Cass. Sez. III n. 32553 del 29 settembre 2006 (ud. 23 giu. 2006)
Pres. Papa Est. Miranda Ric. Pedrini
Beni Ambientali. Estinzione del reato paesaggistico per spontaneo ripristino

La causa estintiva del reato paesaggistico di cui all’articolo 181 comma 1-quinquies resta preclusa, oltre che dalla condanna, dall’emissione di un provvedimento amministrativo idoneo ad essere eseguito d’ufficio
Udienza pubblica del 23.6.2006
SENTENZA N. 1225/2006
REG. GENERALE n. 43891/2004


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dai Magistrati:
Dott. Enrico PAPA                                        Presidente
Dott. Vincenzo MIRANDA                              Consigliere
Dott.  Guido DE MAIO                                   Consigliere
Dott.  Alfredo TERESI                                    Consigliere
Dott. Antonio IANNIELLO                               Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da


PEDRINI RENATO, nato a Trento il 31 agosto 1962, e DALLAPE' CESARINO, nato a Trento il 17 ottobre 1962, a mezzo dei difensori avv.ti Claudio Failoni e Massimo Zanoni, con studio in Trento alla via Grazioli 106; avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 422/04 in data 6 ottobre 2004, di conferma della condanna alla pena di giorni sei di arresto ed euro 10.400,00 di ammenda ciascuno, per contravvenzione all'art. 163 del D.Lgs. 490/1999.


Udita la relazione del Cons. Vincenzo Miranda;
udito il P.G., in persona del dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Claudio Failoni, che ha chiesto accogliersi il ricorso.


Svolgimento del processo


Renato Pedrini e Cesarino Dallapè, opponenti a decreto penale di condanna, furono tratti a giudizio davanti al Tribunale di Trento, per rispondere: "a) della contravvenzione p. e p. dall'art. 163 D.Lgs. 490/1999 perché, in p.f. 1959/2 e 1907 c.c. Lasìno, in zona sottoposta a tutela paesaggistica in quanto sull'argine della roggia Calavino, senza l'autorizzazione paesaggistica, realizzavano un muretto in calcestruzzo dell'altezza di cm. 40; b) della contravvenzione prevista dall'art. 96 t.u. 523/2004 e punita dall'art. 374 L. 2248/1865 all. F, perché ponendo in essere il comportamento indicato al capo che precede, realizzavano un'opera che poteva alterare lo stato, la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso degli argini della roggia di Calavino. Fatti avvenuti in Lasino in data anteriore e prossima al 28.3.02". All'esito, furono riconosciuti colpevoli del primo reato e condannati - in concorso di attenuanti generiche e col beneficio della sospensione condizionale - alla pena di cui in epigrafe; furono invece assolti dalla seconda imputazione per insussistenza del fatto, essendosi escluso che la costruzione avesse arrecato pregiudizio al regime delle acque.


Impugnavano sia gli imputati che il P.M., e la Corte d'appello, ritenuto inammissibile il secondo gravame, ha respinto il primo, così confermando la sentenza impugnata.


Per la cassazione ricorrono i difensori degli imputati, articolando quattro motivi e adducendo un ulteriore complesso motivo nuovo.


Motivi della decisione


Col ricorso, comune ad entrambi gli imputati, vengono riproposte le questioni già disattese dai giudici di merito. I motivi risultano infatti formulati, in ordine successivo, come:


"I) manifesta illogicità della sentenza ex art. 606 n. 1 lett. e) c.p.p. nella parte in cui si è ritenuto che la nuova opera fosse incidente su un bene ambientale ricompresso nella categoria prevista dall'art. 146 comma 1 lett. c) del D.Lgs. 1999 n. 490", per tale via ribadendo che il vincolo paesaggistico è qualificazione ben diversa dalla 'zona di rispetto' in materia di acque pubbliche;


"II) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 n. 1 lett. b) in relazione all'art. 54 c.p. in materia di stato di necessità; mancanza di motivazione ex art. 606 n. 1 lett. e) c.p.p.", sotto tale profilo censurando la sentenza per l'erronea esclusione della cause di giustificazione invocata;


"III) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 n. 1 lett. b) c.p.p. in relazione all'art. 5 c.p. in materia di buona fede per errore scusabile. Mancanza di motivazione ex art. 606 n. 1 lett. e) c.p.p.", in tal guisa denunciando il superamento, ad opera del giudice a quo, della dedotta carenza dell'elemento psicologico del reato;


"IV) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 n. 1 lett. b) in relazione all'art. 163 del D.Lgs. 490/1999 in relazione alla insussistenza di alcun danno all'ambiente. Mancanza di motivazione ex art. 606 n. 1 lett. e) c.p.p.", così deducendo infine, la mancanza di offensività della condotta in concreto posta in essere.

Col motivo nuovo si fa poi valere la disposizione sopravvenuta, introdotta dall'art. 1 comma 36 lett. c) della legge 15 dicembre 2004 n. 308 con il comma 1-quinquies dell'art. 181 della legge 42/2004 - che aveva sostituito l'originario art. 163 del D.Lgs. 490/1999 -, per inferirne l'estinzione del reato, in dipendenza della intervenuta rimessione in pristino dell'area interessata dalla contestazione.


Le censure mosse col ricorso sono certamente prive di pregio, per le ragioni già addotte dalla corte territoriale, che, immuni da errori di diritto, appaiono tutte sostenute da idonea motivazione, andando così esenti da censure in sede di legittimità. Fondato, invece, è il nuovo motivo, dedotto in dipendenza della richiamata disciplina di ius superveniens, a mente dell'art. 609, comma 2, inciso finale, c.p.p.


Il comma 1-quinquies del D.Lgs. 42/2004 - come sopra introdotto - stabilisce, infatti, che "la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta di ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1" (nel quale è stato trasfuso quello, originariamente contestato, ex art. 163 D.Lgs. 490/1999). La rimessione in pristino, nel caso in esame, è già attestata nella sentenza di primo grado, là dove si legge che, "secondo i tempi concordati con il Servizio tecnico del Comune, i signori Pedrini e Dallapè provvedevano alla demolizione dei muretti in calcestruzzo, ripristinando l'originario stato dei luoghi e così consentendo l'inizio dei lavori rivolti a risolvere il problema idraulico legato alle esondazioni della roggia" (ivi, p. 2). Onde essa, intervenuta comunque prima della condanna, appare eseguita in assenza di una disposizione di ripristino di ufficio propriamente detta, carattere non rivestito dal mero ordine in tal senso rivolto dalla autorità amministrativa.


Ritiene infatti il collegio che la disposizione sopra indicata vada interpretata nel senso che la causa estintiva resta preclusa (oltre che dalla condanna) dalla emissione di un provvedimento amministrativo idoneo ad essere eseguito di ufficio.


La causa di estinzione sopravvenuta si applica alla fattispecie in esame in virtù dei principi fissati nell'art. 2 c.p.


La sentenza impugnata va pertanto annullata, senza rinvio, per effetto della rilevata estinzione.


P. Q . M .


La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato e estinto per intervenuta demolizione del manufatto.

 

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2006.


Il consigliere estensore              Il presidente
   Vincenzo Miranda                   Enrico Papa