Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 9, del 5 gennaio 2015
Urbanistica.Modificazione della vecchia stalla per conigli in locale per la vendita al pubblico dei prodotti agricoli

La modificazione della destinazione d’uso della vecchia stalla per conigli in locale per la vendita diretta al pubblico dei prodotti agricoli, non determina una modificazione nella destinazione d’uso agricolo dello stesso. Ai sensi del secondo comma dell’articolo 2135 cod. civ. sono comunque considerate connesse a quelle tipiche dell’imprenditore agricolo le attività dirette alla commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o dall’allevamento di animali. (Segnalazione e massi a cura di F. Albanese)

N. 00009/2015REG.PROV.COLL.

N. 08622/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8622 del 2013, proposto dall’azienda agricola ‘Il Nuovo Bosco’ S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Lavatelli, Vincenzo Latorraca e Cristina Della Valle, con domicilio eletto presso Cristina Della Valle in Roma, via Merulana, 234 

contro

Comune di Novedrate, in persona del Sindaco, legale rappresentane pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Mascetti e Ercole Romano, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, 2 

per la riforma della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione II, n. 1985/2013

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Novedrate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Magnano San Lio per delega dell’avvocato Della Valle e l’avvocato Corbions per delega dell’avvocato Mascetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

FATTO

I presupposti fattuali della vicenda di causa vengono descritti nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 1985/2013.

L’appellante azienda agricola ‘Il Nuovo Bosco’ s.r.l. (d’ora innanzi anche “Nuovo Bosco s.r.l.” o “la società appellante”) è proprietaria di un vasto appezzamento di terreno collocato nei territori dei Comuni di Novedrate, Mariano Comense e Lentate sul Seveso, utilizzati dalla stessa per lo svolgimento di attività zootecnica.

In data 14 luglio 2011, la società appellante presentava al Comune di Novedrate istanze di accertamento di conformità edilizia e di accertamento di compatibilità paesaggistica per un intervento eseguito senza titolo su un immobile situato nel suindicato complesso e, precisamente, su un edificio situato nel territorio del predetto Comune ed identificato al mapp. n. 1697, foglio n.6.

Il Comune di Novedrate, con provvedimenti in data 23 aprile 2012 prot. n. 2832 e prot. n. 2822, preannunciava l’accoglimento delle suddette istanze, specificando tuttavia che tale accoglimento sarebbe stato subordinato alla condizione sospensiva del pagamento delle sanzioni pecuniarie connesse all’illecito edilizio ed all’illecito paesaggistico commessi ed ammontanti rispettivamente ad euro 28.678,42 ed euro 75.437,39.

Tali prescrizioni sono state ribadite nel provvedimento assunto in data 18 giugno 2012, con il quale è stata accolta l’istanza di accertamento di conformità edilizia e nelle note del 7 giugno 2012, con le quali il Comune ha disatteso le richieste di riesame formulate dalla parte.

I provvedimenti da ultimo richiamati sono stati impugnati dalla Nuovo Bosco s.r.l. dinanzi al T.A.R. della Lombardia il quale, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata dalla società appellante la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi di doglianza.

Con il primo motivo la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui si è affermato (condividendo sul punto le affermazioni del Comune) che gli interventi realizzati dalla stessa appellante (e per i quali era stata presentata istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) avessero determinato una modificazione della destinazione d’uso dell’immobile stesso.

In particolare, il Comune di Novedrate (con deduzione confermata in parte qua dai primi Giudici) avrebbe erroneamente ritenuto che l’intervenuta modificazione della destinazione d’uso fosse desumibile: a) dalla destinazione sostanzialmente commerciale impressa al manufatto già in precedenza destinato all’allevamento di conigli e censito in catasto terreni al mappale 1697; b) dall’aumento della superficie dell’immobile in questione determinata dal nuovo rivestimento in pietra e mattoni.

In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che, ai sensi della pertinente normativa nazionale e regionale, le attività di vendita dei prodotti agricoli del fondo rientrano sotto ogni aspetto fra le attivitàstricto sensu agricole, ragione per cui risulterebbe erronea l’assimilazione di tale attività a quella commerciale sia per quanto riguarda la pretesa modificazione della destinazione d’uso (invero, mai realizzata), sia per quanto riguarda la quantificazione della sanzione conseguente alla realizzazione sine titulo degli interventi all’origine dell’istanza di accertamento di conformità.

L’erronea deduzione del Comune (confermata in parte qua dai primi Giudici) avrebbe comportato la - parimenti erronea - qualificazione degli interventi in questione come di ‘ristrutturazione edilizia’ e non come di ‘manutenzione straordinaria’, in tal modo contraddicendo in modo ingiustificato quanto rappresentato dalla società appellante in sede di istanza di accertamento di conformità.

E tale errore avrebbe comportato conseguentemente un ulteriore errore nell’individuazione della normativa applicabile ai fini sanzionatori. Ed infatti il Comune (e con esso il T.A.R.) avrebbe erroneamente ritenuto non applicabile al caso in esame la previsione di cui all’articolo 37 del d.P.R. 380 del 2001 (riferita all’ipotesi di interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla D.I.A.), ritenendo – al contrario – che il titolo abilitativo richiesto per l’intervento in questione fosse il permesso di costruire e non la semplice D.I.A. (in seguito: S.C.I.A.).

Inoltre, altrettanto erroneamente il Comune (e con esso il T.A.R.) avrebbe ritenuto applicabili al caso in esame le previsioni di cui agli articoli 16 e 36, comma 2 del medesimo d.P.R. 380 del 2001 (inerenti la determinazione del contributo per il rilascio del permesso di costruire).

Ma, ancora una volta, l’erronea individuazione delle disposizioni applicabili ai fini determinativi discenderebbe dall’altrettanto erronea individuazione del titolo abilitativo necessario e - ancora più a monte – dalla non corretta qualificazione dell’intervento come implicante una modificazione della destinazione d’uso dell’immobile.

Per quanto riguarda, poi, la determinazione della sanzione per il danno ambientale arrecato all’area sottoposta a vincolo (articoli 167, comma 5 e 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004), il Comune – e in seguito il T.A.R. – avrebbe erroneamente preso le mosse dalla qualificazione dell’intervento come di ‘ristrutturazione edilizia’ (e non come di ‘manutenzione straordinaria’), in tal modo pervenendo a una quantificazione tanto eccessiva, quanto ingiusta.

Con il secondo motivo la società appellante lamenta sotto diversa angolazione l’erronea qualificazione degli interventi operati sull’immobile i quali (nella tesi del Comune, condivisa dai primi Giudici) avrebbero comportato un cambio nella destinazione d’uso.

Ma il punto è che se davvero cambio della destinazione d’uso vi fosse stato, non sarebbe stato neppure possibile rilasciare il richiesto accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 36, d.P.R. 380, cit., e ciò rappresenterebbe un insanabile profilo di incongruità dell’operato del Comune (nonché della sentenza in epigrafe).

Ad ogni modo, siccome è provato che non si sia verificata alcuna modificazione della destinazione d’uso dell’immobile, del tutto erroneamente il Comune (e in seguito il T.A.R.) avrebbero affermato la possibilità di un incremento del carico urbanistico conseguente all’avvio in loco di un’attività di vendita dei prodotti del fondo.

Allo stesso modo, il Comune avrebbe in modo erroneo (se pure, confermato dai primi Giudici) affermato che il carattere di ‘ristrutturazione edilizia’ degli interventi per cui è causa sarebbe confermato dall’aumento della superficie lorda di pavimento determinato dall’introduzione di un nuovo rivestimento in pietra e mattoni che ha ispessito i muri perimetrali per circa 25 cm.

A tacer d’altro, il rivestimento delle pareti esterne non potrebbe rappresentare in alcun modo l’elemento discretivo in base al quale affermare la natura di ‘ristrutturazione edilizia’ dell’intervento per cui è causa.

Con il terzo motivo (articolato in via soltanto subordinata rispetto all’accoglimento dei primi due motivi) la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto i motivi di ricorso relativi alla quantificazione della sanzione applicata per l’illecito paesaggistico.

In particolare, i primi Giudici avrebbero erroneamente affermato che la scelta del Comune di assumere quale parametro di riferimento per le operazioni di computo di cui all’articolo 167, co. 5 del decreto legislativo n. 42 del 2004 i valori di immobili aventi destinazione commerciale rientrasse nell’ambito della discrezionalità tecnica dell’Ente accertatore, sì da consentirne la censura solo in caso di palesi profili di irragionevolezza o incongruità.

In tal modo statuendo i primi Giudici avrebbero omesso di tenere in adeguata considerazione la peculiarità dell’attività agricola la quale (ai sensi delle pertinenti disposizioni del diritto comunitario, nazionale e regionale) include certamente le attività di vendita dei prodotti del fondo, senza - per ciò stesso – comportare alcuna assimilazione alle attività commerciali in senso proprio.

Un ulteriore motivo di doglianza (pagine da 26 a 31 dell’atto di appello) è dedicato al passaggio della sentenza relativo all’irrogazione della sanzione per violazioni urbanistiche, con particolare riguardo alla scelta del Comune (confermata dal T.A.R.) di applicare al caso in esame la previsione (meno favorevole) di cui agli articoli 16 e 36 del d.P.R. 380 del 2001, in luogo di quella (più favorevole) di cui all’articolo 37 del medesimo decreto.

A ben vedere, comunque, il motivo di gravame in parola si limita a condurre ad ulteriori conseguenze i motivi già in precedenza descritti.

Con un ulteriore motivo di doglianza (pagine da 31 a 36 dell’atto di appello) la società Nuovo Bosco s.r.l. lamenta sotto ulteriori profili l’erroneità delle determinazioni del Comune (in seguito confermate dal T.A.R.) in ordine alla quantificazione della sanzione di cui agli articoli 167, comma 5 e 181 del ‘Codice dei paesaggio’.

Si è costituito in giudizio in Comune di Novedrate il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Con ordinanza n. 83/2014 (resa all’esito della camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014) questo Consiglio di Stato ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata.

Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da un’azienda agricola lombarda (la quale aveva avviato un’attività di vendita diretta dei suoi prodotti agricoli presso un manufatto già adibito a stalla per conigli) avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato respinto il ricorso dalla stessa avverso gli atti con cui il Comune di Novedrate:

- (per un verso) ha accolto l’istanza volta al riconoscimento della compatibilità ai fini edilizi e paesaggistici dell’intervento di trasformazione, ma

- (per altro verso) lo ha subordinato al pagamento di una sanzione di importo particolarmente elevato, fondandosi sul presupposto dell’avvenuto cambiamento di destinazione d’uso del manufatto (da agricolo a commerciale) in un’area in cui ciò non risulta consentito dalla pertinente disciplina di Piano (si tratta di area a destinazione agricola).

2. L’appello è fondato.

3. Come si è osservato in narrativa, il fulcro del thema decidendum consiste nello stabilire se, effettivamente, l’aver effettuato interventi di rinnovo e sostituzione di parti anche strutturali di un immobile già adibito a stalla per conigli e l’averlo destinato all’attività di vendita diretta dei prodotti agricoli derivanti dall’allevamento della stessa azienda agricola, abbia comportato una modificazione della destinazione d’uso dell’immobile stesso (il quale sarebbe stato in concreto destinato all’esercizio di un’attività commerciale).

Si è già osservato che, nella tesi del Comune di Novedrate (in seguito condivisa dai primi Giudici), le caratteristiche oggettive dell’intervento e il rilevato aumento della superficie lorda di pavimento indicessero a qualificare l’intervento in parola come di ‘ristrutturazione edilizia’, con conseguente applicabilità delle (meno favorevoli) previsioni di cui agli articoli 16 e 36, comma 2 del d.P.R. 380 del 2001 per ciò che riguarda gli aspetti edilizi dell’intervento.

Allo stesso modo, la richiamata (e qui contestata) qualificazione avrebbe comportato effetti sfavorevoli per l’appellante anche per ciò che riguarda la sanzione relativa alle violazioni di carattere paesaggistico ai sensi degli articoli 167, comma 5 e 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, atteso che la parametrazione del ‘maggior valore’ sulla base di attività di carattere commerciale in senso stretto avrebbe indotto ad assumere quale parametro di riferimento un valore economico di importo ingiustificatamente elevato.

3.1. Ebbene, in tal modo impostati i termini sistematici della questione, il Collegio osserva che gli atti impugnati in primo grado risultano effettivamente viziati dei profili di illegittimità richiamati in narrativa.

Qui di seguito, pertanto, si esamineranno in sequenza le ragioni poste dal Comune di Novedrate a fondamento della ritenuta qualificazione dell’intervento come di ristrutturazione edilizia, e in particolare: a) l’argomento basato sulla ritenuta modificazione della destinazione d’uso del bene (originariamente destinato a un uso pacificamente agricolo); b) l’argomento basato sul ritenuto incremento della superficie lorda di pavimento.

3.1.1. Per quanto riguarda il primo aspetto (si tratta della presunta modificazione della destinazione d’uso della vecchia stalla per conigli in locale per la vendita diretta al pubblico dei prodotti agricoli), va condivisa la tesi della società appellante secondo cui il richiamato, diverso, utilizzo dell’immobile non abbia determinato una modificazione nella destinazione d’uso agricolo dello stesso.

Al riguardo è stato condivisibilmente osservato:

- che, ai sensi del secondo comma dell’articolo 2135 cod. civ. (nel testo sostituito ad opera dell’articolo 1 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228), sono comunque considerate ‘connesse’ a quelle tipiche dell’imprenditore agricolo le attività dirette alla “commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo (…) o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata”. Ora, lo stesso Comune di Novedrate concorda sul fatto che gli interventi operati sull’immobile per cui è causa siano rivolti a rendere colà possibile la vendita diretta dei prodotti del fondo, ragione per cui risulta che del tutto correttamente l’appellante abbia richiamato la disposizione codicistica la quale assimila ai fini disciplinari le attività ‘connesse’ a quelle agricole in senso proprio;

- che una conferma di quanto appena osservato è fornita dal nuovo comma 8-ter dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 228 del 2001, cit. (per come inserito ad opera del comma 1 dell’articolo 30-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 , nel testo integrato dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98), secondo cui “l'attività di vendita diretta dei prodotti agricoli ai sensi del presente articolo non comporta cambio di destinazione d'uso dei locali ove si svolge la vendita e può esercitarsi su tutto il territorio comunale a prescindere dalla destinazione urbanistica della zona in cui sono ubicati i locali a ciò destinati”. Al riguardo il Collegio osserva che, pur trattandosi di disposizione introdotta nel corpus del richiamato decreto legislativo n. 228 successivamente all’adozione degli atti impugnati in primo grado (e nella pendenza del presente giudizio), alla stessa sia da riconoscere valenza meramente ricognitiva del pregresso quadro normativo, quanto meno in relazione all’ipotesi (che qui ricorre) in cui la vendita diretta dei prodotti agricoli sia esercitata nello stesso compendio in cui si svolge l’attività agricola in quanto tale e, pertanto, in porzioni del territorio comunale già dotate di destinazione agricola;

- che, ai sensi della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (‘Legge per il governo del territorio’), articolo 59 (‘Interventi ammissibili’), “nelle aree destinate all'agricoltura dal piano delle regole [e l’intervento in questione ricade effettivamente in area destinata all’agricoltura dalla pertinente disciplina di Piano] sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dall'articolo 60”. Ne resta confermata la tesi secondo cui anche la pertinente normativa regionale assimili ai fini disciplinari l’attività di vendita dei prodotti agricoli a quelle tipiche di coltivazione del fondo e di allevamento di animali di cui all’articolo 2135 cod. civ.;

- che, ai sensi dell’articolo 30 delle NN.TT.AA. al P.G.T. comunale (sub 1.9 ‘Attività agricole’), gli immobili destinati (inter alia) “ [alla] vendita diretta di prodotti dell’azienda” sono qualificati come ‘infrastrutture agricole’.

Pertanto, già ai sensi del richiamato quadro normativo nazionale e regionale (nonché in base alle richiamate disposizioni comunali), emerge l’erroneità dell’operato del Comune appellato il quale ha ritenuto che il diverso utilizzo del locale già destinato a stalla per conigli ne avesse determinato una sostanziale modificazione nella destinazione d’uso e che tale diverso utilizzo/modificazione deponesse ex se nel senso di qualificare l’intervento operato dalla società appellante quale ‘ristrutturazione edilizia’ e non quale intervento di ‘manutenzione straordinaria’.

3.1.1.1. Per ragioni in parte analoghe a quelle appena esposte, non può condividersi l’argomento offerto dai primi Giudici (punti 23 e 24 della sentenza in epigrafe) secondo cui, pur ammettendo che la vendita diretta dei prodotti del fondo sia da qualificare come ‘attività connessa’ a quella agricola ai sensi dell’articolo 2135 cod. civ., nondimeno il diverso utilizzo qui realizzato concreterebbe un mutamento della destinazione d’uso, in considerazione del maggiore carico urbanistico connesso a tale diverso utilizzo.

Al riguardo la società appellante ha condivisibilmente osservato che, laddove si accedesse alla tesi offerta dai primi Giudici, si introdurrebbero nel sistema evidenti quanto inammissibili elementi di incertezza sotto il profilo qualificatorio e disciplinare, inducendo a ritenere che l’incremento del carico urbanistico (comunque, nel caso di specie, non dimostrato) possa costituire di per sé indice dell’avvenuta modificazione della destinazione d’uso, anche laddove la destinazione in questione sia rimasta in concreto invariata.

Al riguardo ci si limita ad osservare che, se (per un verso) è vero che il comma 3 dell’articolo 10 del d.P.R. 380 del 2001 ha consentito alle regioni di individuare particolari interventi da assoggettare comunque al regime del permesso di costruire “in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico”, è pur vero che (per altro verso) non risulta in atti che la Regione Lombardia si sia in concreto avvalsa di tale facoltà, assoggettando a permesso di costruire interventi del tipo di quello per cui è causa (e in assenza di modificazioni nella destinazione d’uso).

Si osserva inoltre che, stante l’evidente carattere eccettuale della disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 10, cit., non può in alcun modo ritenersi l’applicabilità della disposizione in questione al di fuori dei casi ivi espressamente contemplati (arg. ex art. 14 disp. prel. cod. civ.).

3.1.1.2. Per ragioni in tutto analoghe a quelle appena esposte, neppure può essere condiviso l’argomento del Comune di Novedrate, il quale postula una sorta di ‘sdoppiamento’ fra: a) (da un lato) il riconoscimento della compatibilità della destinazione d’uso del locale con la zona agricola (il quale rileverebbe al fine di ammettere l’accertamento di compatibilità ai fini edilizi) e b) (dall’altro) l’assimilazione dell’immobile in questione a quelli con destinazione d’uso commerciale ai soli fini della commisurazione della sanzione.

A tacer d’altro, tale argomento (oltre a postulare una sorta di inammissibile ‘scissione’ ai fini disciplinari di cui non è traccia nella normativa di settore) finirebbe – laddove accolto - per privare di effetti in executivis il riconosciuto carattere ‘agricolo’ della destinazione d’uso del bene, il quale verrebbe assoggettato a una disciplina ingiustificatamente ‘ancipite’ a seconda dell’angolo visuale attraverso il quale si riguardi a una fattispecie che – al contrario – deve essere considerata sotto ogni aspetto unitaria.

3.1.1.3. Concludendo sul punto, la sentenza in epigrafe è meritevole di riforma per la parte in cui i primi Giudici non hanno rilevato l’erroneità dell’operato del Comune di Novedrate il quale aveva ritenuto che l’intervenuta modificazione nella destinazione d’uso dell’immobile ad uso agricolo per cui è causa (modificazione in concreto insussistente) costituisse ex se un indice idoneo a qualificare gli interventi operati sull’immobile medesimo come ‘di ristrutturazione edilizia’ e non ‘di manutenzione straordinaria’.

3.1.2. Per quanto riguarda il secondo degli aspetti considerati dal Comune appellato ai fini della qualificazione dell’intervento (ci si riferisce al ritenuto incremento della superficie lorda di pavimento), si ritiene che le deduzioniin parte qua svolte dal Comune (e confermate dai primi Giudici) non possano essere condivise.

In particolare, una volta chiarito che non vi era stata nel caso in esame alcuna modificazione nella destinazione d’uso dell’immobile, si ritiene che il solo ispessimento delle pareti perimetrali (per circa 25 cm.) conseguente al nuovo rivestimento esterno con pietre e mattoni non risultasse ex se sufficiente ad imprimere una diversa qualificazione all’intervento edilizio, inducendo a qualificarlo come ‘ristrutturazione edilizia’ ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 380 del 2001.

Al riguardo si osserva:

- che è pacifico in atti che gli interventi sul rivestimento non abbiano comportato alcun aumento della superficie utile interna dell’immobile (la quale è in effetti rimasta invariata). Si osserva al riguardo che, pur nel silenzio sul punto da parte dell’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 380 del 2001, il riferimento ivi previsto all’incremento delle ‘superfici’ delle unità immobiliari sembra correttamente da riferire ai soli incrementi delle superfici utili interne e non anche al caso – che qui ricorre – di incrementi (peraltro lievi) delle dimensioni esterne dei soli muri perimetrali. Elementi sistematici in tal senso sono desumibili: a) dal comma 2-ter dell’articolo 34, d.P.R. 380, cit. (il quale riferisce la nozione di ‘parziale difformità’ rispetto al titolo rilasciato alle sole divergenze relative alla “superficie coperta”); b) dal comma 1 dell’articolo 49 (il quale connette la perdita dei benefici fiscali connessi alla realizzazione degli interventi al solo contrasto fra la “superficie coperta” assentita e quella in concreto realizzata);

- che la competente Soprintendenza, nel rendere il parere di competenza (atto in data 6 marzo 2012) aveva ritenuto che “il modesto aumento della superficie utile sia scarsamente percepibile”. Si tratta di un elemento di per sé contrastante ed incompatibile con la tesi del Comune (trasfusa nel provvedimento in data 7 giugno 2012, impugnato in primo grado) secondo cui l’intervento realizzato dalla società appellante avrebbe determinato una “trasformazione radicale dell’immobile”;

- che, in ogni caso, il comma 1 dell’articolo 62 della legge regionale n. 62 del 2005 ammette l’assentibilità con semplice D.I.A. – in seguito: S.C.I.A. – (e non con permesso di costruire, come ritenuto dal Comune) anche degli interventi di “ampliamento” di manufatti preesistenti. Sotto tale aspetto, non può essere condivisa la tesi del Comune appellato il quale ritiene che la previsione di cui all’articolo 62, cit. non consentirebbe comunque di invocare nel caso in esame l’applicabilità della disposizione sanzionatoria di cui al comma 4 dell’articolo 37, d.P.R. 380, cit. (nella tesi del Comune, trattandosi nel caso di specie di D.I.A. alternativa al permesso di costruire, il regime sanzionatorio applicabile al caso in esame sarebbe pur sempre quello di cui agli articoli 16 e 36, comma 2, d.P.R. 380, cit.). A prescindere da ogni altra considerazione, la tesi in parola non può essere condivisa in quanto la sua articolazione prende pur sempre le mosse dalla qualificazione – da questo Giudice di appello non condivisa - dell’intervento in questione come di ‘ristrutturazione edilizia’ e non di ‘manutenzione straordinaria’.

3.2. Concludendo sul punto, la sentenza in epigrafe deve essere riformata per la parte in cui (confermando in parte qua le deduzioni del Comune di Novedrate) ha ritenuto:

- che gli interventi operati sull’immobile ad uso agricolo dinanzi richiamato avessero comportato una modificazione nella relativa destinazione d’uso;

- che tali interventi fossero da qualificare come ‘di ristrutturazione edilizia’ e non come di ‘manutenzione straordinaria’ (ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. 380, cit.) e che fossero conseguentemente assoggettati al regime del permesso di costruire (e non – come ritenuto dalla società appellante – al regime della D.I.A./S.C.I.A.);

- che, conseguentemente, il regime sanzionatorio applicabile nel caso in esame fosse quello di cui al combinato disposto di cui agli articoli 16 e 36, comma 2 del d.P.R. 380, cit. e non quello (più favorevole) di cui al comma 5 dell’articolo 37 del medesimo decreto per le ipotesi di interventi ordinariamente assoggettati al regime della D.I.A./S.C.I.A.

3.3. L’accoglimento del ricorso in epigrafe per le ragioni e nei sensi dinanzi richiamati comporta l’integrale annullamento delle sanzioni irrogate dal Comune appellato e l’assorbimento degli ulteriori motivi di doglianza articolati avverso gli atti in questione (peraltro, in via solo subordinata rispetto all’accoglimento dei motivi articolatiprincipaliter).

Pertanto, in sede di rideterminazione del quantum sanzionatorio in concreto dovuto, il Comune di Novedrate si atterrà ai principi e alle qualificazioni dinanzi forniti.

4. Le osservazioni svolte dinanzi sub 3 in ordine alle conseguenze sanzionatorie per le violazioni di carattere edilizio contestate alla società appellante consentono di affrontare in modo corretto anche i motivi di appello relativi alle conseguenze sanzionatorie per le violazioni di carattere paesaggistico.

4.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che, per le ragioni dinanzi esposte retro, sub 3.1., l’atto di preavviso in data 23 aprile 2012 e il provvedimento conclusivo in data 7 giugno 2012 sono affetti dai lamentati profili di illegittimità per aver assunto, quale presupposto per la determinazione del quantum sanzionatorio, la presunta modificazione della destinazione d’uso dell’immobile da ‘agricola’ a ‘commerciale’.

Se, infatti, può concordarsi con i primi Giudici circa il fatto che il comma 5 dell’articolo 167 del ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ riconosce alle amministrazioni margini di discrezionalità piuttosto ampi in ordine alla concreta determinazione del quantum sanzionatorio, è altresì vero che, nel caso in esame, l’amministrazione comunale ha proceduto a tale determinazione sulla base di un presupposto fattuale e giuridico (quello della richiamata modificazione nella destinazione d’uso dell’immobile) semplicemente errato e che tale erronea determinazione si è riverberata con effetto viziante sull’intero processo determinativo.

In particolare, l’erroneità dei richiamati presupposti si è riverberata sulla scelta di calcolare il valore venale post-intervento sulla base delle quotazioni immobiliari dei capannoni industriali della zona con vocazione commerciale (ritenuta ‘la più simile’ rispetto a quella in concreto esercitata nell’immobile assoggettato a verifica di conformità).

4.2. Conseguentemente, nel rideterminare il ‘profitto conseguito’ dalla società appellante per effetto degli interventi sull’immobile (interventi di cui è stata comunque accertata la compatibilità paesaggistica ai sensi dello stesso articolo 167), il Comune di Novedrate dovrà assumere quale prius logico quello dell’invarianza della destinazione d’uso agricola del manufatto.

5. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere disposto l’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado, fatto salvo il corretto esercizio da parte del Comune appellato delle proprie prerogative sanzionatorie secondo quanto in precedenza specificato.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti, anche in considerazione della peculiarità e parziale novità della vicenda di causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti in tale sede impugnati.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/01/2015

IL SEGRETARIO