Le distanze tra fabbricati e il concetto di nuova edificazione.
[Nota alla sentenza n. 681/2015 del TAR Toscana, depositata il 28/4/2015]

di Massimo GRISANTI

E’ stato sufficiente che il famoso Collegio della III^ Sezione del TAR Toscana mutasse in almeno un suo componente che uscisse fuori una sentenza razionale (foriera di una nuova Primavera?).

Nella pronuncia in commento i G.A. hanno affermato:

“… La ricorrente acquistava nel 1998 un appezzamento di terreno edificabile rispetto al quale il suo dante causa aveva già ottenuto il permesso a costruire. In corso d’opera essa richiedeva al comune di Massarosa una variante che, tuttavia, veniva rilasciata solo a condizione che venissero tamponata le pareti finestrate del fabbricato in quanto poste a distanza inferire di 5 m. dal confine della proprietà. L’intervento di tamponatura veniva eseguito ma, successivamente, non riuscendo a commercializzare le unità abitative, la S.r.l. Gli Olivi presentava al predetto comune un’istanza di permesso di costruire per la riapertura delle finestre. L’istanza è stata, tuttavia, denegata sia perché l’intervento avrebbe dovuto essere realizzato su presentazione di d.i.a. sia per il rilevato con l’obbligo di distanza fra pareti finestrate.

(…)

Priva di fondamento è anche la tesi secondo cui l’obbligo di distanza delle pareti finestrate dal confine sancito dall’art. 23 delle n.t.a. si applicherebbe solo alle nuove costruzioni. Invero, trattandosi di norma diretta a prevenire la possibile creazione di situazioni di insalubrità derivanti dalla eccessiva vicinanza fra fabbricati, la sua applicazione deve ritenersi estesa anche ai casi di trasformazione di pareti cieche in pareti finestrate. (…)”.

Lo riconosco. Era troppo pretendere che i Giudici della III^ Sezione si soffermassero ad argomentare in ordine al concetto di nuovo edificio contenuto nell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.

Vengo a ribadire concetti già espressi, ma evidentemente necessari per entrare in sintonia con la ratio legis.

Dal momento che, come correttamente rilevato dal TAR, la disposizione ministeriale (avente forza di legge ex art. 17 L. 765/1967) mira a prevenire situazioni di insalubrità (e di insicurezza), ai fini che qui rilevano deve essere rettamente inteso un “nuovo edificio” non solo la nuova costruzione, ma anche qualsiasi fabbricato in tutto o in parte diverso dal precedente per effetto di mutazioni fisiche o di utilizzazione.

Così come non è consentibile aprire nuove finestre qualora la parete dell’edificio frontistante è posta a distanza almeno inferiore a 10 metri, altrettanto è da ritenersi vietato il mutamento dell’uso dei locali nel caso in cui la nuova funzione richieda standard aero-illuminanti naturali fissati dalla legge più stringenti di quelli già esistenti.

Cosicché si è dell’avviso che anche in caso di invarianza della situazione fisico-prospettica degli edifici, ben possono essere vietati mutamenti nell’uso degli ambienti (addirittura anche in assenza di opere edilizie).

Si fa rilevare che la funzione di sicurezza nei confronti dei crolli che l’art. 9 del D.M. svolge è in parte assorbita, solamente per le nuove costruzioni, dalle nuove norme tecniche antisismiche approvate con D.M. 14/1/2008. Quest’ultime prevedono che i nuovi sistemi e criteri di progettazione assicurino quel grado di sicurezza in precedenza previsto dal legislatore a mezzo dei prescritti distacchi dal ciglio opposto della strada fissati nelle norme approvate con il D.M. 16/1/1996.

Così come si ricorda che le istruzioni ministeriali del D.M. Sanità 5 luglio 1975 (modificative di quelle del 1896) non sono immediatamente operanti nei confronti dei privati (per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente all’entrata in vigore della Legge n. 457/1978), dovendo essere adeguatamente valutate e recepite nei regolamenti edilizi comunali (quest’ultimi, a loro volta, devono conseguire a tal proposito e sempreché vengano previste disposizioni derogatorie, il parere favorevole dell’Autorità sanitaria medica locale).

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Scritto il 03 maggio 2015