 T.A.R. Veneto Sez. II n. 1110 del 1 luglio 2011
T.A.R. Veneto Sez. II n. 1110 del 1 luglio 2011 
Urbanistica. Modifica destinazione d'uso
Per poter parlare di un mutamento funzionale della destinazione d'uso di un immobile (nella specie parzialmente) da residenziale a professionale –direzionale, occorre riferirsi alle oggettive caratteristiche dei locali interessati dall’intervento di trasformazione, dovendosi escludere tale mutamento quando l’utilizzazione lavorativa dei locali non abbia comportato una modifica della tipologia costruttiva o, quantomeno, dell'organizzazione interna degli spazi
N. 00985/2011 REG.PROV.COLL.
 N. 01669/2005 REG.RIC.
 
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
 
 (Sezione Seconda)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 1105 del 1999, proposto da:
 Bevilacqua Enrico e Ribul Maria Teresa, rappresentato e difeso dagli avv. Lucia  Busetto, Pierlamberto Ripesi, con domicilio eletto presso Lucia Busetto in  Venezia-Mestre, via Lazzari, 22/10;
 contro
 Comune di Breda di Piave - (Tv), rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Ronfini,  Franco Zambelli, con domicilio eletto presso Franco Zambelli in Venezia-Mestre,  via Cavallotti, 22;
 
 per l'annullamento
 
 dell'Ordinanza n. 5 del 19 febbraio 1999 - prot. 2404, emessa dal Responsabile  del settore tecnico del Comune di Breda di Piave in data 23 febbraio 1999  contenente diffida a non mutare la destinazione d’uso residenziale  dell’immobile.
 
 
 Visti il ricorso e i relativi allegati;
 
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Breda di Piave - (Tv);
 
 Viste le memorie difensive;
 
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2011 il dott. Angelo De Zotti  e uditi per le parti i difensori G.Masello in sostituzione di Ripesi per i  ricorrenti e S.Iliadis in sostituzione di Zambelli per il Comune intimato;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 I ricorrenti sono comproprietari di un immobile sito in Comune di Breda di Piave  (TV) e situato in zona a destinazione agricola.
 
 L'immobile è stato trasformato (per un volume di mc. 795,04) ad uso  residenziale, previa esecuzione di lavori regolarmente assentiti dal Comune di  Breda di Piave con concessione edilizia n. 77 del 9 maggio 1991, concessione  integrata con le successive n. 104 del 22 giugno 1991 e n. 15 dell'1 febbraio  1993, con le quali vennero autorizzate talune modifiche al progetto originario.
 
 L'edificio è stato dichiarato abitabile ed agibile in data 20 maggio 1996 ed è  utilizzato dai coniugi Bevilacqua come propria abitazione.
 
 Peraltro la signora Ribul Mazzola, che esercita la professione di psicologa e  che, nell'ambito di tale professione, s'interessa in particolare dei problemi  legati al cosiddetto "disagio giovanile", svolge tale attività presso la propria  abitazione, ritenendola il luogo più idoneo per la terapia ad un minore.
 
 Il 16 febbraio 1998, l'Ufficio Tecnico Comunale, in seguito a denuncia dei  vicini, effettuava un sopralluogo, finalizzato all'accertamento della conformità  del fabbricato a quanto precedentemente assentito, nonché alle modalità di  utilizzazione del fabbricato stesso.
 
 A seguito della redazione, da parte del tecnico incaricato, del relativo  verbale, il Comune di Breda di Piave emetteva il provvedimento in epigrafe con  il quale ordinava, ai ricorrenti, di non variare la destinazione d'uso  autorizzata, diffidandoli dallo svolgere nei locali "attività direzionali  (uffici e attività professionali), in quanto non ammessi in tale zona agricola  ed in tali immobili .... ".
 
 Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, i signori Bevilacqua e Ribul  Mazzola impugnano tale diffida per i seguenti motivi:
 
 1) violazione di legge per carente e contraddittoria motivazione ed eccesso di  potere per illogicità manifesta e contraddittorietà di motivazione.
 
 Si sostiene che l'ufficio Comunale, dopo aver verificato che l'immobile  sottoposto a sopralluogo era conforme a quanto assentito con le Concessioni  edilizie richiamate e che, soprattutto, all'interno dell'immobile non erano  state costituite strutture organizzative di tipo direzionale, ha ritenuto,  ugualmente di emettere un provvedimento di diffida nei confronti dei ricorrenti  che non si giustifica in base ai presupposti di fatto e di diritto relativi alle  condizioni di utilizzo dell’immobile; che il provvedimento, costituito da una  generica diffida a non compiere, per il futuro, attività in spregio alla  normativa vigente, é stato emesso nell'esercizio di un potere estraneo rispetto  a quello di vigilanza conferito al Sindaco (e ora ai funzionari comunali)  dall'art. 89 della L. R. n. 61/85; che il piano regolatore generale del Comune  di Breda di Piave prevede, infatti, nelle zone in questione (a destinazione  agricola) la possibilità di autorizzare, come é avvenuto nella specie, la  costruzione di immobili residenziali (o la trasformazione dell'uso in  residenziale); che come ha avuto modo di accertare il Tecnico comunale,  l'immobile, edificato con la tipologia assentita di abitazione, é stato poi  effettivamente destinato a residenza dei ricorrenti e non vi é stata insediata  alcuna struttura tale da comportare una modificazione dell'utilizzazione  urbanistica del bene; che, in tale contesto, è giuridicamente irrilevante che la  signora Ribul eserciti, in talune occasioni, presso la propria abitazione  un'attività di carattere professionale utilizzando, a tal fine, un locale  dell'abitazione stessa, atteso che nell'ambito del concetto di destinazione  residenziale non può essere ricondotta esclusivamente l'attività strettamente  collegata "all'abitare" ma debbono essere inclusi gli usi destinati alle  attività collaterali, ivi comprese anche quelle lavorative, che, per  consuetudine o per particolari esigenze, possano essere esercitate  nell'abitazione senza comportare modificazione della destinazione della stessa;  che un mutamento, attuale o potenziale, della destinazione urbanistica non  consegue, quindi, dalla soggettiva od occasionale utilizzazione degli spazi, ma  deve essere verificato, in sede di accertamento, sulla base di obiettive  caratteristiche strutturali come la tipologia costruttiva o l'organizzazione  interna degli spazi.
 
 Il Comune di Breda di Piave si costituiva depositando memoria, datata 20 maggio  1999, con la quale si riservava di esplicare le proprie difese in un atto  successivo e concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per  difetto di interesse o, in subordine, per la reiezione dello stesso.
 
 In seguito il Comune ha depositato una memoria difensiva nella quale ha  insistito per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, evidenziato le  ragioni poste a fondamento delle proprie conclusioni
 
 All’udienza del 5 maggio 2011, previa audizione dei difensori delle parti il  ricorso è stato posto in decisione.
 DIRITTO
 1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, dedotta  dal Comune intimato è fondata.
 
 Nondimeno, in ordine a tale condivisa eccezione si impongono alcune precisazioni  che appaiono rilevanti ai fini della c.d. soccombenza virtuale e della  statuizione sulle spese di lite.
 
 1.1. Nella memoria conclusiva il Comune ha infatti rilevato, preliminarmente,  che l'ordinanza oggetto del giudizio sarebbe stata impugnata solo parzialmente,  e che i ricorrenti avrebbero prestato acquiescenza alla parte della diffida  riferita al ripristino della destinazione di magazzino rurale sottratta dalla  soffitta “residenziale”, chiedendo in parte qua la declaratoria di  inammissibilità del ricorso.
 
 1.2. In realtà il Collegio non ritiene che sul punto specifico sussista  l’eccepita acquiescenza perché la diffida, paradossalmente, non riguarda il c.d.  ripristino della destinazione rurale della soffitta.
 
 Infatti, mentre nelle premesse del provvedimento viene rilevato e contestato ai  ricorrenti il presunto cambio di destinazione della soffitta che avrebbe  modificato quella di magazzino rurale, nella diffida non si ordina, come si  assume nella memoria difensiva dell’amministrazione comunale, il ripristino  della destinazione agricola ma solo di “ non utilizzare i fabbricati o parte di  essi per attività direzionali (uffici e attività professionali) in quanto non  ammessi in zona agricola per i motivi esposti nella stessa diffida.
 
 1.3. Ne consegue che per questa parte, pur se l’accertamento istruttorio di  carattere ispettivo ha rilevato e contestato il predetto mutamento di  destinazione, la diffida non contiene alcun riferimento al ripristino della  destinazione rurale e quindi non giustifica l’impugnativa del provvedimento da  cui l’amministrazione fa discendere la dedotta acquiescenza e la conseguente  inammissibilità del ricorso.
 
 2. Quanto al cambiamento di destinazione d’uso riferito all’attività  professionale di psicologo terapeuta svolta dalla sig.ra Ribul nello studio al  piano terra, la conclusione testuale del tecnico comunale è che in loco “non è  stata rilevata la presenza di elementi che depongano per un cambio di  destinazione d’uso, da residenziale a direzionale professionale, dell’immobile”  in quanto “ lo studio al piano terra è di tipo residenziale, non ha  caratteristiche e organizzazione tipica di studio professionale (mobilio,  computer, dipendenti, parti esclusive); trattasi di vano per soggiorno studio”.
 
 In sostanza è verosimile che avendo rilevato che l’attività esercitata in un  locale dell’abitazione priva di caratteristiche e di organizzazione proprie  dello studio professionale da uno dei soggetti residenti, senza attrezzatura e  senza la configurazione esterna dei locali come studio professionale aperto al  pubblico, ma piuttosto come attività episodica e marginale, il supposto  mutamento di destinazione sia stato escluso.
 
 2.1. D’altra parte, per poter parlare di un mutamento funzionale della  destinazione d'uso di un immobile (nella specie parzialmente) da residenziale a  professionale –direzionale, occorre riferirsi alle oggettive caratteristiche dei  locali interessati dall’intervento di trasformazione, dovendosi escludere tale  mutamento quando l’utilizzazione lavorativa dei locali non abbia comportato una  modifica della tipologia costruttiva o, quantomeno, dell'organizzazione interna  degli spazi (TA.R. Parma Emilia Romagna, sez. 1^ 26 novembre 2009, n. 792,  sentenza che richiama anche: T .R.G .A. Trentino-Alto Adige, Trento, 7 maggio  2009, n. 150).
 
 Diversamente opinando si dovrebbe invero concludere che anche lo svolgimento di  un'attività professionale svolta senza alcun apparato organizzativo e  strumentale nello studio della propria abitazione, ne comporta la trasformazione  in immobile ad uso direzionale.
 
 2.2. Pertanto è vero che la diffida impugnata è configurata in apparenza come un  provvedimento lesivo, in quanto coercitivo e finalizzato ad un ipotetico e  generico divieto di utilizzo del fabbricato, o di parte di esso, per attività  direzionali, ma è parimenti vero che, in concreto e per questa parte, il  contenuto lesivo del provvedimento si sostanzia - e comunque così deve essere  inteso alla stregua delle premesse che lo motivano – in un invito generico a  mantenere la destinazione (residenziale ed agricola) dell’immobile in conformità  alla concessioni edilizie ed al relativo certificato di agibilità, riservandosi  l’amministrazione, in caso di inottemperanza a tale diffida, di procedere  coattivamente e quindi ad adottare un eventuale futuro e imprecisato  provvedimento sanzionatorio.
 
 2.3. Tale è, d’altronde, anche l’interpretazione che la difesa  dell’amministrazione fornisce del provvedimento impugnato e che lascia intendere  come allo stato i ricorrenti non abbiano ricevuto altro che un avviso generico  di non mutare la destinazione d’uso dell’immobile in funzione di quanto è già  implicito nei titoli concessori e di agibilità che allo stesso pertengono.
 
 3. Nei detti limiti il provvedimento non solo non è lesivo perché muove dalla  oggettiva condizione giuridica dell’immobile ma è legittimo in quanto non è  possibile negare che se nell’immobile, collocato in zona agricola e avente  destinazione residenziale e rurale, venisse esercitata un’attività  professionale, come quella di studio medico aperto al pubblico, o se ne fosse  modificata la destinazione agricola residua dei locali cui è stata impressa tale  specifica destinazione, la diffida al recupero della destinazione d’uso sarebbe  certamente legittima e non si esporrebbe alle censure articolate nel ricorso.
 
 3.1 Ma poiché, per come sopra chiarito, così non è, il ricorso va dichiarato  inammissibile per difetto di interesse, non potendo il giudice riferire  l’interesse dei ricorrenti ad una pronuncia che accerti in astratto (e non con  riguardo alla contestazione mossa in concreto) a quali condizioni il mutamento  di destinazione d’uso da residenziale a professionale possa ritenersi legalmente  consentito.
 
 4. Residuano le spese di causa, che, tenuto conto del tenore poco perspicuo del  provvedimento, nel senso chiarito in motivazione e dell’avviso ex art. 3 l.  241/1990, che ha indotto i ricorrenti a ravvisare. pur se putativamente, i  presupposti dell’interesse all’azione, meritano di essere interamente compensate  tra le parti.
P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda)  definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo dichiara inammissibile  per difetto di interesse.
 
 Compensa tra le parti le spese e le competenze di causa.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2011 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Angelo De Zotti, Presidente, Estensore
 Angelo Gabbricci, Consigliere
 Marina Perrelli, Referendario
 
 IL PRESIDENTE, ESTENSORE 
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 01/07/2011
 IL SEGRETARIO
 (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 
 
                    




