L’evoluzione del Permesso di Costruire ed il Decreto Semplificazione

di Antonio VERDEROSA


Nell’ambito del diritto amministrativo con il termine edilizia si intende l'insieme delle norme giuridiche che disciplinano la realizzazione e modifica delle costruzioni sul territorio. L’edilizia, racchiudendo un concetto ampio, si presenta come nozione inevitabilmente prossima ad altre nozioni presenti nell’ordinamento giuridico italiano ed in particolare a quella di urbanistica, con la quale si pone quasi in un rapporto di species ad genus. Quest’ultima, notoriamente, ha come scopo la progettazione dello spazio urbano e la pianificazione organica delle modificazioni del territorio incluso nella città o collegato con essa, evitando un’edificazione incontrollata da parte dei soggetti proprietari di brani di territori comunali. In tale ottica è inevitabile osservare come le categorie dell’urbanistica e dell’edilizia risultano tra loro complementari, in quanto con la prima si identificano le potenzialità edificatorie del suolo, la sua conservazione e il suo mantenimento; con la seconda si garantisce il controllo preventivo dell'attività di realizzazione e modifica delle costruzioni sul medesimo suolo (territorio), la vigilanza e le sanzioni contro gli abusi.  Sul punto è utile segnalare come non a caso il Testo Unico per l’edilizia (d.P.R. 380/2001), che di tale materia rappresenta il corpus normativo di riferimento, sia stato emanato sulla base di una delega di riordino normativo riguardante proprio le materie “urbanistica ed espropriazione” prevista dall’art. 7, 1 della legge 8 marzo 1999, n. 50. Da tale dato è possibile osservare come l’edilizia, in quanto ambito normativo da riordinare, sia stata estratta, in un certo modo, dalla più ampia materia dell’urbanistica. Dunque, è in tale testo normativo che sono state ricomprese e riordinate tutte le norme vigenti nella macro categoria dell’edilizia e sono contenuti i principi e le disposizioni fondamentali e generali per la disciplina dell'attività edilizia. Il Testo Unico è stato oggetto di modifiche nel corso del tempo e rilevanti novità sono derivate dall’incessante evoluzione legislativa che ha prodotto interventi sempre più ispirati alla semplificazione e alla liberalizzazione dell’azione amministrativa, quale mezzo di rilancio della competitività e dello sviluppo economico. Ne sono esempi la riduzione del numero dei titoli abilitativi, lo snellimento delle procedure di rilascio del permesso di costruire o del certificato di agibilità. Una decisiva accelerazione verso la semplificazione dei titoli edilizi si registra a partire dal 2011 con il “Decreto Sviluppo”, finalizzato ad introdurre una normativa per la valorizzazione delle aree urbane degradate proprio mediante disposizioni volte alla semplificazione delle procedure amministrative. Nello stesso solco, particolare importanza assume poi il d.l. n. 133/2014 “Sblocca Italia” emanato “Al fine di semplificare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare processi di sviluppo sostenibile, con particolare riguardo al recupero del patrimonio edilizio esistente e alla riduzione del consumo di suolo, al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”. In tale testo di legge un ruolo significativo lo assume la sostituzione della SCIA con la DIA, la quale può sostituire, in particolari ipotesi, finanche il permesso di costruire. Inoltre viene ampliata per la prima volta la sfera degli interventi ricompresi nella c.d. manutenzione straordinaria. Sulla scia di tali esigenze si segnala poi la l. n. 124, 28 agosto 2015 (Legge Madia), attraverso la quale il Legislatore è intervenuto introducendo alcune norme modificative del procedimento amministrativo volte ad alleggerire gli oneri procedurali a carico del cittadino. Nel triennio 2016/2018, in linea con le spinte provenienti dalla realtà economica, si sono intensificate le modifiche al sistema edilizio attraverso l’emanazione di rilevanti normative tra cui il d.lgs. 25 novembre 2016 n. 222 recante "Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124". Sul versante pratico tale decreto ha avuto uno straordinario impatto sulla classificazione degli interventi edilizi, individuandone le diverse tipologie assoggettandole ora a permesso di costruire, ora alla segnalazione certificata di inizio attività, ora alla comunicazione di inizio lavori asseverata ed infine, in via residuale, all’attività edilizia libera. Un giusto complemento di tale svolta semplificatoria può essere considerato il d.P.R. 13 febbraio 2017 n. 31 recante "Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata". Di seguito è stato emanato il D.M. infrastrutture e dei trasporti 2 marzo 2018 recante "Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222". L’allegato al D.M. 2 marzo 2018, denominato “glossario edilizia libera”, a sua volta, ha individuato gli interventi che non richiedono permesso di costruire e che sono realizzabili mediante Cil, Cila o Scia, precisando ulteriormente l’ambito dell’attività edilizia libera. Da ultimo si segnala il decreto legge n. 76, 16 luglio 2020, con il quale il Legislatore è di nuovo intervenuto in materia, apportando incisive ed estese modifiche al T.U.Ed., tra le quali, in particolare, si segnalano: l’aggiornamento delle definizioni degli interventi edilizi classificabili come “manutenzione straordinaria” e “ristrutturazione edilizia”. Tali novità, anche in relazione alla grave crisi derivante dalla pandemia da Covid-19, sembrano ispirate come non mai ad esigenze di rilancio dell’attività imprenditoriale edilizia mediante la “semplificazione”. Segnatamente le modifiche introdotte mirano ad assicurare il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi che permettano di migliorare le prestazioni energetiche e di sicurezza antisismica degli edifici. Pertanto, alla luce del quadro normativo delineato, è possibile osservare come la logica sottostante a tali interventi, intensificatisi nettamente a partire dal 2014, si rinvenga nel principio di semplificazione intesa come eliminazione degli oneri informativi e delle fasi procedimentali sovrabbondanti nell’economia del procedimento amministrativo sula base canone di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art 97 Cost. Del resto, la finalità delle politiche di semplificazione è proprio quella di evitare che i costi diretti e indiretti del procedimento amministrativo risultino inutilmente gravosi per il cittadino. Pertanto si prefigura come corollario naturale della riduzione dei costi e degli oneri amministrativi mediante la semplificazione, il rilancio dello sviluppo economico della competitività. Tanto sembra emergere, ad esempio, da un’attenta lettura del d.l. 76/2020, dalla centralità assunta dai titoli edilizi (una volta definiti “minori”) diversi dal più gravoso permesso di costruire, caratterizzati da procedure più veloci e semplificate, i quali si configurano ormai come strumenti ordinari di attuazione di interventi edilizi sul territorio. Tuttavia occorre ricordare come l’opera di semplificazione imponga il bilanciamento tra l’interesse pubblico generale e l’interesse particolare allo svolgimento di una determinata attività soprattutto quando quest’ultima coinvolga la potenziale incisioni di valori protetti. Non a caso il Legislatore ha mitigato gli effetti della semplificazione e liberalizzazione amministrativa nell’ottica di una migliore tutela e salvaguardia dell’ambiente e del consumo del suolo. Tanto è testimoniato sul piano normativo, ad esempio, dalle disposizioni ex art 2 bis e art. 3 c. 2, lett. d del T.U.Ed., a tutela delle zone “A” e dei centri storici, che rinvengono il loro fondamento nel generale favor che il Legislatore riserva a favore degli interventi di riuso e ristrutturazione degli immobili già esistenti. Il recente decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha fra le altre cose apportato nuove incisive ed estese modifiche al testo unico dell’edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, intervenendo sui più svariati aspetti della disciplina dell’attività edilizia (dalle definizioni degli interventi di trasformazioni del territorio alle procedure per la formazione dei titoli abilitativi, dalla regolamentazione degli oneri concessori alla repressione degli abusi, dalla disciplina dei poteri di pianificazione dei Comuni alle regole per il rilascio dell’autorizzazione per le costruzioni in zone sismiche). Per quanto concerne la disciplina dei titoli abilitativi, le modifiche normative introdotte, pur essendo conclamatamente ispirate da una volontà di “semplificazione” in un’ottica di incentivo al rilancio dell’attività edilizia (nel quadro delle più generali esigenze di rilancio del sistema economico e delle attività imprenditoriali successive alla grave crisi innescata dalla pandemia da Covid-19), rischiano di creare in fase applicativa almeno altrettanti problemi di quanti ne risolvono, innestandosi peraltro su un terreno già reso oltremodo arduo da disboscare dopo la massiccia riscrittura della materia operata dapprima con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, e successivamente dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 164 (c.d. decreto Madia), attuativo della delega contenuta nell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124.
Non si tratta di un quadro di agevole decifrazione, essendo stato influenzato  dall’interazione di esigenze e spinte disomogenee: da un lato, la già segnalata necessità di sposare opzioni normative in grado di agevolare e incentivare la ripresa delle attività economiche in un quadro di semplificazione e liberalizzazione amministrativa; dall’altro, le esigenze di salvaguardia ambientale e di prevenzione del consumo di suolo che si sono tradotte da un lato nell’introduzione di previsioni improntate a un rigore apparentemente “eccentrico” rispetto all’impostazione generale del decreto (ciò vale, in particolare, per le disposizioni a tutela delle zone omogenee “A” e dei centri storici inserite nell’articolo 2-bis e nell’articolo 3, comma 2, lettera d), del T.U.), dall’altro in una sorta di ribadito favor verso gli interventi di riuso e recupero del patrimonio edilizio esistente, non ancora però tradottosi in una normativa organica e chiara fin dal livello definitorio. All’interno dell’ordinamento, in un’ottica di graduazione progressiva dell’intensità del controllo da parte dell’Amministrazione, si inseriscono, come detto, fra gli interventi di edilizia libera e gli interventi sottoposti al rilascio del permesso di costruire, alcune tipologie di interventi edilizi subordinati a procedimenti semplificatori e tra questi il Permesso di Costruire.  Il permesso di costruire sostituisce, cambiandone denominazione, la previgente concessione edilizia, coerentemente con le indicazioni espresse dal Consiglio di Stato sullo schema del T.U. Edilizia (Cons. Stato Ad. Gen., 29 marzo 2001, parere n. 3/2001). Il termine “permesso” si rivela, infatti, più aderente alla natura dell’atto: mentre l’originaria “licenza edilizia” (prevista all’art. 31 L. 1150/1942) era generalmente qualificata come autorizzazione, l’espressione “concessione edilizia” (utilizzata dalla Legge 10/1977) aveva ingenerato incertezze sulla collocazione sistematica dell’istituto. Peraltro, la giurisprudenza aveva già chiarito che, inerendo lo ius aedificandi alla proprietà, la concessione edilizia non attribuiva diritti nuovi ma presupponeva facoltà preesistenti, non assumendo una funzione sostanzialmente diversa da quella della previgente licenza, di accertare la sussistenza delle condizioni per l’esercizio del diritto di edificare (Corte Cost. 30 gennaio 1980, n. 5). Dunque, la nozione di “concessione edilizia” non operava alcun distacco della facoltà di edificare dalla proprietà del suolo, continuando tale facoltà, sia pure subordinatamente a un provvedimento amministrativo impropriamente denominato concessione, a far parte integrante della sfera giuridica del proprietario (Cons. Stato Sez. V, 19 febbraio 1982, n. 122). Con il T.U. Edilizia l’introduzione del termine “permesso” ha definitivamente chiarito che il provvedimento in esame va ricondotto alla categoria degli atti autorizzativi, e non concessori, lasciando intendere che lo ius aedificandi non discende dall’autorità che lo concede, essendo connaturato alla proprietà, ma allo stesso tempo sottoposto, nell’interesse comune e per la salvaguardia di superiori valori, ad un regime di governo e controllo amministrativo. Dunque il permesso di costruire si configura come il frutto di un’evoluzione corrispondente all’evoluzione della natura giuridica dell’istituto. Originariamente, infatti, l’attività di costruzione dei privati era soggetta al rilascio della licenza edilizia.  Infatti a far data dall’entrata in vigore della L. n. 761 del 1967, l’attività edilizia, suscettibile di tradursi nella nuova edificazione, non poteva ritenersi libera, risultando comunque soggetta al previo controllo amministrativo, da esercitare in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo. Come precisato dal Consiglio di Stato, infatti, “se è vero, infatti, che con la legge urbanistica nazionale (n. 1150 del 1942) viene introdotto l’obbligo del previo titolo edilizio per i centri abitati, esso – salve le molteplici ulteriori fonti legislative e regolamentari, che qui non rilevano, che avevano già previsto per molteplici comuni la l’indefettibile rilascio della licenza - veniva esteso a tutto il territorio nazionale con la legge n. 765 del 1967” (Consiglio di Stato, sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 106).Ai fini dell'accertamento della regolarità edilizia di manufatti realizzati al di fuori dei centri abitati in epoca anteriore alla entrata in vigore della L. 765 del 1967, assume rilevanza esclusiva la norma primaria sopravvenuta di cui all'art. 31 della L. 1150 del 1942 che ha disciplinato la materia con efficacia cogente su tutto il territorio nazionale introducendo l'obbligo di preventivo titolo abilitativo limitatamente agli immobili ricadenti nei centri abitati (Cons. Stato, V, 21/10/1998 n. 1514; TAR Toscana, III, 29/01/2009 n. 52, id. 4/02/2011 n. 197).  Detta norma deve considerarsi prevalente rispetto alla disciplina regolamentare preesistente atteso che, come ha sancito la Corte Costituzionale nella sentenza 303 del 2003, la disciplina dei titoli abilitativi rientra nell’ambito dei principi fondamentali della materia edilizia che la Costituzione (anche prima della riforma del Titolo V) riservava e ancora oggi riserva allo Stato al fine di garantire uno standard uniforme di trattamento del diritto di proprietà su tutto il territorio nazionale anche in coerenza con la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost.  In base ai suddetti principi la delimitazione dei confini fra attività edilizia libera ed attività edilizia soggetta a permesso preventivo spetta alla legge dello Stato e non può, invece, essere frutto di una regolamentazione a macchia di leopardo dettata dai regolamenti dei singoli comuni. Ne consegue che, una volta sancito da parte del legislatore che l’esercizio dello jus aedificandi è subordinato al rilascio del permesso edilizio solo nell’ambito dei centri abitati non è in facoltà dei comuni estendere tale limitazioni oltre i confini sanciti dalla legge e i regolamenti che ciò prevedano devono intendersi abrogati in quanto contrastanti con la disposizione legislativa letta nel quadro dei sopra menzionati principi costituzionali.  Peraltro, vi sono fondate ragioni di dubitare anche della originaria validità delle previsioni dei regolamenti comunali che, prima della entrata in vigore della L. 1150 del 1942, subordinassero la realizzazione di opere edilizie al previo ottenimento di una licenza. Invero, l'art. 111 del r.d. 297 del 1911, che disciplinava il contento che avrebbero potuto assumere i regolamenti edilizi comunali, nulla stabiliva in ordine alla possibilità di assoggettare l'esercizio dello jus aedificandi a permesso preventivo. Successivamente, a seguito della pianificazione urbanistica dell’intero territorio nazionale e dunque anche dei territori comunali comprese le aree agricole, tale strumento fu sostituito dalla concessione edilizia  la quale ineriva anche ad interventi modificativi degli edifici già esistenti. Da ultimo, la concessione è stata sostituita dal permesso di costruire a seguito della sentenza della Corte costituzionale 30 gennaio 198048 sulla base delle avvertenze rese dal Consiglio di Stato in sede consultiva. La Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 30 gennaio 1980 stabilì che il sistema normativo attuato per disciplinare l'edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità ogni determinazione sul se, sul come e anche sul quando (mediante programmi pluriennali di attuazione previsti dall'art. 13 della legge n. 10 del 1977) della edificazione, ma la rigidità del sistema non è tale da legittimare le conseguenze che se ne vorrebbero trarre. Invero, relativamente ai suoli destinati dagli strumenti urbanistici alla edilizia residenziale privata, la edificazione avviene ad opera del proprietario dell'area, il quale, concorrendo ogni altra condizione, ha diritto ad ottenere la concessione edilizia, che è trasferibile con la proprietà dell'area ed è irrevocabile, fatti salvi casi di decadenza previsti dalla legge (art. 4 legge n. 10 del 1977). Da ciò deriva che il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire anche se di esso sono stati tuttavia compressi e limitati portata e contenuto, nel senso che l'avente diritto può solo costruire entro limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici. Sussistendo le condizioni richieste, solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale che legittimi a costruire può edificare, non essendo consentito dal sistema che altri possa, autoritativamente, essere a lui sostituito per la realizzazione dell'opera. Ne consegue altresì che la concessione a edificare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del diritto, nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la sussistenza. Pertanto se in passato la licenza prima e la concessione poi si caratterizzavano sostanzialmente per un ampio potere discrezionale del Sindaco, in difetto di una puntuale regolamentazione edilizia, attualmente, il permesso di costruire si configura come atto amministrativo vincolato di accertamento dei termini oggettivi di conformità del progetto edilizio ai regolamenti urbanistici ed edilizi della zona. Il permesso di costruire, però, rimane comunque un titolo edilizio caratterizzato dalla necessaria intermediazione dell’Amministrazione, la quale svolge un controllo di legittimità e che quindi non può mai esser foriero, al pari degli altri titoli edilizi, di nuove utilità per il privato. Sul tema ha precisato la giurisprudenza che “il rilascio del permesso di costruire consegue alla verifica di conformità urbanistico-edilizia del progetto presentato con la disciplina legislativa in materia e con gli atti di pianificazione ed è provvedimento tendenzialmente vincolato, purché subordinato alla mera verifica di congruenza del progetto rispetto alla pertinenza normativa del locale”. “Il rilascio del permesso di costruire consegue alla verifica di conformità urbanistico - edilizia del progetto presentato con la disciplina legislativa in materia e con gli atti di pianificazione ed è provvedimento tendenzialmente vincolato perché subordinato alla mera verifica di congruenza del progetto rispetto alla pertinente normativa locale” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3317). Infatti, il rilascio di titolo abilitativo all'edificazione (e corrispondentemente il diniego) costituisce atto amministrativo vincolato alla verifica della conformità della richiesta alla disciplina urbanistico-edilizia (cfr., C.d.S., Sez. II, sentenza n. 3972/2019; C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 3317/2018). Conseguentemente, nel procedimento di rilascio non vi può essere spazio per una valutazione di tipo discrezionale, segnatamente sotto forma di parere dell’Ufficio tecnico. Se il progetto è congruente alla strumentazione urbanistica, il permesso di costruire deve essere rilasciato; in caso contrario, deve essere denegato (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 18/2019).  Il permesso di costruire è dunque un provvedimento di natura autorizzatoria legittimante l'attività edificatoria e subordinato al versamento di costruzione per concorso agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione (di natura tributaria). Tale permesso, come la CILA e la SCIA, si configura come titolo abilitativo che legittima un intervento edile. Al pari di queste è stato interessato da una progressiva semplificazione procedimentale e sostanziale con la differenza, però, che esso, nella disciplina edilizia attuale, rappresenta l’unico titolo tipicamente autorizzatorio per interventi edilizi più intensi di trasformazione del territorio e che, per tale ragione, richiedono un controllo di regolarità più penetrante dell’attività edilizia da parte della P.A Sul versante normativo tale titolo abilitativo viene disciplinato dall'art. 10 del d.P.R. n. 380/2001 che enumera le tipologie di interventi subordinati al permesso di costruire. Occorre da subito chiarire il carattere non esaustivo di tale elencazione in quanto è lo stesso art. 10, che al comma 3 prevede che le attività edilizie sottoposte a permesso di costruire possano essere individuate anche da leggi regionali. Peraltro la violazione della legge regionale non causa applicazione della legge penale prevista dall’art 44 T.U.Ed. in quanto la legge regionale è sottoposta nel suo contenuto a vincoli di tipo costituzionale. L’art. 10 del Testo Unico dell’edilizia disciplina il “Permesso di costruire”, ovvero un titolo abilitativo attraverso il quale si chiede al Comune di competenza il via libera per poter effettuare i lavori edilizi. In base a tale articolo, sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione e gli interventi di ristrutturazione urbanistica, così come previsto dai punti a) e b) della norma. Il punto c) è quello che è stato modificato dal Decreto Semplificazione. Il punto novellato recita: “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, compor-tino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. In pratica, è stata eliminata, rispetto alla versione precedente il caso della “modifica dei prospetti” che precedentemente era presente accanto alla modifica della volumetria complessiva degli edifici. Con il testo modifcato, la modifica dei prospetti rientra negli interventi di manutenzione  straordinaria. Sono, inoltre  sottoposti a P. di C. gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici. Limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, si attuano con P. di C. gli interventi di  mutamento della destinazione d’uso, nonché gli interventi che modificano la sagoma o la volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del  D.lgs 42/2004. Il “Decreto Semplificazioni” ammette la richiesta di P.di C, in deroga per interventi di ristrutturazione edilizia, previa deliberazione del Consiglio Comunale che ne attesti l’interesse pubblico, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Anche il procedimento amministrativo per il rilascio del permesso di costruire, oggetto di svariate modifiche nel tempo, è attualmente informato a criteri di snellezza e celerità. Infatti il termine per l’adozione del provvedimento è di 90 giorni, decorsi inutilmente i quali sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni sulla conferenza di servizi. Il termine per provvedere può essere raddoppiato in presenza di progetti di particolare complessità su motivata decisione del responsabile del procedimento. Sul versante del procedimento è necessario ricordare che in tema di silenzio assenso l’art. 20, comma 6, sancisce che questo non si forma a causa del semplice decorso del termine entro cui l’Amministrazione deve pronunciarsi, ma è necessario che sussistano anche tutti i presupposti oggettivi e soggettivi ai fini del rilascio del permesso come la conformità dell’interventi alla normativa urbanistico-edilizia. L’obbligo, per la p.a., di concludere il procedimento è sancito, in termini generali, da una chiara disposizione normativa – l’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241 - che non tollera interpretazioni alternative, né legittima atteggiamenti dilatori o attendistici da parte della P.a.Con la sopra citata disposizione, com’è noto, il legislatore ha innalzato a valore giuridicamente rilevante la pretesa del cittadino al rispetto della tempistica procedimentale, e alla stessa tempestiva conclusione espressa del dialogo avviato con la P.a. L’orientamento espresso più volte in giurisprudenza, secondo il quale “Ai sensi dell'art. 20 comma 8, d.P.R. n. 380/2001, il silenzio assenso previsto in tema di permesso di costruire non si forma per il solo fatto dell'inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell'Amministrazione Comunale e dell'adempimento degli oneri documentali necessari per l'accoglimento della domanda, ma occorre altresì la prova della sussistenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinato il rilascio del titolo edilizio, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo, la conformità dell'intervento progettato alla normativa urbanistico - edilizia.(cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 14 marzo 2018 n. 1630.)”. Ne consegue che in presenza di un progetto edilizio che la P.a. ha ritenuto “non conforme alla normativa edilizia/urbanistica ed agli strumenti urbanistici vigenti...” (cfr Comunicazione ex art. 10 bis L. 241/90) il mero decorso del termine previsto dall’art. 20, comma 8 del D.P.R. 380/2001 non è dunque elemento sufficiente alla formazione della fattispecie del silenzio assenso.( T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, n.11/2019) Peraltro la giurisprudenza ha precisato che la formazione del silenzio assenso “impone che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, giacchè in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può formarsi, considerato che l’eventuale inerzia dell’amministrazione non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso, trattandosi non di una deroga al regime autorizzatorio, ma di modalità semplificata di conseguimento dell’autorizzazione”. L’art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che, decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo (90 giorni complessivi dalla presentazione dell’istanza, salve ipotesi di sospensione o interruzione), ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire, si intende formato il silenzio assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990. La giurisprudenza ha ampiamente chiarito che la formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone, quale sua condizione imprescindibile, non solo il decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta risposta dall’Amministrazione, ma la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista (ex plurimis: Cons. Stato, IV, 11 aprile 2014, n. 1767). Il primo comma del citato art. 20, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, d’altra parte, prevede che la domanda di permesso di costruire sia accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie e alle norme relative all’efficienza energetica. Il silenzio assenso costituisce uno strumento di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, per cui esso non si perfeziona con il mero decorrere del tempo, ma richiede la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge per l’attribuzione del bene della vita richiesto. In merito alla natura del silenzio si segnala inoltre che esso “risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento. Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo; con il corollario che, ove sussistano i requisiti di formazione del silenzio conforme a legge; fermo restando, come si specificherà a breve, l’autotutela per l’amministrazione e l’impugnativa giudiziale per il controinteressato”.  In ultimo, è’ opportuno precisare che le autorizzazioni e certificazioni del competente ufficio della regione per le costruzioni in zona sismica di cui agli artt. 61,94 e 62 del D.P.R. 380/01 rientrano nel novero degli atti di assenso propedeutici al rilascio del P. di. C. così come indicato nell’art. 5 comma 4 lett. a) del T.U.E. in relazione all’art. 20 del DPR 380/2001 come modificato dal l’art. 5, c. 2 punto 3 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (entrato in vigore il 13.05.20011) e convertito in legge il 12.07.2011 n°106 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12 luglio 2011) ed in vigore dal 13 luglio 2011. L’art. 13 comma 2 lett. a) del D.L.  83/2012 modifica completamente  il citato art. 5 comma 3 ed abroga il successivo comma 4. La sostanziale modifica introdotta -che riformula la disciplina di rilascio del Permesso di Costruire - determina l’obbligatorietà della acquisizione preventiva dei pareri endo-procedimentali, la cui acquisizione costituisce il presupposto legittimante al rilascio del titolo edilizio che in mancanza non potrebbe avvenire.  Il titolo edilizio rappresenta infatti il momento conclusivo del procedimento preordinato alla realizzazione dell’intervento edilizio corredato da tutti gli atti -pareri richiesti. Conseguentemente, deve ricordarsi che ai sensi dell’art. 5 comma 3 del T.U., ai fini del rilascio del permesso di costruire, lo Sportello unico per l’edilizia deve acquisire preventivamente gli atti di assenso, comunque denominati, necessari alla realizzazione dell’intervento edilizio. Nel novero di tali assensi rientrano in particolare (lett. c) “le autorizzazioni e le certificazioni del competente ufficio tecnico della regione per le costruzioni in zone sismiche di cui all’art. 94”.( Consiglio di Stato Sez. VI n. 3096 del 15 aprile 2021).