Consiglio di Stato Sez. II n. 8542 del 4 novembre 2025
Urbanistica.Requisiti della demo-ricostruzione e differenza con la nuova costruzione

Nella c.d. demoricostruzione l’intervento deve avere a oggetto un unico edificio, nel senso che nella fase di ricostruzione è precluso – meglio, esorbita dall’ambito della “ristrutturazione ricostruttiva” – l’accorpamento di volumi precedentemente espressi da manufatti diversi ovvero il frazionamento di un volume originario in più edifici di nuova realizzazione. Essa presuppone necessariamente una contestualità temporale tra la demolizione e la ricostruzione, dando luogo ad una “unitarietà” dell’intervento prospettato con la Scia, nel senso, dunque, che entrambe debbono essere legittimate dal medesimo titolo. Devono ritenersi escluse – meglio, conducono a qualificare l’intervento come “nuova costruzione” – tutte quelle opere che non siano meramente funzionali al riuso del volume precedente e che comportino una trasformazione del territorio ulteriore rispetto a quella già determinata dall’immobile demolito. Infatti, nelle varie evoluzioni della nozione di “ristrutturazione ricostruttiva” che si sono susseguite, è rinvenibile un minimo comune denominatore, consistente nel fatto che l’intervento deve comunque risultare “neutro” sotto il profilo dell’impatto sul territorio nella sua dimensione fisica. Tale condizione, sicuramente sottesa a quella “fedele ricostruzione” che si pretendeva in origine, deve ritenersi presente anche nell’attuale quadro normativo e si evince dall’art. 10 del d.l. n. 76 del 2020 (conv. in legge n. 120 del 2020), il quale, pur avendo eliminato i precedenti requisiti presupponenti una rigida “continuità” tra le caratteristiche strutturali dell’immobile preesistente e quelle del manufatto da realizzare, ha comunque ricondotto tali innovazioni agli scopi di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e di contenimento del consumo di suolo, così confermando la finalità “conservativa” sottesa al concetto di ristrutturazione (segnalazione M. Grisanti)

N. 08542/2025REG.PROV.COLL.

N. 00834/2025 REG.RIC.

N. 02022/2025 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 834 del 2025, proposto dal Comune di Milano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Maria Lodovica Bognetti, Maria Giulia Schiavelli e Giuseppe Lepore, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Polibio, n. 15;

contro

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocata Wanda Mastrojanni, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia;
Pietro Saibene, Flavia Maccari, Gerardo Palmitesta, Nicoletta Manzini, Alessandro Scarani, Giulia Scarani, non costituiti in giudizio;

nei confronti

di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Alessandra Bazzani, Giuseppe Lo Pinto e Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;


sul ricorso numero di registro generale 2022 del 2025, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocata Wanda Mastrojanni, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Maria Lodovica Bognetti, Maria Giulia Schiavelli e Giuseppe Lepore, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Polibio, n. 15;

nei confronti

di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Alessandra Bazzani, Giuseppe Lo Pinto e Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;

per la riforma

quanto al ricorso n. 834 del 2025,

per quanto riguarda l’appello principale del Comune di Milano:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione II, 7 agosto 2024, n. -OMISSIS-/2024, resa tra le parti;

per quanto riguarda l’appello incidentale proposto da -OMISSIS- il 6 febbraio 2025:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione II, 7 agosto 2024, n. -OMISSIS-/2024, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 2022 del 2025:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione II, 7 agosto 2024, n. -OMISSIS-/2024, resa tra le parti.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione di -OMISSIS- nonché di -OMISSIS-, -OMISSIS- nel giudizio r.g.n. 834 del 2025 e del Comune di Milano nonché di -OMISSIS- nel giudizio r.g.n. 2022 del 2025;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2025 il consigliere Alessandro Enrico Basilico e uditi per le parti gli avvocati Antonello Mandarano, Maria Alessandra Bazzani, Giuseppe Lo Pinto e Wanda Mastrojanni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Viene impugnata, da più soggetti e in più parti, la sentenza del T.a.r. per la Lombardia che, in accoglimento del ricorso di primo grado, ha annullato il provvedimento con cui il Comune di Milano ha attestato la conformità edilizia e urbanistica dell’intervento di demolizione e ricostruzione, con cambio di destinazione da industriale a residenziale, di un edificio in via -OMISSIS-, negando tuttavia il risarcimento del danno chiesto dai ricorrenti.

La decisione è censurata: dall’Ente, con l’appello principale incardinato con r.g.n. 834 del 2025; dalla società proprietaria del bene oggetto dell’intervento, con appello incidentale proposto nell’ambito del medesimo giudizio r.g.n. 834 del 2025; dal condominio vicino all’immobile e da singoli condomini ricorrenti in primo grado, con appello autonomo incardinato con r.g.n. 2022 del 2025.

2. I fatti di causa rilevanti, quali emergono dalle affermazioni delle parti non specificamente contestate e comunque dagli atti e documenti del giudizio, possono essere sinteticamente ricostruiti nei termini seguenti.

2.1. La società -OMISSIS- (di seguito, “la società proprietaria” o “la società”) ha acquisito l’immobile oggetto di causa per effetto del decreto del Tribunale di Milano n. -OMISSIS- 2017, emesso nell’ambito della procedura r.g.e. n. -OMISSIS- del 2013.

2.2. Il 27 luglio 2018 ha presentato al Comune di Milano la segnalazione certificata d’inizio attività (Scia) prot. -OMISSIS-avente a oggetto opere di bonifica preventiva alla demolizione e ricostruzione, rappresentando la demolizione degli edifici esistenti, secondo la procedura semplificata disciplinata dall’art. 242-bis del codice dell’ambiente approvato con d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Questo progetto è stato interessato da una variante, oggetto della Scia prot. -OMISSIS- del 14 dicembre 2018, relativa a opere di demolizione con l’indicazione della rimozione degli alberi esistenti.

Sulla base di questi atti, l’immobile è stato demolito nel 2018.

2.3. In parallelo, il 14 giugno 2018 è stata presentata l’istanza prot. -OMISSIS- per l’attivazione dell’istruttoria preliminare facoltativa prevista dall’art. 40 del regolamento edilizio comunale (disposizione che disciplina l’attivazione di un procedimento istruttorio preliminare che consenta l’individuazione delle linee fondamentali degli elementi caratterizzanti l’intervento e la fattibilità dello stesso), rispetto alla quale – come riferito nell’istruttoria tecnica del 17 ottobre 2023 – sono stati comunicati l’esito negativo dell’istruttoria tecnica e il parere favorevole della commissione per il paesaggio.

Un’analoga istanza è stata presentata il 25 agosto 2021 e ha ottenuto un esito favorevole sia sul piano tecnico, sia su quello paesaggistico.

2.4. Il 5 agosto 2022 la società ha presentato al Comune di Milano la Scia prot. -OMISSIS-, alternativa al permesso di costruire, per un intervento di demolizione e ricostruzione dell’immobile in questione, con la stessa superficie lorda di pavimento (s.l.p.) preesistente fuori sagoma e sedime.

2.5. Secondo la relazione allegata alla Scia, l’edificio preesistente, un tempo adibito a laboratorio e poi dismesso, si articolava in due corpi di fabbrica: «il primo, risalente a dopo il 1910, un semplice rettangolo costruito in muratura con grandi specchiature di serramento tipiche dei laboratori produttivi con copertura a volta tirantata ai muri portanti», con una struttura portante in mattoni pieni e legata al muro perimetrale; il secondo, posto in adiacenza al muro di confine verso un’altra proprietà, con una struttura in cemento armato gettato in opera e uno sviluppo su due piani, perché «attraverso una scala in ferro, si sale al corpo che ospitava in origine il locale mensa del laboratorio che è anche il corpo edilizio più alto, che si sviluppa fino ad una altezza di colmo di 9,50mt. e con una altezza di gronda di 7,60mt. dalla quota di “zero”».

Il progetto presentato dalla società prevede, riqualificato il sito e demolito il fabbricato precedente con bonifica del terreno, la ricostruzione di un edificio a uso residenziale di due piani fuori terra, con un’altezza massima di gronda di 7,6 mt., destinato a ospitare quattro unità abitative, nonché un piano cantine con garage interrati per sette posti auto (pp. 6-7 della relazione allegata alla Scia).

2.6. Il lotto interessato dall’intervento è situato in via-OMISSIS-, nel secondo cortile interno, e condivide l’accesso dalla pubblica via con il supercondominio confinante (come spiegato nella relazione di consulenza tecnica e stima immobiliare del perito nominato dal giudice civile nell’ambito del procedimento esecutivo, «dall’androne principale, che prospetta direttamente su Via -OMISSIS-, si accede al 1° cortile e da questo attraverso un altro androne si accede al secondo cortile, che insieme ai fabbricati presenti costituiscono l’oggetto della presente procedura»).

Essendo intercluso tra i palazzi del condominio, con atto notarile del 17 marzo 1972, n. -OMISSIS-di repertorio e n. -OMISSIS- di raccolta, a favore del fabbricato è stata costituita una servitù di passaggio, pedonale e carrabile, attraverso i due androni condominiali.

2.7. Con istanza del 13 febbraio 2023 alcuni condomini hanno chiesto al Comune d’inibire l’esecuzione dei lavori.

Analoga richiesta è stata avanzata dalla società amministratrice del supercondominio il 28 marzo 2023.

2.8. Decorso il termine per la conclusione del relativo procedimento senza che fosse emesso alcun provvedimento espresso, la società amministratrice del supercondominio e i condomini hanno agito contro l’inerzia dell’amministrazione dinanzi al T.a.r. per la Lombardia.

2.9. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti il Comune e la società proprietaria dell’immobile, eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone comunque il rigetto nel merito.

2.10. Con ordinanza n. -OMISSIS- del 19 settembre 2023 il T.a.r. ha respinto la domanda cautelare proposta avverso il silenzio.

2.11. In seguito, con provvedimento prot. -OMISSIS-del 17 ottobre 2023, l’Ente ha concluso il procedimento comunicando agli istanti la conformità edilizia e urbanistica del progetto di cui alla Scia del 5 agosto 2022.

2.12. I ricorrenti hanno quindi impugnato con motivi aggiunti l’atto, insieme all’istruttoria tecnica prot. -OMISSIS- del 10 ottobre 2023 a esso allegata, chiedendo altresì la condanna del Comune e della società proprietaria del bene al risarcimento dei danni.

2.13. Con sentenza non definitiva 20 novembre 2023, n. -OMISSIS-, il Tribunale ha dichiarato improcedibile il ricorso avverso il silenzio e il processo è proseguito con il rito ordinario per la decisione sulle azioni di annullamento e risarcitoria.

3. Con sentenza 7 agosto 2024, n. -OMISSIS-, il T.a.r. ha così provveduto:

- ha respinto l’eccezione d’inammissibilità dei motivi aggiunti, avanzata con l’argomento che questi si sarebbero posti in discontinuità rispetto al ricorso introduttivo;

- ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione della società amministratrice del supercondominio, sollevata per la mancanza di una deliberazione condominiale che la autorizzasse a impugnare l’atto del 17 ottobre 2023;

- ha accolto l’eccezione di difetto di legittimazione, per omessa prova della qualità di proprietari di unità abitative all’interno del condominio, solo in relazione ad alcuni ricorrenti, respingendola per gli altri;

- ha respinto le eccezioni di difetto d’interesse sollevate rispetto a singoli motivi dedotti dalla parte ricorrente;

- ha accolto la domanda di annullamento, ritenendo fondate sia la censura secondo cui l’edificio di progetto avrebbe una s.l.p. e un’altezza superiori a quelle dell’immobile preesistente al netto delle parti illegittime (quali il locale mensa, che sarebbe stato realizzato senza titolo), sia la censura secondo cui la società avrebbe dovuto ottenere un permesso di costruire, stante l’assenza di “continuità” tra il fabbricato demolito e quello ricostruito, con assorbimento delle altre censure, di portata meno radicale;

- ha respinto la domanda risarcitoria, ritenendola generica;

- ha condannato le parti resistenti al pagamento delle spese di lite del grado.

4. Con ricorso notificato via p.e.c. il 28 gennaio 2025 e depositato il successivo giorno 31, il Comune di Milano ha proposto appello contro la decisione, dando avvio al giudizio r.g.n. 834 del 2025.

Il gravame si fonda su quattro motivi.

4.1. Con il primo motivo il Comune deduce: «Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che l’intervento edilizio comporterebbe un incremento di superficie abitabile di mq. 69,12».

In particolare, si sostiene che, al contrario di quanto ritenuto dal T.a.r., il calcolo della superficie e dell’altezza dell’edificio oggetto di demolizione dovrebbe comprendere anche il locale mensa, sia perché questo è stato ritenuto legittimo ai fini della determinazione del prezzo dell’incanto da parte del giudice dell’esecuzione, sia perché, ancorché non siano reperibili gli atti di fabbrica originari, vi sarebbero evidenze univoche della sua legittima esistenza (come la scheda catastale n. -OMISSIS- del 17 gennaio 1972, la concessione in sanatoria n. -OMISSIS- del 18 febbraio 2003, l’autorizzazione edilizia n. -OMISSIS- del 16 settembre 1991, che rappresentano tutte il locale nello stato di fatto legittimo), in epoca anteriore al 1940.

Comunque, anche escludendo il locale mensa, l’immobile di progetto avrebbe una superficie (pari a 577,50 mq) inferiore a quella preesistente (pari a 580,88 mq).

4.2. Con il secondo motivo il Comune deduce: «Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che l’intervento edilizio porterebbe alla ricostruzione di un edificio di altezza maggiore rispetto all’edificio demolito».

In particolare, si sostiene che l’immobile di progetto abbia un’altezza (pari a 7,30 mt) inferiore a quello oggetto di demolizione, sia tenendo conto del locale mensa (la cui copertura raggiungeva un’altezza di 9,50 mt), sia escludendolo e considerando quale punto più alto il lucernario posto sulla copertura del corpo di fabbrica principale (che raggiungeva un’altezza di 7,30 mt e non di 6,50 mt, come affermato dal T.a.r. richiamando il documento 12 prodotto dall’amministrazione).

4.3. Con il terzo motivo il Comune deduce: «Erroneità e contraddittorietà della sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che l’intervento edilizio dovrebbe qualificarsi come nuova edificazione anziché come ristrutturazione edilizia – contrasto con l’art. 3, lett. d), DPR 380/2001».

In particolare, si sostiene che, nell’esigere la “continuità” tra l’edificio demolito e quello ricostruito, il Tribunale abbia introdotto una condizione non prevista dal t.u. dell’edilizia, nella versione attuale e applicabile al caso di specie, e che comunque, a voler ritenere necessario un simile requisito, il progetto presenterebbe tratti di “continuità” con l’edificio preesistente e comporterebbe una riduzione – o comunque, non un aumento – del carico urbanistico.

5. Nel giudizio r.g.n. 834 del 2025 si è costituita, il 6 febbraio 2025, la società proprietaria dell’immobile, proponendo appello incidentale, previa notifica via p.e.c. dello stesso in data 4 febbraio 2025.

Questo gravame si fonda su tre motivi.

5.1. Con il primo motivo la società proprietaria deduce: «Error in iudicando e error in procedendo. Inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per difetto di legittimazione e/o carenza di interesse – Violazione dell’art. 111 Cost.».

In particolare, viene contestata la decisione del T.a.r. di respingere le eccezioni d’inammissibilità del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti per difetto di legittimazione e carenza di interesse sia del condominio, sia dei singoli condomini.

5.2. Con il secondo motivo la società proprietaria deduce: «Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione art. 3, comma 1, lett. d) del DPR n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione art. 10 D.L. n. 76 del 2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 120 del 2020. Travisamento dei fatti».

In particolare, viene censurata la qualificazione dell’intervento come “nuova costruzione” operata dal T.a.r., argomentando che le opere oggetto della Scia alternativa al permesso di costruire rientrano nel concetto di “ristrutturazione” mediante “demo-ricostruzione”, come risultante dall’evoluzione della normativa applicabile, che ha condotto ad attenuare il requisito della “continuità” con l’edificio precedente sino sostanzialmente a eliminarlo.

5.3. Con il terzo motivo la società proprietaria deduce: «Error in iudicando e error in procedendo. Travisamento dei fatti – difetto di motivazione – ultrapetizione - violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2607 c.c. - violazione del principio di proporzionalità - erronea applicazione art. 21.2 lett. b) NTA del Piano delle Regole del Comune di Milano».

In particolare, si sostiene che l’immobile di progetto abbia un’altezza inferiore a quello oggetto di demolizione, puntualizzando come le quote rilevate sull’edificio demolito si attestassero, dal piano campagna, a: (i) 9,50 metri, al colmo del tetto a due falde ove era collocato il c.d. locale mensa e (ii) 7,60 metri, all’intradosso del tetto del locale in questione).

Inoltre, si adducono elementi, asseritamente rilevanti ai sensi dell’art. 9-bis del t.u. dell’edilizia, a sostegno della tesi secondo cui il locale mensa fosse risalente al 1911 e comunque precedente sia all’entrata in vigore della legge urbanistica del 1942, sia all’approvazione del regolamento edilizio del Comune di Milano del 1921, quali le annotazioni nella scheda del censimento urbanistico del 1946, la scheda del catasto storico del 1940, le aerofotogrammetrie scattate nel 1944 e negli anni successivi, con la conseguenza che, all’epoca in cui è stato realizzato, non era necessario premunirsi di un titolo edilizio; sotto altro profilo, si sostiene che la legittimità del volume si ricaverebbe implicitamente dal condono rilasciato il 18 febbraio 2003, il quale, pur riguardando altre parti del complesso, non avrebbe potuto essere rilasciato laddove il locale mensa, correttamente rappresentato nell’istanza, fosse stato abusivo (data l’impossibilità di una sanatoria solo parziale) e che comunque su di esso si fonderebbe un affidamento del privato meritevole di tutela circa lo stato legittimo dell’intero compendio.

5.4. La società ha altresì riproposto, in via istruttoria, sia la richiesta di ordinare l’esibizione del verbale dell’assemblea condominiale del 12 dicembre 2023 (da cui potrebbe emergere che la società amministratrice del supercondominio è stata autorizzata ad agire solo a posteriori), sia quella di disporre una verificazione o consulenza tecnica d’ufficio per la soluzione delle questioni di natura tecnica sottese al secondo motivo di appello.

6. Con memoria depositata il 15 settembre 2025 si sono costituiti nel giudizio r.g.n. 834 del 2025 la società -OMISSIS-, amministratrice del supercondominio (di seguito, “la società amministratrice del supercondominio” o anche “il condominio”), e due condomini già ricorrenti in primo grado.

7. Nel corso del processo le parti hanno depositato scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi.

7.1. In particolare, con memoria depositata il 19 settembre 2025, il Comune ha eccepito l’irricevibilità dell’appello incidentale e della riproposizione dei motivi non esaminati in primo grado da parte dell’amministratrice del supercondominio e dei condomini, in quanto proposti nell’autonomo giudizio r.g.n. 2022 del 2025 e non nel giudizio già pendente con r.g.n. 834 del 2025 (sul punto non sarebbe sufficiente il rinvio contenuto nell’atto di costituzione, sia perché generico, sia perché questo è stato depositato oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale previsto dall’art. 46 come richiamato dall’art. 101, comma 2, c.p.a.).

Nel merito, l’Ente insiste sulla qualificazione dell’intervento come “ristrutturazione edilizia”, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, e comunque delle caratteristiche del progetto.

7.2. Con memoria sempre depositata il 19 settembre 2025, anche la società proprietaria dell’immobile denuncia l’inammissibilità delle difese e della riproposizione dei motivi svolti dal condominio con l’atto di costituzione (che si limita a rinviare all’appello autonomo r.g.n. 2022 del 2025, in violazione dei requisiti di specificità e autosufficienza, ed è stato depositato oltre il termine di sessanta giorni), precisando che tale eccezione non potrebbe essere superata mediante la riunione dei giudizi.

Nel merito, s’insiste sulla qualificazione dell’intervento come “ristrutturazione edilizia”.

7.3. Con memoria anch’essa depositata il 19 settembre 2025, la società amministratrice del supercondominio e i condomini hanno riferito che la vicenda oggetto di causa ha interessato anche la Procura di Milano, la quale ha emesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari ritenendo che sia stato commesso il reato di abuso edilizio per ragioni analoghe a quelle accolte dal T.a.r., e che il Tribunale ha poi disposto il rinvio a giudizio.

Si afferma inoltre che il corpo principale dell’edificio demolito fosse destinato a deposito e sia stato costruito nel 1940 abusivamente.

7.4. La società proprietaria ha replicato il 29 settembre 2025, ponendo in luce l’autonomia del giudizio amministrativo rispetto a quello penale e, comunque, il fatto che nemmeno il giudice ordinario avesse sinora emesso provvedimenti definitivi, nonché insistendo sulla legittimità dei corpi di fabbrica preesistenti.

7.5. Il Comune ha depositato una memoria di replica il 30 settembre 2025.

7.6. Lo stesso giorno, hanno depositato una memoria di replica anche la società amministratrice del supercondominio e i condomini.

8. La sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. -OMISSIS- del 2024 è stata impugnata anche dalla società amministratrice del supercondominio e da due condomini (già parti del giudizio di primo grado), con gravame autonomo che è stato notificato via p.e.c. il 28 febbraio 2025 e incardinato l’11 marzo 2025 con r.g.n. 2022 del 2025.

Oltre a richiamare le argomentazioni svolte dal Comune e dalla società proprietaria del bene oggetto della Scia nel giudizio r.g.n. 834 del 2025, replicando alle stesse (e osservando in particolare come il requisito della “continuità” sia assente anche per mancanza di contestualità tra la demolizione, avvenuta nel 2018, e l’edificazione, avvenuta a partire dal 2022), la società amministratrice del supercondominio e i condomini hanno riproposto cinque motivi del ricorso di primo grado rimasti assorbiti.

8.1. Con il primo motivo riproposto si deduce: «Violazione degli artt 3 comma 1 lett e) e 23 del Dpr 380/2001 sotto l’aspetto della necessità del Permesso di costruire in caso di cambio di destinazione d’uso; sviamento dal fine della vigilanza sull’attività edilizio-urbanistica e violazione degli artt 27 ss del Dpr 380/2001».

In particolare, si sostiene che il cambio di destinazione d’uso rendesse comunque necessario il permesso di costruire.

8.2. Con il secondo motivo riproposto si deduce: «Erronea e illegittima identificazione e quantificazione della Superficie Lorda di Pavimentazione (SPL); illegittima ricomprensione nella SLP di volumetrie prive di titolo edilizio e di volumetrie non assentite per la permanenza stabile di persone. Difetto di istruttoria e difetto di motivazione; violazione degli artt 27 ss del Dpr 380/2001; SLP in esecuzione superiore a quella di cui alla Scia».

In particolare, si denuncia che sull’assenza di titolo per diversi dei volumi preesistenti (il capannone principale, il deposito C, l’ampliamento B1, oltre alla mensa) il Comune non abbia preso una posizione motivata e fondata su un’istruttoria adeguata, limitandosi ad asserirne la legittimità; analogamente, si osserva che i volumi che erano privi di destinazione alla stabile permanenza di persone (compreso il capannone principale, che nella piantina catastale del 1940 era indicato come “deposito”, nonché i tre manufatti condonati nel 2003) non potrebbero essere riutilizzati ai fini residenziali.

8.3. Con il terzo motivo riproposto si deduce: «Violazione dell’art 3 comma 1 lett e) del Dpr 380/2001 anche sotto altro aspetto: sulla necessità del Permesso di costruire per la costruzione ex novo del seminterrato e del muro di cemento armato, per lo sbancamento del terreno, per l’edificazione della rampa di accesso ai box seminterrati, per le scale di collegamento fra il piano rialzato e il giardino, per la sede viaria carraia di collegamento con la proprietà del condominio; difetto di motivazione, difetto di istruttoria, sviamento dal fine dell’attività di vigilanza edilizio- urbanistica e violazione degli artt 27 ss del dpr 380/2001».

In particolare, si sostiene che comunque il permesso di costruire sarebbe stato necessario per le nuove opere di sbancamento del terreno, costruzione del muro di contenimento e realizzazione del seminterrato, della rampa carraia e della sede viaria di collegamento.

8.4. Con il quarto motivo riproposto si deduce: «Lottizzazione abusiva; difetto di motivazione; illogicità manifesta; violazione degli obblighi di vigilanza edilizio urbanistica di cui all’art. 27 ss del dpr 380/2001».

In particolare, condominio e condomini denunciano come l’edificazione concretizzi la fattispecie della lottizzazione abusiva, essendo in contrasto con gli strumenti urbanistici perché priva del necessario permesso di costruire e del piano attuativo.

8.5. Con il quinto motivo riproposto si deduce: «Mancanza di spazi a parcheggi; difetto di istruttoria; violazione degli artt 27 ss del dpr 380/2001».

In particolare, si sostiene che i box previsi dal progetto siano irraggiungibili, pertanto il nuovo fabbricato sarebbe privo dei necessari spazi per parcheggi.

8.6. Il condominio e i condomini, inoltre, censurano specificamente la sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha respinto la domanda risarcitoria – che in questa sede viene rivolta, diversamente che nei motivi aggiunti di primo grado, solo nei confronti dell’Ente – sostenendo che sussistano tutti i presupposti della responsabilità dell’amministrazione, con particolare riferimento al danno, da ritenersi in re ipsa; a tal fine, chiedono la condanna del Comune a pagare una somma non inferiore a 500 euro al giorno per il condominio e a 100 euro per i singoli condomini dall’inizio dei lavori sino al ripristino dell’area.

9. Nel giudizio r.g.n. 2022 del 2025 si sono costituiti il Comune di Milano, il 2 aprile 2025, e la società proprietaria dell’immobile, il 28 maggio 2025.

9.1. Nel corso del processo, con istanza depositata il 15 settembre 2025 il condominio ha chiesto la riunione del giudizio r.g.n. 2022 del 2025 con il giudizio r.g.n. 834 del 2025.

9.2. Il 19 settembre 2025 il Comune ha presentato una memoria, eccependo l’inammissibilità dell’appello incidentale in quanto notificato alla società proprietaria presso il domiciliatario in appello, invece che presso il difensore di primo grado, nonché dei motivi di primo grado assorbiti, in quanto riproposti in un giudizio diverso da quello dell’appello principale; ha quindi confutato le argomentazioni del condominio e dei condomini; infine, si è opposto alla riunione dei due giudizi.

9.3. Anche la società proprietaria dell’immobile ha presentato una memoria il 19 settembre 2025, con la quale, oltre a ribadire le argomentazioni già svolte negli scritti precedenti sul difetto di legittimazione e interesse dei ricorrenti di primo grado, ha eccepito l’inammissibilità delle controdeduzioni agli appelli di cui al giudizio r.g.n. 834 del 2025, in quanto svolte – non ritualmente in quella sede, bensì – nel diverso giudizio r.g.n. 2022 del 2025, e ha contestato, per le stesse ragioni, l’ammissibilità dei motivi di primo grado rimasti assorbiti, in quanto riproposti nel giudizio r.g.n. 2022 del 2025, invece che nel giudizio r.g.n. 834 del 2025.

Inoltre, ha eccepito l’inammissibilità della censura sulla legittimità del capannone principale demolito, sostenendo che la contestazione non era stata sollevata in primo grado, e ne ha argomentato l’infondatezza, dato che questo risalirebbe al 1911, quando nemmeno il regolamento del Comune di Milano esigeva un titolo edilizio.

9.4. La società amministratrice del supercondominio e i condomini hanno depositato anch’essi una propria memoria il 19 settembre 2025, analoga a quella presentata nel giudizio r.g.n. 834 del 2025.

9.5. A tale memoria hanno replicato la società proprietaria dell’immobile il 29 settembre 2025 e il Comune il 30 settembre 2025.

9.6. Lo stesso giorno hanno depositato una memoria di replica anche il condominio e i condomini.

10. All’udienza pubblica del 21 ottobre 2025, dopo ampia discussione in cui le parti hanno avuto modo di controdedurre sugli argomenti contenuti negli scritti difensivi avversari e di ribadire ciascuna la propria posizione, entrambe le cause sono state trattenute in decisione.

11. In via preliminare, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a. è doveroso riunire gli appelli incardinati con r.g.n. 834 del 2025 e n. 2022 del 2025, in quanto impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza.

12. Le varie domande, argomentazioni, difese ed eccezioni svolte dalle parti devono essere trattate ciascuna secondo il proprio ordine logico e giuridico, quale emerge dal combinato disposto degli artt. 74, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c. (come ricordato da Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9), dunque affrontando prima le questioni di rito, poi quelle di merito, dando prevalenza tra queste ultime, in assenza di gradazione dei motivi a opera di parte, a quelle radicali, ossia relative a vizi il cui riscontro condurrebbe alla caducazione integrale dell’atto censurato per ragioni sostanziali (con conseguente vincolo conformativo rispetto al riesercizio del potere), le quali sono potenzialmente assorbenti rispetto alle altre (in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali in connessione con quello del rispetto della scarsità della risorsa-giustizia, valorizzato da Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5).

12.1. Pertanto, in primo luogo deve essere esaminata l’eccezione di carenza di legittimazione e interesse del condominio e dei condomini, in quanto il suo accoglimento comporterebbe l’inammissibilità del ricorso di primo grado, l’improcedibilità degli appelli principale e incidentale del giudizio r.g.n. 834 del 2025 e l’inammissibilità dell’appello r.g.n. 2022 del 2025.

12.2. Quindi, al fine di delimitare l’oggetto del giudizio di appello, occorre verificare l’ammissibilità dell’appello del condominio e dei condomini nonché la riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado non esaminati dal T.a.r., e, in particolare, è necessario vagliare l’ammissibilità delle contestazioni sulla legittimità del capannone principale e sulla mancanza di contestualità tra demolizione e ricostruzione.

12.3. Tra le questioni sostanziali, assume preminenza quella relativa alla necessità del requisito della “continuità” tra fabbricato demolito ed edificio risultante dalla ricostruzione ai fini della qualificazione dell’intervento come “ristrutturazione” (dedotta come terzo motivo dell’appello del Comune e come secondo motivo di quello della società proprietaria).

Inoltre, occorre esaminare la contestazione secondo cui il cambio di destinazione d’uso ovvero la realizzazione del seminterrato e delle opere connesse avrebbe comunque richiesto il permesso di costruire (di cui al primo e a terzo motivo riproposti dal condominio).

Infine, occorre verificare se l’intervento costituisce una lottizzazione abusiva (come sostenuto dal condominio con il quarto motivo riproposto).

12.4. Nel caso in cui venissero superate le censure più radicali, incentrate sulla qualificazione dell’intervento e sul titolo necessario alla sua legittimazione, occorrerebbe trattare le questioni inerenti le caratteristiche del progetto, ossia quelle relative: alla legittimità del capannone principale preesistente (contestata dal condominio) e del locale mensa (affermata dal Comune con il primo motivo di appello e dalla società proprietaria con il terzo motivo di appello); al rispetto dei limiti di altezza e superficie dell’edificio preesistente, anche escludendo il locale mensa (sostenuto dal Comune con il primo e il secondo motivo di appello e dalla società proprietaria con il terzo motivo); alla possibilità di computare nel calcolo di volume e superficie disponibili anche i fabbricati precedenti che non erano destinati alla stabile permanenza delle persone (contestata dal condominio con il secondo motivo riproposto); alla mancanza dei necessari spazi per parcheggi (affermata dal condominio con il quinto motivo riproposto).

13. La decisione del T.a.r. di respingere le eccezioni d’inammissibilità del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti per difetto di legittimazione e carenza di interesse viene contestata dalla società proprietaria mediante i seguenti argomenti:

- la società amministratrice del supercondominio sarebbe priva di legittimazione in quanto non è stata autorizzata dall’assemblea e, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale, l’intervento oggetto della Scia non comporterebbe alcun pregiudizio per le parti comuni, dato che il transito attraverso gli spazi condominiali è già consentito in forza dell’esistente servitù; per le stesse ragioni, a ben vedere, il condominio sarebbe privo d’interesse ad agire;

- per i ricorrenti persone fisiche non è stata fornita quella prova del titolo di proprietà che è necessaria per fondare la legittimazione ad agire; né è stato dimostrato l’interesse ad agire, in quanto la loro unità immobiliare potrebbe essere posta in una parte del supercondominio che non affaccia sul cortile interessato dall’intervento e alla quale si accede senza attraversare gli androni gravati dalla servitù di passo;

- diversamente da quanto ritenuto dal T.a.r., l’interesse a ricorrere dovrebbe sussistere con riguardo a ogni singolo motivo, circostanza che condurrebbe a giudicare inammissibili tutte le censure relative a elementi planivolumetrici dell’edificio che non incidono sull’uso degli androni.

14. L’eccezione non è fondata, pertanto il primo motivo dell’appello incidentale della società proprietaria non merita accoglimento.

14.1. Come illustrato dall’Adunanza plenaria nella sentenza 9 dicembre 2021, n. 22, il pregiudizio per la parte ricorrente, la cui eliminazione mediante annullamento del provvedimento che lo determina rappresenta l’utilità ricavabile dal processo, in caso di un intervento edilizio (che si assume) illegittimo è collegato al valore ovvero al godimento del proprio immobile e discende dalla compromissione dei beni della salute e dell’ambiente oppure dalle menomazioni di valori urbanistici e dalle degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico.

14.2. Nel caso di specie, proprio l’esistenza di una servitù di passaggio, pedonale e carrabile, attraverso gli androni condominiali induce a ritenere che, in ragione del completamento dell’immobile oggetto della Scia con la realizzazione di garage interrati con sette posti auto (in luogo dell’edificio preesistente che, oltre a essere stato ormai demolito, era comunque privo di parcheggi interni), vi sarebbe un maggior traffico, dunque un aggravio sulle parti comuni.

Sebbene il condominio contesti la permanente esistenza della servitù, sostenendo che si sia estinta per prescrizione, l’affermazione del diritto da parte della società proprietaria dell’immobile, unitamente alla progettazione di box auto, è sufficiente a fondare l’interesse dei singoli condomini e dello stesso condominio.

14.3. Per le persone fisiche ricorrenti in primo grado, poi, la legittimazione si collega al titolo di proprietà di un’unità immobiliare all’interno del condominio, che, come correttamente ritenuto dal T.a.r., può considerarsi sufficientemente dimostrato, quantomeno per presunzioni e in assenza di elementi di segno opposto, dalla loro menzione nei verbali dell’assemblea.

Sussiste anche la legittimazione al ricorso della società amministratrice del supercondominio, la quale può agire, anche in autonomia e in assenza di autorizzazione assembleare, per compiere “atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”, ai sensi degli artt. 1131 e 1130, comma 1, numero 4, c.c., missione che «deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere - dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato» (tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2024, n. 10380; nella giurisprudenza amministrativa, tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2016, n. 81, relativa all’impugnazione di un permesso di costruire per la realizzazione di un manufatto in violazione delle distanze dai plinti di fondazione dell’edificio condominiale e potenzialmente dannosa per gli stessi).

14.4. Sotto altro profilo, i condomini vantano anche un interesse meritevole di tutela a salvaguardare la visuale e la salubrità degli ambienti in cui vivono, comunque incise dall’edificazione: a questo proposito, non è superfluo osservare sin d’ora come, nel momento in cui è stata presentata la Scia oggetto di contestazione, l’edificio artigianale preesistente era stato demolito, lasciando uno spazio vuoto, con la conseguenza che la realizzazione dell’edificio residenziale – a prescindere dalla qualificazione dell’intervento come “ricostruzione” ovvero come “nuova costruzione”, la quale attiene al merito del giudizio e non alle condizioni dell’azione – risulta comunque lesiva di tale interesse.

14.5. Deve inoltre ritenersi che, una volta accertata la sussistenza dell’interesse ad agire, ossia dell’utilità dell’annullamento del provvedimento lesivo di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela della parte ricorrente, in linea di principio non sia necessario dimostrare uno specifico interesse rispetto alle singole censure dedotte, nella misura in cui il loro accoglimento si traduca comunque nella caducazione integrale dell’atto impugnato (quindi, nella tutela del diritto o interesse legittimo dell’attore).

Tale conclusione risulta avvalorata anche dalla pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 22 del 2021, già richiamata, laddove si afferma che il ricorrente può far valere non solo la violazione della distanza legale dal proprio immobile, ma anche quella tra la costruzione del controinteressato e la proprietà di un terzo, «tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo».

Nel caso di specie, l’accoglimento delle varie censure proposte dal condominio e dai condomini comporterebbe l’annullamento della comunicazione di conformità dell’intervento oggetto di Scia alla normativa edilizia e urbanistica e, di conseguenza, l’obbligo del Comune di attivarsi per inibire l’intervento come progettato e disporre il ripristino dello stato legittimo dei luoghi, facendo così venire meno il pregiudizio rispetto alle parti comuni che è posto a fondamento della loro azione.

Pertanto, non vi sono ragioni ostative all’esame della legittimità del provvedimento, nei termini e limiti in cui questa è affermata ovvero contestata per mezzo dei motivi di appello dedotti dalle parti o di quelli del ricorso di primo grado riproposti in questa sede.

15. A tal fine, occorre preliminarmente verificare l’ammissibilità dell’appello del condominio e dei condomini nonché la riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado non esaminati dal T.a.r., la quale viene contestata dal Comune e dalla società proprietaria perché non è avvenuta in via incidentale nel giudizio r.g.n. 834 del 2025, ma in via autonoma nel giudizio r.g.n. 2022 del 2025.

15.1. L’appello incidentale e la riproposizione dei motivi sono ammissibili, in quanto, sebbene l’art. 333 c.p.c., richiamato dall’art. 96, comma 3, c.p.a., stabilisca che la parte che abbia ricevuto la notificazione dell’appello abbia l’onere d’impugnare la sentenza in via incidentale, secondo una consolidata giurisprudenza non vi è alcuna sanzione diretta a carico della parte soccombente in prime cure che abbia proposto il proprio appello in forma autonoma, anziché incidentale, soccorrendo in ogni caso il potere-dovere del giudice di riunire gli appelli proposti avverso la medesima sentenza, come previsto dallo stesso art. 96 c.p.a. (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2021, n. 2927, e precedenti ivi richiamati).

Nel caso di specie, l’appello del condominio è stato notificato il 28 febbraio 2025 ed è quindi tempestivo rispetto al termine di sessanta giorni decorrente dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione, sancito dall’art. 96, comma 3, c.p.a., ossia dell’appello principale del Comune, che a sua volta era stato notificato il 28 gennaio 2025.

Né comporta l’inammissibilità del gravame del condominio la circostanza, posta in luce dalla difesa dell’amministrazione, che questo non sia stato notificato al difensore della società proprietaria dinanzi al T.a.r., bensì al domiciliatario di quest’ultima nel giudizio di secondo grado, perché l’art. 95, comma 2, c.p.a. esige che l’impugnazione della sentenza sia notificata «ad almeno una delle parti interessate a contraddire» (e, in questo caso, è stato regolarmente notificato all’Ente), dovendo poi il giudice disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, ai sensi del successivo comma 3. In questo caso, peraltro, nemmeno si deve procedere a tale adempimento, dato che la società proprietaria si è comunque costituita anche nel giudizio r.g.n. 2022 del 2025.

15.2. È ammissibile anche la riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado assorbiti o comunque non esaminati, in quanto l’art. 101, comma 2, c.p.a., nell’esigere che tale adempimento avvenga «con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio», si riferisce espressamente «alle parti diverse dall’appellante» e, nel caso di specie, il condominio è a sua volta una parte appellante, pertanto ben può riproporre le domande ed eccezioni assorbite o non esaminate con il proprio autonomo gravame – il quale, per le ragioni già esposte, è a sua volta ammissibile – unitamente alle censure dirette verso i capi della sentenza rispetto ai quali è risultato soccombente.

In ogni caso, con riferimento alla riproposizione dei motivi, pare opportuno precisare che è stato comunque assicurato il rispetto del contraddittorio e dei diritti di difesa, dato che il gravame che li conteneva è stato notificato a tutte le parti e depositato entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello del Comune, risultando così soddisfatte le esigenze sottese all’art. 101, comma 2, c.p.a..

15.3. È invece inammissibile la contestazione sulla legittimità del capannone principale, della quale in effetti non vi è traccia nei motivi aggiunti proposti in primo grado (nei quali, a p. 22, si denuncia la mancanza di titolo edilizio solo per la mensa, il deposito C e l’ampliamento B1), come peraltro rilevato anche nella sentenza del T.a.r., dove, con affermazione non specificamente contestata, si rileva che il compendio comprendeva «una porzione centrale destinata a laboratorio (denominata A) risalente almeno all’anno 1940, per la quale non viene contestata dai ricorrenti la regolarità edilizia».

Tale contestazione rappresenta quindi un nuovo motivo, precluso in appello dall’art. 104, comma 1, c.p.a..

15.4. Al contrario, rientra nell’oggetto del giudizio di appello la censura sulla mancanza di contestualità tra demolizione e ricostruzione: non solo perché, come osservato, è ammissibile la riproposizione dei motivi non esaminati in primo grado, ancorché effettuata con appello autonomo, ma anche e soprattutto perché questa contestazione, a ben vedere, rientrava nell’ambito del quarto motivo aggiunto, che il T.a.r. ha accolto. Pertanto, la sua esposizione da parte del condominio non rappresenta una “riproposizione” di un motivo “non esaminato”, quanto piuttosto una mera difesa a sostegno della sentenza e a confutazione dei motivi di appello del Comune e della società proprietaria diretti a qualificare l’intervento come “ristrutturazione”.

16. Così delimitato l’oggetto del giudizio di appello, sul piano sostanziale occorre esaminare innanzitutto la questione relativa alla qualificazione delle opere come “nuova costruzione” invece che come “ristrutturazione” e, di conseguenza, alla correttezza del titolo dell’intervento, cioè la Scia alternativa al permesso di costruire, che il T.a.r. ha ritenuto inadeguato per mancanza di una “continuità” tra l’edificio oggetto di demolizione e quello risultante dalla ricostruzione, dalla quale discenderebbe un rinnovo del carico urbanistico.

La conclusione è contestata dal Comune e dalla società proprietaria, i quali sostengono che il Tribunale ha richiesto una condizione non prevista dal testo unico dell’edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nella versione attuale applicabile al caso di specie, e che comunque di fatto tale “continuità” sussisterebbe.

17. Data l’importanza giuridica (ma anche economica e sociale) della questione relativa alla definizione della nozione e dell’ambito di applicazione di quella che nella prassi viene chiamata “demoricostruzione” o “ristrutturazione ricostruttiva”, tematica che trascende la vicenda per cui è causa ed è suscettibile di porsi in diverse altre situazioni, alimentando così il contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi – come le stesse parti hanno più volte posto in luce, negli scritti e nella discussione orale – il Collegio ritiene opportuno premettere alcune considerazioni di ordine generale, comunque necessarie per l’interpretazione delle disposizioni che vengono in rilievo e per la loro applicazione al caso di specie, muovendo dall’evoluzione che ha interessato la normativa.

17.1. L’art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, che dettava norme sull’edilizia residenziale, ricomprendeva gli “interventi di ristrutturazione edilizia” tra quelli di recupero del patrimonio edilizio esistente e li caratterizzava come «rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente».

Nel vigore di questa normativa, la giurisprudenza amministrativa aveva già ritenuto di poter ricondurre al concetto di “ristrutturazione” «anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio e il nuovo manufatto, con la conseguente possibilità di pervenire, in tal modo, ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, purché la diversità sia dovuta ad interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, e non già la realizzazione di nuovi volumi o una diversa ubicazione» (Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1388, e precedenti ivi citati).

La definizione dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978 è confluita nel testo originario dell’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, che, senza modificare il periodo (giunto immutato sino a oggi e tuttora dotato di valenza normativa), ha aggiunto delle precisazioni – secondo cui tali interventi «comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti» – e, soprattutto, ha codificato l’ulteriore ipotesi di “ristrutturazione”, consistente «nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica».

In seguito, il d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, ha espunto l’aggettivo “fedele” che accompagnava il sostantivo “ricostruzione” e ha eliminato il vincolo relativo all’identità di area di sedime e caratteristiche dei materiali, lasciando dunque – per tutti gli edifici, fossero o meno tutelati – i limiti della volumetria e sagoma del fabbricato preesistente.

Nel vigore di questa versione della norma, la Corte costituzionale, con sentenza 23 novembre 2011, n. 309, riconducendo tra i principi in materia di “governo del territorio”, attribuita dall’art. 117, comma 3, Cost. alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, le disposizioni legislative che definiscono le categorie degli interventi edilizi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera d), della l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, «nella parte in cui esclude l’applicabilità del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione».

In seguito, l’art. 30 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha nuovamente modificato l’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia, da un lato eliminando il vincolo della sagoma per gli edifici che non fossero sottoposti a vincolo ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, dall’altro introducendo un’ulteriore ipotesi di “ristrutturazione”, consistente nel «ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza».

Quindi, le condizioni della “demoricostruzione” sono state ulteriormente ridefinite in forza del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, il quale ha precisato espressamente che l’immobile ricostruito può avere anche «diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche» rispetto al fabbricato preesistente e persino presentare «incrementi di volumetria» nei casi previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali. Il rispetto di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente, nonché il divieto assoluto di prevedere incrementi di volumetria, sono stati invece ribaditi per gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, per quelli ubicati nelle zone A del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (ossia gli agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale), o in zone a esse assimilate dalla normativa regionale e dai piani urbanistici, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico.

Le modifiche più recenti all’art. 3 del t.u. dell’edilizia sono state apportate dal d.l. 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 2022, n. 34, che ha escluso dalla nozione di “ristrutturazione edilizia” gli interventi di demolizione e ricostruzione ovvero di ripristino di edifici crollati o demoliti che si trovino in aree sottoposte a vincolo paesaggistico per legge ai sensi dell’art. 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché dal d.l. 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, che ha esteso tale esclusione agli immobili tutelati per il notevole interesse pubblico che essi rivestono, ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettere c) e d), del medesimo codice.

La disposizione, nel testo attuale e comunque vigente alla data del 5 agosto 2022, quando è stata presentata la Scia oggetto di causa, fornisce dunque la seguente definizione di “interventi di ristrutturazione edilizia”: «gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria».

Come messo in luce dalla giurisprudenza, l’evoluzione della normativa ha quindi portato all’individuazione di tre distinte ipotesi di “ristrutturazione edilizia”, che possono tutte portare «ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente»: una prima ipotesi, spesso definita “ristrutturazione conservativa”, che non comporta la demolizione del preesistente fabbricato e che può apportarvi anche modifiche di significativo impatto, compresi, in linea generale, l’inserimento di nuovi volumi o la modifica della sagoma; una seconda e una terza ipotesi, definite anche “ristrutturazione ricostruttiva” o “demoricostruzione”, caratterizzate, rispettivamente, da demolizione e ricostruzione di un edificio e dal ripristino di un fabbricato crollato o demolito (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2017, n. 2567 e 12 ottobre 2017, n. 4728).

17.2. Dalla qualificazione dell’intervento come “ristrutturazione edilizia” ovvero come “nuova costruzione” dipende l’individuazione del titolo edilizio necessario per legittimare le opere.

L’art. 23 del t.u. dell’edilizia consente infatti di realizzare mediante Scia “in alternativa al permesso di costruire” (per questo spesso definita “Super-Scia” nella prassi) «gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c)», il quale a sua volta comprende le ipotesi più impattanti (o “pesanti”) di “ristrutturazione edilizia” («gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria»).

All’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 rinvia anche l’art. 33, comma 1, lettera d), della l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), per l’individuazione dei casi in cui può essere presentata la Scia in alternativa al permesso di costruire (aggiungendone poi di ulteriori).

È opportuno ricordare che, in questi casi, gli interventi sono soggetti al contributo di costruzione ai sensi dell’art. 16 del t.u. dell’edilizia (commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione) e che, diversamente da quanto avviene secondo il regime della Scia ordinaria, disciplinata dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, cui rinvia l’art. 22 del t.u. dell’edilizia con riferimento a interventi meno impattanti (manutenzione straordinaria delle parti strutturali e dei prospetti, restauro e risanamento conservativo che interessino le parti strutturali, ristrutturazione “leggera”, essenzialmente di natura “conservativa” e senza aumenti di volumetria), i lavori non possono avere inizio prima di trenta giorni dalla presentazione della segnalazione.

Si aggiunga, con specifico riferimento agli interventi che comportino il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, che l’art. 23-ter, comma 1-quinquies, del t.u. dell’edilizia richiede la Scia “ordinaria” per i cambiamenti senza opere (o con opere rientranti nell’edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, ovvero soggette a comunicazione d’inizio lavori asseverata-Cila, ai sensi dell’art. 6-bis), mentre in caso di esecuzione di opere prevede che il titolo richiesto per la loro realizzazione legittimi anche il cambio di destinazione.

Inoltre, l’art. 10, comma 2, del medesimo t.u., stabilisce che, fermo restando quanto disposto dal citato art. 23-ter, con legge regionale possano essere definiti «quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività».

Nel caso della Lombardia, la legge per il governo del territorio n. 12 del 2005, all’art. 42, comma 5, nel dettare la disciplina della Scia alternativa precisa che «nel caso in cui l’intervento comporti una diversa destinazione d’uso, non esclusa dal PGT, in relazione alla quale risulti previsto il conguaglio delle aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, il dichiarante allega impegnativa, accompagnata da fideiussione bancaria o assicurativa».

Se dunque gli interventi di “ristrutturazione edilizia” possono essere realizzati previa Scia alternativa, quelli che esorbitano dai confini di tale nozione rappresentano delle “nuove costruzioni” soggette al previo rilascio del permesso di costruire: per avviare i lavori, il privato dovrà quindi attendere l’autorizzazione dell’amministrazione, oppure, sussistendone le condizioni, la formazione del silenzio-assenso, di regola dopo sessanta giorni dall’istanza, ai sensi dell’art. 20, comma 8, del t.u. dell’edilizia (e salvo che sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali).

È infine opportuno ricordare che, nell’ottica di assicurare una maggiore certezza, l’art. 22, comma 7, del t.u. dell’edilizia riconosce al privato la facoltà di chiedere comunque il permesso di costruire – così trasferendo sull’amministrazione l’onere e la responsabilità di valutare sin dall’origine la legittimità del progetto – per gli interventi subordinati alla Scia (e, a maggior ragione, alla Super-Scia, già di per sé “alternativa” alla richiesta dell’autorizzazione).

17.3. Oltre che ai fini dell’individuazione del titolo legittimante, dalla qualificazione come “ristrutturazione” piuttosto che come “nuova costruzione” di una complessa attività che vede susseguirsi la demolizione di un fabbricato e l’edificazione di un nuovo manufatto discendono anche conseguenze ulteriori.

Se infatti in caso di “demoricostruzione” il proprietario può sfruttare il volume dell’edificio demolito, nell’ipotesi di “nuova costruzione” può utilizzare solo la volumetria espressa dall’area di edificazione (come puntualmente osservato dalla difesa del condominio).

Inoltre, la “ricostruzione” è consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti (come da tempo affermato dalla giurisprudenza – tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2017, n. 4337 – e come oggi codificato nel comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. dell’edilizia, come inserito dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, e modificato dal d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020) – mentre i “nuovi edifici” devono rispettare i limiti di distanza tra i fabbricati previsti dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968.

L’individuazione degli esatti confini della nozione di “ristrutturazione ricostruttiva” o “demoricostruzione” (problema che sconta – come descritto – una non lieve stratificazione normativa) risulta quindi cruciale per la soluzione della presente controversia, non sottacendosi la necessità di chiarezza evocata (anche in corso di discussione all’udienza pubblica) dalle amministrazioni e dagli operatori del settore, trattandosi di un istituto che, da un lato, è ritenuto essenziale dal legislatore per perseguire obiettivi di rigenerazione urbana, contenimento del consumo di suolo, incentivazione degli investimenti – e, conseguentemente, migliore occupazione – ma che, dall’altro, consente modifiche di portata tale da incidere sulla “urbanistica” (e relativo potere di pianificazione) – meglio, sul “governo del territorio” – intesa non solo come coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma, più ampliamente e compiutamente, come modello di sviluppo che s’intende imprimere ai luoghi in cui è insediata una comunità (secondo la nota ricostruzione elaborata da Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710, e ormai consolidatasi: tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2023, n. 765, e 27 ottobre 2025, n. 8313).

17.4. Da questo punto di vista, la descritta evoluzione dell’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia è innegabilmente caratterizzata da un progressivo allontanamento dall’obbligo originario della fedele ricostruzione, mediante eliminazione dei vari vincoli e conseguente estensione della nozione di “ristrutturazione”, rendendo ancor più necessario un chiarimento sui suoi confini rispetto alla “nuova costruzione”.

In giurisprudenza si è infatti ritenuto, anche a seguito dell’eliminazione del vincolo della sagoma (fatti salvi gli immobili vincolati) in forza del d.l. n. 69 del 2013 (convertito in legge n. 98 del 2013), che l’esistenza di un “nesso di continuità” tra il fabbricato preesistente e quello risultante dall’intervento sia un requisito essenziale della “ristrutturazione ricostruttiva”, la cui mancanza induce a qualificare l’attività edilizia come “nuova costruzione” (tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 12 maggio 2023, n. 4794, relativa a un caso in cui l’edificio nuovo era «traslato in maniera significativa» rispetto a quello precedente; sez. II, 6 marzo 2020, n. 1641, inerente un’ipotesi di demolizione di un garage con ricostruzione di un edificio diverso per materiale utilizzato e per l’aumento della quota d’imposta; nonché, di recente – ma comunque con riferimento a una fattispecie alla quale era ancora applicabile l’art. 3 del t.u. dell’edilizia nella versione precedente alle modifiche apportate dal d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020 – Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2025, n. 2857; nella giurisprudenza penale, tra le molte, Cass. pen., sez. III, 10 gennaio 2020, n. 280338, secondo cui nella “ristrutturazione” non si può prescindere dalla necessità che venga conservato l’immobile preesistente «del quale – a prescindere dalla identità di sagoma – deve essere comunque garantito il recupero»).

Questo orientamento risulta ancora seguito in sede penale (Cass. pen., sez. III, 8 maggio 2024, n. 18044, relativa alla realizzazione di dieci villini in luogo di un unico immobile con destinazione commerciale, e 18 gennaio 2023, n. 1670, relativa all’abbattimento di una casa colonica e per l’edificazione di un complesso residenziale costituito da dieci villini in linea) e a esso ha aderito il T.a.r. nella sentenza impugnata.

Tuttavia, il requisito della “continuità” con l’edificio preesistente, se preteso in termini assoluti, non trova fondamento nell’ultimo testo della disposizione, sul quale il legislatore è intervenuto nel 2020 con l’intenzione – ricavabile oggettivamente dalle modifiche apportate (l’espressa puntualizzazione che possono mutare «sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche») ed esplicitato nei lavori parlamentari (in particolare, nella relazione illustrativa al Senato), e nella circolare congiunta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero per la pubblica amministrazione del 2 dicembre 2020 (come ricordato dalla società proprietaria nel proprio appello incidentale) – di ricomprendere, per gli immobili non vincolati, qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente, salvo il limite della volumetria (al punto che, secondo C.g.a., sez. giur., 3 giugno 2025, n. 422, la ricostruzione sarebbe possibile «anche altrove, ossia in un diverso lotto, pur sempre nel rispetto delle capacità edificatorie proprie di quest’ultimo»).

17.5. Tuttavia, da altra prospettiva, un’esegesi che sia rispettosa della lettera e della logica della disposizione non può nemmeno condurre a ritenere che dalla demolizione derivi – di per sé sola e in assenza di specifiche previsioni di legge o degli strumenti urbanistici – una sorta di “credito volumetrico” che il proprietario può spendere rimanendo comunque nell’alveo della “ristrutturazione”, dovendo quest’ultima rispettare una serie di limiti e condizioni, che si ricavano dall’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia e ai quali deve essere ricondotta ogni pretesa di “continuità”.

17.5.1. In primo luogo, l’intervento deve avere a oggetto un unico edificio, nel senso che nella fase di ricostruzione è precluso – meglio, esorbita dall’ambito della “ristrutturazione ricostruttiva” – l’accorpamento di volumi precedentemente espressi da manufatti diversi ovvero il frazionamento di un volume originario in più edifici di nuova realizzazione.

Tale condizione è stata affermata dalla giurisprudenza nel vigore delle varie versioni dell’art. 3 del t.u. dell’edilizia (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2008, n. 6214 e, più di recente, 3 aprile 2025, n. 2857, dove si afferma che «l’essenza della nozione di ristrutturazione edilizia è che l’intervento deve agire sull’edificio preesistente al fine di dare continuità all’immobile pregresso, crollato o demolito. In altre parole la ristrutturazione edilizia non può mai prescindere dall’obiettivo di recupero del singolo immobile che ne costituisce oggetto»; nonché, nella giurisprudenza penale, Cass. pen., sez. III, 27 luglio 2020, n. 23010) e risulta dal testo della disposizione, il quale, nel porre a confronto “un organismo edilizio” (quello risultante dall’intervento) con il “precedente” – al singolare – e nell’evocare elementi quali la sagoma, i prospetti, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, anche solo per sancirne l’irrilevanza, non può che presupporre che come termine di paragone venga assunto un unico edificio, poiché diversamente tali parametri sarebbero già di per sé inutilizzabili.

17.5.2. In secondo luogo la norma, rispetto alla prima ipotesi di “demoricostruzione”, che viene in rilievo nel caso di specie, presuppone necessariamente una contestualità temporale tra la demolizione e la ricostruzione, dando luogo ad una “unitarietà” dell’intervento prospettato con la Scia, nel senso, dunque, che entrambe debbono essere legittimate dal medesimo titolo.

Vero è che, come obiettato dal Comune nei suoi scritti, a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013), è ora ricompreso nella “ristrutturazione ricostruttiva” anche il ripristino di edifici crollati o demoliti ed è quindi venuta meno «quella particolare relazione di continuità tra edificio preesistente ed edificio risultante dalla ristrutturazione» in forza della quale si richiedeva «che le due operazioni, cioè la demolizione e la ricostruzione, avvenissero in un unico contesto» (Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2025, n. 2857). Tuttavia, in questa particolare ipotesi, «la continuità che si perde sul piano temporale viene recuperata, dal legislatore, con la reintroduzione del limite costituito dal rispetto della “preesistente consistenza” del fabbricato non più esistente; é da ritenersi che con tale precisazione il legislatore abbia inteso affermare la necessità di rispettare, nel nuovo fabbricato, la volumetria del fabbricato crollato o demolito» (Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 2023, n. 616).

La differenza tra le due ipotesi di “ristrutturazione ricostruttiva” si coglie soprattutto sui presupposti per la legittimità dell’intervento: nel caso in cui non vi sia soluzione di continuità tra demolizione e ricostruzione, l’edificio è ancora presente nel momento in cui il privato instaura il rapporto con l’amministrazione, presentando l’istanza di rilascio del permesso di costruire ovvero la Scia alternativa allo stesso, con la conseguenza che la sua consistenza può essere verificata da quest’ultima, nell’istruttoria preordinata al rilascio del titolo abilitativo ovvero ai fini dell’eventuale esercizio dei poteri inibitori, repressivi e conformativi di cui all’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990; al contrario, quando intenda ripristinare un edificio che non esiste più, il privato deve dimostrarne la “preesistente consistenza”, onere che logicamente non può essere assolto unicamente mediante i rilievi e le asseverazioni del tecnico di fiducia – i quali devono a loro volta essere verificabili – ma deve esserlo mediante elementi oggettivi, quali gli atti di fabbrica o i titoli edilizi che hanno interessato il precedente fabbricato, ovvero le planimetrie catastali, purché da essi siano ricavabili «in maniera pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui intervenire; solo se è chiara la base di partenza, è possibile discutere l’entità e la qualità delle modifiche apportabili» (Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2025, n. 2857).

17.5.3. Infine, dall’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia si ricava che il volume dell’edificio ricostruito non può superare quello del fabbricato demolito, perché si stabilisce che gli incrementi di volumetria sono ammissibili «nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali» (sul punto, Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2024, n. 4005 ha chiarito che «a differenza della fattispecie della ricostruzione con diversa sagoma e sedime, le modifiche e gli ampliamenti volumetrici di manufatti edilizi continuano ad integrare, di regola, interventi di nuova costruzione (art. 3 comma 1 lett. e. 1 D.P.R. n. 380/2001), sicché, ai sensi del richiamato art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, l’incremento volumetrico eccezionalmente (art. 14 disp. prel. cod. civ.) conseguibile con un intervento di ristrutturazione edilizia è soltanto quello specificamente ammesso una tantum dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali per tale tipo di intervento edilizio e non quello (eventualmente) maggiore connesso all’indice edificatorio previsto per gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica»).

Tale limite, letto in un’ottica sistematica, comporta che devono ritenersi escluse – meglio, conducono a qualificare l’intervento come “nuova costruzione” – tutte quelle opere che non siano meramente funzionali al riuso del volume precedente e che comportino una trasformazione del territorio ulteriore rispetto a quella già determinata dall’immobile demolito.

Infatti, nelle varie evoluzioni della nozione di “ristrutturazione ricostruttiva” che si sono susseguite, è rinvenibile un minimo comune denominatore, consistente nel fatto che l’intervento deve comunque risultare “neutro” sotto il profilo dell’impatto sul territorio nella sua dimensione fisica.

Tale condizione, sicuramente sottesa a quella “fedele ricostruzione” che si pretendeva in origine, deve ritenersi presente anche nell’attuale quadro normativo e si evince dall’art. 10 del d.l. n. 76 del 2020 (conv. in legge n. 120 del 2020), il quale, pur avendo eliminato i «precedenti requisiti presupponenti una rigida “continuità” tra le caratteristiche strutturali dell’immobile preesistente e quelle del manufatto da realizzare» (C.g.a., sez. giur., sent. n. 422 del 2025), ha comunque ricondotto tali innovazioni agli scopi di «assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente» e di «contenimento del consumo di suolo», così confermando la finalità “conservativa” sottesa al concetto di ristrutturazione (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 2857 del 2025).

18. Nel caso di specie, le caratteristiche dell’intervento posto in essere dalla società proprietaria del bene esorbitano dai confini della nozione di “ristrutturazione ricostruttiva”, come sopra delineati, e inducono a qualificarlo come “nuova edificazione”, con ciò che ne consegue in termini di titolo abilitativo necessario (il permesso di costruire, non sostituibile dalla Super-Scia) e limiti applicabili all’attività edilizia.

Su questo punto essenziale – e assorbente rispetto a ogni altra questione sostanziale – la sentenza di primo grado merita dunque conferma, seppur con la precisazione che, in ossequio al principio di legalità di cui all’art. 97 Cost. e alla luce del testo vigente dell’art. 3 del t.u. dell’edilizia, nella “demoricostruzione” non può pretendersi una “continuità” tra il nuovo edificio e quello precedente se non nella misura in cui per essa s’intenda il doveroso rispetto dei requisiti, sopra indicati, dell’unicità dell’immobile interessato dall’intervento, della contestualità tra demolizione e ricostruzione, del mero utilizzo della volumetria preesistente senza ulteriori trasformazioni della morfologia del territorio.

19. Premesso che il superamento di uno solo di questi limiti comporterebbe di per sé solo la qualificazione dell’intervento come “nuova costruzione”, nella specie essi risultano tutti inosservati.

19.1. È innanzitutto evidente, e dirimente, l’assenza di continuità temporale, dato che l’edificio preesistente è stato demolito nel 2018, mediante un intervento che non può certo ritenersi legittimato dalla Scia presentata nel 2022 (e che infatti è stato svolto sulla base di una diversa Scia).

19.1.1. Né tale continuità può ricavarsi dal fatto che la società nel 2018 aveva presentato istanza per l’attivazione dell’istruttoria preliminare facoltativa prevista dall’art. 40 del regolamento edilizio comunale: il carattere (appunto “preliminare”) e la finalità (appunto “istruttoria”) della procedura in questione escludono che alla presentazione della domanda – peraltro, poi abbandonata e ripresentata nel 2021, a demolizione già avvenuta – possa farsi retroagire l’effetto legittimante della Scia.

A tal proposito, non è superfluo ricordare che, come espressamente stabilito dal comma 2 della stessa disposizione, le definizioni contenute nel primo comma dell’art. 3 del t.u. dell’edilizia prevalgono sugli strumenti urbanistici e sui regolamenti edilizi e la definizione di “ristrutturazione” mediante demolizione e ricostruzione presuppone la contestualità tra le due attività, nel senso che entrambe devono essere realizzate in forza di un unico titolo legittimante (anche al fine di consentire al Comune di verificare l’esatta consistenza del fabbricato preesistente prima che ne inizi la demolizione).

19.1.2. Nemmeno può invocarsi la modifica apportata dal d.l. n. 69 del 2013, che ha ricondotto alla nozione di “ristrutturazione” anche gli interventi volti al ripristino di edifici crollati o demoliti.

In primo luogo, e con portata già di per sé dirimente, perché la stessa società proprietaria ha presentato l’intervento come demolizione e ricostruzione, e non come ricostruzione di immobile demolito.

Inoltre perché, come già messo in luce, questa speciale ipotesi presuppone che il privato dimostri la preesistente consistenza dell’immobile mediante elementi oggettivi, che tuttavia nella specie non sono presenti (meglio, non sono stati prodotti nel procedimento e nel processo).

Mancano infatti gli atti di fabbrica originari e le varie misure necessarie a individuarne l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro non sono ricavabili in maniera univoca dagli altri titoli rilasciati e acquisiti al giudizio.

In particolare, l’istanza di condono avanzata il 30 aprile 1986 (atto p.g. 178187.400/1986), poi integrata il 22 febbraio 1995, per cui è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria n. -OMISSIS- del 18 febbraio 2003, ha ad oggetto un intervento che ha interessato l’edificio solo parzialmente (realizzazione di un soppalco, di un deposito, di un locale laboratorio annesso al corpo esistente, di una tettoia completamente chiusa) e, anche per questo, non rappresenta tutti i volumi del complesso nella loro interezza e con le varie misure.

Anche la pratica presentata il 17 aprile 1991 (p.g. 116963.400), per cui è stata rilasciata l’autorizzazione n. -OMISSIS- del 16 settembre 1991, ha ad oggetto un intervento parziale (la manutenzione straordinaria alla copertura esistente quale vano deposito) e indica un’altezza di gronda del locale mensa, posto sopra al capannone, pari a 5,95 mt, inferiore a quella di progetto.

Un’altezza ancora inferiore si ricava dalla piantina catastale del 1940, dove è indicata in 5,20 mt.

Né tali elementi si ricavano dalla CTU svolta nel giudizio davanti al giudice dell’esecuzione, nella quale è peraltro riportata un’indicazione della superficie lorda di pavimento (650 mq) che non collima con quella indicata negli elaborati allegati alla Scia (tanto la tavola 5, quanto la relazione allegata indicano infatti una superficie lorda di 593,33 mq).

Per concludere sul punto, dunque, dagli atti acquisiti al giudizio non si ricava quella certezza in ordine all’esatta cubatura e sagoma d’ingombro dell’edificio demolito che si vorrebbe recuperare.

19.2. Sotto altro profilo, è pacifico che l’intervento progettato dalla società accorpi volumi che in precedenza erano distinti.

19.2.1. In particolare, alla volumetria e superficie del capannone principale (con i vari ampliamenti che si sono succeduti nel tempo) si vorrebbero aggiungere quelle del “piccolo deposito” (identificato come “volume C” nella tavola 5 relativa allo stato di fatto e alla dimostrazione della consistenza della superficie lorda), il quale, tuttavia, rappresenta un manufatto totalmente separato.

19.2.2. Per giustificare questa operazione, la società e il Comune ne richiamano la natura pertinenziale, ma l’argomento non risulta convincente.

Anche considerandolo una pertinenza, si tratta comunque di un manufatto distinto dall’edificio principale e che esprime una propria volumetria. Il fatto che questa sia irrilevante, ai fini urbanistici, dipende dalle sue caratteristiche strutturali – consistenti in una «dimensione ridotta e modesta» (tra le tante, Cons. Stato, sez. VII, 15 maggio 2025, n. 4175) – ma quella stessa volumetria diviene rilevante laddove si voglia cumularla a quella dell’edificio “principale” per aumentare quest’ultima.

In altre parole, l’accorpamento della volumetria della pertinenza a quella dell’edificio principale viola il limite della “neutralità” dell’intervento di “demoricostruzione”, perché, mentre in origine l’impatto sul territorio era limitato al fabbricato principale (proprio per l’irrilevanza della volumetria espressa dalla pertinenza), con la ricostruzione si addiverrebbe a un immobile che presenta una volumetria e un’incidenza maggiore sul territorio.

19.3. Lo stesso limite della “neutralità” è oltrepassato, nel caso di specie, anche per la realizzazione di lavori ulteriori rispetto al mero recupero del volume preesistente, ossia le opere di sbancamento del terreno, costruzione del muro di contenimento e realizzazione del seminterrato, della rampa carraia e della sede viaria di collegamento.

Tali lavori non si limitano a quanto strettamente funzionale a riutilizzare la volumetria disponibile – come avverrebbe, per esempio, per le sole opere di fondazione necessarie a riedificare l’immobile su un diverso sedime – ma comportano un rimodellamento della morfologia del terreno, che conduce a qualificare il complessivo intervento – il quale, secondo una consolidata giurisprudenza, deve essere apprezzato in modo globale e non in termini atomistici (tra le più recenti, Cons. Stato, sez. II, 4 luglio 2025, n. 5796) – come “nuova costruzione”.

19.4. Pertanto, per tutte queste ragioni – ciascuna delle quali sarebbe di per sé sola dirimente – la sentenza di primo grado deve essere confermata nella parte relativa alla qualificazione dell’intervento e alla conseguente individuazione del titolo abilitativo necessario, che non può essere la Scia alternativa, ma è rappresentato dal permesso di costruire.

Sono dunque infondati il terzo motivo dell’appello del Comune e il secondo motivo di quello della società proprietaria (relativi appunto alla qualificazione dell’intervento), mentre è fondato il terzo motivo riproposto dal condominio (relativo alla realizzazione di opere ulteriori).

La portata radicale dei vizi rilevati conduce di per sé a una conferma dell’accoglimento della domanda di annullamento avanzata in primo grado ed esime da una pronuncia sulle altre questioni sostanziali dedotte dalle parti, che possono essere assorbite, così come risulta superflua l’istruttoria richiesta dalla società con l’appello incidentale.

20. È invece infondato l’appello proposto dal condominio contro il capo della sentenza che ha respinto la domanda risarcitoria.

Anche sotto questo aspetto, la decisione del T.a.r. è condivisibile.

Secondo una giurisprudenza consolidata, «in sede di domanda di risarcimento dei danni ex articolo 2043 c.c., al pari di quanto avviene in generale nel giudizio civile, la parte ricorrente ha l’onere di allegare e provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, e fra questi anche l’evento dannoso (inteso come pregiudizio a interessi meritevoli di tutela di cui l’attore è titolare), oltre alla condotta illecita della p.a., all’elemento soggettivo e al nesso causale tra condotta ed evento dannoso (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 19 marzo 2014, n. 1357); ciò in quanto nell’azione di responsabilità per danni dinanzi al g.a. il principio dispositivo dell’articolo 2697, primo comma, comma 1, c.c. opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell’azione giurisdizionale di annullamento» (tra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 21 maggio 2025, n. 4339).

Nel caso di specie, il condominio e i condomini non hanno allegato se non genericamente i danni patiti, né hanno fornito la prova della loro entità, limitandosi a sostenere che questi sarebbero in re ipsa per il solo svolgimento di attività edilizia illegittima, tesi smentita dalla giurisprudenza sopra richiamata.

È bene precisare che, mentre la lesione dell’interesse alla “qualità dell’insediamento abitativo” dei singoli condomini, dovuta alla riduzione di aria e luce nel cortile, e l’aumento del traffico attraverso le parti comuni, come derivanti dall’attestazione di conformità urbanistica delle opere, sono sufficienti a sorreggere l’interesse alla domanda di annullamento, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria occorre un elemento ulteriore, consistente nella prova dei danni derivanti dall’attività edilizia legittimata dal Comune, che nella specie non è stata fornita, anche perché i lavori non si sono conclusi.

21. In conclusione, dunque, gli appelli proposti dal Comune di Milano e dalla società -OMISSIS- devono essere respinti, mentre deve essere parzialmente accolto, nei limiti di cui in motivazione (v. punto 19.4), l’appello r.g. n. 2022/2025.

22. Nei giudizi come innanzi riuniti, il rigetto dell’appello r.g. n. 834/2025 e dell’appello incidentale ivi proposto, a fronte dell’accoglimento solo parziale dell’appello r.g. n. 2022/2025, unitamente alla particolare complessità delle questioni trattate, comporta la compensazione tra le parti delle spese di lite del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione II, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così provvede:

- riunisce i giudizi r.g.n. 834 del 2025 e r.g.n. 2022 del 2025;

- nel giudizio r.g.n. 834 del 2025, respinge l’appello del Comune di Milano e l’appello incidentale della -OMISSIS-;

- nel giudizio r.g.n. 2022 del 2025, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, l’appello di -OMISSIS-, -OMISSIS-;

- per l’effetto, conferma la sentenza impugnata, con le integrazioni di motivazione innanzi esplicitate;

- compensa tra tutte le parti le spese di lite del grado di appello con riferimento a entrambi i giudizi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo a identificare tutte le parti private, siano esse persone fisiche o giuridiche.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2025 con l’intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente

Cecilia Altavista, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere, Estensore

Ugo De Carlo, Consigliere