Di seguito riporto i motivi del ricorso per cassazione redatti dal Collega di Studio Avvocato Bruno Leporatti perchè i lettori della sentenza della Suprema Corte possano valutare quello che la stessa definisce un "apprezzabile e documentato sforzo argomentativo".
Avvocato Paolo Bastianini

1. – INOSSERVANZA DELL’ART. 38 DELLA L. 47/1985, COME RICHIAMATO DALL’ART. DALL’ART. 32, COMMI 25 E SEGG. D.L. 269/2003 CONVERTITO NELLA LEGGE 326/2003, ANCHE IN RELAZIONE ALL’ART. 39 COMMA 8, L. 724/1994
(art. 606, lett. b], c.p.p.)
1.a) Ritengono i Giudici fiorentini, aderendo ad un indirizzo interpretativo di codesta Suprema Corte che nelle zone soggette ai vincoli indicati dall’art. 32, comma 27, lett. d] del D.L. 269/2003, non siano condonabili le opere di cui alle tipologie 1, 2, 3 di cui all’allegato 1 al decreto legge, onde rispetto ad esse non sarebbe possibile ipotizzare alcun beneficio discendente dalla presentazione della relativa domanda [di condono], né conseguentemente fruire della sospensione del procedimento penale scaturente dalla presentazione della stessa e dal pagamento dell’oblazione.
1.b) Per quanto l’interpretazione delle norme in questione fatta dalla Corte di Appello provenga da fonte più che autorevole, ciononostante non se ne può non rilevare l’erroneità in quanto inaderente rispetto al dato normativo, la cui lettura, di contro, contrariamente a quanto affermato nella sentenza qui impugnata, induce a ritenere pienamente applicabile anche nelle aree soggette a vincolo, il condono edilizio anche per ciò che attiene le tipologie 1, 2 e 3 del dell’allegato 1 al D.L. 269/2003.
Recita infatti testualmente l’art. 32, comma 26, lett. a] del D.L. 269/2003 che le tipologie di illecito di cui ai nn. da 1 a 3 del ridetto allegato sono suscettibili di sanatoria […] nell’ambito dell’intero territorio nazionale.
La locuzione, non lascia spazi a dubbi di interpretazione: applicabilità sull’intero territorio nazionale vuol dire in ogni parte dello Stato, ivi comprese le aree soggette ai vincoli idrogeologici, paesaggistici ed ambientali, che del territorio statale fanno parte a pieno titolo ed anzi ne costituiscono parte pregevole (o comunque meritevole di particolare attenzione) tanto da essere sottoposte a peculiare tutela.
Quindi, se le opere di cui all’allegato 1 (nn. 1, 2, 3) che qui interessano si possono sanare su ogni parte del territorio nazionale, non v’è ragione linguistica per escluderle a priori in riferimento alle aree vincolate.
A sostegno dell’esattezza dell’interpretazione letterale, militano altri argomenti pure desumibili dal testo del provvedimento normativo:
 il richiamo contenuto nel comma 26, lettera a] dell’art. 32, alla lett. e] del successivo comma 27 e cioè alle opere “realizzate su immobili dichiarati monumenti nazionali […] o dichiarati di interesse particolarmente rilevante […]”
dovendosi osservare a tal proposito che la previsione non avrebbe alcun senso ove non confermasse la sanabilità teorica delle opere appartenenti a qualsiasi tipologia di illecito su l’intero territorio dello stato: il riferimento, infatti, a tali categorie di beni – nel senso di escludere in assoluto ogni possibilità di legittimare le opere abusive di cui alle tipologie 1, 2 3, realizzate su di essi – nulla significa ove non si contrapponga alla possibilità di sanare le stesse tipologie nelle altre situazioni delineate dall’art. 32, comma 27, del D.L 269/2003, posto che la previsione de qua, nell’ipotesi di esattezza dell’interpretazione fatta propria dall’impugnata sentenza, sarebbe inutile ripetizione di un concetto (l’impossibilità di sanare le tipologie abusive maggiori) già espresso nell’affermazione dell’essere comunque vietata la sanatoria per gli immobili soggetti ai vincoli di cui all’art. 32 della L. 47/1985 fra le quali indubbiamente rientrano sia i monumenti nazionali che i beni di cui all’art. 6 e 7 del D. Leg.vo 490/1999;
 la previsione, contenuta nell’art. 32, comma 27, lett. d] del medesimo D.L. 269/2003, del non essere sanabili gli interventi eseguiti nelle zone soggette a vincolo in assenza o difformità dal titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
in quanto il dato normativo non diversifica fra interventi di nuova costruzione o di ampliamento rispetto a quelli minori, limitandosi al riferimento alla mancanza o alla diversità dell’edificato dal titolo edilizio (e cioè, indifferentemente dal permesso di costruire o dalla D.I.A.) ed a sancire – quale condizione per ottenere concretamente la sanatoria – quella della conformità alle norme edilizie ed urbanistiche vigenti sul territorio.
Peraltro non si può fare a meno di osservare che ove fosse esatta l’interpretazione data dalla Corte di Appello al sistema normativo, essa condurrebbe all’esclusione, comunque, dalla possibilità di conseguire la sanatoria delle opere di cui alla tipologia 2 dell’allegato 1, al D.L. 269/2003 che, sebbene realizzate in assenza del titolo, lo avrebbero potuto conseguire perché conformi alla pianificazione territoriale, in tal modo irragionevolmente escludendosi dall’ambito del beneficio tale categoria di interventi, in base a considerazioni di natura esclusivamente formale.
1.c) In base a tali valutazioni è possibile dare una lettura diversa della norma, da quella fornita dalla Corte di Appello nel senso che, ferma la teorica sanabilità delle tipologie di illecito di cui ai punti 1, 2, 3 dell’allegato 1 al D.L. 269/2003 anche nelle aree vincolate, in quanto possibile sull’intero territorio nazionale (sanabilità da verificarsi in concreto alla luce del disposto dell’art. 32, comma 27, lett. d] dello stesso decreto legge), il riferimento alle tipologie di illecito 4, 5, 6 nell’ambito delle zone sottoposte a vincolo deve intendersi non come limitazione solo ad esse degli interventi assoggettabili a sanatoria, bensì, come affermazione dell’obbligo di accedere alla sanatoria anche per gli interventi minori, laddove sul resto del territorio dello Stato, libero da vincoli, la necessità o meno di regolarizzare detti interventi più modesti (che non hanno autonoma rilevanza penale – non violando vincoli ed essendo realizzabili tramite D.I.A. la cui mancanza o difformità non determina applicazione di sanzione penale) attraverso il procedimento di condono edilizio è rimesso alla Legislazione (ed alla discrezionalità ) regionale che stabilisce la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità alla sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio.
Pare allo scrivente che quella sopra suggerita sia l’unica interpretazione possibile a meno di non voler ipotizzare che gli interventi minori (tipologie 4, 5, 6 dell’allegato) siano sempre sanabili nelle aree vincolate e di contro non sanabili ove la regione non ne ammetta la possibilità [di sanatoria] nelle zone scoperte da vincoli, in tal modo dandosi (evidentemente) luogo al paradosso di zone sottoposte a particolare tutela ove la sanatoria di siffatti interventi sarebbe sempre ammissibile e quindi più facile rispetto alle aree di minor pregio ambientale (in senso lato).
1.d) Un ulteriore argomento a sostegno della tesi qui propugnata e cioè della sanabilità degli interventi edilizi di cui alle tipologie di abuso 1, 2, 3 dell’allegato 1 al D.L. 269/2003 per immobili soggetti a vincolo, entro i limiti delineati dall’art. 32, comma 27, lett. d] del medesimo corpo normativo e cioè in presenza della conformità alla normativa edilizia ed urbanistica vigente sull’area, è fornito dalla sentenza n. 49/2006 della Corte Costituzionale la quale, pronunciando sulla legittimità – sollevata sotto vari profili – dell’art. 3, comma 1, della L.R. Lombardia n. 31/2004, ne ha riconosciuto la conformità alla Costituzione ritenendo che essa si limitasse «effettivamente, a recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal decreto-legge n. 269 del 2003».
A tal proposito pare importante sottolineare come nell’interpretazione della Corte Costituzionale, quale sostanzialmente emerge dalla sentenza de qua, non tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilità ma solo – in coerenza con la norma statale – quelli di inedificabilità assoluta.
Ne deriva che in base a tale assunto si può affermare che le opere abusive (appartenenti a qualsiasi tipologia) potranno essere sanate laddove siano conformi alla normativa urbanistica, previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, come disciplinato dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/85, nella formulazione introdotta dal comma 43 del decreto - legge n. 269 del 2003, il che, si ribadisce, è l’unica interpretazione possibile alla luce del dato testuale dell’art. 32, commi 26 e 27 del D.L. 269/2003.