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Corte Costituzionale sentenza n. 38 del 26 gennaio 2004

giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico–edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) promosso con ordinanza del 2 ottobre 2002 dal Tribunale di Potenza nel procedimento disciplinare promosso dal pubblico ministero contro notaio Luigi Gatti, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2003.

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SENTENZA N.38

ANNO 2004

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:


Riccardo CHIEPPA Presidente


Gustavo ZAGREBELSKY Giudice


Valerio ONIDA "


Carlo MEZZANOTTE "


Fernanda CONTRI "


Guido NEPPI MODONA "


Piero Alberto CAPOTOSTI "


Annibale MARINI "


Franco BILE "


Romano VACCARELLA "


Paolo MADDALENA "


Alfio FINOCCHIARO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico–edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) promosso con ordinanza del 2 ottobre 2002 dal Tribunale di Potenza nel procedimento disciplinare promosso dal pubblico ministero contro notaio Luigi Gatti, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’1 ottobre 2003 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

1.– Nel corso di giudizio disciplinare a carico di un notaio, per avvenuta stipulazione di un atto nullo per difetto dei requisiti previsti dall’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), il Tribunale di Potenza, con ordinanza 2 ottobre 2002, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2003, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della stessa norma, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che gli atti fra vivi aventi ad oggetto diritti reali riguardanti terreni, ai quali non sia stato allegato un valido certificato di destinazione urbanistica, possano esser confermati mediante un atto redatto nella stessa forma del precedente, cui sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree, relativamente al giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare.

Il certificato di destinazione urbanistica, allegato all’atto di compravendita rogato dal notaio il 1° agosto 2000, era stato rilasciato il 23 luglio 1999, e quindi era scaduto per decorso del termine annuale previsto dall’art. 18 della legge n. 47 del 1985. Promosso dal pubblico ministero il procedimento disciplinare a carico del notaio, questi si difendeva adducendo che la nullità era stata sanata mediante negozio di conferma, stipulato a suo ministero il 9 luglio 2001, per cui l’infrazione disciplinare non era più sanzionabile.

Deduce il rimettente che per giurisprudenza costante la rogazione di atto pubblico (o l’autenticazione di scrittura privata autenticata) cui sia allegato certificato di validità scaduto, costituisce violazione, per il richiamo operato dall’art. 21, primo comma, della legge n. 47 del 1985, dell’art. 28, primo comma, n. 1, della legge 13 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), con conseguente rilevanza disciplinare dell’infrazione, ai sensi dell’art. 138, secondo comma, legge n. 89 del 1913, trattandosi di nullità insuscettibile di sanatoria.

Diversamente, osserva il Tribunale, l’art. 17, quarto comma, della legge n. 47 del 1985, consente che per gli atti fra vivi aventi ad oggetto edifici, in cui sia stata omessa l’indicazione degli estremi della concessione, è possibile la conferma, purché l’omissione non sia dipesa dalla sua insussistenza all’epoca della stipulazione; analoga possibilità di conferma è data dall’art. 40 della legge citata, sempre per gli atti fra vivi aventi ad oggetto edifici, nei casi di mancanza delle dichiarazioni o dei documenti da indicare o allegarsi quando la mancanza non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o della domanda di sanatoria, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata dopo il 15 settembre 1967.

Analoga possibilità non è prevista in caso di mancanza di valido certificato relativo alla destinazione urbanistica dei terreni, per cui l’atto è e resta irrimediabilmente nullo. Per ovviare alla mancata considerazione di rilevanza di atti confermativi, intervenne una decretazione d’urgenza, più volte reiterata (dal d.l. 27 settembre 1994, n. 551, al d.l. 24 settembre 1996, n. 495), ma non convertita in legge, con previsione, fra l’altro, che anche gli atti sprovvisti di allegazione di certificato di destinazione urbanistica potessero essere confermati mediante atti redatti nella stessa forma del precedente, con allegato certificato contenente le prescrizioni urbanistiche, riguardanti le aree, attinenti al giorno della stipulazione dell’atto da confermare. Né l’art. 30 del nuovo d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ha apportato innovazioni al riguardo, limitandosi a riprodurre il testo dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985.

Non essendo dunque ammissibile, nell’attuale contesto normativo, una conferma degli atti aventi ad oggetto terreni, carenti dell’allegazione di valido certificato di destinazione urbanistica, la "conferma" stipulata dal notaio prevenuto nel procedimento disciplinare, assume la natura di semplice rinnovazione del contratto nullo, emendato del vizio di nullità, escludendosi però la produzione di effetti traslativi dell’originario contratto nullo.

La questione si presenta – ad avviso del giudice a quo – non manifestamente infondata per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della logicità e ragionevolezza, non trovando la norma alcuna giustificazione nell’esigenza di diversificare il trattamento normativo di fattispecie eterogenee, dato che la ratio degli artt. 17, 18 e 40 legge n. 47 del 1985, è di prevenire la commercializzazione di edifici abusivi e la lottizzazione abusiva di terreni edificatori, per i primi attraverso l’indicazione degli estremi del titolo abilitativo all’edificazione o attraverso l’autocertificazione dell’anteriorità della costruzione al 1° settembre 1967, e per i secondi attraverso il certificato attestante la situazione urbanistica del terreno oggetto del contratto. Il carattere formale della nullità, che non consegue in nessuno dei tre casi a illiceità del contratto, rende illogica la restrizione della confermabilità del negozio, immune dal vizio, per i soli negozi attinenti ai fabbricati, e non anche per i terreni. Tutte le formalità prescritte dalle norme citate si prestano ugualmente ad una regolarizzazione in epoca successiva alla conclusione del contratto, senza che ciò comporti conseguenza sul piano sostanziale.

Neppure potrebbe ricondursi la differenziazione delle fattispecie, ad una maggiore pericolosità dell’abusivismo delle lottizzazioni che delle costruzioni, tanto più che per queste ultime, ove non vi sia mai stato titolo abilitativo alla costruzione, o questa sia successiva al 1° settembre 1967, il vizio di risolve in nullità sostanziale, che comporta l’incommerciabilità del fabbricato; per i terreni, invece, l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica non ostacola la disponibilità del terreno derivante da lottizzazione abusiva, dal momento che la strumentalità della contrattazione alla consumazione del reato di lottizzazione abusiva non è riconoscibile in re ipsa, ma solo a posteriori, all’esito del controllo operato dal Sindaco - cui deve essere trasmessa copia dell’atto ricevuto o autenticato dal notaio entro trenta giorni dalla registrazione – a seguito dell’ordinanza di sospensione delle opere, che comporta il divieto per i proprietari di disporre delle aree e delle opere mediante atto fra vivi.

La norma non può essere interpretata in via estensiva o analogica, ostandovi il disposto dell’art. 1423 cod. civ., che non consente la convalida del negozio nullo al di fuori delle ipotesi previste in via eccezionale.

La soluzione della questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini della decisione: l’applicazione della norma denunciata comporta l’imputabilità disciplinare del notaio nel giudizio de quo; diversamente, la manipolazione additiva della norma, nel senso della rilevanza di una conferma postuma dell’atto, corredata da certificato valido, comporterebbe l’esenzione da responsabilità.

2.- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato. La difesa erariale chiede dichiararsi l’inammissibilità della questione poiché, anche a voler ammettere la conferma del negozio nullo, l’originaria nullità è di per sé sufficiente a far scattare la responsabilità disciplinare del notaio, e comunque l’infondatezza poiché l’intervento additivo richiesto alla Corte Costituzionale è volto ad equiparare fattispecie del tutto diverse, atteso che una cosa è l’omessa indicazione degli estremi della concessione, tuttavia esistenti al momento del rogito e meramente non citati nell’atto, una cosa è la mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, che attiene non già ad un mero errore omissivo (come tale emendabile), ma all’assenza (o scadenza di validità) di un documento che attesta la qualità del bene commerciato. 

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Potenza dubita della legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistica-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) che non prevede la possibilità di conferma di un precedente atto di compravendita di terreni, nullo per omessa allegazione di certificato di destinazione urbanistica, mediante un atto redatto nella stessa forma del precedente, cui sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree, relativamente al giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare. La rogazione di atto pubblico (o l’autenticazione di scrittura privata autenticata) cui sia allegato certificato di validità scaduto, costituisce violazione, per il richiamo operato dall’art. 21, primo comma, della legge n. 47 del 1985, dell’art. 28, primo comma, n. 1, della legge 13 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), con conseguente rilevanza disciplinare dell’infrazione a carico del notaio, ai sensi dell’art. 138, secondo comma, della legge l. n. 89 del 1913, trattandosi di nullità insuscettibile di sanatoria.

Diversamente, osserva il Tribunale, l’art. 17, quarto comma, della legge n. 47 del 1985, consente che per gli atti fra vivi aventi ad oggetto edifici, in cui sia stata omessa l’indicazione degli estremi della concessione, è possibile la conferma, purché l’omissione non sia dipesa dalla sua insussistenza all’epoca della stipulazione; analoga possibilità di conferma è data dall’art. 40 della stessa legge, sempre per gli atti fra vivi aventi ad oggetto edifici, nei casi di mancanza delle dichiarazioni o dei documenti da indicare o allegarsi quando la mancanza non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o della domanda di sanatoria, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata dopo il 15 settembre 1967. La conferma rende di conseguenza improcedibile l’azione disciplinare nei confronti del notaio rogante.

La diversificazione della disciplina, alla luce della quale, per i negozi aventi ad oggetto terreni, è irrilevante la successiva conferma ai fini dell’azione disciplinare, non troverebbe giustificazione, sotto i profili della logicità e ragionevolezza, attesa l’omogeneità delle fattispecie, la cui finalità è di prevenire la commercializzazione di edifici abusivi e la lottizzazione abusiva di terreni edificatori, per i primi attraverso l’indicazione degli estremi del titolo abilitativo all’edificazione o attraverso l’autocertificazione dell’anteriorità della costruzione al 1° settembre 1967, e per i secondi attraverso l’allegazione del certificato attestante la situazione urbanistica del terreno oggetto del contratto. Il carattere formale della nullità, che non consegue in nessuno dei tre casi a illiceità del contratto, rende illogica la restrizione della confermabilità dell’atto, immune dal vizio, per i soli negozi attinenti ai fabbricati, e non anche per i terreni. Tutte le formalità prescritte dalle norme citate si presterebbero ugualmente ad una regolarizzazione in epoca successiva alla conclusione del contratto, senza che ciò comporti conseguenze sul piano sostanziale.

2.– Va, preliminarmente, esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa erariale, la quale ha rilevato la nessuna utilità di una pronuncia di incostituzionalità della norma denunciata, perché, anche ad introdurre la possibilità di conferma del negozio nullo, mediante la tardiva allegazione del certificato di destinazione urbanistica, l’illecito disciplinare si è già consumato ed è storicamente non rimuovibile, non potendo essere posto nel nulla per effetto di avvenimenti successivi.

L’eccezione è infondata.

L’art. 21, comma primo, della legge n. 47 del 1985 – ora abrogato dall’art. 136 del d. lgs. 6 giugno 2001, n. 378 (Disposizioni legislative in materia edilizia), ma applicabile alla fattispecie – configura la responsabilità disciplinare del notaio solo in rapporto ad atti non confermabili, con la conseguenza che ove fosse prevista, in accoglimento della questione di costituzionalità prospettata, la conferma, la responsabilità disciplinare non potrebbe scattare, pur se l’irregolarità fosse stata commessa con la stipulazione di un atto nullo. Ciò è sufficiente per l’ammissibilità della questione proposta.

3.- Nel merito, la questione non è fondata.

Si pone, preliminarmente, la necessità di un inquadramento sistematico della norma censurata, nell’ambito della problematica generale della responsabilità del notaio quale ufficiale rogante atti di trasferimento di beni interessati dalla normativa urbanistica. 

Va osservato che la norma in oggetto, a differenza degli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985, richiamati dal giudice a quo come tertia comparationis, contiene una disciplina positiva ispirata alla ratio di definire testualmente i compiti del notaio in sede di stipulazione di atti di trasferimento di immobili, allo scopo di superare le incertezze riscontrabili nella giurisprudenza penale in tema di lottizzazioni negoziali. 

Al fine di arginare il fenomeno della lottizzazione abusiva, infatti, la giurisprudenza aveva interpretato in senso estensivo la sfera dei destinatari della norma penale, ricomprendendovi sia i tecnici che i notai. 

Va tenuto conto che, innovando decisamente rispetto alla prevalente applicazione giurisprudenziale – che dunque individuava i notai tra i partecipi al complesso disegno criminoso della lottizzazione negoziale – la legge n. 47 del 1985, onerando il pubblico ufficiale di adempimenti formali (controllo sull’allegazione di certificato di destinazione urbanistica, trasmissione dell’atto al Sindaco), e così mettendo in condizione l’autorità preposta al governo del territorio di valutare gli elementi dai quali desumere l’attività vietata, ne ha esattamente definiti i compiti e tipizzato le ipotesi di possibile violazione.

4.– Nell’intento di contrastare le operazioni lottizzatorie non consentite dalla disciplina urbanistica, la norma ha distinto due tipi di frazionamento di terreni, quello con opere, che qui non viene in considerazione, e quello negoziale, di cui ha determinato gli elementi caratterizzanti, individuando come indici rivelatori della lottizzazione le caratteristiche dei lotti, nonché elementi riferiti agli acquirenti, sempre che siano tali da evidenziare in modo non equivoco la destinazione di frazionamento e vendita, o atti equivalenti, del terreno a scopo edificatorio.

Le misure predisposte dalla legge n. 47 del 1985 si estrinsecano, sul piano civilistico, nella sanzione di nullità degli atti: di tipo formale (preventivo), riguardo a qualsiasi trasferimento di terreni, cui deve allegarsi il certificato di destinazione urbanistica (art. 18, primo comma) e di tipo sostanziale (e a posteriori), per gli atti nei quali l’autorità preposta al governo del territorio – e dunque in possesso dei mezzi (alcuni dei quali forniti dal notaio rogante: sesto comma), per una verifica degli elementi indiziari posti dal primo comma – ravvisi fattispecie di lottizzazione non autorizzata, avviando di conseguenza la procedura sanzionatoria.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (sentenza n. 595 del 1989), l’adempimento alle prescrizioni previste dall’art. 21, che richiama l’art. 18 quanto al certificato di destinazione urbanistica, copre ogni specie di responsabilità astrattamente configurabile a carico del notaio, sia essa penale, civile o disciplinare, con l’ovvio limite del contributo attivo e consapevole all’attività illecita altrui. 

5.– Il certificato di destinazione urbanistica, alla cui mancata allegazione la legge riconnette la sanzione di nullità del negozio e la conseguente responsabilità disciplinare del notaio, rende manifesta la destinazione urbanistica dell’area interessata: deve essere rilasciato dal Sindaco, entro trenta giorni dalla presentazione della relativa domanda; in caso di mancato rilascio può essere sostituito da una dichiarazione equipollente; conserva validità per il termine perentorio di un anno se, per dichiarazione dell’alienante, durante il termine di durata non siano intervenute modificazioni alla condizione urbanistica dei terreni.

L’esigenza cui sovrintende l’obbligo di allegazione del certificato, che riguarda qualsiasi trasferimento di terreni, indipendentemente dalle loro condizioni (con le eccezioni previste dall’art. 18 secondo comma, seconda parte), si compendia nella chiarezza che deve sovraintendere ai rapporti contrattuali, non essendo indifferente per la parte acquirente conoscere l’esatta natura giuridica del bene da acquistare (anche al fine di prevenire azioni di annullamento per errore su qualità essenziale della cosa venduta), non disgiunta dalla trasparenza riguardo ai terzi, per consentire ad essi di conoscere la condizione giuridica dei beni trasferiti. 

L’attività prescritta, di allegazione del certificato, è di per sé neutra - sempre possibile e non preclusa da alcun tipo di destinazione urbanistica - ma riveste, tuttavia, il ruolo di passaggio imprescindibile ai fini della attività di verifica complessiva degli atti riguardanti un determinato comprensorio, rimessa al Sindaco. 

6.– Nella diversa ipotesi di irregolarità degli edifici, le misure civilistiche anti-abusivismo, previste per il trasferimento degli stessi, sono improntate ad altra logica, nel sistema degli artt. 17 e 40: è prescritta la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia, anche in sanatoria, o della domanda di sanatoria, o dell’anteriorità della costruzione al 1967, senza di che scatta la nullità del negozio. 

All’impossibilità di ottemperare a tali adempimenti, o per il mancato rilascio di un provvedimento abilitativo alla costruzione, o anche per il mancato esercizio dell’attività di regolarizzazione dell’abuso, consegue la sostanziale incommerciabilità del bene. Solo ove la mancata prestazione dell’attività assertoria della parte non dipenda dalla sua impossibilità (mancanza dei presupposti storici), il negozio è confermabile. 

Ciò comporta che la possibilità di successiva conferma, è rimessa ad un accertamento sul carattere solo formale dell’omissione precedente, cui è chiamato il notaio rogante, eventualmente sollecitato al negozio confermativo.

Per gli immobili edificati, dunque, la sanzione di nullità del negozio è direttamente connessa all’indisponibilità del bene in conseguenza della sua irregolarità urbanistica immediatamente constatabile.

Riguardo ai terreni la violazione della disciplina urbanistica, perpetrata attraverso la lottizzazione non autorizzata del terreno a scopi edificatori, non si rende di per sé evidente al momento del trasferimento del singolo bene, bensì solo a posteriori, quando l’autorità preposta al governo del territorio sia posta in condizione di operare una sintesi dei dati in suo possesso, e tra questi il complesso degli atti di trasferimento, riguardanti una determinata estensione territoriale, trasmessi dai notai roganti i singoli atti.

7.– Le misure dalla legge rispettivamente predisposte per il trasferimento dei terreni e degli edifici, non sono dunque comparabili, in quanto ispirate ad un diverso sistema di accertamento e di contrasto all’abusivismo. La diversità della regolamentazione non appare dunque né illogica né irragionevole, attesa la differenza strutturale degli illeciti urbanistici riguardanti gli edifici da un lato, per i quali l’abuso è già stato perpetrato al momento dell’attività negoziale, per i terreni dall’altro, per i quali l’abuso è in via di consumazione per effetto di trasferimenti parziali. 

Le formalità che caratterizzano la stipulazione degli atti aventi ad oggetto terreni non edificati traggono una propria logica giustificazione dalla economia complessiva del sistema, finalizzato a investire il Sindaco degli elementi da cui cogliere l’esistenza di una lottizzazione, ed approntare le misure repressive. Di tale sistema l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica al momento della stipulazione dell’atto è passaggio fondamentale, anche se di per sé non significativo circa la regolarità del singolo atto di trasferimento.

La mancata previsione legislativa di conferma di un atto non assistito da certificato non è neppure di per sé irragionevole; al contrario, una sua previsione, postulando, proprio in consonanza con gli artt. 17 e 40, un obbligo di verifica sostanziale di conformità alla normativa urbanistica da parte del notaio, da un lato si porrebbe in contrasto con l’intento legislativo di ridefinizione dei compiti del pubblico ufficiale e di delimitazione delle ipotesi di responsabilità, dall’altro non apparirebbe di per sé attendibile e concludente, non disponendo il notaio di quel complesso di indici di valutazione indicati dal primo comma dell’art. 18, dai quali è possibile ravvisare l’illecito e dei quali solo il Sindaco può disporre.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Potenza con l’ordinanza indicata in epigrafe.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2004.


Riccardo CHIEPPA, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore


Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2004