Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2062, del 15 aprile 2013
Urbanistica. Legittimità diniego condono edilizio opere all’interno della fascia di rispetto autostradale

Il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della L. 24 luglio 1961 n. 729 del 1961 e dal D.M. 1404 del 1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti. In tale contesto, le opere realizzate dopo l’imposizione del vincolo all’interno della fascia di rispetto autostradale rientrano nella previsione di cui all’art. 33 comma 1 lett. d), della L. 28 febbraio 1985 n. 47 e non sono pertanto suscettibili di sanatoria.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02062/2013REG.PROV.COLL.

N. 08007/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8007 del 2005, proposto da: 
Pellegrino Peppino, rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Delfino e dall’Avv. Fausto Buccellato, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Angelico 45;

contro

Comune di Genova, in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Edda Odone e dall’Avv. Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare, 14a/4;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Liguria, Sez. I, n. 1009 dd. 22 giugno 2004, resa tra le parti e concernente rigetto domanda di condono



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 novembre 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Peppino Pellegrino l’Avv. G. Normandi in sostituzione dell’Avv. Fausto Buccellato e per l’appellato Comune di Genova l’Avv. Gabriele Pafundi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, Sig. Peppino Pellegrino, espone di aver acquistato dalla Sig.ra Iolanda Pasqualino in data 6 marzo 1974 un appezzamento di terreno ubicato a Genova-Rivarolo, Via Torbella n. 10, sul quale insisteva – tra l’altro - una costruzione in muratura verosimilmente realizzata in epoca antecedente al 1925.

Il Pellegrino espone quindi di aver ivi ricavato la propria abitazione mediante la ristrutturazione della costruzione in muratura anzidetta.

Con verbale di accertamento dd. 23 giugno 1986 gli ispettori di zona del Servizio Edilizia Privata del Comune di Genova anno rilevato l’avvenuta realizzazione sul fondo del Pellegrino delle seguenti opere: “una casetta abusiva … posta a 30 metri circa dell’autostrada Genova – Sestri Levante A12 … costituita da un piano terra avente dimensioni di metri 11,00 x 7,50 x h = 3,00 la cui edificazione è da far risalire, presumibilmente, a diversi anni addietro e da un primo piano arretrato avente superficie di metri 11,00 x 4,80 x h = 3,00 (alla gronda) di più recente realizzazione. L’edificio è costituito da struttura portante in cemento armato, tamponamenti esterni in blocchi forati di calcestruzzo e copertura a due falde inclinate con orditura in legno e soprastante manto di laterizio (coppi). La casetta è già totalmente utilizzata, anche se il primo piano è ultimato soltanto al grezzo. E’ stata inoltre individuata, in prossimità della casetta di cui sopra, l’esistenza di un capannone in muratura con copertura in legno e soprastanti lastre di fibrocemento, utilizzata come deposito delle dimensioni di metri 14,00x5,50xh = 3,00. Data di realizzazione opere abusive: come da dichiarazione scritta dell’interessato: 1978 per il capannone in muratura; 1979 – 1 ottobre 1983 per la casetta” (cfr. doc. 2 del fascicolo di parte resistente in primo grado).

In data 31 luglio 1986 il Pellegrino ha presentato pertanto domanda di condono edilizio a’ sensi dell’art. 31 e ss. della L. 28 febbraio 1985 n. 47 avente ad oggetto le opere sopradescritte, allegando – tra l’altro – anche due dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà secondo le quali egli aveva, rispettivamente, intrapreso “presso la suddetta area la costruzione di un capannone in muratura (di circa mq. 78) nell’anno 1978” e “la parziale ricostruzione con ampliamento dell’edificio ad uso abitativo nel 1979”, con la precisazione che “tali opere si sono protratte per diversi anni a causa del fatto che sono state realizzate in “economia diretta” per le modeste condizioni finanziarie del sottoscritto; alla data dell’1 ottobre 1983 le strutture erano sostanzialmente quelle di oggi” (cfr. doc. 6 di parte ricorrente in primo grado)

Tale domanda è stata peraltro respinta con provvedimento dell’Assessore delegato all’edilizia privata del Comune di Genova dd. 13 luglio 1987, in quanto “le opere risultano ubicate in zona soggetta a vincolo di in edificabilità assoluta ai sensi del D.M. 1 aprile 1968 (fascia di rispetto autostradale) e realizzate dopo l’apposizione del vincolo stesso”.

1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 9 del 1988 innanzi al T.A.R. per la Liguria il Pellegrino ha pertanto chiesto l’annullamento di tale provvedimento, deducendo al riguardo quanto segue.

1) Violazione dell’art.33 della L. 47 del 1985 e dell’art.1 del D.M. 1 aprile 1968 n. 1404 in relazione all’art.41 septies ella L. 17 agosto 1942 n. 1150, rilevando che l’anzidetto D.M. richiama il rispetto delle distanze dal sedime stradale laddove l’area si trovi al di fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali, nel mentre i manufatti in questione ricadrebbero secondo il P.R.G. del 1959 in zona mista B (agricoltura) che contempla anche la realizzazione di insediamenti residenziali e produttivi.

2) Ulteriore violazione dell’art.33 della L. 47 del 1985 e del D.M. 1 aprile 1968 n. 1404, in quanto il fabbricato in muratura – almeno nella parte senza la sopraelevazione da lui realizzata e – risalirebbe, come detto innanzi, ad epoca antecedente al 1925 e non potrebbe essere pertanto assoggetto al vincolo imposto a’ sensi del precitato decreto ministeriale.

1.3. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di Genova, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Con sentenza n. 1009 dd. 22 giugno 2004 la Sezione I dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso, rilevando che “in primo luogo appare errato l’assunto di cui al primo motivo secondo cui l’area in cui ricadono le opere oggetto della domanda di condono edilizio sarebbe stata per il P.R.G. del 1959 zona “mista”, contemplante anche insediamenti residenziali e produttivi.Infatti, dall’esame delle planimetrie depositate in giudizio dal Comune si desume che l’area in controversia si trova in zona “rurale”,vale a dire in un’area destinata a verde agricolo, quindi preordinata ad evitare la realizzazione di insediamenti edilizi di qualsiasi tipo.Da ciò consegue la piena applicabilità delle previsioni del D.M. 1 aprile 1968 in punto di inedificabilità assoluta nella fascia di rispetto autostradale. Nemmeno può essere accolto quanto rappresentato dal ricorrente nel secondo motivo in ordine alla vetustà delle costruzioni e quindi alla loro antecedenza rispetto all’entrata in vigore del D.M. in parola. Assume il Pellegrino che la costruzione in muratura, di cui si è chiesta la sanatoria edilizia unicamente a due baracche ed alla sopraelevazione della costruzione stessa, sarebbe risalente agli anni ’20 ed in quanto tale realizzata prima dell’imposizione del vincolo.

In realtà le affermazioni del ricorrente non sono assistite da alcun fondamento probatorio. Da un lato si può solamente rilevare un verbale di accertamento di illecito edilizio redatto il 23 giugno 1986, il quale individua una casetta costituita da un piano terra e da un primo piano, con l’edificazione del piano terra risalente a diversi anni addietro, mentre dall’altro lo stesso ricorrente ha chiesto la concessione in sanatoria dell’intera costruzione, elemento questo che rende del tutto irrilevanti, pur nella loro scarsissima consistenza, le ragioni” da lui addotte.

Il T.A.R. ha compensato tra le parti le spese di tale primo grado di giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe il Pellegrino chiede ora la riforma di tale sentenza, riproponendo in buona sostanza i medesimi motivi di ricorso dedotti in primo grado e affermando che il T.A.R., pur a fronte della circostanza che nel verbale di accertamento dell’abuso redatto il 23 giugno 1986 era stato dato espressamente atto che la “casetta” era “da far risalire presumibilmente a diversi anni addietro”, si è astenuto dall’indagare su tale principio di prova al fine di accertare compiutamente l’effettiva epoca di risalenza della costruzione, “non avendo richiesto al Comune (od al ricorrente) di allegare ulteriore documentazione a fondamento della preesistenza dei manufatti al vincolo” (così, testualmente, a pag. 8 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

Il Pellegrino afferma inoltre che il giudice di primo grado avrebbe omesso o comunque errato la valutazione della documentazione da lui prodotta, in particolare insistendo sull’assunto - assolutamente non veritiero - che egli avrebbe chiesto il condono per l’intera costruzione adibita ad abitazione, e non già per la sola sua sopraelevazione: circostanza, questa, che renderebbe pertanto del tutto inconferenti le ragioni addotte dall’Amministrazione Comunale a supporto del diniego da essa formato.

2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di Genova, concludendo per la reiezione dell’appello.

3. Alla pubblica udienza del 6 novembre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

4.2. Per quanto attiene alla riproposizione nel presente grado di giudizio della censura di violazione dell’art. 33 della L. 47 del 1985 e dell’art.1 del D.M. 1 aprile 1968 n. 1404 in relazione all’art.41 septies ella L. 17 agosto 1942 n. 1150, va evidenziato che secondo la prospettazione dell’appellante il vincolo di inedificabilità assoluta di cui al D.M. 1 aprile 1968 n. 1404 risulterebbe nella specie inapplicabile in quanto l’edificio adibito ad abitazione ricadrebbe in un’area normata secondo la disciplina di piano vigente al momento dell’edificazione quale zona “mista” - ossia contemplante insediamenti sia residenziali, sia produttivi - nonché in considerazione della circostanza che all’epoca dell’entrata in vigore del medesimo D.M. 1 aprile 1968 n. 1404 non era stato ancora delimitato il “centro abitato”.

A tale riguardo il giudice di primo grado, sulla scorta della documentazione ivi prodotta dal Comune quali propri doc.ti. 11 usque 14 (e non, quindi, della documentazione di cui al n. 5 viceversa prodotta in primo grado dal Pellegrino e attinente alla susseguente strumentazione urbanistica del 1980) ha evidenziato che secondo la disciplina urbanistica vigente nell’area in questione all’epoca della realizzazione delle opere da parte del Pellegrino – ossia in base al P.R.G. comunale del 1959 – l’area medesima era non già a destinazione “mista”, ma “rurale” e – quindi – ricompresa dalle denominazioni della zonizzazione generale di tale strumento urbanistico nella definizione di “agricoltura” (cfr. ibidem, doc. 12).

E’ evidente che tale destinazione impediva la realizzazione nell’area medesima di “insediamenti”, da intendersi all’evidenza come il risultato di una“deruralizzazione” dell’area di cui trattasi e del suo conseguente inurbamento: e, se così è, deve pertanto concludersi nel senso della doverosa applicazione al caso di specie del D.M. 1 aprile 1968 n. 1404, posto che essa è inderogabilmente contemplata dal suo art. 1 non solo per l’edificazione “fuori del perimetro dei centri abitati”, ma anche al di fuori “degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione”.

Con il secondo ordine di censure proposte in primo grado il Pellegrino ha sostenuto l’avvenuta violazione dell’art. 33 della L. 47 del 1985 e del D.M. 1 aprile 1968 n. 1404 nel presupposto che una parte dei manufatti in questione sarebbe stata realizzata prima dell’entrata in vigore del vincolo di cui trattasi.

A tale riguardo va rimarcato - anche, e soprattutto, in considerazione della censurata “inerzia istruttoria” del giudice di primo grado in ordine all’accertamento della risalenza dell’edificio attualmente destinato ad abitazione ad epoca antecedente all’imposizione del vincolo di cui al D.M. 1404 del 1968 - che, anche al momento della proposizione da parte del Pellegrino del ricorso in primo grado e, quindi, anche ben prima dell’entrata in vigore della disciplina contenuta ora nell’art. 64 cod. proc. amm., secondo una consolidata giurisprudenza vigeva - e vige - nel processo amministrativo il principio di cui all’art. 2697 cod. civ., in forza del quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, anche se per la disuguaglianza di posizioni tra pubblica amministrazione e cittadini privati si applica pure nel processo medesimo il c.d. “metodo acquisitivo”, il quale consente al giudice di integrare allegazioni probatorie anche parziali; il che – peraltro - avviene senza che il giudice possa sostituirsi al diretto interessato, il quale deve comunque fornire qualche elemento di riscontro su vizi appresi anche in modo indiretto, o desunti dalla documentazione interna acquisita a seguito di accesso agli atti, e in nessun caso risultando ammissibili censure del tutto generiche, o basate su semplici supposizioni (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 24 gennaio 2011 n. 457).

Nel caso in esame l’assunto di coloro che hanno verbalizzato la sussistenza degli abusi edilizi in data 23 giugno 1986 secondo il quale l’edificio adibito ad abitazione risaliva “presumibilmente a diversi anni addietro”, senza alcuna ulteriore specificazione,non può di per sé costituire un idoneo “principio di prova” fornito in sede giudiziale dal Pellegrino al fine di ottenere al riguardo un’integrazione probatoria ope iudicis circa una risalenza della costruzione in epoca antecedente all’imposizione del vincolo contemplato dal D.M. 1 aprile 1968 n. 1404.

Ad ogni buon conto dall’esame del fascicolo del primo grado di giudizio consta che il Pellegrino ha prodotto agli atti di causa in data 6 maggio 2004 taluni supporti documentali intesi a provare la risalenza dell’attuale abitazione ad epoca antecedente all’imposizione del vincolo anzidetto, segnatamente costituita da:

1) rilievi fotografici risalenti agli anni sessanta, i quali, ancorché privi di data, risultano avallati

nella loro veridicità da dichiarazioni sostitutive prodotte sub 11 e 12 dello stesso deposito

di documenti, che attestano la realizzazione dell’abitazione del Sig. Pellegrino, attuale civico l0 di via Torbella in Genova, attraverso il recupero di una vecchia costruzione in muratura risalente all’incirca al 1920, con l’ulteriore puntualizzazione che tali opere sono iniziate nel 1976 e sono state ultimate nel 1979, come ulteriormente documentato dal rilievo fotografico n. 2 che ritrae i figli

del Pellegrino accanto all’abitazione;

2) attestazione della Camera di Commercio di Genova dd. 21 aprile 2004 circa la persistenza nella stessa Via Torbella, al civico n. 23 (corrispondente ora all’abitazione del titolare sig. Pellegrino Vittorio, fratello dell’attuale appellante) di un’attività di rigenerazione di fusti in ferro nel periodo compreso fra il 17 maggio1967 ed il 14 dicembre 1968 (cfr. doc. 3 di parte ricorrente in primo grado prodotto il 6 maggio 2004); con l’ultima sua memoria di replica dd. 16 ottobre 2012 e prodotta nel presente grado di giudizio l’attuale appellante ha precisato inoltre che “la sede dell’attività” in questione “è ivi indicata in Via Torbella civ. 23 in quanto il vecchio fabbricato risultava ancora sprovvisto di numero civico. Si ha riscontro di ciò nei documenti 4 e 5 del citato deposito documenti. Nel 1977 gli ispettori del Comune di Genova rilevano l’esistenza di una baracca in legno, “sita nel distacco nord di una vecchia costruzione in muratura sprovvista di numero civico con accesso dalla via Torbella” (doc. 4). Con tale verbale viene accertata l’esistenza del fabbricato principale, che già allora poteva essere definito “vecchio”, quindi preesistente al 1968 e contestualmente si precisava che l’edificio risultava privo di numero civico, numerazione che in effetti risulta essere stata assegnato in data 4 novembre 1977, come certificato dal Sindaco di Genova (doc. 5)”(cfr. memoria cit., pag. 1 e ss.).

Orbene, al di là della ben evidente apoditticità dell’assunto che correla la surriferita nozione di “vecchio” ad una realizzazione edilizia che si vorrebbe sicuramente“preesistente al 1968” e dell’inconferenza ai fini della decisione della presente causa della circostanza per cui in corrispondenza di un numero civico di Via Torbella comunque diverso dall’edificio in questione sarebbe stata in passato funzionante un’attività artigianale, risulta del tutto assorbente la notazione che, anche ammettendo come provata la preesistenza della costruzione originaria di cui al civico n. 10 di Via Torbella rispetto al vincolo generato dalla costruzione dell’autostrada, il condono non risulta comunque assentibile.

Come è ben noto, il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della L. 24 luglio 1961 n. 729 del 1961 e dal suseguente D.M. 1404 del 1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale , pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 settembre 2008 n. 4719 e Cass. Civ., Sez. II, 3 novembre 2010 n. 22422).

In tale contesto, le opere realizzate dopo l’imposizione del vincolo all’interno della fascia di rispetto autostradale rientrano nella previsione di cui all’art. 33 comma 1 lett. d), della L. 28 febbraio 1985 n. 47 e non sono pertanto suscettibili di sanatoria (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 18 ottobre 2002 n. 5716 e 25 settembre 2002 n. 4927).

Di tale circostanza è all’evidenza consapevole lo stesso appellante laddove afferma che il giudice di primo grado avrebbe omesso o comunque errato la valutazione della documentazione da lui prodotta.

Secondo il T.A.R., infatti, il Pellegrino avrebbe chiesto il condono per l’intera costruzione adibita ad abitazione, mentre secondo l’attuale appellante il condono sarebbe stato da lui chiesto soltanto per la sopraelevazione del preesistente edificio: tesi, quest’ultima, sostenuta dallo stesso Pellegrino al ben intuibile fine di sottrarre dalle conseguenze dell’edificazione abusiva il primo piano dell’abitazione.

Le risultanze processuali non confortano – tuttavia - l’assunto del Pellegrino, posto che il procedimento di condono rubricato sub R.G. 0379749005 e segnatamente relativo alla casa di abitazione ha per oggetto, come da lui stesso precisato, “Modifica e risanamento della parte preesistente dell’edificio-piano terreno”: dal che pertanto si evince che anche la parte originaria dell’edificio medesimo è stata oggetto di trasformazioni strutturali non assentibili, posto che in zona soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta sono ammessi soltanto interventi di restauro, risanamento conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria, consolidamento statico e risanamento igienico delle edilità esistenti (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 25 settembre 1995 n. 1346) e che, comunque, dall’attività di trasformazione dell’edilità preesistente complessivamente posta in essere dall’interessato (e, quindi, anche in dipendenza della sopraelevazione dell’edificio per la quale è stata concomitantemente presentata una separata pratica di condono) è conseguita la realizzazione all’interno dell’area inderogabilmente inibita all’edificazione di un corpo edilizio diverso da quello precedente e ragionevolmente non più scindibile nella sua funzionalità.

5. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.

Va, peraltro, dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modificazioni corrisposto per il presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modificazioni corrisposto per il presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)