Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4628, del 17 settembre 2013
Urbanistica.Variante al P.R.G. e inesistenti diritti edificatori risarcibili

Neppure può essere riconosciuto alcun peculiare titolo al preteso risarcimento in relazione al venir meno di una precedente previsione urbanistica che consentiva un utilizzo dell'area in modo più proficuo in quanto la posizione giuridica del privato alla non "reformatio in pejus" delle destinazioni di zona è un’aspettativa generica e comunque cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica. Nella specie poi, non può essere riconosciuta una posizione giuridicamente qualificata e tutelata ai titolari di progetti di lottizzazione che risultino ancora in fase istruttoria o in itinere (ancorché da lungo tempo) al momento della variazione del piano regolatore generale; ovvero comunque abbiano perso efficacia per scadenza del termine decennale che abbia determinato il venir meno dei presupposti dello ius aedificandi e della posizione qualificata del lottizzante. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04628/2013REG.PROV.COLL.

N. 09355/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9355 del 2008, proposto da: 
Immobiliare Elisabetta S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Santamaria, Diego Vaiano, con domicilio eletto presso Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio N. 3;

contro

Comune di Monza, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso Giuseppe Franco Ferrari in Roma, via di Ripetta, 142; Regione Lombardia;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 03047/2008, resa tra le parti, concernente variante al prg per riconoscimento del parco di cintura urbana



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2013 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Bruno Santamaria e Giuseppe Franco Ferrari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame la Elisabetta immobiliare Srl impugna la decisione con cui il Tar Lombardia:

a) ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso in conseguenza della “revoca” della variante del 1993 impugnata in primo grado, conseguente alla nuova variante di cui alla deliberazione n. 23/1997;

b) ha dichiarato la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivanti della variante impugnata, perché il dies a quo per il computo del termine quinquennale sarebbe decorso a far data dalla “revoca” del 1997;

c) ha ritenuto insussistente un particolare onere del Comune di motivare la nuova variante parziale al di là delle estrinsecazione delle sole ragioni di carattere tecnico urbanistico;

d) non ha considerato che sarebbe stato più opportuno inserire altre aree nel perimetro del “Parco di Cintura Urbana” in luogo di deludere le aspettative create nel privato con il precedente PRG e non avrebbe operato una corretta comparazione tra gli interessi pubblici e quelli dell’immobiliare appellante;

e) ha ritenuto legittimo il sacrificio di aree, come quelli di proprietà della ricorrente che, in ragione della loro parziale edificazione, non avrebbero avuto peculiare valore ambientale, fondando tale convincimento sul solo rilievo per cui la Regione consentiva l’inserimento nei parchi comunali anche di aree in parte già edificate;

f) ha adottato una disciplina senza considerare le esigenze dei comuni limitrofi e una senza previa concertazione con loro;

g) ha liquidato sommariamente la questione del dimensionamento del piano, ritenendola erroneamente effettuata ai sensi della legge regionale Lombardia e n. 51/1935 e qualificandola come scelta amministrativa sindacabile senza alcuna analisi sul capo della capacità insediativa della quantità di aree a standard determinata dal Comune di Monza.

L'appello è affidato alla denuncia, sotto un'unica rubrica, di due profili di censura diretti, da un lato, a censurare l’erroneità della sentenza impugnata e dall’altro a riproporre i motivi che sarebbero stati erroneamente rigettati in primo grado.

Si è costituito in giudizio il Comune di Monza che, con memoria per l’udienza pubblica e con ulteriori note per la discussione, ha contestato le tesi dell’appellante e sottolineato l’esattezza delle conclusioni del TAR.

A sua volta la società appellante, con la memoria per la discussione e con l’ulteriore memoria di replica, ha confutato in linea preliminare le eccezioni dell’amministrazione comunale e, nel merito, ha ulteriormente ribadito le proprie argomentazioni.

Chiamata all'udienza pubblica,uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

L’appello è infondato.

___1.§ Con il primo motivo di gravame l'appellante lamenta l'erroneità della declaratoria di improcedibilità.

Non essendoci stata alcuna esplicita declaratoria della ricorrente in tal senso e non essendovi stato un mutamento della situazione di fatto e di diritto tale da far venir meno con certezza la possibilità di avere una qualsiasi utilità residua,.essendo inoltre necessaria la deliberazione anche sulla domanda di risarcimento dei danni, il Tar non avrebbe dunque potuto dichiarare l'improcedibilità del ricorso.

___2. Con un secondo motivo sostanziale, non espressamente rubricato, la società appellante lamenta l'erroneità della declaratoria di prescrizione dell'azione.

Al contrario la giurisprudenza di questo Consiglio avrebbe affermato che nessuna preclusione al risarcimento del danno può individuarsi quando la lesione sia già stata accertata dall'amministrazione in autotutela, con efficacia ex tunc. L'interesse residuale al risarcimento, che è proponibile anche successivamente alla sentenza che dichiara l'illegittimità del provvedimento amministrativo, deve essere fatto valere non dal momento dell'adozione dello stesso ma dal momento del passaggio in giudicato della relativa sentenza, in quanto fino a quel momento non vi era alcuna certezza della legittimità o meno del provvedimento revocato.

___ 3. L’assunto è complessivamente infondato.

Le aree della ricorrente -- che erano state classificate edificabili fin dal piano regolatore del 1971 ed erano state oggetto di un progetto di lottizzazione, con relativo piano particolareggiato di attuazione inoltrato all'amministrazione comunale ma non approvato -- con la delibera impugnata in questa sede C.C. n. 100/1993 erano state inserite nel “Parco della Cintura Urbana”.

Ma la successiva variante generale al PRG adottata con la delibera di consiglio comunale n. 23 del 1997 non era affatto un “revoca” della precedente variante come vorrebbe l’appellante.

Ciò per la fondamentale ragione che anche quest’ultima successiva variante aveva confermato l'inserimento delle aree dell’Elisabetta Immobiliare nel citato parco.

Il successivo intervento della nuova variante -- e la riscontrata legittimità della stessa -- costituisce dunque una modifica sostanziale della situazione dedotta specificamente in giudizio con il ricorso di primo grado n. 798/1994.

Il venir meno degli atti gravati ben giustificava la dichiarazione di improcedibilità dell'istanza di annullamento delle delibere impugnate in quella sede.

Né, in tale ambito, per contro poteva avere rilievo la richiesta di risarcimento.

Per ciò che concerne la predetta domanda deve senz’altro condividersi l’assunto del primo giudice per cui la domanda avrebbe dovuto, in ogni caso, essere tempestivamente introdotta nel termine quinquennale di prescrizione decorrente dalla adozione della nuova variante.

La sua pretesa, essendo direttamente collegata all’atto revocato, doveva infatti essere esercitata a partire dal momento del venire meno dello stesso.

Nell’ottica risarcitoria che qui interessa, non risulta comunque né un autoannullamento, né una “revoca” in senso tecnico, né una qualsiasi declaratoria dell’illegittimità delle delibere del 1993, in quanto la sopravvenuta variante, di cui alla predetta delibera n. 23/1097, era stata giudicata pienamente legittima dal Tar Lombardia con la sentenza n. 7778/2000, passata in cosa giudicata.

Inoltre il PGT del 2007, anche successivamente, ha definitivamente confermato la non edificabilità delle aree in questione.

Pertanto deve comunque negarsi che sussistessero i presupposti per il riconoscimento della tutela risarcitoria, per cui del tutto erroneamente l’appellante invoca la tutela spettante nel differente caso di autotutela o della ricorrenza di una “sentenza di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo”.

Sotto altro profilo, si deve peraltro rilevare che, per dei terreni che erano edificabili fin dal 1971, la mancata attivazione degli strumenti di tutela diretti ad ottenere un provvedimento conclusivo sull’istanza del 1992 fanno ritenere che comunque la mancata realizzazione degli scopi edificatori perseguiti dall’appellante sia, in parte, addebitabile anche alla parte medesima.

Neppure può essere riconosciuto alcun peculiare titolo al preteso risarcimento in relazione al venir meno di una precedente previsione urbanistica che consentiva un utilizzo dell'area in modo più proficuo in quanto la posizione giuridica del privato alla non "reformatio in pejus" delle destinazioni di zona è un’aspettativa generica e comunque cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica (cfr. Consiglio Stato sez. IV 04 marzo 2003 n. 1191; Consiglio Stato sez. V 18 dicembre 2002 n. 7037).

Nella specie poi, non può essere riconosciuta una posizione giuridicamente qualificata e tutelata ai titolari di progetti di lottizzazione che risultino ancora in fase istruttoria o in itinere (ancorché da lungo tempo) al momento della variazione del piano regolatore generale (cfr. Consiglio Stato sez. IV 21 aprile 2009 n. 2418); ovvero comunque abbiano perso efficacia per scadenza del termine decennale che abbia determinato il venir meno dei presupposti dello ius aedificandi e della posizione qualificata del lottizzante (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 01 aprile 2011 n. 2071).

In conseguenza della sostanziale legittimità del provvedimento impugnato in primo grado è dunque evidente che, nel caso, non sussistono i requisiti né dell’ingiustizia del danno e né della colpa dell’amministrazione comunale.

L'art. 30 c.p.a. II co. disciplina espressamente la risarcibilità degli « interessi legittimi » richiamando -- e presupponendo -- l’ “illegittimo esercizio dell’attività amministrativa”.

In presenza di un'azione amministrativa legittima dell'Amministrazione deve dunque escludersi sia la “colpa” dell'Amministrazione, per l’assenza di una condotta antigiuridica, e sia “l’ingiustizia del danno” (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 31 maggio 2012 n. 3262; Consiglio Stato sez. VI 18 agosto 2009 n. 4958, ecc. ).

La legittimità del provvedimento esclude ogni possibilità di riconoscere, in questa sede, danni conseguenti al legittimo esercizio del potere amministrativo e di far luogo al riconoscimento del risarcimento del danno da “atto legittimo” (cfr. di recente: Consiglio di Stato sez. IV 12 febbraio 2013, n. 829; idem Consiglio di Stato sez. IV 07 luglio 2011 n. 4072, ecc,)

La pretesa risarcitoria non può dunque trovare accoglimento.

___3. In conseguenza dell’improcedibilità del gravame per sopravvenuto difetto di interesse può prescindersi dall’esame della restanti censure.

Le stesse appaiono comunque del tutto inammissibili anche perche sono meramente reiterative di censure introdotte in primo grado. Il giudizio di appello, notoriamente, non è un iudicium novum, per cui la cognizione del giudice resta circoscritta ai motivi ed alle questioni specificamente dedotti dall’appellante avverso la decisione gravata. Il principio di specificità dei motivi esige perciò che l’appellante non possa limitarsi alla mera riproposizione delle stesse tesi iniziali, ma debba contrapporre alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata quelle idonee ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono (cfr. infra multa Consiglio Stato, sez. IV 11 novembre 2011 n.5969; Consiglio Stato, sez. IV, 09 ottobre 2010, n. 7384; Consiglio Stato, sez. V, 06 ottobre 2009, n. 6094; Consiglio Stato, sez. IV 7.6.2004 n.3614, ecc. ).

___ 4.§ In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto e di conseguenza deve confermarsi la sentenza impugnata sia pure con le integrazioni motivazionali di cui sopra.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

___ 1. Respinge l'appello, come in epigrafe proposto.

___ 2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in € 3.000,00 oltre all’IVA e CPA in favore dell’amministrazione comunale di Monza .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)