Consiglio di Stato Sez. V n. 18 22 del 5 maggio 2016
Urbanistica.Installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato

L'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria. Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco dell’anno, atteso che: a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella di realizzare un vano chiuso); b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.

 

N. 01822/2016REG.PROV.COLL.

N. 09410/2006 REG.RIC.

N. 09411/2006 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9410 del 2006, proposto da:
Francesca Vezzali, in proprio e quale capo gruppo del RTP, con Giorgio Adelmo Bertani, Gabriella Bertani, Carlo Dazzi e Giulia Manenti, i quali agiscono anche in proprio, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Bertolani, con domicilio eletto presso Carolina Migliorini in Roma, piazza della Cancelleria, n. 85;

contro

Giuseppe Cruciani Fabozzi, in proprio e quale legale rappresentante della Spira s.r.l., nonché quale capogruppo del costituendo RTP con Enzo Giusti, Maria Adriana Giusti, Maria Luisa Cipriani, Giuliano Mezzadri, Claudia Morri, Massimiliano Sirotti, Andrea Ugolini e Sara Salucci, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ivan Marrone, Mauro Montini e Domenico Iaria, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
Comune di Sassuolo, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

 

sul ricorso numero di registro generale 9411 del 2006, proposto da:
Comune di Sassuolo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Dani, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

contro

Giuseppe Cruciani Fabozzi, in proprio e in qualità di legale rappresentante della Spira s.r.l., nonché quale capogruppo del costituendo RTP con Enzo Giusti, Maria Adriana Giusti, Maria Luisa Cipriani, Giuliano Mezzadri, Claudia Morri, Massimiliano Sirotti, Andrea Ugolini e Sara Salucci rappresentato e difeso dagli avv.ti Ivan Marrone, Mauro Montini e Domenico Iaria, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
Vezzali Francesca, quale capogruppo del RTP con Giorgio Adelmo Bertani, Gabriella Bertani, Carlo Dazzi e Giulia Manenti, non costituita in giudizio;

entrambi per la riforma

della sentenza del T.A.R. Emilia Romagna - Bologna: Sezione I, n. 02183/2006, resa tra le parti, concernente concorso per progettazione recupero e restauro di Villa Giacobazzi.

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Giuseppe Cruciani Fabozzi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2016 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Fabio Dani, su delega dell'avvocato Giovanni Bertolani, e Domenico Iaria;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Il Comune di Sassuolo ha aggiudicato al raggruppamento temporaneo di professionisti (RTP) tra gli arch.ti Francesca Vezzali, Giorgio Adelmo Bertani, Gabriella Bertani, e Giulia Manenti e l’ing. Carlo Dazzi, il concorso di progettazione per il “recupero funzionale e restauro scientifico di Villa Giacobazzi e annesso parco Vistariano”.

Con sentenza 18/9/2006 n. 2183, pronunciata su ricorso, seguito da motivi aggiunti, degli arch.ti Giuseppe Cruciani Fabozzi, Maria Adriana Giusti, Maria Luisa Cipriani, Claudia Morri, Massimiliano Sirotti, Andrea Ugolini e Sara Salucci e degli ing.ri Enzo Giusti e Giuliano Mezzadri, che, riuniti in costituendo RTP, si sono classificati al secondo posto, il TAR Emilia Romagna – Bologna ha annullato l’aggiudicazione, sul presupposto che il progetto prescelto presentasse, così come dedotto dai ricorrenti, volumi aggiuntivi non consentiti dalla lex specialis della gara.

Ritenendo la citata sentenza erronea e ingiusta l’arch. Francesca Vezzali, unitamente agli altri componenti del RTP dalla medesima capeggiato, da una parte e il Comune di Sassuolo, dall’altra, l’hanno impugnata, chiedendone l’annullamento con due distinti ricorsi rubricati, rispettivamente, ai nn. 9410/2006 e 9411/2006.

Si è costituito in entrambi gli appelli l’arch. Giuseppe Cruciani Fabozzi, depositando separate memorie con cui si è opposto all’accoglimento dei gravami, anche riproponendo i motivi dedotti in primo grado non esaminati dal TAR.

Con ordinanza 15/12/2006 n. 6558, questa Sezione ha sospeso la sentenza.

Nel corso del giudizio le parti hanno, poi, arricchito le proprie tesi difensive depositando apposite memorie.

Alla pubblica udienza del 25/2/2016, le cause sono passate in decisione.

Data l’evidente connessione, soggettiva ed oggettiva ed in considerazione del fatto che sono rivolti avverso la stessa sentenza, i due appelli devono essere riuniti.

In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione con cui il Comune di Sassuolo deduce l’improcedibilità dell’originario ricorso di I grado, per sopravvenuta carenza di interesse (memoria depositata in data 21/1/2016).

Afferma, infatti, l’amministrazione comunale, cha a seguito della misura cautelare concessa da questa Sezione, con ordinanza n. 6558/2006, le prestazioni oggetto della gravata procedura concorsuale sarebbero state interamente eseguite (l’ente, invero, avrebbe acquisito la proprietà dei progetti e pagato i previsti premi).

Oltre a ciò, anche i lavori di recupero funzionale e restauro scientifico della Villa Giacobazzi e dell’annesso parco Vistariano, risulterebbero ormai conclusi.

Non residuerebbe, infine, in capo al ricorrente di I grado, nemmeno un interesse di tipo risarcitorio, in quanto la relativa domanda è stata respinta dal TAR, senza che il relativo capo i sentenza sia stato impugnato con apposito appello incidentale.

Oppone l’arch. Cruciani Fabozzi che la memoria comunale contenente l’eccezione sarebbe tardiva, in quanto l’udienza per la trattazione del presente ricorso era stata originariamente fissata per il 10/11/2015 e il disposto rinvio all’odierna udienza, per impedimento del relatore, non sarebbe idoneo a rimettere le parti in termini per il deposito di nuovi atti defensionali; nel merito, poi, le deduzioni comunali sarebbero infondate.

L'obiezione di rito sollevata dall’appellato è infondata, atteso che, contrariamente a quanto egli ritiene, il rinvio d’udienza, ha riaperto, per le parti, i termini per il deposito di nuove memorie.

L’eccezione del comune può, dunque, essere esaminata, ma è infondata.

Ed invero, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione di discostarsi, nel processo amministrativo la sopravvenuta carenza di interesse deve essere oggetto di accertamento particolarmente rigoroso, onde evitare sostanziali dinieghi di giustizia, con conseguente violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 113.

In tale ottica, la sussistenza della detta causa d’improcedibilità può essere ravvisata solo allorché, per effetto di una sopraggiunta modifica della situazione di fatto o di diritto, il ricorrente non possa più trarre, dell'eventuale sentenza di accoglimento del ricorso, alcuna utilità, per non essere ormai configurabile, in capo ad esso, un interesse anche solo strumentale o morale alla decisione (per l’affermazione del principio, fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 27/03/2015, n. 1626, e 12/2/2013, n. 805, Sez. VI, 28/3/2012, n. 1848).

Nel caso di specie, la parte appellata ha affermato, in pubblica udienza, di aver un interesse morale alla decisione e quest’ultimo le va senz’altro

riconosciuto, quantomeno, sotto forma di interesse a veder ristabilito il corretto ordine di graduatoria fra le varie proposte progettuali in gara.

Tanto basta al rigetto dell’eccezione comunale.

Gli appelli vanno, quindi, esaminati nel merito, partendo dal ricorso n. 9410/2006.

Col primo motivo, gli arch.ti Vezzali, A, Bertani, G. Bertani, Manenti e l’ing. Dazzi deducono che l’impugnata sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha respinto, in quanto prospettate con semplice memoria, invece che con ricorso incidentale, le doglianze con cui era stato dedotto che il costituendo RTP classificatosi al secondo posto, avrebbe dovuto essere escluso dalla gara.

La disciplina del ricorso incidentale sarebbe, infatti, incostituzionale, per violazione dell’art. 111 cost., in relazione agli artt. 23 e 108 cost., stante l’omessa precisazione, da parte del legislatore, delle fattispecie che ne costituiscono l’oggetto.In ogni caso, la necessità di proporre ricorso incidentale potrebbe essere ravvisata solo in relazione a quelle pretese che comportino l’annullamento dell’atto impugnato in via principale, ma non, invece, con riguardo alle contestazioni afferenti, come nella specie, la sussistenza in concreto delle condizioni dell’azione.

Il motivo va dichiarato inammissibile.

Ed invero, anche nel regime processuale precedente all’entrata in vigore del c.p.a., i motivi dedotti in primo grado, respinti o non esaminati dalla decisione impugnata, si intendevano rinunciati, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., applicabile al giudizio amministrativo, ove non espressamente riproposti in appello (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8/11/2002, n. 6121; Sez. IV, 10/2/2000, n. 716; analogamente sotto la vigenza del c.p.a. Cons. Stato, Sez. IV, 14/5/2015 n. 2433; Sez. VI, 9/1/2014, n. 22).

Nel caso di specie, gli appellanti si son limitati, in sede di gravame, a contestare la statuizione della sentenza impugnata concernente la reiezione (rectius l’inammissibilità) delle censure proposte con semplice memoria, senza, tuttavia, riproporre le doglianze con la medesima prospettate e non esaminate dal giudice.

L’eventuale fondatezza dell’appello imporrebbe, quindi, di decidere nel merito le questioni introdotte con le doglianze non affrontate. Tuttavia queste ultime, non essendo state riproposte, devono intendersi, per quanto sopra detto, rinunciate.

Conseguentemente gli appellanti non hanno alcun interesse alla decisione del presente motivo d’appello, non potendo, comunque, essere, in questa sede, scrutinate, le censure che il giudice in primo grado ha omesso di valutare.

Col secondo motivo gli appellanti denunciano l’inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto proposto dall’arch. Cuciani Fabozzi in proprio, anzicchè quale legale rappresentante della Spira s.r.l., com’era d’uopo, essendo formalmente quest’ultima il soggetto partecipante al costituendo RTP secondo classificato. Ciò risulterebbe dimostrato dalla circostanza che nel ricorso comparirebbe il codice fiscale dell’arch. Cruciani Fabozzi, invece, che quello della società.

L’impugnazione sarebbe, ancora, inammissibile in quanto proposta dal solo arch. Cruciani Fabozzi, anziché da tutti i componenti del costituendo RTP.

Ulteriori irritualità della medesima impugnazione sarebbero da riscontrare nel fatto che:

a) la delibera di approvazione della graduatoria sarebbe stata gravata solo con motivi aggiunti e non con ricorso autonomo;

b) gli atti endoprocedimentali della selezione risulterebbero gravati, nell’ambito dello stesso procedimento processuale, con due distinti mezzi (ricorso e motivi aggiunti);

c) i motivi aggiunti, per quanto rivolti contro gli atti endoprocedimentali, sarebbero tardivi, mentre il ricorso introduttivo del giudizio non risulterebbe, a sua volta, ammissibile perché non diretto contro l’atto terminale della procedura;

d) non sarebbero stati evocati in giudizio tutti i componenti del RTP capeggiato dall’arch. Vezzali.

Il motivo è infondato sotto tutti i profili in cui si articola.

In primo luogo, come emerge dall’epigrafe del ricorso proposto davanti al TAR, l’arch. Cruciani Fabozzi ha agito, proprio quale legale rappresentante della Spira s.r.l., senza che alcuna rilevanza possa assumere la circostanza che egli abbia indicato in ricorso soltanto il suo codice fiscale.

In secondo luogo, un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non intende discostarsi, afferma che la legittimazione ad impugnare gli atti di una procedura concorsuale, spetta a ciascuno dei soggetti facenti parti di un raggruppamento temporaneo di imprese o di professionisti, sia esso costituito o costituendo, che abbia partecipato alla gara. Ciò in quanto il raggruppamento non dà luogo ad un'entità giuridica autonoma che escluda la soggettività dei singoli partecipanti, ciascuno dei quali resta, pertanto, titolare di un autonomo interesse legittimo a conseguire l'aggiudicazione (Cons. Stato A. P. 15/4/2010, n. 2155; Sez. VI, 2/7/2014 n. 3336 e 10/5/2013 n. 2563; Sez. V, 30/10/2003, n. 6769).

In terzo luogo, ai fini della reiezione di tutte le censure più sopra specificate nelle lettere da a) a d), è sufficiente rilevare che:

1) dopo la legge n. 21/7/2000, n. 205, il cui art. 1 ha modificato l’art. 21 della L. 6/12/1971, n. 1034 “tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all'oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti”, per cui correttamente gli atti della contestata procedura, intervenuti dopo la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, sono stati impugnati con motivi aggiunti;

2) è ininfluente ogni rilievo mosso contro le modalità con cui sono stati gravati gli atti endoprocedimentali della selezione, atteso che ciò che conta è che sia rituale e tempestiva (come nella specie è) l’impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento;

3) alla luce di quanto sopra osservato con riguardo alla possibilità di impugnare con motivi aggiunti gli atti adottati nelle more del processo che siano connessi all’oggetto del ricorso, è privo di rilevanza il fatto che il ricorso introduttivo del giudizio davanti al TAR non fosse diretto contro l’atto finale del procedimento (approvazione della graduatoria definitiva), essendo stato quest’ultimo impugnato con i motivi aggiunti;

4) con questi ultimi il contraddittorio è stato esteso a tutti i componenti del RTP capeggiato dall’arch. Vezzali.

Col terzo motivo la parte appellante denuncia l’erroneità della gravata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il progetto proposto dal RTP aggiudicatario prevedesse volumi aggiuntivi (realizzazione di un vano seminterrato ad uso deposito libri e tamponamento laterale con vetrate di un portico al piano terra) non consentiti dal bando di gara.

Con specifico riferimento alla chiusura del porticato si deduce, in particolare, che il giudice non avrebbe considerato che, trattandosi di un porticato alto più di 3 mt, ancorché aperto su tre lati, costituirebbe pur sempre superficie utile ai sensi delle norme del regolamento edilizio vigente nel comune di Sassuolo, cosicché i precari tamponamenti vetrati non sarebbero idonei a determinare incrementi di superficie e volumetria, né ad aggravare il carico urbanistico.

Inoltre, la progettata chiusura del vano, da realizzare con vetrate facilmente amovibili e precarie in quanto da installare nella sola stagione fredda, non sarebbe tale da determinare alterazioni della sagoma e dell’identità del bene, né avrebbe caratteristiche d’irreversibilità, trattandosi di intervento volto a rendere la struttura fruibile dall’utenza durante tutto l’arco dell’anno.

La scelta operata sarebbe, infine, compatibile con l’esigenza di preservare i profili architettonici e prospettici dell’edificio sottoposto a tutela ex D. Lgs. n. 42/2004.

Censura sostanzialmente analoga prospetta il Comune di Sassuolo con l’appello n. 9411/2006, il quale, a quanto sotto questo profilo dedotto dall’arch. Vezzali e dagli altri componenti del RTP aggiudicatario, aggiunge che, come si ricaverebbe dall’allegato alla L.R. 2002 n. 31, la tipologia di intervento da attuare (recupero funzionale e restauro scientifico) consentirebbe <<l’inserimento di nuovi impianti tecnologici e di servizio nell’ambito di un “insieme sistematico di opere” che devono rispettare unicamente “gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio” … che non escludono affatto la creazione di nuovi volumi pertinenziali>>.

Le censure delle due parti appellanti, rivolte a contestare l’ipotizzato aumento di volumetria derivante dalla chiusura del porticato, sono palesemente infondate e si prestano ad una trattazione congiunta.

Occorre preliminarmente rilevare che la lex specialis della gara non consentiva incrementi volumetrici, né, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di Sassuolo, questi ultimi potevano ritenersi ammessi in considerazione della tipologia degli interventi da progettare.

In base al bando di gara il concorso di progettazione per cui è causa, aveva ad oggetto interventi di “recupero funzionale” e “restauro scientifico”.

Diversamente da quanto sostenuto dall’amministrazione comunale, dalla definizione di “restauro scientifico” contenuta nell’allegato alla L.R. 25/11/2002, n. 31, non si ricava affatto l’ammissibilità di aumenti di cubatura.

Si legge nel citato allegato :

<<Ai fini della presente legge si intendono per:

“restauro scientifico", gli interventi che riguardano le unità edilizie che hanno assunto rilevante importanza nel contesto urbano territoriale per specifici pregi o caratteri architettonici o artistici. Gli interventi di restauro scientifico consistono in un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici formali e strutturali dell'edificio, ne consentono la conservazione, valorizzandone i caratteri e rendendone possibile un uso adeguato alle intrinseche caratteristiche. Il tipo di intervento prevede:

c.1) il restauro degli aspetti architettonici o il ripristino delle parti alterate, cioè il restauro o ripristino dei fronti esterni ed interni, il restauro o il ripristino degli ambienti interni, la ricostruzione filologica di parti dell'edificio eventualmente crollate o demolite, la conservazione o il ripristino dell'impianto distributivo-organizzativo originale, la conservazione o il ripristino degli spazi liberi, quali, tra gli altri, le corti, i larghi, i piazzali, gli orti, i giardini, i chiostri;

c.2) consolidamento, con sostituzione delle parti non recuperabili senza modificare la posizione o la quota dei seguenti elementi strutturali:

- murature portanti sia interne che esterne;

- solai e volte;

- scale;

- tetto, con ripristino del manto di copertura originale;

c.3) l'eliminazione delle superfetazioni come parti incongrue all'impianto originario e agli ampliamenti organici del medesimo;

c.4) l'inserimento degli impianti tecnologici e igienico-sanitari essenziali>>.

La trascritta definizione di “restauro scientifico”, esclude, dunque, chiaramente l’ammissibilità di incrementi volumetrici, né può diversamente ritenersi, in considerazione del fatto che la detta tipologia di intervento consente “l’inserimento degli impianti tecnologici e igienico-sanitari essenziali”. E’ vero, infatti, che la collocazione dei detti impianti può richiedere la realizzazione di appositi volumi destinati ad ospitarli, ma si tratta di volumi c.d. tecnici, che, com’è noto, nulla hanno a che

vedere con la volumetria, quale quella di che trattasi, destinata a soddisfare esigenze diverse da quella concernente il ricovero di siffatti impianti.

Nel caso di specie, la proposta progettuale del RTP capeggiato dalla arch. Vezzali prevedeva indubbiamente la realizzazione di volumetria aggiuntiva non classificabile come mero volume tecnico.

Ed invero l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz’altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria (Cons. Stato, Sez. VI, 5/8/2013 n. 4089; Sez. V, 8/4/1999, n. 394; 26/10/1998 n. 1554).

Ciò vale anche nell’ipotesi in cui le vetrate siano facilmente amovibili e siano destinate a chiudere il manufatto, solo per un determinato periodo nell’arco dell’anno, atteso che:

a) le modalità di installazione e rimozione di una struttura sono indifferenti rispetto alla sua funzione (nella specie quella di realizzare un vano chiuso); b) l’utilizzo stagionale delle vetrate non vale a conferire all’opera che ne risulta natura precaria, atteso che al fine di affermare siffatta natura occorre che la struttura sia oggettivamente inidonea a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.

La giurisprudenza ha ritenuto, che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando l’idoneità dell’opera a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass. Pen., Sez. III, 8/2/2007 n. n. 5350).

Coerentemente è stato affermato che nemmeno l’eventuale intendimento di utilizzare la struttura stagionalmente, può consentire di attribuire alla stessa carattere precario.

Alla luce delle suesposte considerazioni è irrilevante che, sulla base delle norme del locale regolamento edilizio (artt. 65 e 70), il porticato di che trattasi, in quanto più alto di mt 2,50, fosse da considerare superficie utile, di modo che la chiusura dello stesso non avrebbe dato luogo a incremento della detta superficie. Ed invero, ciò che conta, ai fini di causa, è che il progetto del RTP aggiudicatario, prevedesse un non consentito incremento di volumetrico.

La reiezione della esaminata censura, consente di prescindere dall’affrontare l’ulteriore profilo di doglianza con cui gli appellanti hanno contestato l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che anche la realizzazione di un vano seminterrato ad uso deposito libri, desse luogo ad un incremento volumetrico, atteso che la sentenza si regge, comunque, sulla motivazione risultata esente da vizi.

L’appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

Riuniti gli appelli (ricc. 9410/2006 e 9411/2006), come in epigrafe proposti, li respinge.

Condanna in solido gli appellanti al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellata, liquidandole forfettariamente in complessivi € 5.000/00 (cinquemila), oltre accessori nella misura di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Carlo Saltelli, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/05/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)