Consiglio di Stato Sez. VII n. 711 del 29 gennaio 2025
Urbanistica.Revoca della demolizione e nuova valutazione dell’interesse pubblico al mantenimento di manufatti abusivi

In caso di impugnazione del provvedimento di revoca dell’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva, devono ritenersi sussistenti la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere in capo al privato che lamenti non già un potenziale pregiudizio discendente dalla vicinitas in quanto tale, ma effetti pregiudizievoli connessi al decremento del valore del proprio bene, in quanto contiguo all’insediamento abusivo, e all’inquinamento acustico derivante dal tipo di attività organizzate nel sito considerato. In tal caso la valutazione dell’interesse può essere svolta con maggiore ampiezza, tenuto conto dell’affidamento ingenerato dal provvedimento demolitorio.

Pubblicato il 29/01/2025

N. 00711/2025REG.PROV.COLL.

N. 04348/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4348 del 2021, proposto da Giorgio Ricci, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigino Biagini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Santarcangelo di Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Mussoni e Gaetano Domenico Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Provincia di Rimini, non costituito in giudizio;
Macfarlane John Andrew Craig, in proprio e in qualità di rappresentante dell’Associazione di Promozione Sociale Mutonia, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Valeriani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza resa tra le parti dal T.A.R. Emilia – Romagna, sede di Bologna, n. 628/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Santarcangelo di Romagna e del sig. John Andrew Craig Macfarlane, anche in qualità di rappresentante dell’Associazione di Promozione Sociale Mutonia;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria del giorno 4 dicembre 2024 il Cons. Giovanni Tulumello, udito l’Avv. Luigino Biagini per la parte appellante e vista l’istanza di passaggio in decisione depositata dal procuratore della parte controinteressata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sentenza appellata, previa riunione per ragioni di connessione soggettiva e oggettiva, ha respinto i ricorsi proposti dal Sig. Giorgio Ricci, odierno appellante, rispettivamente: per l’annullamento della revoca di ordinanze di demolizione e rimessa in pristino (N.R.G. 437/2014); della deliberazione recante l’approvazione del piano operativo comunale (d’ora in avanti anche solo “POC”), nonché, con motivi aggiunti, della deliberazione recante l’approvazione della convenzione per l’utilizzo di area demaniale (N.R.G. 1025/2014).

Oggetto del contendere sono provvedimenti, puntuali e di pianificazione, con i quali l’amministrazione ha assentito e legittimato il mantenimento di una pluralità di opere abusive in zona demaniale sottoposta a vincolo paesaggistico, ove è stato realizzato il Parco Artistico denominato Mutonia, “Luogo del contemporaneo”, nelle vicinanze della proprietà del Sig. Ricci.

Nello specifico, il TAR previo rigetto delle preliminari eccezioni di inammissibilità del ricorso, per omessa impugnazione degli atti di approvazione del PSC e RUE e di adozione del POC, e di carenza di legittimazione e interesse ad agire, ha respinto nel merito le doglianze di parte ricorrente accertando innanzitutto l’ammissibilità e la legittimità del provvedimento di revoca delle precedenti ordinanze di demolizione.

Il giudice di primo grado osserva come la concorde valutazione degli enti preposti alla tutela di interessi pubblici costituzionalmente tutelati abbia, nel caso di specie, eccezionalmente depotenziato il vincolo dell’azione amministrativa repressiva dell’abuso, facendo emergere la preminenza dell’interesse pubblico culturale, artistico e paesaggistico fondante la scelta di mantenere l’insediamento realizzato.

Con particolare riguardo all’impugnazione del piano operativo comunale tematico (Parco Artistico Mutonia, “Luogo del contemporaneo”), il TAR afferma come lo stesso appaia in sintonia con il dettato legislativo e con la pianificazione sovraordinata (PSC), e risponda alla duplice esigenza del recupero ambientale-paesaggistico dell’ex cava e della salvaguardia storica e artistica di “Mutonia”. Sotto altro profilo, il giudice di prime cure esclude la sussistenza dei vizi procedimentali prospettati da parte ricorrente.

Infine, rispetto alla concessione demaniale il TAR ha accertato la legittimità dell’azione amministrativa evidenziando “le prevalenti ragioni di salvaguardia dell’iniziativa artistica – adeguatamente inserita nel contesto paesaggistico – rispetto all’insediamento residenziale (limitato e governato da regole stringenti)”, ed affermando l’infondatezza delle censure articolate dal ricorrente.

2. L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dal sig. Ricci, il quale ha riproposto e sviluppato le doglianze disattese dal TAR attraverso specifiche critiche alla sentenza appellata.

Il Comune di Santarcangelo di Romagna, costituitosi in giudizio per resistere al gravame, ha contestato la fondatezza di quanto ex adverso dedotto, evidenziando la sussistenza di un prevalente interesse pubblico posto a fondamento della legittimità degli atti impugnati.

Con memoria di costituzione il controinteressato, sig. John Andrew Craig Macfarlane in proprio e quale legale rappresentante della Associazione di promozione sociale Mutonia, riproposta preliminarmente l’eccezione di carenza di legittimazione e interesse ad agire, ha ampiamente dedotto sull’infondatezza dell’appello.

La Provincia di Rimini, ancorché ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio.

All’udienza straordinaria del 4 dicembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Deve essere esaminata anzitutto l’eccezione di carenza di legittimazione ed interesse ad agire riproposta dal controinteressato, che ne chiede l’accoglimento in riforma della sentenza del T.A.R.

3.1. Il T.A.R. ha esaminato l’eccezione, accertandone l’infondatezza e argomentando sulla sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire in capo al ricorrente nei seguenti termini: “I controinteressati hanno sollevato eccezione di carenza di legittimazione e interesse ad agire nel gravame r.g. 1025/2014, per omessa prova concreta della specifica lesione inferta alla propria sfera giuridica (la mera prossimità non sarebbe sufficiente). L’eccezione non è persuasiva. 0.2b Anche aderendo all’indirizzo per il quale la vicinitas, cioè lo stabile collegamento con la zona interessata dall'intervento, può ritenersi fondamento della legittimazione ad agire purché sia accompagnata dalla presenza di una lesione concreta ed attuale della posizione soggettiva di chi impugna il provvedimento (Consiglio di Stato, sez. IV – 10/2/2020 n. 1011), nel caso di specie soccorre la positiva dimostrazione di un danno certo o altamente probabile: l’atto di autotutela, il POC e la convenzione producono l'effetto di legittimare una serie di opere edilizie abusive, rispetto alle quali i beni del ricorrente si trovano in posizione ravvicinata: per comune esperienza, un insediamento contiguo è in grado di provocare un decremento del valore di mercato o dell’utilità degli immobili di proprietà. Peraltro, nel gravame r.g. 1025/2014 l’esponente ha fornito argomenti di prova (cfr. doc. 4) sui pregiudizi arrecati, consistenti nei disagi derivanti dalle feste organizzate con musica ad alto volume”.

3.2. In argomento va richiamato il principio per cui “Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 22/2021).

Nel caso di specie non si controverte direttamente della legittimità di un titolo edilizio autorizzatorio, ma principalmente della legittimità del provvedimento di revoca dell’ordinanza demolitoria, che incide sul regime dell’immobile in termini non dissimili, sicché l’indagine va condotta ad avviso del Collegio secondo il medesimo schema (semmai con una maggiore ampiezza della valutazione dell’interesse, conseguente all’affidamento ingenerato dal provvedimento demolitorio).

In applicazione di tale principio, deve ritersi sussistente l’interesse e la legittimazione ad agire del ricorrente in primo grado, posto che lo stesso lamenta non già un potenziale pregiudizio discendente dalla vicinitas in quanto tale, ma – come riconosciuto dal T.A.R., con argomenti rimasti insuperati –effetti pregiudizievoli relativi sia al decremento di valore del bene in quanto contiguo ad un insediamento abusivo, sia all’inquinamento acustico derivante nello specifico dal tipo di attività organizzate nel sito considerato.

3.3. Nella memoria di costituzione il controinteressato afferma l’insussistenza di un pregiudizio idoneo a fondare la legittimazione e l’interesse ad agire del ricorrente, sia perché il nuovo POC riqualifica un’area dismessa accrescendo il valore economico e le utilità della proprietà di controparte; sia perché l’intervento è stato accertato come compatibile con l’ambiente esistente in termini di impatto acustico.

Tali argomenti difensivi non mutano la correttezza del ragionamento del primo giudice, risolvendosi in illazioni o, al più, in mere ipotesi con le quali si pretende di ribaltare il principio di prova fornito in senso contrario dal ricorrente nel giudizio di primo grado.

In ogni caso osserva il Collegio che simili argomenti hanno in realtà riguardo al merito della vicenda, vale a dire all’affermata e ritenuta assenza, in concreto, dei profili di pregiudizio lamentati dal ricorrente in primo grado, in relazione all’impatto dell’intervento contestato.

Tale prospettazione non è pertinente, in quanto il profilo dell’interesse e della legittimazione va scrutinato avendo riguardo all’esistenza dei presupposti per contestare in giudizio la legittimità di un provvedimento, con riferimento all’idoneità degli effetti di tale provvedimento ad incidere sulla posizione d’interesse del ricorrente, indipendentemente dall’accertamento in concreto della natura sfavorevole o meno di tali effetti e, prima ancora, della prova del loro concreto realizzarsi in modo diverso da quanto dedotto da chi agisce in giudizio: simili argomenti, in altre parole, possono – ove fondati – condurre al rigetto del gravame nel merito, ma non già alla declaratoria d’inammissibilità dello stesso per difetto d’interesse.

4. Con una prima censura – rubricata “L’impugnativa proposta con il ricorso r.g. 437/2014 avverso il provvedimento di revoca della precedente ordinanza di demolizione” - l’appellante ripropone il primo e il secondo motivo di cui al ricorso di primo grado.

4.1. Si tratta di doglianze con le quali il Sig. Ricci lamentava l’illegittimità della revoca delle ordinanze di demolizione per violazione dell’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990.

Il ricorso in appello contesta le statuizioni del TAR evidenziando come un “asserito preminente interesse pubblico culturale e artistico” non può consentire la conservazione di costruzioni abusive quali manufatti, totalmente privi di qualsiasi “valore artistico”, oggetto di ordinanza di demolizione, e che non hanno nulla a che vedere con le creazioni artistiche dell’associazione. Parte appellante prosegue affermando come al più il menzionato interesse pubblico avrebbe consentito di rilasciare titoli edilizi ma per la realizzazione di nuove opere e previa demolizione delle opere abusive.

Pertanto, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata affermando l’assenza di sufficienti ragioni giustificatrici posto che né i pareri delle Soprintendenze di Ravenna e Bologna né l’adozione di uno specifico POC, possono integrare sopravvenuti motivi di interesse pubblico idonei a consentire il mantenimento di costruzioni abusive in un’area sottoposta a vincoli ambientali e paesaggistici.

4.3. La parte controinteressata ha al contrario affermato in merito che i pareri, richiamati e posti a fondamento di sopravvenuti motivi di pubblico interesse idonei a giustificare la revoca delle ordinanze di demolizione, facevano riferimento ad un unicum, evidenziando come non potesse operarsi una distinzione tra le opere all’interno dell’insediamento.

Pertanto, il controinteressato deduce la correttezza delle statuizioni del TAR precisando altresì come la suddetta revoca fosse condizionata all’approvazione del POC, tramite il quale si è potuto procedere alle regolarizzazioni richieste dalla Soprintendenza.

4.4. Il mezzo ad avviso del Collegio è fondato.

Con il provvedimento di revoca impugnato in primo grado il Comune appellato per un verso dà atto di “aver emanato legittimamente provvedimenti di demolizione e sgombero, in presenza di un accertamento di violazioni urbanistiche/edilizie”; per altro verso motiva la revoca in relazione “ad una volontà politica evolutasi nel tempo e oggi sfociata nell’adozione di uno specifico POC che recupera e ripropone la permanenza in loco della compagnia Mutoid Waste Company; di conseguenza i provvedimenti di demolizione e rimessa in pristino, di per sé incontestabili dal punto di vista giuridico/amministrativo al momento della loro emissione , sono diventati incoerenti od incompatibili con le nuove scelte amministrativo-politiche dell’Amministrazione, dettate da una sopravvenuta valutazione del prevalente interesse pubblico”.

La revoca è quindi motivata sia come esercizio di jus poenitendi, sia in relazione a scelte politiche nel senso della inopportunità delle demolizioni per motivi ritenuti di pubblico interesse (non è in discussione il possibile mutamento della situazione di fatto).

Nessuno di tali presupposti causali può legittimamente giustificare nel caso di specie l’adozione del provvedimento in parola.

In argomento va anzitutto osservato che la “nuova” valutazione dell’interesse pubblico presuppone un originario, analogo potere valutativo: laddove gli interessi pubblici implicati nella vicenda dedotta sono sottratti ex se alla valutazione discrezionale dell’amministrazione circa la rimessione in pristino già in sede di originaria decisione circa la sorte dei manufatti (trattasi di area demaniale soggetta a vincolo paesaggistico), e dunque a fortiori lo sono in caso di revoca.

Proprio l’ampia discrezionalità della revoca invocata dalle parti appellate presuppone la natura a sua volta discrezionale del provvedimento revocando: nel caso di specie quest’ultimo è un’ordinanza che, accertata la natura abusiva delle opere (non smentita neppure in sede di esercizio dell’autotutela), risulta vincolato nel senso della loro eliminazione e della rimessione in pristino del sito (la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in argomento è pacifica e consolidata: ex multis e da ultimo, sez. VI, sentenza n. 6734/2024).

Non può dunque essere recuperato in sede di esercizio dell’autotutela il carattere discrezionale inesistente ab origine con riguardo alla specifica tipologica provvedimentale che viene in considerazione: l’ampia discrezionalità propria dello jus poenitendi non può evidentemente surrogare l’assenza di discrezionalità del provvedimento repressivo degli abusi edilizi.

Le sopravvenienze allegate dall’amministrazione in sede di motivazione della revoca – in disparte quanto si dirà in relazione alle censure relative al POC - non sono dunque tali da supportarne legittimamente l’adozione: proprio l’aver ribadito la perdurante sussistenza in fatto e in diritto dell’accertata abusività degli interventi edilizi in questione impedisce di dare rilevanza agli elementi sopravvenuti, che peraltro hanno riguardo a scelte politico-amministrative che, a loro volta, devono comunque potersi attuare in un contesto (anche fisico) di piena legittimità (non potendo evidentemente tali scelte legittimare la permanenza sul territorio di insediamenti la cui abusività è stata accertata ed anzi ribadita in sede di esercizio dell’autotutela).

5. Con una seconda censura, rubricata “L’impugnativa proposta con il ricorso rg 1025/2014 avverso il POC approvata con la deliberazione del 22/05/2014” - l’appellante ha riproposto la doglianza inerente al contrasto tra le previsioni del POC con la disciplina dettata per l’area in questione dal PSC e dal PTCP nonché dall’art. 19 delle N.T.A. del P.A.E., lamentando l’erroneità della decisione di prime cure nella parte in cui ha disatteso tale motivo di ricorso.

Sotto altro profilo, il mezzo critica il mancato coordinamento del piano tematico con la restante parte del territorio in asserita violazione della legge regionale nella parte in cui individua caratteristiche e funzioni del POC; nonché il vizio di eccesso di potere nella parte in cui anziché porre in essere una “riqualificazione” di fabbricati esistenti, si è provveduto ad un’inammissibile “sanatoria” di opere abusive (una censura, quest’ultima, che il TAR avrebbe sostanzialmente ignorato limitandosi a motivarne il rigetto attraverso le ragioni già illustrate in motivazione).

5.1. La parte controinteressata ha in proposito argomentato che, contrariamente a quanto dedotto da parte appellante, il POC non avrebbe previsto alcuna sanatoria, individuando piuttosto una serie di interventi a carico del Comune e della Mutoid Waste Company per la realizzazione di un progetto di valorizzazione ambientale e paesaggistica dell’area, da eseguirsi nel rispetto delle normative vigenti in materia ambientale, edilizia e sismica.

Si argomenta da tale rilievo l’infondatezza del preteso contrasto del piano operativo comunale tematico, qui in esame, con la pianificazione sovraordinata (PSC e PTPC) e anche con l’art. 19 delle N.T.A. del Piano delle attività estrattive atteso l’obiettivo perseguito di recupero e rinaturalizzazione.

Allo stesso modo, il parere espresso dalla Provincia deve ritenersi, ad avviso di parte controinteressata, come assunto favorevolmente attraverso un tempestivo riscontro alle prescrizioni e osservazioni dedotte.

Pertanto, non sussisterebbe alcun vizio di motivazione nella sentenza appellata che ha altresì accertato un’istruttoria completa e approfondita da parte dell’amministrazione comunale.

In relazione alla pretesa mancanza di un coordinamento con la restante parte del territorio, si deduce al contrario che la motivazione resa dal Comune sarebbe sintomatica di una “programmazione generale e organica”.

5.2. La censura in esame risulta fondata nella parte – assorbente – connessa all’esame della precedente doglianza: vale a dire laddove l’appellante lamenta che “viene posto in essere non tanto una operazione di “riqualificazione” dei fabbricati esistenti, con possibilità d’ampliamento degli stessi con “strutture amovibili”, (come se queste ultime dovessero ritenersi prive di rilievo edilizio) quanto una inammissibile “sanatoria” di opere abusive”.

Il piano censurato ripete e replica inevitabilmente il vizio già accertato a proposito del provvedimento di revoca, in quanto – superando la condizione di abusività - ricorre alla nozione di riqualificazione per legittimare la presenza di manufatti che invece avrebbero dovuto essere anzitutto demoliti proprio in quanto abusivi.

Gli obiettivi del recupero, della “rinaturalizzazione” e della valorizzazione dell’area previsti dal POC, oltre a dover risultare coerenti alla disciplina pianificatoria portata dal PSC (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 4004/2005), in particolare sotto il profilo della impossibilità di prevedere nuove costruzioni (indipendentemente dallo scopo e dalla destinazione delle stesse) laddove la pianificazione di livello sopraordinato non lo consente, non possono avere comunque ad oggetto insediamenti che avrebbero dovuto essere demoliti in forza dei provvedimenti comunali repressivi degli abusi accertati.

Ancora una volta va ribadito che non può realizzarsi con un piano tematico un effetto di sanatoria di immobili abusivi.

Il dedotto vizio istruttorio che affligge il piano consiste proprio nel ritenere superabile l’accertata situazione di illiceità mediante una nuova disciplina programmatoria che inglobi tali abusi, in tal modo pretendendo di legittimarli: laddove un corretto esercizio del relativo potere dovrebbe perseguire i richiamati obiettivi di recupero e di valorizzazione dell’area dopo che il regime della stessa è stato ricondotto ad una condizione di legalità.

6. Con un terzo mezzo, rubricato - “L’impugnativa proposta con il ricorso per motivi aggiunti al ricorso rg 1025/2014” - l’appellante ha riproposto le censure avverso gli atti di concessione da parte del Comune dell’utilizzo gratuito dell’area all’Associazione.

6.1. Nello specifico, la parte appellante ha posto l’accento sulla contraddizione tra una concessione di “mero utilizzo” per scopi sociali e ricreativi rispetto alla facoltà riconosciuta dal POC di realizzare “un insediamento residenziale e produttivo”, che avrebbe richiesto un’analisi dell’impatto ambientale.

6.2. La parte controinteressata ritiene al contrario che il primo giudice avrebbe fatto corretta applicazione dei princìpi in materia di concessione a favore di privati del bene demaniale per un utilizzo a scopo sociale e ricreativo, ritenendo legittime le valutazioni dell’amministrazione anche con particolare riguardo alla problematica inerente all’impatto ambientale di tale uso.

6.3. Ritiene il Collegio che l’accoglimento delle censure rivolte contro la revoca della demolizione e contro il POC determini un effetto caducante nei confronti della convenzione oggetto di tale censura, che proprio nel POC rinviene il suo presupposto.

La deliberazione comunale recante la convenzione impugnata (25 febbraio 2015, n. 12) espressamente indica quale propria premessa le “mutate condizioni dell’area demaniale in cui la medesima comunità staziona, derivanti dall’approvazione del POC tematico ‘Parco di Mutonia’”: con la conseguenza che il venir meno, in ragione dell’accoglimento della precedente censura, di tale presupposto, determina la caducazione della convenzione che ad esso accede.

7. Dalle superiori considerazioni discende l’accoglimento del ricorso in appello e, in riforma della sentenza gravata, l’accoglimento del ricorso di primo grado ed il conseguente annullamento dei provvedimenti con esso impugnati.

La peculiarità della questione costituisce giusta causa di compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie i ricorsi di primo grado ed i connessi motivi aggiunti, ed annulla i provvedimenti con esso impugnati.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Carmelina Addesso, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere