Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2170, del 18 aprile 2013
Urbanistica.Attuazione norme tecniche di attuazione di un Piano regolatore generale

Alle norme tecniche di attuazione di un Piano regolatore generale deve essere data lettura sistematica, per cui ciascuna di esse va interpretata nel contesto e nell'insieme di riferimento, ed un'interpretazione utile, per cui ciascuna di esse deve essere intesa non solo in modo che abbia un senso, ma anche, tra più possibili significati, quello maggiormente conforme a Costituzione, la quale impone vincoli espliciti e puntuali alla possibilità edificatoria dei suoli. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02170/2013REG.PROV.COLL.

N. 03429/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3429 del 2005, proposto da: 
Dallera Angelo, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Porqueddu, con domicilio eletto presso Antonia Studio De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Comune di Castelmella;

nei confronti di

Hevea Srl, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Tullio Castelli, Maurizio Messina, con domicilio eletto presso Maurizio Messina in Roma, via Arezzo N. 38;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della LOMBARDIA – Sezione Staccata di BRESCIA - n. 00178/2004, resa tra le parti, concernente concessione edilizia con contributo in sanatoria



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2013 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’ Avvocato Giuseppe Porqueddu;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dalla odierna parte appellante ANGELO DALLERA l’annullamento della concessione edilizia con contributo n. 81 rilasciata il 2/10/1996 alla controinteressata e degli atti connessi.

La odierna appellante aveva dedotto due distinte macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere sostenendo che la Società Havea aveva realizzato una volumetria eccedente il consentito, recuperandola in forza di una illegittima cessione di cubatura e che sussisteva la violazione delle NTA del PRG, avendo la Società odierna appellata previsto una superficie a verde filtrante inferiore del 30% dell’area del lotto, ed un’area di verde condominiale inferiore al 20%.

L’adito Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia - ha preliminarmente disatteso le pregiudiziali eccezioni di tardività del mezzo ed inammissibilità dello stesso per carenza di legittimazione attiva e di interesse ed ha partitamente esaminato il merito della causa.

Ha in particolare preso in esame – respingendola- la prima doglianza, con la quale l’appellante aveva sostenuto che Società Hevea aveva realizzato una volumetria eccedente il consentito, recuperandola in forza di illegittima cessione di cubatura da altro lotto non adiacente.

In particolare, era stato esposto dal Sig. Dallera che inizialmente la controinteressata avrebbe dovuto realizzare la medesima volumetria sui due lotti di proprietà, ossia 1.500 mc, divenuti 1.600 a seguito di successive cessioni; di seguito, il lotto 5/d sarebbe stato ampliato di mq 299, a detrimento della superficie dell’adiacente lotto 5/c divenuto di mq 950: per effetto di tale modifica si sarebbero modificate le corrispondenti volumetrie ammissibili, che secondo le risultanze cartografiche comunali sarebbero divenute rispettivamente mc. 2.320 e mc. 880, con totale immutato 3.200 mc. Sarebbe però risultato che sul lotto 5/d la Società Hevea avrebbe realizzato una volumetria di mc. 2.420, con 100 mc. di eccedenza, giustificata dal Comune con una cessione di cubatura che parte appellante riteneva illegittima poichè proveniente da lotti non adiacenti, non sarebbe stata la prima ed unica consentita dal PRG e soprattutto non avrebbe rispettato il limite del 30% imposto dalle NTA, oltre a non risultare da titolo trascritto con l’intervento obbligatorio dell’amministrazione comunale.

Il primo giudice ha respinto la articolata doglianza, alla luce di quanto stabilito nell’art. 3 comma 5 sez. A titolo I delle NTA, che, nel disciplinare le aree edificabili, disponeva che “.... possono invece computarsi aree confinanti di altro proprietario, purchè la cessione di edificabilità che ne consegue risulti da convenzione regolarmente trascritta, modificabile solo con l’intervento dell’amministrazione comunale, ....... La cessione di edificabilità può essere effettuata ... a favore di un’area adiacente, ...., purchè l’ivf o l’isf che vengono a realizzarsi non superino del 30% quelli consentiti dal PRG; tale cessione di edificabilità può avvenire una sola volta.”.

Tale disposizione, tuttavia, regolamentava in via generale la cessione di volumetrie di aree edificabili, definendone le modalità e fissando i relativi limiti: la vicenda sottesa alla cognizione giudiziale, tuttavia, riguarda un trasferimento di volumetria relativamente ad un piano attuativo, ipotesi specificamente prevista dalla norma di cui all’art. 2 comma 2 sez. titolo III che disponeva che “All’interno dell’ambito d’intervento è ammesso il trasferimento di volume da un lotto all’altro, mediante convenzione da trascrivere, stipulata con l’intervento dell’amministrazione comunale”.

Da tale disposizione in ultimo citata, ad avviso del Tar,discendeva la conseguenza che l’operazione condotta dalla Società odierna appellata era a questa riconducibile: essa consentiva la cessione di volumetria da un lotto all’altro, senza porre ulteriori vincoli come la vicinanza dei fondi, la limitazione ad un solo trasferimento e l’ammissibilità di un massimo del 30% dell’indice di volume fondiario o dell’indice di superficie fondiaria: l’unico presupposto in fatto considerato era la continenza dei lotti all’interno dell’identico piano attuativo. Nè ulteriori conseguenze potevano farsi discendere dalla mancata trascrizione e dal mancato intervento dell’amministrazione comunale, le quali erano assimilabili ad irregolarità sanabili e che non incidevano sotto alcun profilo sulla legittimità, sul piano urbanistico, dell’intervenuta cessione.

Il Tar ha invece accolto la seconda doglianza prospettata (con la quale si era contestato il mancato rispetto delle norme del P.R.G., ed in particolare lamenta la previsione di una superficie a verde filtrante inferiore del 30% dell’area del lotto, e di una superficie di verde condominiale in una misura inferiore al 20%).

Ha in proposito osservato che nel prospetto allegato alla domanda di sanatoria, la Società odierna appellata aveva dichiarato che la superficie a verde filtrante sarebbe stata di 350 mq. Tale dimensione era insufficiente a coprire il fabbisogno minimo – indicato dalle NTA nel 30% – che in relazione a 1500 mq di superficie doveva essere pari a 450 mq.

Risultava inoltre dagli atti prodotti in giudizio che il tecnico comunale, con sopralluogo in data 29/5/1997, aveva calcolato una superficie effettiva di verde filtrante pari a 260,37 mq (nella misura pertanto del 17,3%), rispettando tuttavia il minimo di 200 mq complessivi di verde.

Ne conseguiva l’accoglimento della censura ed il parziale annullamento dell’atto gravato.

L’ originaria parte ricorrente rimasta parzialmente soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe con un unico motivo di censura ripercorrendo la cronologia degli accadimenti e chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

In particolare ha fatto presente che i due lotti di pertinenza della Società Hevea e tra loro confinanti (lotti 5/D e 5/C con il primo dei quali, peraltro, confinava l’immobile di pertinenza dell’appellante) presentavano diverse dimensioni ed agli stessi era stata riconosciuta una identica volumetria. Si erano poi succedute una serie di “manipolazioni” volte ad incrementare la volumetria del lotto 5D sottraendola da quella del lotto 5C e via via prospettando al Comune la circostanza che le particelle erano sempre rimaste nella titolarità di parte appellata (mentre invece il lotto 5Cera stato alienato da parte appellata alla società Laros Immobiliare già a far data dal 1994).

Per effetto delle modifiche, la volumetria del lotto 5D era divenuta pari a mc 2320; quella del lotto 5C era divenuta pari a mc 880, e secondo quanto prospettato da parte appellata in primo grado, era rimasto immutato il totale (pari a mc 3200).

Senonchè era rimasto accertato che la volumetria realizzata nel lotto 5D era pari a mc 2420 e, quindi, eccedente di 100 mc il consentito.

Parte appellata aveva sostenuto – ai fini dell’ottenimento della sanatoria- che si trattava di un recupero di volumetria eccedente.

Ciò era tuttavia illegittimo, in quanto la cessione doveva riferirsi a lotti adiacenti: nel caso di specie ciò non si era verificato, il quanto il lotto “beneficiario” 5D era distante rispetto a quelli “cedenti” 1H ed 1L.

Inoltre il lotto “beneficiario” 5D era stato in passato già beneficiario di un’altra cessione in spregio al principio per cui era possibile una ed una sola cessione.

Le regole vigenti erano state violate, ed il primo giudice, in assenza di espressa deroga aveva omesso di applicare una norma del prg in base ad un supposto ed errato riferimento alla prevalenza della “norma speciale” rispetto alla “regola generale”: né poteva legittimamente ritenersi che la “regola speciale” andasse nel senso ipotizzato dal Comune, in quanto ciò avrebbe mortificato l’esigenza di contenere e limitare l’espansione volumetrica della edificazione del territorio.

Ha poi puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate memorie chiedendo che l’appello incidentale proposto dall’appellata società venisse dichiarato inammissibile perché generico e, comunque,infondato.

L’appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del gravame principale ed ha proposto appello incidentale avverso il capo della impugnata decisione che l’aveva vista soccombente.

Con decreto n. 2411/2012 il Presidente della Sezione ha revocato il decreto presidenziale n. 2630 del 28/10/2011, con il quale era stato dichiarato perento il ricorso in appello n. 3429 del 2005 a cagione dell’avvenuto deposito in data 25/11/2011 di un atto sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, in cui l’appellante aveva dichiarato di avere ancora interesse alla trattazione della causa.

La difesa di parte appellata ha depositato in data 9.11.2012 una dichiarazione, con annessa certificazione, dalla quale risulta che la società resistente è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Brescia in data 28.11.2011

Alla odierna pubblica udienza del 12 marzo 2013 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello principale è infondato e merita la reiezione e parimenti deve essere disatteso l’appello incidentale: la sentenza gravata merita, pertanto, integrale conferma.

1.1. Rileva in via preliminare il Collegio che non ricorrono le condizioni per dichiarare la interruzione del processo ai sensi dell’art. 79 del cpa in relazione agli artt. 299 e 300 cpc.

E’ stato invero documentato che la società appellata ed appellante incidentale è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Brescia in data 28.11.2011 ;la detta parte processuale non si è successivamente costituita nell’odierno giudizio.

Tuttavia la detta dichiarazione non proviene dal curatore e pertanto il processo non deve essere interrotto, in ossequio al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto - e per essa al curatore - è consentito eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte e il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l'eccezione, nè il giudice può rilevare d'ufficio il difetto di capacità, e il processo continua validamente tra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale -salva la facoltà del curatore di profittare dell'eventuale risultato utile del giudizio in forza del sistema di cui alla L. Fall., artt. 42 e 44 (Cass sez. un. 7132/98; Cass 6771/02; Cass 2965/03; Cass 3378/04, ma anche Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-03-2011, n. 5226).

2.Ciò premesso, al fine di perimetrare il novero delle questioni esaminabili nel merito dal Collegio (ed invertendosi a meri fini di comodità espositiva il consueto ordine di trattazione delle questioni) deve essere esclusa la ammissibilità dell’atto di gravame incidentale (o comunque ne deve essere dichiarata la manifesta infondatezza), constando il medesimo, sostanzialmente, nella mera riproposizione delle eccezioni prospettate nel giudizio di primo grado e disattese dal Tar senza alcuna diretta critica all’iter motivo della sentenza di prime cure

Per costante giurisprudenza amministrativa infatti nonostante l'appello nel processo amministrativo sia un mezzo di impugnazione a critica libera, occorre comunque che esso contenga una critica della sentenza gravata e, dunque, specifiche censure avverso la stessa, essendo insufficiente la mera proposizione di motivi, eccezioni, argomenti, sollevati in prime cure e disattesi dalla sentenza di primo grado. La specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono, ragion per cui, alla "parte volitiva" dell'appello deve sempre accompagnarsi una "parte argomentativa" che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; pertanto, è necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (ex multis Cons. Stato Sez. IV, 06-03-2012, n. 1260 che si conforma al principio espresso dall’Adunanza Plenaria 03-06-2011, n. 10 secondo il quale l”'appello al Consiglio di Stato non può limitarsi ad una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi dal giudice di primo grado, ma deve contenere una critica ai capi di sentenza appellati; la mera riproposizione dei motivi è ammessa solo se il giudice di primo grado non li abbia esaminati o li abbia disattesi con argomenti palesemente inconferenti, nel qual caso, però, il ricorrente dovrebbe comunque contestare la mancanza o la non pertinenza della motivazione.”.

Tali principi riguardano anche l’appello incidentale, che non soddisfacendo le prescritte condizioni risulta inammissibile (ed in ogni caso palesemente infondato)

1.2. Il Tar ha infatti esaurientemente chiarito che la statuizione demolitoria si fondava sulla pacifica circostanza che la superficie adibita a verde filtrante sarebbe stata di 350 mq e che tale dimensione era insufficiente a coprire il fabbisogno minimo – indicato dalle NTA nel 30% – che in relazione a 1500 mq di superficie doveva essere pari a 450 mq.

La circostanza che la superficie effettiva di verde filtrante pari a 260,37 mq (nella misura pertanto del 17,3%), fosse rispettosa del minimo di 200 mq complessivi di verde era già stata presa in esame nella sentenza di primo grado, e si era ivi chiarito che tale elemento non poteva valere ad elidere l’omesso rispetto del rapporto pari al 30% imposto dalle NTA: nessuna specifica censura è stata mossa a tale caposaldo demolitorio, dal che discende la inammissibilità, (e comunque la manifesta infondatezza del mezzo incidentale).

2.Quanto all’appello principale, l’unica questione devoluta all’esame del Collegio, a ben guardare, riposa nel rapporto intercorrente tra la disposizione di cui all’art. 3 comma 5 sez. A titolo I delle NTA, (che, nel disciplinare le aree edificabili, dispone che “.... possono invece computarsi aree confinanti di altro proprietario, purchè la cessione di edificabilità che ne consegue risulti da convenzione regolarmente trascritta, modificabile solo con l’intervento dell’amministrazione comunale, ....... La cessione di edificabilità può essere effettuata ... a favore di un’area adiacente, ...., purchè l’ivf o l’isf che vengono a realizzarsi non superino del 30% quelli consentiti dal PRG; tale cessione di edificabilità può avvenire una sola volta.”) e la equiordinata disposizione di cui all’art. 2 comma 2 sez. A titolo III delle NTA: “All’interno dell’ambito d’intervento è ammesso il trasferimento di volume da un lotto all’altro, mediante convenzione da trascrivere, stipulata con l’intervento dell’amministrazione comunale”.

L’appellante censura il giudizio di “specialità” e prevalenza che il primo giudice ha riservato a questa ultima disposizione rispetto all’altra dianzi citata: e ciò fa sulla scorta di argomentazioni che, seppur non infondate in via di principio, si rivelano pur tuttavia

inconferenti.

E’ senz’altro vero infatti, e sinanco tautologico, affermare che più norme di un identico testo regolamentare debbano –tutte- trovare applicazione: ma ciò non esclude che, pur in carenza di espressa clausola escludente, ove le stesse si pongano in rapporto di ontologica incompatibilità, l’interprete debba verificare se in base agli ordinari canoni interpretativi (artt. 1362, II° co., 1363 c.c. e segg del codice civile relativi, rispettivamente, all'interpretazione globale e sistematica del contratto, ritenuti applicabili anche in subiecta materia dalla giurisprudenza, che riconosce natura provvedimentale al piano urbanistico. Cfr., in tal senso, Cassazione civile, sez. III, 10 marzo 2011, n. 5700; Cassazione civile, sez. lav., 23 luglio 2010, n. 17367) ve ne sia una che possa essere applicata con prevalenza rispetto all’altra.

La giurisprudenza sul punto è costantemente orientata nel ritenere, infatti, che “alle norme tecniche di attuazione di un Piano regolatore generale deve essere data lettura sistematica, per cui ciascuna di esse va interpretata nel contesto e nell'insieme di riferimento, ed un' interpretazione utile, per cui ciascuna di esse deve essere intesa non solo in modo che abbia un senso, ma anche, tra più possibili significati, quello maggiormente conforme a Costituzione, la quale impone vincoli espliciti e puntuali alla possibilità edificatoria dei suoli.”( Cons. di Stato 10.03.1981 n. 248; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 13 maggio 2004, n. 2890 e, ancora di recenteT.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 05-07-2011, n. 1752).

La giurisprudenza di legittimità, in particolare, ha puntualmente precisato che “l'interpretazione di un atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell'accertamento della volontà della p.a., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme - in particolare, gli art. 1362, comma 2, 1363 e 1366 - che, dettate per l'interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo peraltro conto della natura dei medesimi nonché dell'esigenza della certezza dei rapporti e del buon andamento della pubblica amministrazione".”(si veda Cassazione civile, sez. lav., 23 luglio 2010, n. 17367).

Il Collegio, nell’aderire al superiore convincimento, ritiene che la interpretazione cui è pervenuto il primo giudice sia immune da qualsivoglia censura: i limiti relativi alla cessione di edificabilità (unicità della stessa, limite dimensionale, adiacenza etc) tra aree edificabili appartenti allo stesso e/o diverso proprietario e di cui all’art. 3 delle NTA non sono stati espressamente richiamati con riguardo alle cessioni da effettuarsi all’interno dell’ambito d’intervento.

Tale omesso richiamo non è irragionevole in quanto, trattandosi di cessione relativa ad aree insistenti nel medesimo piano attuativo, è ben logico che il Comune non le abbia sottoposte a tali stringenti limiti previsti ex art. 3 delle NTA, riservandosi unicamente un controllo spiegato (e garantito) mercè l’obbligatorio intervento dell’amministrazione comunale a monte, in sede autorizzatoria dell’intervento.

Se così è, l’interpretazione resa dal primo giudice pare del tutto immune da mende, logica, ed armonica con la disciplina regolamentare considerata nel complesso: le censure di parte appellante vanno pertanto disattese, il che implica la reiezione del gravame e la conferma dell’appellata decisione.

3.Le spese processuali del grado vanno integralmente compensate tra le parti a cagione della particolarità, in rito ed in merito, delle questioni devolute all’esame del Collegio.



P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 3429 del 2005 come in epigrafe proposto, lo respinge e respinge l’appello incidentale.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)