TAR Campania (NA) Sez. VII n.1247 del 25 marzo 2020
Urbanistica.Ordine di demolizione emesso tardivamente

Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino


Pubblicato il 25/03/2020

N. 01247/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00415/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 415 del 2015, proposto da
Vincenzo Alfano, Anna De Gregorio, rappresentati e difesi dagli avvocati Massimo Guida e Luciano Noce, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in Napoli, alla via Serafino Biscardi n. 31, presso l’avvocato Massimo Guida;

contro

Comune di Sant’Antonio Abate, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gennaro Perillo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- dell’ordinanza di demolizione n. 142 del 30 ottobre 2014, adottata dal Comune di S. Antonio Abate;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, lesivo degli interessi dei ricorrenti;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sant’Antonio Abate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2020 la dott.ssa Valeria Ianniello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;


FATTO e DIRITTO

Espongono i ricorrenti:

- che, nei primi mesi dell’anno 2003, sono state realizzate nel fabbricato di loro proprietà opere edili senza titolo, consistenti in una sopraelevazione, delle dimensioni complessive di circa 80 mq;

- di avere presentato, per tale attività edilizia, istanza di condono ai sensi della legge n. 326/2003;

- che, con deliberazione consiliare n. 61 del 25 luglio 2013 e deliberazione di Giunta n. 180 del 17 ottobre 2013, il Comune di Sant’Antonio Abate, in applicazione dell’art. 12, co. 6, della L.R. n. 19/2009 (per il quale, «gli immobili abusivi acquisiti ai sensi dei commi 3 e 4 dell’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001, su decisione del consiglio comunale assunta ai sensi del comma 5 dell’articolo 31 del medesimo decreto, possono essere trasformati, anche mediante interventi di manutenzione, ristrutturazione e completamento, in alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata, nonché utilizzati in programmi di valorizzazione o dimissione di beni comunali») e dell’art. 1, co. 65, della L.R. n. 5/2013 (per il quale «per favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 7 della legge regionale 28 dicembre 2009, n. 19 ..., gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22 ottobre 1971, n. 865 ..., nonché dei programmi di valorizzazione immobiliare anche con l’assegnazione in locazione degli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, o a programmi di dismissione immobiliare ...»), stabiliva di acquisire al patrimonio comunale le opere edilizie sprovviste di titolo abilitativo, destinate a civili abitazioni, sussistendo l’interesse pubblico a non procedere alle demolizioni, per la conseguente loro trasformazione in alloggi di edilizia residenziale pubblica;

- che, tuttavia, con ordinanza n. 142 del 30 ottobre 2014, il Comune di Sant’Antonio Abate – sulla scorta dell’intervenuto rigetto, con provvedimento prot. n. 9041 del 16 aprile 2014, dell’istanza di condono edilizio presentata ai sensi della legge n. 326/2003, e dell’esistenza di una sentenza di demolizione, per le stesse opere, emessa in data 12 luglio 2007 dalla Corte d’Appello di Napoli, divenuta irrevocabile in data 7 febbraio 2008 – ingiungeva la demolizione, a cura e spese di essi ricorrenti, con l’avvertenza che in caso d’inottemperanza, le opere stesse, l’area di sedime, nonché l’area a contorno (da individuare anche con successivo atto) sarebbero state acquisite gratuitamente al patrimonio comunale, nei modi e termini previsti dall’art. 31, co. 3, del D.P.R. n. 380/2001.

Avverso tale ordinanza di demolizione, i ricorrenti muovono le seguenti censure:

1. violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, per difetto di motivazione dell’ingiunta demolizione, in ordine alla perdurante attualità dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine urbanistico violato, anche in considerazione dei provvedimenti in precedenza adottati dalla medesima Amministrazione comunale in relazione alla sussistenza dell’interesse pubblico alla conservazione delle opere abusive, per la destinazione ad alloggi di E.R.P.;

2. violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990, in ordine alle garanzie di partecipazione procedimentale, che non sarebbero state loro assicurate;

3. lesione del principio dell’affidamento, per essere il provvedimento sanzionatorio successivo di circa undici anni alla richiesta di sanatoria, oltre che in asserita violazione delle richiamate deliberazioni del Consiglio e della Giunta comunale;

4. violazione dell’art. 31, co. 5, del D.P.R. n. 380/2001 (secondo il quale «l’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali», nel testo applicabile ratione temporis) ed eccesso di potere per contraddittorietà rispetto alle richiamate deliberazioni, con le quali il Comune aveva dichiarato la sussistenza dell’interesse pubblico a non demolire l’opera, attivando le procedure per l’acquisizione al patrimonio comunale e la destinazione ad alloggi di E.R.P.

Il ricorso è infondato.

Quanto alla allegata violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, il Collegio ritiene di doversi riportare all’indirizzo, ormai consolidato in giurisprudenza, in base al quale:

- «l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata e doverosa della Pubblica amministrazione e, pertanto, i relativi provvedimenti, quale l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto»;

- «a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990 (che ha recepito, sul punto le indicazioni della giurisprudenza), a fronte di attività interamente vincolata, quale quella di repressione degli abusi edilizi, i vizi di carattere “formale” – tra cui rientra pacificamente anche la violazione dell’art. 7, della legge n. 241 – difettano ormai di capacità invalidante, al cospetto dell’invarianza dell’esito provvedimentale e del principio di “strumentalità delle forme”»;

- «l’omessa comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla repressione di abusi edilizi non vizia il provvedimento adottato, atteso il carattere vincolato dell’esercizio dei poteri repressivi, laddove il provvedimento demolitorio o ripristinatorio sia stato emesso per sanzionare esclusivamente violazioni edilizie od urbanistiche e risulti adeguatamente motivato a mezzo dell’affermazione della realizzazione di opere in assenza di titolo, con contestuale richiamo alla normativa violata, costituendo atto doveroso e vincolato nel contenuto, per cui non deve essere preceduto da un avviso di avvio del relativo procedimento, né da una comunicazione ex art. 10 bis, della legge n. 241 del 1990 (peraltro, neppure ipotizzabile, non essendovi alcuna istanza di parte), anche in considerazione della consequenziale intangibilità ai sensi dell’art. 21-octies, della medesima legge n. 241 del 1990»;

- «la natura urgente e strettamente vincolata degli atti di repressione degli abusi edilizi, essendo dovuti in assenza di titolo per l’avvenuta trasformazione del territorio, comporta che, ai fini della loro adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario che nessuna utilità potrebbero apportare ai fini dell’adozione del provvedimento sanzionatorio» (T.A.R. Lazio Roma, II-bis, sent. n. 4211/2019, e copiosa giurisprudenza ivi richiamata).

In ordine alla prima e alla terza censura, giova richiamare i principi sanciti dall’Adunanza plenaria con riferimento al procedimento di irrogazione della sanzione demolitoria:

- «nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata»;

- «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino» (sent. n. 9/2017).

Quanto, infine, alla quarta censura, da quanto rappresentato dalle parti del presente giudizio risulta che il Comune di Sant’Antonio Abate aveva, in effetti, dichiarato, con provvedimenti di carattere generale, la sussistenza dell’interesse pubblico a non demolire le opere abusivamente realizzate e ad attivare le procedure per l’acquisizione delle stesse al patrimonio comunale e la destinazione ad alloggi di E.R.P.

Ciò, tuttavia, non ha determinato in capo ai proprietari di tali opere (né, dunque, ai ricorrenti) l’insorgere di una posizione soggettiva consolidata, poi negativamente incisa dalla successiva adozione di determinazioni sfavorevoli di segno opposto (come avviene, invece, in caso di annullamento in autotutela del titolo edilizio o del provvedimento di sanatoria).

Non può, pertanto, ritenersi radicato un affidamento in capo al privato, dal quale far derivare un rafforzamento dell’onere motivazionale gravante in capo all’Amministrazione (previsto dall’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 per la differente ipotesi di annullamento d’ufficio di un provvedimento favorevole; cfr. Ad. plen. n. 9/2017, cit.).

Nella fattispecie in esame, il Comune si è limitato a esprimere un indirizzo generale di preferenza per l’acquisizione al proprio patrimonio delle opere abusive, per le ridette finalità sociali, senza tuttavia provvedere in modo specifico in ordine all’immobile dei ricorrenti. Al riguardo, va evidenziato che le questioni riguardanti una eventuale destinazione dell’immobile dei ricorrenti ad alloggio di E.R.P., costituendo un posterius rispetto all’ordinanza demolitoria impugnata, non possano, in ogni caso, essere suscettibili di incidere sulla legittimità di quest’ultima; detta destinazione, infatti, presuppone l’intervento di una previa acquisizione gratuita al patrimonio comunale (quale conseguenza, a sua volta, di una omessa spontanea ottemperanza proprio all’ordine demolitorio), che allo stato non risulta esservi stata.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto (n. 415/2015 r.g.), lo respinge.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Comune di Sant’Antonio Abate, nella misura di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Michelangelo Maria Liguori, Presidente

Guglielmo Passarelli Di Napoli, Consigliere

Valeria Ianniello, Primo Referendario, Estensore