Permesso di costruire e mutamento di destinazione d’uso in zona A. TAR Toscana vs Cassazione Penale.
(Nota a TAR Toscana, n. 1009 del 28 luglio 2017)

di Massimo GRISANTI


Con la sentenza n. 1009 del 28 luglio 2017, il TAR per la Toscana si pone in aperta contrapposizione con la Suprema Corte di Cassazione penale in ordine alla necessità del permesso di costruire ogni qualvolta in zona A ai sensi del decreto interministeriale n. 1444/1968 venga posto in essere un mutamento di destinazione d’uso, anche all’interno della stessa categoria funzionale.
In disparte ogni altra considerazione sui tempi del ricorso e della decisione nonché sul fatto che il comune di Firenze non si è costituito per difendere il provvedimento interdittivo, appare trasparire un equivoco di fondo tra i giudici amministrativi e penali derivante dalla diversa lettura della norma interpretata ovverosia dell’art. 10, co. 1, lett. c) del Testo unico dell’edilizia.
Il TAR incentra tutta la sua decisione sul fatto che il mutamento di destinazione d’uso compatibile con l’organismo edilizio sia sempre stato ammesso sin dall’art. 31, co. 1, lett. c) della legge n. 457/1978.   Nell’affermare ciò precisa che gli interventi di restauro e risanamento conservativo non possono spingersi a modificare la distribuzione interna dell’organismo edilizio.
Ancora in disparte l’inverosomiglianza che nell’intervento edilizio esaminato dal TAR – trasformazione di abitazione in sportello bancario – non sia minimamente modificata la distribuzione interna (con la conseguenza della sussumibilità dei lavori nella ristrutturazione edilizia, categoria d’intervento non consentita dallo strumento urbanistico fiorentino), la questione non può non spostarsi sulla corretta lettura dell’art. 10, co. 1, TUE in correlazione al successivo comma 2.
Infatti, così come il legislatore ha previsto che le regioni possano stabilire con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività – e ciò indipendentemente dalla categoria d’intervento, sia esso restauro e risanamento conservativo, sia esso ristrutturazione edilizia, sia senza opere – non si vede per quale motivo non possa lo stesso legislatore stabilire direttamente nel TUE che gli interventi comportanti mutamento di destinazione d’uso in zona A devono essere assoggettati a permesso di costruire.
L’equivoco di fondo, a mio avviso, risiede nell’aver inteso – il TAR – che le parole <… limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso …> si correlino agli interventi di ristrutturazione edilizia anziché a qualsivoglia intervento.
Lo scrivente è dell’avviso che la norma in esame deve essere letta nel senso che il legislatore ha previsto il permesso di costruire per:
a) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti;
b) ovvero (gli interventi) che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso;
c) nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
L’errore in cui è incorso il TAR, a mio avviso, sta nell’aver considerato gli interventi di cui sopra al punto b) correlati a quelli del punto a), mutuando così la necessità che si tratti di lavori riconducibili alla ristrutturazione edilizia.
Operando una lettura dell’art. 10 TUE in tal senso ecco che la Suprema Corte di Cassazione ha ragione nell’affermare che <… Resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d’uso anche all'interno della medesima categoria funzionale …>, senza che ciò comporti un disconoscimento, da parte dei giudici penali, che anche con il restauro può aversi il mutamento di destinazione d’uso compatibile con l’organismo edilizio.
In conclusione, il legislatore statale, attraverso l’obbligo di munirsi di permesso di costruire per qualsivoglia intervento comportante il mutamento di destinazione d’uso in zona A ha inteso assicurare che sussista sempre e comunque la valutazione propria del funzionario comunale in ordine all’esistenza e/o adeguatezza degli standard urbanistici (compreso i parcheggi privati ex art. 41-sexies L. 1150/1942, norma imperativa, da ricercarsi in ogni caso di “nuova costruzione” e quindi anche qualora si intenda modificare un’abitazione in sportello bancario) e delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria in una porzione territoriale assai delicata per la conservazione del patrimonio culturale e dell’ambiente urbano.
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Scritto il 29 luglio 2017

SENTENZA TAR

Pubblicato il 28/07/2017

N. 01009/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00658/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 658 del 2017, proposto da:
Banco Fiorentino-Mugello, Impruneta, Signa - Credito Cooperativo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Stancanelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via Masaccio, N. 172;

contro

Comune di Firenze non costituito in giudizio;

per l'annullamento,

dell'ordinanza n. 426/2017 del 18 maggio 2017 con il quale il Dirigente del Servizio Edilizia Privata del Comune di Firenze ha ordinato “il divieto di prosecuzione degli interventi e il ripristino delle parti poste in essere”, in relazione alla SCIA n. 4385/2017 presentata il 2 maggio 2017, per lavori di risanamento conservativo di un immobile posto in Firenze, Viale Volta n. 82.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2017 il dott. Giovanni Ricchiuto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Banco Fiorentino, Credito Cooperativo, il 2 maggio 2017 ha presentato al Comune di Firenze la segnalazione certificata inizio attività (SCIA) n. 4385/2017 per un intervento di risanamento conservativo, diretto ad operare un mutamento della destinazione d’uso da residenziale a direzionale per la realizzazione di una nuova filiale dell’istituto bancario sopra citato.

L’immobile ricade nell’ambito dei tessuti compatti di formazione otto-novecentesca e risulta classificato dal vigente Regolamento Urbanistico del Comune di Firenze come “tessuto storico o storicizzato prevalentemente seriale”, assimilato alle zone “A” del D.M. 1444/1968 ed è sottoposto al limite di intervento del risanamento conservativo.

1.1 A seguito della presentazione di detta istanza il Comune di Firenze ha emanato l’ordinanza n. 426/2017 del 18 maggio 2017, diretta ad inibire l’intervento di mutamento di destinazione d’uso e, ciò, in considerazione dell’esistenza di un duplice ordine di argomentazioni: a) in primo luogo il Comune di Firenze afferma la carenza della documentazione idonea a dimostrare l’avvenuto reperimento dei parcheggi così come stabilito dall’art. 22 delle Norme Tecniche di Attuazione del regolamento urbanistico; b) lo stesso Comune ritiene di applicare al caso di specie i principi contenuti nella recente sentenza della Cassazione, terza sezione penale, n. 6873/2017 pubblicata il 14 febbraio 2017, nella parte in cui ha qualificato gli interventi edilizi che comportano il cambio di destinazione d’uso con opere, nell’ambito della “zona A”, quali interventi riconducibili alla ristrutturazione edilizia, suscettibili di richiedere il previo rilascio di un permesso di costruire.

1.2 Nell’avversare il provvedimento di inibizione n. 426/2017 del 18 maggio 2017 si sostiene l’esistenza dei seguenti vizi:

- la violazione dell’art. 3 e degli artt. 10 e 22 del D.p.r. n. 380 del 6 giugno 2001, in quanto la sentenza della Cassazione Penale n. 6873 del 14 febbraio 2017 avrebbe erroneamente ricondotto il mutamento della destinazione d’uso con opere nell’ambito della ristrutturazione edilizia;

- la violazione dell’art. 22 delle N.T.A. del vigente regolamento urbanistico, in quanto la ricorrente avrebbe presentato la documentazione idonea a dimostrare il rispetto della dotazione minima dei parcheggi, evidenziando che l’art. 22 sopra citato non si applicherebbe alla fattispecie in esame.

1.3 Non si è costituito in giudizio il Comune di Firenze, malgrado fosse stato correttamente intimato.

1.4 Nella camera di consiglio del 21 giugno 2017, uditi i procuratori delle parti costituite anche ai sensi dell’art. 60 cpa, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2. Il ricorso va accolto, risultando fondati sia il primo che il secondo motivo.

L’ordinanza n. 426/2017 del 18 maggio 2017, diretta a inibire l’intervento di mutamento della destinazione d’uso da residenziale in direzionale, è motivata mediante il rinvio ai principi di cui alla sentenza della Cassazione, terza sezione penale, n. 6873/2017, pronuncia quest’ultima espressamente richiamata nel testo del provvedimento ora impugnato e alla quale il Comune di Firenze ha inteso riferirsi per fondare l’inibizione degli interventi di cui alla Scia n. 4385/2017.

2.1 La fattispecie esaminata dalla Cassazione penale n. 6873/2017 concerne l’avvenuta realizzazione di alcuni interventi, su un edificio storico di Firenze (Palazzo Tornabuoni-Corsi), ubicato interamente in “zona A” del vigente PRG, interventi questi ultimi diretti a realizzare una radicale trasformazione dell'immobile, con modifica della destinazione d'uso ed in assenza di permesso di costruire.

Nel testo della pronuncia si afferma il principio in base al quale ogni volta in cui vi sia cambio di destinazione d’uso in “zona A”, l’intervento così riferito deve essere qualificato come ristrutturazione edilizia e deve richiedere il previo rilascio di un permesso di costruire (si vedano i paragrafi dal 6.6 al 6.8 della sentenza).

Nel paragrafo 9 si estende il principio sopra citato anche agli interventi suscettibili di essere qualificati come restauro e risanamento conservativo e, ciò, nella parte in cui si afferma che “resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d'uso anche all'interno della medesima categoria funzionale”.

2.2 Dette conclusioni, a parere di questo Collegio, non sono condivisibili, in quanto hanno l’effetto di sancire una sostanziale equiparazione tra istituti che nel nostro ordinamento sono riconducibili a fattispecie del tutto differenti (la ristrutturazione edilizia e il restauro e il risanamento conservativo), prevedendo la necessità del permesso di costruire per il solo fatto che l’immobile insista nella “zona A” e, ciò, a prescindere da un esame delle caratteristiche del singolo intervento.

2.3 A tal fine è necessario chiarire il perimetro di applicazione degli istituti che possono determinare (o meno) un mutamento di destinazione d’uso con opere.

2.4 In primo luogo va evidenziato come detto mutamento di destinazione d’uso non sia compatibile con la fattispecie della manutenzione straordinaria e, ciò, stante l’espressa preclusione contenuta nell’art. 3 comma 1, lett. b) del Dpr n. 380/2001.

Al contrario il comma 1 lett. c) dell’art. 3 sopra citato sancisce che il mutamento di destinazione d’uso non è espressamente escluso per quanto concerne gli interventi di restauro e risanamento conservativo.

Detta disposizione prevede espressamente “l’ammissibilità” di quei mutamenti di destinazioni d'uso che risultino essere compatibili con lo strumento urbanistico, mediante la realizzazione di interventi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere, poste in essere nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso.

2.5 Pur in assenza di un’espressa previsione il mutamento di destinazione d’uso è ammissibile anche nell’eventualità in cui si eseguano interventi da ricondurre alla ristrutturazione edilizia (art. 3 comma 1 della lett. d)) e, ciò, in considerazione delle caratteristiche di detti interventi che risultano evidentemente più incisivi, rispetto al restauro e al risanamento conservativo, consentendo una trasformazione che può anche “portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.

2.6 Gli interventi di ristrutturazione edilizia di immobili compresi nelle zone omogenee A, ovvero nei centri storici, sono oggetto di una peculiare disciplina contenuta nell’art. 10 comma 1 lett. c), del Dpr 380/2001, nella parte in cui è previsto che laddove detti interventi comportino modifiche della destinazione d'uso è indispensabile l’acquisizione preventiva del permesso di costruire.

Detta disposizione ha una valenza eccezionale, non essendo suscettibile di un’interpretazione estensiva idonea ad essere automaticamente applicata anche al diverso istituto del risanamento conservativo.

2.7 Si consideri, infatti, che laddove il Legislatore ha ritenuto di stabilire dei limiti ad interventi suscettibili di determinare delle modifiche all’uso degli edifici, lo ha fatto introducendo disposizioni dal contenuto inequivocabile, quali la disciplina sopra ricordata della manutenzione straordinaria e, ancora, l’art. 10 comma 1 lett.c) in materia di ristrutturazione edilizia in “zona A”.

2.8 Dette conclusioni sono confortate da un consolidato orientamento giurisprudenziale, fatto proprio sia da pronunce del Consiglio di Stato che dei Tribunali amministrativi, che ha evidenziato le differenze esistenti tra gli istituti della ristrutturazione edilizia e del restauro e del risanamento conservativo.

Si è affermato, infatti, che affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è necessario che sia stata modificata la distribuzione della superficie interna e i volumi, così configurandosi quel rinnovo degli elementi costitutivi e quell’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che, a loro volta, presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (Consiglio di Stato n. 2395 del 6.6.2016 e n. 5184/2015).

2.9 E’ noto, infatti, che affinché un intervento edilizio possa essere qualificato come restauro e risanamento conservativo occorre che siano rispettati gli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio senza modifiche all'identità, alla struttura e alla fisionomia dello stesso, essendo detto intervento diretto alla mera conservazione, mediante consolidamenti, ripristino o rinnovo degli elementi costitutivi, dell'organismo edilizio esistente, ed alla restituzione della sua funzionalità (Cons. Stato, IV, 30.09.2013, n. 4851; idem, V, 5.09.2014, n. 4523 e T.a.r. Lombardia - Brescia, 10 agosto 2002, n. 1145).

A differenza, quindi, degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che hanno finalità meramente conservative, e per i quali il mutamento di destinazione d’uso non è “compatibile”, le opere di restauro e risanamento sono preordinate alla realizzazione di un insieme sistematico di opere, qualificabili come necessarie in presenza di una pluralità di carenze strutturali e funzionali, che possono anche incidere anche sugli elementi costitutivi dell'edificio (Cons. Stato, IV, 31.07.2009, n. 4840).

3. Ciò premesso è evidente che seguire la tesi della Corte di Cassazione ha l’effetto di sottoporre ad una medesima disciplina fattispecie del tutto differenti, richiedendo il preventivo rilascio del permesso di costruire in assenza di un esame delle effettive caratteristiche dell’intervento.

Ulteriore conseguenza sarebbe quella di precludere, a priori e sempre nella “zona A”, modifiche alla destinazione d’uso nell’eventualità (come nel caso di specie) in cui lo strumento urbanistico ritenga ammissibile solo interventi più circoscritti, diretti a conservare, senza modificare, le caratteristiche essenziali e volumetriche degli immobili esistenti.

3.1 A dette conclusioni è pervenuto di recente anche il Legislatore con la legge di conversione del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (Legge del 21 giugno 2017, n. 96), nella parte in cui ha modificato l'art. 3, comma 1, lett. c) del Dpr 380/2001.

La modifica così disposta ha introdotto una terminologia diretta a riaffermare, con maggiore chiarezza e incisività, come siano sempre da ricomprendere, nell’ambito degli interventi di restauro e risanamento conservativo, anche gli interventi diretti a realizzare un mutamento delle destinazioni d'uso.

3.2 La circostanza che il Legislatore, pur modificando l’istituto sopra citato, non ha ritenuto di introdurre un regime differenziale per quanto concerne le zone A), conferma l’eccezionalità della disposizione di cui all’art. 10 comma 1 lett.c), diretta in quanto tale a richiedere il previo rilascio del permesso di costruire solo nell’ipotesi di un intervento che integri le caratteristiche di una ristrutturazione edilizia.

3.3 Applicando detti principi al caso di specie risulta evidente l’illegittimità del provvedimento inibitorio ora impugnato.

3.4 Dalla documentazione in atti si evince che l’intervento di cui si tratta è suscettibile di essere qualificato come restauro e risanamento conservativo e, ciò, considerando come si sia lasciata sostanzialmente inalterata la struttura dell’immobile e la suddivisione interna dei locali.

3.5 Il primo motivo è, pertanto, fondato.

4. Altrettanto fondata è la seconda censura con la quale la ricorrente ha contestato l’argomentazione dell’Amministrazione comunale secondo la quale non sarebbe stata presentata la documentazione idonea a dimostrare il rispetto della dotazione minima dei parcheggi.

4.1 Sul punto va evidenziato che la ricorrente ha presentato, con una successiva nota, la documentazione integrativa richiesta.

Con detta nota, allegata alla documentazione in atti e inviata al Comune di Firenze, si è sostenuto l’avvenuto rispetto dei parametri riferiti ai parcheggi, in considerazione del fatto che l’Amministrazione comunale non avrebbe considerato che l’art. 22 delle NTA prevede che il requisito della dotazione dei parcheggi è richiesto tutte le volte in cui il mutamento di destinazione d’uso sia riferito all’intero edificio o a porzioni dello stesso superiori al cinquanta per cento.

4.2 Ciò premesso è evidente che l’art. 22 delle NTA non è applicabile nel caso di specie, laddove è accertato che il mutamento di destinazione d’uso è riferito ad una porzione dell’immobile, relativa al solo piano terra.

Detta argomentazione non solo corrisponde effettivamente al testo dell’art. 22 NTA, ma non è stata contraddetta nell’Amministrazione sia nell’ambito del procedimento sia, ancora, nel presente giudizio, nell’ambito del quale il Comune di Firenze ha, peraltro, ritenuto di non costituirsi.

4.3 In considerazione della mancata costituzione dell’Amministrazione comunale va peraltro applicato, il principio di non contestazione di cui al 4° comma dell'art. 64 cpa, dovendosi ragionevolmente dedurre che, rispetto a quanto dedotto in ricorso e riscontrato dal Collegio giudicante, l'amministrazione non avesse alcuna difesa utile da opporre (per tutti si veda T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 19-11-2014, n. 1943).

5. In conclusione, per tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento dell’ordinanza n. 426/2017 del 18 maggio 2017.

L’esistenza di pronunce non univoche, così come sopra ricordate, consente di compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Compensa le spese del presente giudizio, con refusione del contributo unificato nella misura di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2017 con l'intervento dei magistrati:

Rosaria Trizzino, Presidente

Raffaello Gisondi, Consigliere

Giovanni Ricchiuto, Primo Referendario, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Giovanni Ricchiuto        Rosaria Trizzino