varco di accesso carrabile.

3. Entrambe le censure in parola colgono nel segno.

Secondo la giurisprudenza amministrativa ormai costante anche di questa Sezione, che ha trovato avallo nella nota pronuncia dell’Adunanza plenaria n.9 del 17 ottobre 2017, “L'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l'interessato non può dolersi del fatto che l'Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi” (così ex multis Cons. Stato, sez. II, 20/07/2022, n. 6373; in termini anche Cons. Stato, sez. VI, 21/06/2022, n. 5115).

Nel medesimo solco si pone l’orientamento pretorio che, più in generale, afferma che “l'ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi” (Cons. Stato, sez. VI, 09/06/2022, n. 4722).

Da ultimo è stato pure ribadito che “La misura demolitoria può essere legittimamente irrogata nei confronti del proprietario del bene, anche se diverso dal responsabile dell'abuso e anche se estraneo alla commissione dell'abuso stesso e ciò in quanto l'abusività dell'opera è una connotazione di natura reale: segue l'immobile anche nei successivi trasferimenti del medesimo, con l'effetto che la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall'attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell'abuso medesimo” (Cons. Stato, sez. VI, 07/02/2023, n. 1327).

3.1 Alla luce delle coordinate ermeneutiche appena tracciate non può, quindi, condividersi quanto statuito dal giudice di prime cure nella sentenza impugnata.

Anzitutto, non sussiste il difetto di motivazione ed istruttoria dedotto a mezzo del secondo motivo del ricorso di primo grado.

La natura ripristinatoria (e non anche sanzionatoria) dell’ordine di demolizione e l’impossibilità di configurare in favore dell’attuale proprietario un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto esistente privano di ogni rilevanza la condizione di buona fede in cui lo stesso eventualmente versa così come il tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso.

Ne discende che del tutto adeguata appare l’istruttoria procedimentale svolta, nel caso di specie, dal Comune di Torre del Greco (consistita nell’effettuazione di un sopralluogo in data 14 ottobre 2019 seguita dalla redazione di una articolare relazione tecnica prot. n. 0082882 dell’11 dicembre 2019, a cura tecnici del Servizio Antiabusivismo Edilizio), avendo la stessa dato piena contezza dell’entità delle opere abusive (che sono state descritte analiticamente anche con riguardo alle specifiche porzioni del manufatto dalle stesse interessate). Le difformità riscontrate emergono con chiarezza dal semplice raffronto documentale tra l’assentito (n. 5 piani fuori terra ed un’intercapedine a base dell’edificio poco più alta di 1 m., non praticabile e senza alcun accesso) ed il realizzato (n. 6 piani fuori terra ed un piano seminterrato di circa mq 570,00 di superficie con altezza di circa m 3,00 adibito a garage), senza la necessità di ulteriori approfondimenti.

3.2 Parimenti infondato è il quinto motivo del ricorso di primo grado non ravvisandosi la lamentata violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990.

Costituisce, infatti, jus receptum il principio secondo cui “l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso” (così Cons. Stato, sez. VI, 11/05/2022, n. 3707).

Tale principio potrebbe conoscere un’attenuazione, se non un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del permesso ma) per totale difformità (dal medesimo) ovvero per variazione essenziale ove fosse controverso e controvertibile – in punto di fatto – l’entità della variazione e fosse quindi necessario un accertamento specifico, in primo luogo nella sede amministrativa, meglio se in contraddittorio. La vincolatività del potere amministrativo non vale a rendere, in tali casi, nella realtà delle cose, i fatti per ciò solo facilmente accertabili, sicché potrebbe rivelarsi non giustificato, non solo sul piano delle garanzie ma anche nella logica del buon andamento, ritenere aprioristicamente inutile il contraddittorio procedimentale.

Nel caso di specie, tuttavia, trattandosi di una difformità quanto mai evidente e vistosa, consistente in un intero piano realizzato in aggiunta al consentito, a differenza di quanto affermato dal T.A.R. nella sentenza impugnata, l’amministrazione comunale non avrebbe potuto porre in essere un provvedimento diverso da quello concretamente adottato, in ragione dell’apporto partecipativo della parte ricorrente in primo grado sicché certamente opera il meccanismo di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo alinea, della l. n. 241 del 1990.

E’, infatti, appena il caso di evidenziare che le deduzioni svolte in sede giudiziale da quest’ultima (la posizione di terzo acquirente in buona fede del proprietario, l’asserita insussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, il decorso di un notevole lasso di tempo) non sarebbero state in grado di incidere sulla spendita del potere amministrativo di cui all’art. 31, comma 1 del D.P.R. n. 380 del 2001 il cui esercizio, come in precedenza illustrato amplius, si fonda – in questo caso - sul mero riscontro di un abuso così vistoso non accompagnato da alcuna attività di ulteriore accertamento e di ponderazione di interessi.

4. Per le ragioni sopra esposte l’appello è fondato e va accolto.

5. Deve, quindi procedersi allo scrutinio dei motivi del ricorso di primo grado dichiarati assorbiti e non esaminati dal giudice di prime cure e qui riproposti da parte appellata ex art. 101, comma 2, c.p.a..

5.1 Detti motivi sono tutti infondati e vanno disattesi.

6. Con il primo motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si sostiene che le opere abusive de quibus sarebbero state eseguite all'epoca della realizzazione dell'intero fabbricato (nel 1962 e, quindi, in epoca anteriore al 1° settembre 1967)) e che, trovandosi l’immobile interessato al di fuori del centro abitato, non avrebbero abbisognato del rilascio di titoli edilizi.

6.1 La doglianza è priva di giuridico pregio.

Come emerge ex actis il Comune di Torre del Greco risulta essersi dotato di Regolamento Edilizio fin dal 1936. In particolare, detto Regolamento ha prescritto il rilascio di licenza edilizia per gli interventi realizzati all’interno del centro abitato e tale previsione, per quanto più di interesse, è stata successivamente estesa con delibera C.C. n. 127 del 1959 all’intero territorio del Comune.

Preme, del resto, rilevare, a conferma della necessità, nel caso di specie, del preventivo rilascio di una licenza edilizia che lo stesso dante causa dell’odierno appellato (ricorrente in primo grado) si è premurato di richiedere ed ottenere, nel 1962, il rilascio del titolo edilizio, salvo realizzare, in concreto, una serie di interventi in totale difformità dello stesso.

6.2 Né può sostenersi, come fa il ricorrente in primo grado, che gli immobili risalenti ad epoca anteriore al 1° settembre 1967, seppur privi di titolo (ovvero eseguiti in totale difformità dallo stesso), non sarebbero comunque assoggettabili a sanzioni edilizie repressive. E, infatti, stante la natura di misura reale a carattere ripristinatorio dell’ordine di demolizione ciò che rileva ai fini della legittimità del provvedimento non è tanto l’epoca di realizzazione dell’opera (se anteriore ovvero successiva al 1° settembre 1967) quanto la sua abusività (id est se per l’intervento realizzato fosse necessario, alla luce della disciplina urbanistico-edilizia concretamente vigente nel caso di specie, il preventivo rilascio del titolo).

7. Con il terzo motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si è denunciata l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per violazione dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui quest’ultima previsione normativa stabilisce che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.

Nel dettaglio si osserva che il fabbricato in questione è in cemento armato e presenta una struttura portante unitaria con la conseguenza che l'intervento di demolizione potrebbe pregiudicare la stabilità dell'edificio.

7.1 La censura non coglie nel segno.

La consolidata giurisprudenza anche di questa Sezione ha da tempo chiarito che la c.d. “fiscalizzazione” dell’abuso ex art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 non condiziona la legittimità della ordinanza di demolizione, trattandosi di sub-procedimento che assume rilievo nella successiva fase di esecuzione della stessa.

In particolare, si è condivisibilmente affermato che “L'applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall'Amministrazione solo nella fase esecutiva dell'ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire. Con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l'accertamento delle conseguenze derivanti dall'omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell'incidenza della demolizione sulle opere non abusive” (così ex multis Cons. Stato, sez. VI , 10/12/2021 , n. 8240; in termini anche Cons. Stato sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5985 e Cons. Stato, sez. VI, n. 4855 del 2016).

7.2 Preme, peraltro, precisare che, fermo quanto poc’anzi osservato, nel caso di specie, sarà obbligo dell’amministrazione comunale valutare accuratamente, all’atto di portare ad esecuzione l’ordinanza di demolizione de qua, la praticabilità della cd. “fiscalizzazione” anche alla luce delle caratteristiche assolutamente peculiari dell’abuso che occupa (come segnalate nel motivo in scrutinio da parte ricorrente in primo grado).

8. Con il quarto motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si è denunciata l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per violazione dell'art.167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, risultando l’intero territorio comunale di Torre del Greco sottoposto a regime di tutela paesaggistica. Si osserva, in particolare, che detta disposizione prevede, nelle ipotesi di opere realizzate in assenza di autorizzazione soprintendentizia che abbiano determinato un mutamento dello stato dei luoghi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, che “il trasgressore è tenuto alla remissione in pristino” sicché lo stesso non sarebbe, per converso, sottoposto alla sanzione della perdita della proprietà per il caso di inottemperanza.

Sotto altro profilo, parte ricorrente in primo grado sostiene, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 27, 31, 33 e 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 che l’amministrazione comunale di Torre del Greco si sarebbe dovuta limitare ad adottare provvedimenti sanzionatori o di ripristino dello stato dei luoghi, che non prevedono l’eventuale perdita della proprietà da parte degli interessati per il caso di inottemperanza, ma unicamente la demolizione in danno.

8.1 Le censure in parola appaiono mal calibrate.

Anzitutto, è opportuno ribadire che la riduzione in pristino di cui all’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004 è misura distinta, per presupposti, caratteri ed effetti, dall’ordine di demolizione ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 ed è adottata ad esito di un differente, ancorché spesso parallelo, procedimento amministrativo. Sicchè non può predicarsi l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per l’asserita violazione di siffatto parametro normativo, alieno al suo schema legale.

In ogni caso, occorre poi ribadire che, nel caso di specie, gli interventi riscontrati rientrano a pieno titolo nella categoria di quelli “eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali” ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 avendo determinato la realizzazione di consistenti volumetrie totalmente abusive (due interi piani del palazzo, di cui uno seminterrato).

9. Con il sesto motivo del ricorso di primo grado qui riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a. si è denunciata l’illegittimità delle impugnate ordinanze di demolizione per violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 in quanto esse avrebbero mancato di specificare all'ingiunto le conseguenze della eventuale inottemperanza e di individuare esattamente i beni destinati ad essere acquisiti alla proprietà comunale.

9.1 La doglianza è destituita di fondamento.

Come già rilevato le ordinanze di demolizione impugnate in primo grado recano l’analitica ed inequivoca identificazione delle porzioni di fabbricato abusive, individuando le stesse anche a mezzo di estremi catastali (foglio, particella e sub catastale).

Quanto alla mancata specifica indicazione in seno alle ordinanze impugnate delle conseguenze della eventuale inottemperanza alle stesse, in disparte dalla considerazione che detta carenza darebbe luogo al più ad una mera irregolarità non viziante, è, invece, sufficiente osservare che esse contengono l’espressa “avvertenza che in caso di inottemperanza si procederà ai sensi di Legge” e che l’effetto di acquisizione al patrimonio comunale è, in ogni caso, chiaramente tratteggiato dal disposto dell’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001.

10. In conclusione, per quanto sopra succintamente esposto, l’appello proposto dal Comune di Torre del Greco è fondato e va accolto. I motivi dichiarati assorbiti in primo grado e riproposti da parte appellata ex art. 101, comma 2, c.p.a. sono, invece, infondati e vanno disattesi.

10.1 Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va, pertanto, respinto il ricorso di primo grado.

Restano, peraltro, salvi e impregiudicati i poteri, anche ex art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’amministrazione comunale in sede di esecuzione dell’ordinanza di demolizione di che trattasi. Come resta non meno impregiudicata la tutela civile, a titolo di responsabilità contrattuale, esperibile dall’originario ricorrente in primo grado nei confronti del suo dante causa nonché nei confronti di quanti hanno concorso, con la loro opera professionale, alla stipula del contratto di compravendita avente ad oggetto l’immobile per cui è causa.

11. Sussistono nondimeno, anche in ragione della peculiarità del caso concreto, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, disattesi i motivi dichiarati assorbiti in primo grado e riproposti da parte appellata ex art. 101, comma 2, c.p.a., in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere, Estensore