Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1317, del 17 marzo 2014
Urbanistica.Esclusione riduzione fascia di rispetto per interessi privati
Per consolidata giurisprudenza, il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege, suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell’art. 338, quarto comma; ma non per interessi privati, come ad esempio per legittimare ex post realizzazioni edilizie abusive di privati, o comunque interventi edilizi futuri, su un’area a tal fine indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonché per la sacralità dei luoghi di sepoltura, salve ulteriori esigenze di mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale. Il procedimento attivabile dai singoli proprietari all’interno della fascia di rispetto, pertanto, è dunque, in ogni caso, soltanto quello finalizzato agli interventi di cui all’art. 338, settimo comma, del citato r.d. n. 1265 del 1934 (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti); mentre resta attivabile nel solo interesse pubblico – per i motivi anzidetti – la procedura di riduzione della fascia inedificabile in questione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01317/2014REG.PROV.COLL.
N. 09349/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9349 del 2013, proposto da
Alabiso Gioacchino, in proprio e quale titolare dell'omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dagli avvocati Patrizio Lepiane ed Enzo Giacometti, con domicilio eletto presso l’avv. Claudio De Portu in Roma, via Flaminia, 354;
contro
Comune di Seregno, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Guido Bardelli e Andrea Manzi, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma della sentenza del t.a.r. per la lombardia – milano, sezione ii, n. 02035/2013, resa tra le parti, concernente silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza di riduzione della fascia di rispetto cimiteriale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Seregno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio ex art. 87 Cod. proc. amm. del giorno 25 febbraio 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati De Pauli per delega dell’avv. Giacometti e A.Reggio D'Aci per delega dell’avv. A.Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Attraverso l’atto di appello in esame (n. 9349/13, notificato il 4 settembre 2008), si contesta la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano, sez. II, 30 luglio 2013, n. 2035/13, che non risulta notificata, con la quale veniva in parte respinto (come di seguito precisato) il ricorso proposto dal signor Gioacchino Alabiso per l’annullamento della nota dirigenziale del Comune di Seregno n. 22826/13 del 3 maggio 2013 – di rigetto dell’istanza di revoca delle ordinanze comunali nn. 77 e 110 del 2011, recanti ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi – nonché per la declaratoria dell’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza del ricorrente in data 27 marzo 2013, avente ad oggetto la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale. A quest’ultimo riguardo, nella citata sentenza si sottolineava come una precedente, analoga richiesta del medesimo signor Alabiso fosse stata ritenuta infondata con sentenza 13 dicembre 2012, n. 3020, in quanto l’art. 338, quarto comma, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 implicherebbe l’esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, in rapporto al quale non sarebbe configurabile alcun obbligo di attivazione procedimentale.
Avverso detta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 9349/13, notificato il 10 dicembre 2013), sulla base dei seguenti motivi di gravame:
1) nullità della sentenza appellata per mancata conversione del rito ex art. 32 del Codice del processo amministrativo, essendo state cumulativamente proposte domanda di annullamento di un atto (diniego di revoca) ed azione di accertamento dell’inerzia dell’amministrazione, in rapporto ad un’istanza del soggetto interessato, con conseguente esigenza di trattazione della causa col rito ordinario, ovvero in udienza pubblica e non in camera di consiglio, con la conseguente nullità di cui all’art. 87 (Udienze pubbliche e procedimenti in camera di consiglio), comma 1, Cod. proc. amm., da cui discenderebbe la rimessione al primo giudice, prevista dall’art. 105;
2) erroneità ed ingiustizia della sentenza appellata in punto di rigetto del ricorso sul silenzio, esistendo precedenti giudiziali, circa l’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di riduzione della fascia di rispetto cimiteriale (cfr. TAR Sardegna, 20 marzo 2009, n. 322) e non potendosi escludere l’obbligo di provvedere dell’Amministrazione solo per la natura discrezionale dell’atto.
Non è oggetto di formale inserimento fra i motivi di appello infine, ma è ricordato nelle premesse come l’unica opera ancora sussistente nell’area di cui trattasi sia una pavimentazione, che non contrasterebbe col P.R.G. vigente, peraltro ormai divenuto inefficace, e dovrebbe essere assoggettata a mera sanzione pecuniaria, previa revoca – come richiesto – delle ordinanze comunali n. 77 e 110 del 2011.
Il Comune di Seregno, costituitosi in giudizio, segnala come l’intera vicenda – riferita alle ordinanze di demolizione di una serie di manufatti, fra cui la pavimentazione ancora esistente, nonché all’istanza di riduzione della fascia di rispetto cimiteriale – costituisca oggetto di sentenza passata in giudicato del medesimo Tribunale amministrativo, 13 dicembre 2012, n. 3020.
La sentenza attualmente in esame, inoltre, non sarebbe nulla, avendo evidenziato una fattispecie di manifesta infondatezza, che implica qui una pronuncia in forma semplificata ex art. 60 Cod. proc. amm..
Del tutto insussistenti, infine, sarebbero i presupposti del silenzio inadempimento dell’Amministrazione, non avendo questa alcun obbligo di provvedere in materia di riduzione della fascia di rispetto cimiteriale.
Alla memoria sopra sintetizzata replica l’appellante, ribadendo l’obbligo di trattare le domande proposte unitariamente, ma soggette a riti diversi, con rito ordinario, con nullità della sentenza in caso contrario, ex art. 87 Cod. proc. amm..
La declaratoria dell’obbligo di provvedere sulla richiesta riduzione della fascia di rispetto, inoltre, non sarebbe preclusa dal giudicato (peraltro non rilevato nella sentenza appellata), essendo il precedente giudizio di tipo esclusivamente impugnatorio, con diversità di petitum e di causa petendi; non sarebbe stato comunque inibito, infine, l’avvio di un nuovo procedimento.
L’appello è stato trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 87 Cod. proc. amm. (giudizio in materia di silenzio).
Premesso quanto sopra, il Collegio deve in primo luogo osservare che – formalmente – risultano sottoposti al suo esame un’azione di accertamento, avviata ai sensi degli articoli 31 e 117 Cod. proc. amm., nonché la domanda di annullamento del rigetto di un’istanza di revoca, riferita ad ordinanze comunali di demolizione e rimessa in pristino (già impugnate e oggetto di parziale ottemperanza, con pronuncia negativa al riguardo emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia: sentenza 13 dicembre 2012, n. 3020, non appellata e passata in giudicato).
A tale riguardo, il Collegio non può fare a meno di rilevare che, nella sentenza appellata, si esclude la “necessità di disporre la prosecuzione del giudizio sul silenzio con rito ordinario”, dopo avere ricordato la già avvenuta statuizione della Sezione “sulla domanda incidentale di sospensione dell’ordinanza oggetto dell’azione di annullamento […] con ordinanza di rigetto n. 670/2013”.
Tale annotazione induce a ritenere che la sentenza emessa in primo grado – in questa sede appellata – pur senza farne esplicita menzione nell’epigrafe, avesse carattere solo parziale, concernente il silenzio dell’Amministrazione, non contenendo alcuna motivazione circa la lamentata illegittimità del rigetto dell’istanza di revoca di precedenti ordinanze comunali, finalizzate alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi.
La stessa appellante, d’altra parte, non ha formalmente indicato fra i motivi di appello censure, riferite al rigetto dell’istanza di revoca delle predette ordinanze, per la parte ancora da eseguire, Inoltre ha preso atto, nella camera di consiglio odierna ex art. 87 Cod. proc. amm., della riferibilità della sentenza appellata alla sola azione di accertamento dell’illegittimità del silenzio.
Appare dunque evidente l’inammissibilità della censura, che postula come causa di nullità della sentenza la mancata conversione del rito camerale in rito ordinario, a norma dell’art. 32 Cod. proc. amm., secondo cui “se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario”,. Tale conversione, infatti, si attua quando le domande richiedenti riti diversi vengano trattate unitariamente ed entrambe; ma non anche quando, come nel caso di specie, il giudice abbia in realtà separato i momenti decisori, provvedendo in realtà solo sulla domanda soggetta a rito speciale, per riservarsi di valutare successivamente, in un’udienza pubblica, l’ordinaria azione di accertamento.
La fattispecie di nullità per violazione della regola di pubblicità delle udienze, di cui all’art. 87, comma 1, Cod. proc. amm., peraltro, si riferisce al necessario carattere delle udienze per i casi in cui è stabilita la trattazione in udienza pubblica, ma non all’assorbimento del rito camerale in quello ordinario, nell’ipotesi di trattazione congiunta come quella sopra esaminata.
Quanto al secondo ordine di censure, riferito alla richiesta declaratoria dell’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di un privato, avente ad oggetto la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale, il Collegio deve porsi d’ufficio la questione di ammissibilità del gravame, in rapporto al principio del ne bis in idem, mutuato dai canoni comuni di cui agli articoli 2909 Cod. civ. e 324 Cod.proc.civ., che escludono una nuova pronuncia del giudice in materia coperta da giudicato fra le medesime parti (cfr., per l’applicabilità del principio nel processo amministrativo, Cons. Stato, IV, 28 ottobre 2013, n. 5197;. VI, 3 luglio 2013, n. 3553). Risulta infatti che, con sentenza del medesimo Tribunale amministrativo 13 dicembre 2012, n. 3020, la legittimità delle ordinanze di rimessa in pristino nn. 110 e 77 del 2011 fosse stata ravvisata anche in rapporto all’insussistenza dell’obbligo di provvedere dell’Amministrazione in merito all’istanza di riduzione della fascia di rispetto cimiteriale, proposta dall’interessato. Il fatto che il principio enunciato attenesse ad un’azione di annullamento e non di accertamento non esclude di ritenere qui presente e vincolante il cosiddetto giudicato sostanziale, formatosi sulla questione interpretativa anzidetta fra le medesime parti e nell’ambito della medesima vicenda edificatoria, vale a dire circa l’insussistenza di quel medesimo interesse pretensivo.
In presenza di non perfetta identità di petitum e causa petendi rispetto all’oggetto della citata sentenza n. 3020/2012, tuttavia, il Collegio ritiene preferibile vagliare il merito dell’accertamento richiesto.
Questo non può che concludersi in senso sfavorevole per l’appellante.
Il silenzio-rifiuto disciplinato dall’ordinamento, infatti, è riconducibile a un’inadempienza dell’Amministrazione in rapporto ad un sussistente obbligo di provvedere (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 10 marzo 1978, n. 10). Un tale obbligo può discendere dalla legge, da un regolamento o eventualmente da un atto di autolimitazione dell’Amministrazione stessa, e in ogni caso deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento (cfr. art. 21-bis l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo introdotto dall’art. 2 l. 21 luglio 2000, n. 205, nonché, per il principio Cons. Stato, IV, 4 settembre 1985, n. 333 e 6 febbraio 1995, n. 51; V, 6 giuno 1996, n. 681 e 15 settembre 1997, n. 980).
La fattispecie del silenzio produttivo di effetti giuridici, come mera inerzia dei pubblici poteri contrastante con i principi di buon andamento, trasparenza, pubblicità e tempestività dell’azione amministrativa, è rapportabile a fattispecie anche diverse da procedure su istanza di parte, essendo ipotizzabili lesioni di interessi protetti (di tipo sia oppositivo che pretensivo), connesse a omissioni dell’Amministrazione in ordine all’emanazione di atti dovuti (es. Cons. Stato, VI, 19 marzo 2008, n. 1188; IV, 7 luglio 2008, n. 3384).
I principi acquisiti in tema di illegittimità del silenzio dell’amministrazione non paiono però rapportabili alla pretesa di un privato di riduzione della fascia di rispetto cimiteriale a norma dell’art. 338, quarto comma, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) sul vincolo di inedificabilità per fascia di rispetto cimiteriale, secondo cui “Il Consiglio Comunale può approvare, previo parere favorevole delle competete azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:
a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;
b) l’impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari”.
La norma riportata ha carattere derogatorio ed eccezionale rispetto alla regola enunciata al primo comma secondo cui “I cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici[…]”.
Per consolidata giurisprudenza, il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege, suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell’art. 338, quarto comma; ma non per interessi privati, come ad esempio per legittimare ex post realizzazioni edilizie abusive di privati, o comunque interventi edilizi futuri, su un’area a tal fine indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonché per la sacralità dei luoghi di sepoltura, salve ulteriori esigenze di mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (cfr. Cass., I, 23 giugno 2004, n. 11669; Cons. Stato., II, 7 marzo 1990, parere n. 1109; Cons. Stato, IV, 11 ottobre 2006, n. 6064; V, 2 aprile 1991, n. 379, 29 marzo 2006, n. 1593; 3 maggio 2007, n. 1934 e 14 settembre 2010, n. 6671).
A parte ogni ulteriore considerazione di base circa la discrezionalità sul se provvedere, il procedimento attivabile dai singoli proprietari all’interno della fascia di rispetto, pertanto, è dunque, in ogni caso, soltanto quello finalizzato agli interventi di cui all’art. 338, settimo comma, del citato r.d. n. 1265 del 1934 (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti); mentre resta attivabile nel solo interesse pubblico – per i motivi anzidetti – la procedura di riduzione della fascia inedificabile in questione.
Ne consegue che non vi era, nel caso in esame, alcun dovere di provvedere da parte dell’Amministrazione circa l’istanza del privato.
Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto. Le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello; condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di €. 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
Carlo Mosca, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)