TAR Lombardia (MI) Sez. II n.2334 del 22 ottobre 2021
Urbanistica.Misure di salvaguardia

Le misure di salvaguardia mirano a conservare l’assetto urbanistico del territorio per evitare che possano essere autorizzate, durante il procedimento di modifica del P.G.T., iniziative edificatorie incompatibili con la volontà del Comune di configurare in modo nuovo lo stesso territorio comunale. L’art. 12, comma 3 del DPR 380/2001 stabilisce, infatti, che “in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”. Il fondamento di tale norma è, quindi, da individuare nella necessità di contemperare l’esigenza di non alterare un territorio in fase di ripianificazione urbanistica e quella di non comprimere sine die l’aspettativa edificatoria del privato. L’applicazione di tale disposizione è riferita, dunque, agli interventi edilizi che siano ancora oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione comunale al momento dell’adozione del nuovo piano, non applicandosi le misure di salvaguardia anche ad interventi edilizi già autorizzati prima del sopravvenire del nuovo strumento urbanistico.

Pubblicato il 22/10/2021

N. 02334/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01737/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1737 del 2014, proposto da
Ad Three s.r.l., rappresentata e difesa dall'avvocato Federica Vigo, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, presso la Segreteria del TAR;

contro

Comune di Varese, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Emanuele Boscolo, con domicilio eletto in Milano, Corso Buenos Aires, 75;

nei confronti

Costruzioni Metalliche di Mezzalira Lorenzo;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 2451 del 16.1.2014 emesso dal dirigente dell’Area IX - Gestione del Tenitorio del Comune di Varese, con cui si è comunicato che non si sarebbe proceduto alla notifica del permesso di costruire n. 75837 del 20.12.2013, nonché di ogni atto presupposto, connesso, consequenziale ancorché non conosciuto; nonché per il risarcimento del danno conseguente all’impugnato provvedimento.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Varese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 12 ottobre 2021 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente proposto la società Ad Three s.r.l. ha impugnato e chiesto l’annullamento del provvedimento prot. n. 2451 del 16.1.2014 emesso dal dirigente dell’Area IX - Gestione del Tenitorio del Comune di Varese, con cui si è comunicato che non si sarebbe proceduto alla notifica del permesso di costruire n. 75837 del 20.12.2013, nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale; è stata, inoltre, proposta una domanda di risarcimento del danno derivante dall’impugnato provvedimento.

La ricorrente ha esposto di essere proprietaria di un immobile sito in Varese, alla Via U. Bassi, n. 17, sul quale in origine insisteva un capannone industriale nel quale è stata esercitata un’attività di produzione di insegne pubblicitarie: un’area sulla quale è stata, tuttavia, programmata la realizzazione di un edificio con finalità residenziale, in relazione al quale è stato stipulato un contratto preliminare di compravendita del compendio, sottoscritto nell’aprile 2012.

Quanto alle successive vicende la ricorrente ha esposto che:

- il 4.11.2013, dopo aver avviato le procedure urbanistico-paesaggistiche necessarie al rilascio dei titoli abilitativi-edilizi, è stato sottoscritto un nuovo contratto preliminare di compravendita;

- con istanza depositata il 6.11.2013, dopo aver ottenuto l’autorizzazione paesaggistica, la stessa ha richiesto al Comune di Varese l'emissione di un permesso di costruire per un intervento di sostituzione edilizia previa demolizione di capannone artigianale e contestuale ricostruzione di un edificio residenziale;

- il 20.12.2013 il Comune di Varese ha notificato l’avviso di emanazione del permesso di costruire alla società Ad Three s.r.l., informandola che l’inizio dei lavori sarebbe stato subordinato all’ottenimento dei necessari atti di assenso da parte delle Amministrazioni competenti in materia di tutela ambientale, il tutto a valle dell’esecuzione del piano di indagine ambientale (incombente preannunciato con con nota prot. 71276 del 2.12.2013);

- il giorno successivo alla notifica dell’avviso, con deliberazione del C.C. n. 67/2013, è stato, però, adottato il nuovo P.G.T. del Comune di Varese;

- con provvedimento prot. n. 2451 del 16.1.2014 il Comune di Varese ha comunicato l’avvio del procedimento di verifica di compatibilità del permesso di costruire con le previsioni del P.G.T. adottato nonché l’impossibilità di procedere alla notifica del richiesto permesso di costruire: segnatamente, il dirigente dell’area territorio ha richiamato l’art. 60, comma 3 delle norme di attuazione del piano delle regole, che recita testualmente “restano validi ed efficaci i titoli abilitativi di natura edilizia rilasciati e/o divenuti efficaci in data antecedente all'adozione del piano di governo del territorio”, concludendo che “il permesso di costruire relativo all'avviso di cui sopra prot. 75837 del 20/12/2021, non è a tutt'oggi divenuto efficace, in quanto lo stesso non è stato ritirato/notificato entro il 21.12.2013, data di adozione del P.G.T.”.

A fondamento del ricorso la ricorrente ha dedotto, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2, l2 e 15 del DPR 380/2001, dell’art. 13 della legge regionale 12/2005, dell'art. 60 delle norme di attuazione del piano delle regole del P.G.T, nonché l’eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione per travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà, difetto d’istruttoria e di motivazione e violazione del principio di affidamento.

La ricorrente ha, in sostanza, evidenziato che proprio nell’impugnato provvedimento sarebbe stato dato atto che “in data odierna è stato emanato il provvedimento richiesto” e che, di conseguenza, la notifica del titolo si sarebbe perfezionata.

A ciò ha soggiunto che la comunicazione dell'avvio del procedimento finalizzato alla verifica di compatibilità del programmato intervento con il P.G.T. adottato non sarebbe giustificabile sulla scorta della disciplina di cui all’art. 15, comma 4 TUED, “il quale prevede come unica fattispecie di decadenza dcl permesso di costruire l'ipotesi di interventi in contrasto con le previsioni urbanistiche in vigore (pertanto già approvate), salvo che i lavori siano stati già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio” (cfr. pag. 8); nella specie, al momento dell’adozione dell’impugnato provvedimento, il PGT non sarebbe stato ancora approvato.

Si è costituito in giudizio il Comune di Varese (16.7.2014), il quale preliminarmente ha eccepito l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso per difetto di interesse in considerazione dell’omessa impugnazione del provvedimento prot. n. 30649 del 27.5.2014, nel senso che, in esito all’entrata in vigore della disposizione sulla salvaguardia, “solo con tale ultimo provvedimento il Comune di Varese ha dichiarato l’incompatibilità dell’intervento proposto con il P.G.T. adottato e ha conseguenzialmente sospeso ogni determinazione circa l’istanza di permesso di costruire presentata da Ad Three” (cfr. pag. 4), nel contempo opponendo l’incompatibilità dell’intervento proposto con il P.G.T. adottato; ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità della domanda risarcitoria per genericità.

L’atto impugnato, di converso, non avrebbe sostanziato il rilascio del titolo abilitativo, tenuto conto che l’avviso in questione avrebbe espressamente subordinato l’efficacia del titolo edilizio all’ottenimento dei necessari nulla osta da parte delle Amministrazioni competenti in materia di tutela ambientale.

In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 12 ottobre 2021, le parti hanno depositato le rispettive memorie, senza aggiungere elementi di sostanziale novità alle argomentazioni sviluppare nei precedenti scritti; a tale udienza, svoltasi con modalità da remoto, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto sebbene con le precisazioni contenute in motivazione.

È noto che le misure di salvaguardia mirano a conservare l’assetto urbanistico del territorio per evitare che possano essere autorizzate, durante il procedimento di modifica del P.G.T., iniziative edificatorie incompatibili con la volontà del Comune di configurare in modo nuovo lo stesso territorio comunale (T.A.R. Lombardia – Milano, 5 marzo 2021, n. 613).

L’art. 12, comma 3 del DPR 380/2001 stabilisce, infatti, che “in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”.

Il fondamento di tale norma è, quindi, da individuare nella necessità di contemperare l’esigenza di non alterare un territorio in fase di ripianificazione urbanistica e quella di non comprimere sine die l’aspettativa edificatoria del privato.

L’applicazione di tale disposizione è riferita, dunque, agli interventi edilizi che siano ancora oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione comunale al momento dell’adozione del nuovo piano, non applicandosi le misure di salvaguardia anche ad interventi edilizi già autorizzati prima del sopravvenire del nuovo strumento urbanistico.

Nella specie si controverte intorno ad una valutazione – trasfusa in un atto che avrebbe espresso, a prescindere dalle prescrizioni apposte, un assenso all’intervento in questione – che sarebbe stata, in pratica, superata per effetto dell’adozione, il giorno seguente, di una nuova disciplina urbanistica.

Ma ad avviso del Collegio, nel caso di specie, il permesso di costruire deve considerarsi rilasciato il 20.12.2013 con l’avvenuta notifica dell’avviso di rilascio.

E ciò per varie ragioni.

In prima battuta, occorre considerare che la disciplina sul rilascio del permesso di costruire (art. 20 TUED) non distingue la notifica dell’avviso di rilascio del titolo abilitativo dalla notifica del permesso di costruire, facendo unicamente riferimento alla notifica del provvedimento finale (cfr. comma 6).

In assenza di una norma di diritto positivo si devono, perciò, rintracciare nella giurisprudenza elementi di ricostruzione sistematica della questione controversa.

Sul punto, si registra l’orientamento secondo cui, in effetti, si “intende per adozione la materiale "consegna" del titolo edilizio, in esito ad una notifica, comunicazione o qualsiasi altra modalità che quantomeno metta a conoscenza l'istante dell'emissione dello stesso titolo” (T.A.R. Emilia Romana - Bologna, 3 aprile 2018, n. 282).

Ma non si può, tuttavia, far prevaricare il comportamento materiale che pone fine al procedimento (la consegna; il ritiro del permesso) sulla manifestazione di volontà dell’Amministrazione: profilo, quest’ultimo, nel quale tradizionalmente si invera la definizione stessa di atto amministrativo (inteso, appunto, come manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o conoscenza proveniente da una pubblica amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa).

In tema di autorizzazioni nell’edilizia, in particolare, l’orientamento storicamente affermatosi è quello secondo cui “la licenza di costruzione, ancorché non debba essere necessariamente contenuta in un atto tipico, deve risultare da un atto scritto dal quale emerga - secondo una valutazione riservata al giudice del merito - l’inequivocabile volontà dell’amministrazione comunale di autorizzare la costruzione” (cfr. Corte di Cassazione, 5 maggio 1988, n. 3344), nonché quello alla stregua del quale “la concessione di costruzione non deve necessariamente essere contenuta in un atto tipico, essendo sufficiente che trattisi di atto scritto dal quale risulti l’inequivocabile volontà dell’amministrazione di autorizzare la costruzione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 2 marzo 1983, n. 64).

Così sedimentata, tale linea interpretativa, da rendere necessaria l’affermazione del principio secondo cui (soltanto) “dopo la L. 28 gennaio 1977, n. 10, che ha innovato il regime formale della licenza edilizia trasformandola in concessione onerosa e includendo la fissazione dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori nel contenuto minimo necessario dell’atto (art. 4), la concessione, oltre al suo contenuto tipico, deve quantificare il contributo, del quale la quota degli oneri di urbanizzazione va pagata all’atto del rilascio della concessione e deve stabilire i termini di inizio e di ultimazione lavori; conseguentemente, è venuta meno l’equiparazione tra comunicazione del parere favorevole della commissione edilizia e concessione edilizia, difettando nella prima la presenza di tutti i requisiti formali della seconda” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 23 novembre 1999, n. 1730): una ipotesi, però, affatto corrispondente a quella oggetto del presente giudizio.

E senza poter, inoltre, disattendere – nella medesima ottica – la teoria del c.d. provvedimento implicito, sul quale, anche di recente, si è pronunciato il Consiglio di Stato, chiarendo che si ha un atto amministrativo implicito “quando l’Amministrazione pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15 aprile 2019, n. 2433; id., sez. IV, 7 febbraio 2011, n. 813); un orientamento che, però, presuppone la verifica di un duplice presupposto, ossia: a) una manifestazione chiara di volontà dell’organo competente; b) la possibilità di desumerne in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale “nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà” (cfr. Consiglio di Giustizia per la Regione Sicilia, 1° febbraio 2012, n. 118, richiamata da Consiglio di Stato, sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5887).

Ciò premesso, nella specie non è possibile attribuire all’avviso oggetto del contendere altro – razionale e verosimile – significato se non una (inequivocabile) volontà di assentire l’intervento di sostituzione edilizia.

Né, tantomeno, è fondatamente sostenibile che l’inefficacia del titolo in questione possa dirsi provata dalla prescrizione secondo cui “l’inizio dei lavori è subordinato all'ottenimento dei necessari nulla osta da parte degli enti preposti (ARPA, Provincia e Comune), relativi agli esiti del piano di indagine ambientale, nel rispetto degli adempimenti alla normativa vigente in materia di verifica ambientale e bonifica dei siti produttivi”: trattasi, con tutta evidenza, di incombenti indifferenti alla validità del titolo.

Da ultimo, nella specie rileva anche una violazione del principio di legittimo affidamento.

Sul punto, l’Adunanza plenaria n. 9 del 17 ottobre 2017 ha statuito, tra l’altro, che “nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione e ciò giustifica una scelta normativa (quale quella trasfusa nell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990) volta a rafforzare l’onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione. Si tratta di stabilire sino a che punto e in che termini l’ordinamento si debba far carico di tutelare un siffatto stato di legittimo affidamento”.

Ma nella specie l’Amministrazione ha (si direbbe confessoriamente) ammesso che il permesso “non è a tutt'oggi divenuto efficace, in quanto lo stesso non è stato ritirato/notificato entro il 21.12.2013, data di adozione del PGT”: un rilievo, dunque, che conferma la rilevanza decisiva di un ritardo temporale riferito ad una operazione materiale (il ritiro a carico dell’interessato; o, addirittura, la notificazione a carico dell’Amministrazione comunale), e che conferma l’inesistenza di profili di incompatibilità di natura urbanistica o edilizia, questi ultimi contestati soltanto successivamente all’adozione (ma mai prima) del nuovo strumento urbanistico.

Ne deriva che il permesso di costruire – che pure compendia profili istruttori complessi (uno su tutti: la necessità di bonificare l’area) – non debba sottostare alla sopravvenuta verifica di compatibilità; da ciò dovendosi inferire che il successivo provvedimento prot. n. 30649 del 27.5.2014 ha costituito il tentativo di impropriamente (e ormai irrimediabilmente) invertire il senso oggettivo sotteso alla positiva istruttoria che ha condotto al rilasciato titolo.

È, da ultimo, inammissibile per genericità la domanda risarcitoria, radicalmente priva dei presupposti legittimanti, questi ultimi certamente non ravvisabili nel vago riferimento alle paventate conseguenze di una mancata esecuzione di un contratto preliminare di compravendita.

Né la ricorrente ha dimostrato il nesso intercorrente tra l’illiceità dell’agire amministrativo e il danno subito, dovendosi, a tal proposito, considerare il parere negativo sul piano di indagine ambientale espresso dall’ARPA il 18.9.2014, che depone per una (sostanziale, nonostante la validità del titolo edilizio) incapacità della società di dare concretezza al programma costruttivo oggetto del contendere.

Nei limitati sensi di cui in motivazione, pertanto, il ricorso va accolto.

La particolare complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti espressi in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Alberto Di Mario, Presidente FF

Antonio De Vita, Consigliere

Angelo Fanizza, Consigliere, Estensore