Le speciali autorizzazioni di protezione civile di cui al Testo Unico dell’Edilizia D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (note a margine della Sentenza n. 312 del 5 novembre 2010 della Corte Costituzionale)

di MASSIMO GRISANTI

La sentenza in commento offre più di uno spunto di analisi e riflessione che – stranamente, ma forse non più di tanto – non sono stati compiuti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (difesa dall’Avvocatura dello Stato) nell’esegesi del principio fondamentale contenuto nell’articolo 94 del Testo Unico dell’Edilizia approvato con D.P.R. n. 380/2001 che doveva essere contenuta nel ricorso alla Corte Costituzionale.

Mutuando dall’On. Giulio Andreotti l’ormai famoso adagio “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”, viene da sospettare che i rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri non si siano adeguatamente impegnati nel contrasto all’impugnata norma regionale campana per il fatto che sulla falsariga di tale norma si sono mosse numerose regioni (di ambedue gli schieramenti politici) all’indomani del naufragio del “patto di scambio” che doveva siglarsi in Conferenza Stato-Regioni e Unificata sul c.d. Piano Casa in data 08 aprile 2009.

Se i più non si ricordano o non conoscono, vengo qui a riportare il testo dell’articolo 5 dello “Schema di decreto legge recante interventi urgenti di semplificazione” che in base all’Ordine del Giorno contenuto nella Convocazione della Conferenza Stato-Regioni e Unificata (prot. CSR 0001636 P-2.17.4.19 del 02/04/2009) a firma del Ministro per i rapporti con le Regioni (On. Dott. Raffaele Fitto) sarebbe di lì a qualche giorno verosimilmente stato approvato (in considerazione del notevole lavorìo politico dei dott. Vasco Errani e dott.ssa Maria Rita Lorenzetti) in Conferenza:

 

Art. 5

(Semplificazioni in materia antisismica)

1. L’articolo 94 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è sostituito dal seguente:

“Articolo 94 (Autorizzazione per l’inizio dei lavori)

1. Fermo restando l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento edilizio, nelle località sismiche ad eccezione di quelle a bassa sismicità all’uopo indicate nei decreti di cui all’articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione. L’autorizzazione è rilasciata entro sessanta giorni dalla richiesta e viene comunicata al comune, subito dopo il rilascio, per i provvedimenti di sua competenza.

2. L’autorizzazione preventiva di cui al comma 1 non è necessaria per l’avvio dei lavori ove le Regioni, in ragione della destinazione d’uso delle opere e della loro complessità strutturale, ferma restando l’esigenza di tutelare l’incolumità pubblica, e per gli edifici non destinati ad uso pubblico, abbiano previsto con legge modalità di controllo successivo anche con metodi a campione.

3. Avverso il provvedimento relativo alla domanda di autorizzazione, o nei confronti del mancato rilascio entro il termine di cui al comma 1, è ammesso ricorso al Presidente della giunta regionale che decide con provvedimento definitivo.

4. I lavori devono essere diretti da un ingegnere, architetto, geometra o perito edile iscritto nell’albo, nei limiti delle rispettive competenze.”.

 

Per il disappunto delle Regioni che da anni (e cioè da quando la Corte Costituzionale con la sentenza n. 182/2006 minò la legge regionale Toscana n. 1/2005 sul deposito progetto in luogo dell’autorizzazione espressa in tutte le zona sismiche) sottoponevano i vari Governi (di ambedue gli schieramenti) a pressioni inusitate per volere dal legislatore statele l’allentamento dei compiti di vigilanza in materia sismica a loro attribuiti, adducendo essenzialmente mancanza di fondi e di personale (e con ciò volendo barattare la pubblica incolumità, valore costituzionale assoluto, con problemi di inefficienza dell’apparato burocratico che le stesse conducono), dicevo per il disappunto delle Regioni, ma per la disgrazia delle popolazioni abruzzesi, il 5 aprile 2009 – nel bel mezzo tra la convocazione della Conferenza e la seduta programmata – il terremoto dell’Aquila manda in fumo i concordati propositi di “snellimento delle procedure burocratiche di controllo a tutela della pubblica incolumità” contenute nello schema di decreto legge già da alcune settimane battezzato dal Presidente del Consiglio dei Ministri On. Silvio Berlusconi “Piano Casa”, per il rilancio dell’economia nazionale basata sul coniato detto “quando l’edilizia va, tutto va”.

Basterebbe andare a rivedere le puntate d’archivio delle trasmissioni d’attualità andate in onda nelle reti generaliste televisive nell’immediatezza del post-terremoto per vedere come il Ministro per i rapporti con le regioni On. Fitto (dietro pressioni, se non erro dell’On. Di Pietro già Ministro dei Lavori Pubblici che osteggiò le richieste regionali di modifica alle disposizioni inerenti l’autorizzazione sismica preventiva di cui all’art. 94 del T.U.E.) immediatamente – a nome del Governo – fece marcia indietro sulla programmata facoltà liberalizzatrice in fieri concessa alle Regioni con lo schema di decreto legge.

Inoltre, sull’ondata emotiva della tragedia fu anticipata l’entrata in vigore delle nuove norme tecniche per le zone sismiche che, prima, era stata invece inusitatamente posticipata (come consueto costume italico che tutti gli anni si rinverdisce con il c.d. decreto mille proroghe).

 

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Questa premessa era doverosa per capire in quale quadro le Regioni sono variamente intervenute (chi espungendo la preventiva autorizzazione sismica, chi istituendo – ex abrupto ed al di fuori delle competenze istituzionali regionali – una nuova zona sismica 3S o speciale, andando così ad emanare un atto nullo per difetto assoluto di attribuzione essendo riservato allo Stato il potere di istituire le zone sismiche) per “aggirare” l’ostacolo della vigilanza sulle costruzioni in zona sismica che tanta responsabilità fa gravare sugli uffici regionali.

 

Una funzione di vigilanza che doveva e deve essere effettivamente svolta in “un ambito, quale quello del comparto costruttivo privatistico, che ha evidenziato maggiori criticità riguardo a controlli e verifiche sia sulla progettazione che in corso di esecuzione” (dichiarazioni dell’On. Matteoli, Ministro delle Infrastrutture, presenti nella Circolare 5 agosto 2009, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 187 del 13 agosto 2009 con riferimento al Terremoto de L’Aquila).

 

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Andando ad esaminare la Sentenza n. 312/2010 della Corte Costituzionale non si può fare a meno di cogliere un certo “disappunto” dei Giudici riguardo alla superficialità e inadeguatezza delle motivazioni contenute nel ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Consulta, anche avuto riguardo alla delicatezza dei “valori costituzionali” che vengono in rilievo.

 

Invero, in mezza pagina di motivazioni numerosi sono i punti in cui la Corte “tira le orecchie” alla Presidenza del Consiglio dei Ministri:

 

4. – Analoghi profili di inammissibilità si configurano, inoltre, riguardo alla questione riferita alle previsioni dei commi 2 e 3 dell’art. 4 della legge della Regione Campania n. 9 del 1983, come modificati dall’impugnato art. 10, comma 2, della legge regionale n. 19 del 2009 in esame.

Il ricorrente si limita, infatti, ad affermare che le disposizioni de quibus «si pongono in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio e protezione civile, desumibili dal combinato disposto degli articoli 94 del DPR n. 380/2001 e 19 e 20 della l. 241/1990»: ciò, in quanto – «poiché il deposito del progetto deve considerarsi denuncia di inizio attività» – «la previsione regionale concreta una violazione delle norme del DPR n. 380/2001 (Testo unico in materia edilizia), che prescrive l’autorizzazione regionale esplicita per gli interventi edilizi in zone classificate sismiche», non potendosi consentire «l’introduzione di modalità di “controllo successivo o semplificato” ove siano coinvolti interessi primari della collettività».

Tale essendo la formulazione dei motivi di censura (ancora una volta non altrimenti supportabili attraverso il mero rinvio alle argomentazioni di ordine generale sulle ragioni della attribuzione allo Stato della determinazione dei principi fondamentali nelle materie de quibus, svolte da questa Corte nella richiamata sentenza n. 182 del 2006), va sottolineato che il ricorrente, pur attribuendo correttamente natura di principio fondamentale in materia di governo del territorio e protezione civile all’art. 94 del d.P.R. n. 380 del 2001, tuttavia omette completamente di considerare che – nello stabilire che «Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità […], non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione» (comma 1) – il legislatore statale differenzia espressamente le condizioni reputate necessarie per l’inizio dei lavori, modulandole in rapporto al grado di sismicità delle zone in cui i lavori stessi verranno ad insistere. La mancata analisi del diverso ambito di applicabilità delle regole di cui al richiamato art. 94, determina un incolmabile deficit motivazionale che non si concilia con la necessità di porre a premessa del rilievo di incostituzionalità un motivato e chiaro raffronto tra lo specifico principio fondamentale portato dalla norma interposta ed il contenuto delle disposizioni impugnate.

Inoltre, alla insufficiente analisi del principio fondamentale (tanto più necessaria, come detto, in ragione della peculiare articolazione del suo contenuto precettivo), si aggiunge il fatto che il ricorso – nonostante il non motivato assunto per il quale le norme de quibus introdurrebbero modalità di “controllo successivo o semplificato” – trascura completamente di considerare che la normativa regionale censurata prevede anch’essa (sempre in rapporto al grado di sismicità dell’area) un diverso regime di autorizzazioni (l’autorizzazione sismica ovvero il deposito sismico), al cui rilascio viene subordinato l’inizio dei lavori (si vedano, rispettivamente, i novellati commi 2 e 3 dell’art. 4 della legge regionale n. 9 del 1983, nonché gli artt. 5 e 3 del D.P.G.R. 11 febbraio 2010, n. 23, recante «Regolamento per l’espletamento delle attività di autorizzazione e di deposito dei progetti, ai fini della prevenzione del rischio sismico in Campania»).

Infine, risulta altrettanto priva di motivazione, e quindi meramente assertiva, la conclusione del ricorrente, secondo cui, «poiché il deposito del progetto deve considerarsi denuncia di inizio attività, la previsione regionale concreta una violazione delle norme del DPR n. 380/2001, che prescrive l’autorizzazione regionale esplicita per gli interventi edilizi in zone classificate sismiche».

Ne consegue l’inammissibilità anche della seconda questione, la quale (oltre che generica) risulta basata esclusivamente sulla apodittica affermazione di una (non altrimenti argomentata) asserita violazione dell’evocato principio fondamentale (la cui esatta portata neppure viene specificamente individuata) ad opera di una normativa, avente un contenuto altrettanto articolato e complesso, anch’esso non adeguatamente valutato in riferimento alle sollevate doglianze.

 

Poiché i rilievi sono rivolti alla Avvocatura dello Stato - da sempre contrassegnata da altissimo profilo, formazione, competenza - ritorna alla mente l’adagio andreottiano a cui non posso fare a meno di unire una domanda in considerazione che si sta parlando della pubblica incolumità: <<Ma siamo sicuri che l’Avvocatura, stavolta, abbia adeguatamente svolto la propria funzione ?>>

 

In ogni caso, proviamo noi a fare un’esegesi del principio fondamentale contenuto nell’articolo 94 del D.P.R. n. 380/2001.

 

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Le norme che vengono in rilievo per una approfondita analisi sono quelle contenute principalmente nel Capo II, Sezione II^ rubricata “Vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche” ed in particolare gli articoli 93, 94 e 103, oltre agli articoli 61 e 83.

 

Già dall’articolo 103, rubricato “Vigilanza per l’osservazione delle norme tecniche” si può desumere, anche in base all’art. 2 del T.U.E., il principio fondamentale che “in tutte le località da  consolidare o consolidate geologicamente da parte dello Stato o della regione (art. 61) e in tutte le zone sismiche (art. 83) chiunque inizi costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni sia in possesso dell'autorizzazione rilasciata dal competente ufficio tecnico della regione a norma degli articoli 61 e 94.”.

 

Ecco che si incominciamo a profilare alcuni aspetti:

1)      la necessità dell’autorizzazione è prescritta in tutte le zone sismiche (di alto, medio o basso grado) individuate con decreti regionali sulla base di appositi decreti statali contenenti criteri generali, i quali, quest’ultimi, possono anche supplire in prima individuazione alla mancanza dei decreti regionali (art. 83);

2)      l’autorizzazione (sia in zone franose, sia in zone sismiche) deve essere rilasciata dalle strutture pubbliche regionali, occorrendo – quindi – un atto promanante dalla pubblica amministrazione;

3)      non vi è fatto alcun accenno sul carattere preventivo dell’autorizzazione, e questo è del tutto normale perché in diritto amministrativo – e secondo la migliore dottrina – l’autorizzazione può essere definita come quel provvedimento mediante il quale la pubblica amministrazione, nell’esercizio di una attività discrezionale in funzione preventiva (e normalmente ad istanza dell’interessato) provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo o ad una potestà pubblica. Costituisce corollario il fatto che un’attività discrezionale appartenente alla pubblica amministrazione non può giammai essere sostituita da asseverazioni di carattere esclusivamente privato;

4)      le specifiche autorizzazioni ex artt. 61 e 94 sono richieste per rimuovere il divieto all’inizio dell’attività di realizzazione di un’opera rappresentata adeguatamente in un apposito progetto (l’autorizzazione ha quindi anche funzione approvativa dell’opera in fieri in funzione della tutela della pubblica incolumità).

 

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Dal successivo esame dell’articolo 61 si ha una prima chiave di lettura della particolare natura delle autorizzazioni poste dal legislatore a tutela della protezione civile.

 

Nel primo comma dell’articolo 61, il legislatore ha cura di introdurre un divieto di alterazione dei luoghi che è rimuovibile solo dietro la specifica autorizzazione avente carattere preventivo.

 

Vi è da chiedersi per quale motivo il legislatore abbia voluto esplicitare il carattere “preventivo” della autorizzazione dal momento che ex se l’autorizzazione è tale.

 

L’arcano, se così vogliamo rappresentarlo, è sciolto dal successivo comma 2, nel quale viene prevista una particolare eccezione al divieto di alterazione dei luoghi da riconoscersi solamente dietro una specifica urgenza con ordinanza dal competente ufficio tecnico regionale e comunale.

Solo in tale specifico caso, è consentito di poter iniziare le opere di consolidamento in assenza della preventiva autorizzazione, purché la stessa venga richiesta entro un determinato termine dall’inizio dei lavori (ed aggiungo io, venga poi rilasciata).

 

Si fa notare come il procedimento di rilascio della preventiva autorizzazione per gli interventi in zona franosa non sia stato disciplinato dal legislatore statale, rimettendo così alla Regione i poteri di intervenire al riguardo come meglio ritenga.

 

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Proseguendo nell’esame della speciale disciplina, l’articolo 94 individua una ulteriore speciale autorizzazione posta a tutela della pubblica incolumità, l’autorizzazione sismica.

 

Nel primo comma dell’articolo 94, il legislatore ha cura di introdurre un divieto di costruzione in tutte le zone sismiche che è rimuovibile solo dietro specifica autorizzazione avente carattere preventivo.

 

Anche qui, il legislatore ha utilizzato il termine “preventiva” per l’autorizzazione e bisogna chiedersi per quale motivo.

 

L’ulteriore arcano è sciolto dalla previsione di un’eccezione alle condizioni di inizio lavori (cfr. Sentenza Corte Costituzionale in commento per il termine lessicale) per le sole zone di bassa sismicità allo scopo (“all’uopo”, vedi art. 94, comma 1) indicate nei decreti di classificazione sismica.

 

Pertanto, non è sufficiente – per poter iniziare i lavori – che la zona d’intervento sia dichiarata “a bassa sismicità”, ma è necessario che sia espressamente prevista nei decreti di classificazione (da emanarsi sulla base dei criteri generali dettati dallo Stato) una specifica disposizione derogatoria del principio fondamentale rispetto all’obbligo di munirsi della preventiva autorizzazione.

Solo in tal caso, la funzione di controllo insita nell’autorizzazione – alla pari di quanto previsto dall’art. 61 – non diviene più esclusivamente preventiva e contemperando così i diritti riconosciuti e protetti costituzionalmente della proprietà privata e della libertà d’impresa (entrambi nell’ottica tuttavia di una funzione sociale), potendo così essere svolta – unicamente da parte degli uffici regionale preposti al rilascio – a posteriori rispetto all’attività iniziata sotto la dichiarazione del progettista (contenuta tra i documenti prescritti dall’art. 93) di conformità dell’opera progettata alle specifiche norme tecniche, che così si assume tutti i rischi derivanti da un eventuale riconoscimento ex post della non rispondenza dell’opera ai dettami costruttivi.

 

Peraltro, il fatto che in tutte le zone sismiche occorra l’autorizzazione è desumibile anche dal secondo comma dell’articolo 93, laddove viene prescritta espressamente una “domanda” (ovviamente per l’ottenimento di un provvedimento volitivo, quale l’autorizzazione).

 

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Ma l’analisi dell’articolo 94, riserva ulteriori riflessioni riguardo alla tipicità dell’autorizzazione sismica.

 

Essa deve essere “scritta”. Con tale previsione e con la disciplina del procedimento del rilascio contemplata nei successivi commi dell’articolo 94 il legislatore ha determinato “i livelli essenziali delle prestazioni”.

 

Se ne ricava che:

1)      l’autorizzazione è sempre necessaria in tutte le zone sismiche (artt. 93, 94 e 103 del D.P.R. n. 380/2001);

2)      l’autorizzazione deve essere sempre scritta, non potendo prevedersi forme surrogatorie del provvedimento espresso quali il silenzio assenso (art.94 e 103 del D.P.R. n. 380/2001 ed artt. 19 e 20 della Legge n. 241/1990 e ss.mm.ii.);

3)      il silenzio serbato sull’istanza nei 60 giorni decorrenti dalla domanda, è tipizzato come rigetto contro il quale può essere esperito immediatamente ricorso al TAR oppure ricorso gerarchico al Presidente della Giunta regionale (art. 94 del D.P.R. n. 380/2001);

4)      ai sensi dell’art. 94 del D.P.R. n. 380/2001, nelle zone di bassa sismicità, “all’uopo indicate nei decreti di cui all’articolo 83”, si possono iniziare i lavori senza che ancora l’autorizzazione non sia stata conseguita, purché la stessa sia stata richiesta (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, n. 4165 del 14 luglio 2003: “In base al successivo art. 18 della stessa legge n. 64 del 1974 (ndr. oggi art. 94 del D.P.R. n. 380/2001), infatti, nelle località caratterizzate da un basso grado di sismicità indicate in specifici decreti ministeriali, è possibile iniziare i lavori senza avere ottenuto ancora l’autorizzazione dell’ufficio tecnico della Regione o dell’ufficio del Genio civile, pur vigendo comunque l’obbligo di presentare la documentazione prescritta dalla normativa antisismica per il controllo della realizzabilità della costruzione e per le verifiche sulla sua esecuzione.”);

5)      l’autorizzazione non è sostituibile con asseverazioni di natura privatistica (artt. 94 e 103 del D.P.R. n. 380/2001 ed artt. 19, 20 e 21 della Legge n. 241/1990 e ss.mm.ii.).

 

§§§

 

Concludendo, è quindi del tutto inutile che le Regioni si affannino a ricercare soluzioni pasticciate riguardo all’applicazione dell’articolo 94 del D.P.R. n. 380/2001 in merito al dovuto rilascio dell’autorizzazione in tutte le zone sismiche, dal momento che dovendosi dare una lettura costituzionalmente orientata alle disposizioni regionali ne scaturisce ineluttabilmente – salvo il caso di una clausola di espressa disapplicazione contenuta della legge statale contenuta nella legge regionale (ecco qui l’incostituzionalità di una siffatta norma regionale) – che è sempre vigente il divieto di iniziare (e mantenere) una costruzione, sopraelevazione o riparazione in zona sismica senza l’autorizzazione scritta rilasciata dall’ufficio tecnico regionale; tale autorizzazione costituisce un presidio posto dal legislatore statale al fine di assicurare una vigilanza assidua delle costruzioni in ragione della valenza costituzionale del bene protetto (pubblica incolumità) recentemente confermata anche con le disposizioni dei novellati articoli 19 e 20 della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii.