La prova del motivo di assenza di sufficienti investimenti di denari.
[Nota sulla comparazione della sentenza n. 670/2015 del TAR Toscana e dell’ordinanza n. 469/2015 del TAR Toscana di rimessione alla Corte Costituzionale della q.l. dell’art. 84-bis, c. 2, lett. b) della LRT 1/2005]

di Massimo GRISANTI

A fine del mio scritto “La SCIA, gli abusi legalizzati e la disciplina anti-sismica” pubblicato il 23/4/2015 sulla rivista giuridica on-line Lexambiente.it avevo fatto promessa ai lettori che li avrei notiziati quando sarebbe stata pubblicata la prossima sentenza dello stupefacente Collegio della III^ Sezione del TAR Toscana.

Eccoci qua!

Preme innanzi tutto evidenziare che le decisioni in commento sono state prese, entrambe, dai medesimi componenti del Collegio e Sezione del TAR Toscana – differisce unicamente chi ha materialmente esteso la decisione (e non è mai stato il Presidente) – ed in entrambi i casi viene chiesto l’annullamento di ordinanze di demolizione di opere abusive basate su dichiarazioni di inefficacia delle DIA/SCIA per assenza dei presupposti legittimanti.

Con lo scritto citato ho criticato la rimessione alla Consulta della q.l.c. dell’art. 84-bis, c. 2, lett. b) della LRT 1/2005, con le cui disposizioni – riprese dall’art. 21 della Legge n. 241/1990 – viene riconosciuto ai comuni il potere di reprimere, senza limiti di tempo, le opere eseguite in forza di DIA/SCIA fondata su dichiarazioni inveritiere (compreso la rispondenza delle opere alla disciplina urbanistica). La decisione collegiale è stata assunta nella camera di consiglio del 17/2/2015 ed è stata pubblicata il 25/3/2015.

Per mezzo della sentenza n. 670 – decisa nella camera di consiglio del 8/4/2015 e depositata il 28/4/2015, e quindi a distanza di pochissimi giorni dall’ordinanza collegiale – il medesimo Collegio ha stabilito: “… Va in proposito osservato che le denunce di inizio attività fondate su dichiarazioni mendaci o su false attestazioni sono disciplinate dall’art. 21, comma primo, legge n. 241/1990, secondo il quale in tali casi non si producono gli effetti conformativi. Il nuovo testo dell’art. 19 della medesima legge (comma terzo, come modificato dall’art. 49 del d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010), consente, in caso di mendacio, l’esercizio in ogni tempo da parte dell’amministrazione del potere di vietare la prosecuzione dei lavori o di rimuoverne gli effetti dannosi (cfr. Tar Lazio – Roma, II, n. 350/2014). In pratica, presupposti indefettibili affinché una denuncia di inizio d’attività possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione (Tar Toscana, III, n. 1807/2012, con citazioni di ulteriori precedenti). Va inoltre ricordato che l’art. 84, comma settimo, della l.r. Toscana n. 1/2005, nel testo vigente all’epoca dei fatti oggetto di controversia, ammette il superamento del termine entro il quale ordinariamente è consentito l’esercizio del potere di controllo nei casi in cui il contenuto delle attestazioni dei professionisti non corrisponda al vero e comporti la violazione delle disposizioni vigenti. Ciò significa che in tali ipotesi la denuncia stessa non produce gli effetti che fisiologicamente le sono propri (si veda ancora, in proposito, la su citata sentenza della Sezione n. 1807/2012, in cui si precisa che non si ravvisa «nel caso di specie un provvedimento di autotutela ancorato ai presupposti indicati dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990, giacché in forza dell'art. 84, comma 7, della L.R. n. 1/2005 "il superamento del termine di venti giorni non preclude la potestà di controllo del Comune e l'adozione dei pertinenti provvedimenti sanzionatori, con la conseguenza che la repressione dell'attività edilizia contrastante con la normativa non deve sottostare all'esercizio dell'autotutela" (TAR Toscana, III, 14.5.2010, n. 1456). Pertanto la contestata declaratoria di inefficacia non costituisce provvedimento atipico, ma è riconducibile alla citata norma regionale.» …”.

In sostanza, la stessa norma regionale – che ribadisce quanto è stato già prescritto dal legislatore statale all’art. 21 della Legge n. 241/1990 – è sospetta di incostituzionalità da parte del medesimo Collegio il 17/2/2015, mentre i dubbi sono stati già dissipati l’8/4/2015.

Si ricordano e si riportano – ancora una volta e visto che c’è di bisogno, repetita iuvant – le disposizioni dell’art. 21 della Legge n. 241/1990 e s.m.i. nel testo vigente dal 15/5/2005:

“Art. 21 - (Disposizioni sanzionatorie)

1. Con la denuncia o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dell'articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

2. Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente.

2-bis. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20.”.

Per di più si consideri che ad essere state gravate, nelle due decisioni, sono state due ordinanze contenenti la dichiarazioni di inefficacia della DIA/SCIA edilizia, adottate – entrambe dal dirigente/responsabile della Direzione Urbanistica del Comune di Firenze – a distanza di 3 (tre) giorni l’una dall’altra (la n. 130 del 28/2/2014, quella su cui pende la sollevata q.l.c. – la n. 831 del 25/2/2014, quella decisa con sentenza)!!!

Né può tentare, il Collegio, di salvarsi in “calcio d’angolo” richiamando, nella sentenza n. 670/2015, l’art. 84 della LRT n. 1/2005 vigente all’epoca dei fatti – anziché l’art. 84-bis, introdotto nel corpo della LRT n. 1/2005 con la successiva legge n. 40/2011, come più correttamente riporta l’ordinanza di rimessione – giacché la norma di riferimento per la valutazione della legittimità dei provvedimenti impugnati può (deve) essere solamente quella in vigore al momento dell’esercizio del potere repressivo (e cioè l’art. 84-bis) atteso che l’abuso edilizio è pacificamente un illecito permanente (la natura di abuso edilizio dell’opera venuta ad esistenza in forza di dichiarazioni mendaci o attestazioni inveritiere si coglie, de plano, dall’art. 21, cc. 2 e 2-bis, L. 241/1990).

Chissà cosa penseranno gli avvocati e il responsabile/dirigente del Comune di Firenze che – anche loro sempre gli stessi, ma comportandosi coerentemente – hanno difeso le ragioni dell’Ufficio Urbanistica e che quando hanno iniziato gli studi giuridici i libri di testo parlavano, e blaterano, della certezza del diritto (omettendo di dire sull’incertezza del giudizio)!

Forse il monito “La Legge è uguale per tutti” che campeggia nelle aule di tribunale è diventato uno slogan? Oppure il Tribunale è diventato la Fattoria degli animali e gli accadimenti non sono altro che l’accertamento di un mutamento già avvenuto?

Invece di cercare panacee legislative, il Governo renda effettivo il monito del Presidente della Repubblica (eliminazione del deficit di legalità) attraverso l’utilizzo degli ordinari strumenti amministrativi per far cessare queste storture (frutti del Grande Male italico?) affinché chi può investire i propri denari lo faccia con la necessaria tranquillità.

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Scritto il 03 maggio 2015