Il Piano paesaggistico non può prevalere sul piano del parco.

di Fulvio Albanese

 

Con l’ordinanza 117 del 22 marzo 2010 la Corte Costituzionale torna sulla questione: rapporto gerarchico tra piano paesaggistico e piano del parco. L’avvocatura generale dello Stato ha sollevato, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge della Regione Lazio 4 dicembre 2008, n. 21 (Istituzione del Parco naturale regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi nonché dell’ente di gestione del suddetto parco), che ripropone l’applicabilità dell’art. 26 della legge regionale n. 29 del 1997, il quale, al comma 6, dispone che «il piano dell’area naturale protetta ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991 e sostituisce i piani paesistici ed i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello».

Sul punto la tesi dell’avvocatura dello Stato è sempre la stessa (cfr. Corte Costituzionale sent. 180 del 2008): la disposizione della l. 394/1991 deve considerarsi superata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale prescrive: «per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalla normativa di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette», una visione miope e parziale, in grado di compromettere l’articolata pianificazione elaborata con il piano del parco e l’efficacia stessa delle misure di conservazione delle aree protette.

L’Avvocatura nell’ordinanza in parola richiama un concetto riconducibile al d.lgs. n. 42 del 2004 che “prevederebbe” un modello gerarchico tra gli strumenti di pianificazione adottati ai diversi livelli di governo, disponendo la prevalenza dei piani paesaggistici sulle difformi previsioni contenute negli atti di pianificazione avente limitata incidenza territoriale, compresi quelli adottati dagli enti gestori delle aree naturali protette.

Ma vi è di più, infatti, l’Avvocatura afferma che: <<la disciplina statale, secondo l’avviso della parte ricorrente, esclude sia che la salvaguardia dei valori paesaggistici possa essere assicurata da strumenti diversi dai piani paesaggistici sia che questa possa cedere ad esigenze urbanistiche o naturalistiche rappresentate in diversi strumenti di pianificazione>>, ora, che la disciplina statale escluda la salvaguardia dei valori paesaggistici mediante strumenti diversi dai piani paesaggistici, e che questa non possa cedere ad esigenze urbanistiche è totalmente condivisibile, ma non ha senso contrapporre la tutela del paesaggio con la tutela naturalistica, strumento basilare delle misure che costituiscono il piano del parco, in nome di una “gerarchia” degli strumenti di pianificazione che dovrebbero garantire senza interferire negativamente tra loro, un’organica ed elevata tutela del territorio e dell’ambiente come dispone l’art. 191 c.2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

Infatti, analizzando il contenuto tecnico del piano paesaggistico è facile verificare la totale assenza di qualsiasi riferimento alla tutela dell’ambiente nella sua definizione più generale elaborata dalla Consulta: <<Oggetto di tutela (cfr. la Dichiarazione di Stoccolma del 1972), è la biosfera, che viene presa in considerazione, non solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra queste ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi>> (cfr. Corte Costituzionale, sentenze del 14 novembre 2007, n. 378; e del 23 gennaio 2009, n. 12), quindi stabilire una gerarchia fra strumenti di pianificazione non coincidenti nella sostanza e nelle finalità come è il caso dei due piani in questione, è incomprensibile oltre ché limitante per la corretta gestione e tutela delle Aree protette. E’ ormai assodato che l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette in funzione della disciplina dettata (l. 394/1991 che prevede all’art. 26 il piano del parco come strumento di pianificazione), è ricompresa nella tutela e conservazione dell’ambiente e degli ecosistemi ex art. 117 comma 2 lettera s) della Costituzione (Cfr. Corte Costituzionale, sentenze: n. 422 del 2002, n. 378 del 2007, n. 387 del 2008, n. 12 del 2009, 272 del 2009).

Dunque prevedendo la subalternità del piano del parco al piano paesaggistico, tra l’altro obbligando come prescrive il comma 4 dell’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 gli enti gestori delle aree naturali protette all’adeguamento del piano del parco al contenuto del paesaggistico, si andrebbe a comprimere irragionevolmente le funzioni costituzionali di tutela ambientale e degli ecosistemi della legge 394/1991.

Inoltre non dobbiamo dimenticare, quando ipotizziamo la presunta prevalenza del piano paesaggistico sul piano del parco, che l'Italia ha ratificato la Convenzione sulla diversità biologica con legge 14 febbraio 1994 n. 124 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992”, impegnandosi in tal modo ad intraprendere concrete misure finalizzate alla conservazione della diversità biologica (articolo 6) a livello di geni, popolazioni, specie, habitat (come luogo o tipo di sito dove un organismo o una popolazione esistono allo stato naturale) ed ecosistemi (complesso dinamico formato da comunità di piante, di animali e di micro-organismi e dal loro ambiente non vivente, le quali grazie alla loro interazione, costituiscono un’unità funzionale) e garantendo l'uso sostenibile delle sue componenti. La Convenzione inoltre prevede (articolo 8) l’istituzione di un sistema di zone protette o di zone tutelate in-situ, aree sulle quali devono essere adottate misure speciali per conservare la diversità biologica nell'ambiente naturale, rientrano quindi, in questa classificazione le aree protette istituite ai sensi della 394/1991, detto questo è palese che le priorità indicate dalla Convenzione non vengano in alcun modo affrontate nel piano paesaggistico, mentre sono approfonditamente trattate con il piano del parco.

In conclusione a parere dello scrivente la improbabile prevalenza del piano paesaggistico nei confronti del piano del parco, in virtù di una discutibile gerarchia degli strumenti di pianificazione stabilita dal D.lgs 42/2004 non è proponibile se non come garanzia di cogenza del piano paesaggistico quale livello minimo di tutela del piano del parco.

 

 

 

 

ORDINANZA N. 117

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge della Regione Lazio 4 dicembre 2008, n. 21 (Istituzione del Parco naturale regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi nonché dell’ente di gestione del suddetto parco), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 6 febbraio 2009, depositato in cancelleria il 16 febbraio 2009 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;

udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

udito l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ricorso notificato in data 5 febbraio 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge della Regione Lazio 4 dicembre 2008, n. 21 (Istituzione del Parco naturale regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi nonché dell’ente di gestione del suddetto parco);

che il ricorrente – premesso che la finalità della istituzione del parco naturale in questione è di consentire sia la conservazione e la valorizzazione del territorio e delle risorse naturali dell’area dei Monti Ausoni e del lago di Fondi sia lo sviluppo economico e sociale, attraverso la promozione di attività economiche compatibili, delle popolazioni ivi insediate – rileva che la normativa censurata ha anche istituito un ente regionale di diritto pubblico, denominato appunto “Parco naturale regionale dei Monti Ausoni e del Lago di Fondi”, organizzato e gestito secondo le disposizioni della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), il quale, fra i suoi compiti, ha quello di adottare il piano e il regolamento del parco nonché il piano pluriennale di promozione economica e sociale;

che la difesa erariale, dopo aver brevemente riferito sulle altre disposizioni contenute nella predetta legge regionale n. 21 del 2008, rileva che essa presenta profili di illegittimità costituzionale;

che, sebbene le Regioni siano titolari di competenza legislativa concorrente in materia di «governo del territorio», la parte ricorrente osserva come la disciplina dei parchi naturali rientri nella potestà esclusiva statale per i profili attinenti la tutela del paesaggio e dell’ambiente, ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione;

che da ciò il ricorrente ricava la vincolatività per il legislatore regionale delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137), che fissano termini minimi ed uniformi di tutela validi su tutto il territorio nazionale;

che sarebbe, pertanto, illegittimo, in quanto in contrasto con le disposizioni contenute nel predetto d.lgs. n. 42 del 2004, l’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 21 del 2008, il quale prevede che «per l’organizzazione dell’ente regionale e per la gestione del parco si applicano le disposizioni del capo II, sezione I e del capo II della L.R. n. 29/1997 e successive modifiche»;

che, prosegue la parte ricorrente, fra le norme come sopra applicabili vi è l’art. 26 della legge regionale n. 29 del 1997, il quale, al comma 6, dispone che «il piano dell’area naturale protetta ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991 e sostituisce i piani paesistici ed i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello»;

che tale disposizione regionale deve considerarsi superata a seguito della entrata in vigore dell’art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale prescrive: «per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalla normativa di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette»;

che, chiarisce l’Avvocatura, la norma da ultimo citata prevede un modello gerarchico tra gli strumenti di pianificazione adottati ai diversi livelli di governo, disponendo la prevalenza dei piani paesaggistici sulle difformi previsioni contenute negli atti di pianificazione aventi limitata incidenza territoriale, compresi quelli adottati dagli enti gestori delle aree naturali protette;

che, pertanto, la disciplina statale, secondo l’avviso della parte ricorrente, esclude sia che la salvaguardia dei valori paesaggistici possa essere assicurata da strumenti diversi dai piani paesaggistici sia che questa possa cedere ad esigenze urbanistiche o naturalistiche rappresentate in diversi strumenti di pianificazione;

che il contrasto fra la normativa regionale e i riferiti principi, comportando il superamento «della separatezza fra pianificazione territoriale ed urbanistica da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro» nonché l’inserimento della tutela del paesaggio nell’ambito del sistema della pianificazione del territorio, integrerebbe, secondo il ricorrente, gli estremi della violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione;

che, con atto del 4 marzo 2009, si è costituita in giudizio la Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 21 del 2008 sia rigettata e riservando a successiva memoria lo svolgimento delle sue difese;

che in data 28 gennaio 2010 il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite della Avvocatura generale dello Stato, ha depositato atto di rinunzia al ricorso, giusta conforme deliberazione governativa del 28 maggio 2009;

che, solo con comunicazione pervenuta presso la cancelleria della Corte il 23 febbraio 2010, data fissata per la discussione del ricorso in udienza pubblica, il procuratore costituito della Regione Lazio dichiarava «di accettare la rinuncia al ricorso».

Considerato che, successivamente alla proposizione del ricorso col quale è stata sollevata la presente questione di legittimità costituzionale, è stata approvata, promulgata ed è entrata in vigore la legge della Regione Lazio 30 marzo 2009, n. 5, recante «Modifica alla legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali)», la quale, all’art. 1, ha sostanzialmente innovato il comma 6 dell’art. 26 della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), cioè la disposizione legislativa che, in quanto richiamata come applicabile dal comma 2 dell’art. 3 della legge della Regione Lazio 4 dicembre 2008, n. 21 (Istituzione del Parco naturale regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi nonché dell’ente di gestione del suddetto parco), determinava, secondo la prospettazione contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio, la ill egittimità costituzionale della norma ultima citata;

che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 28 gennaio 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, stante la conforme deliberazione governativa del 29 maggio 2009, comunicava di aver rinunziato a ricorso ora in questione, in quanto l’intervenuta modifica consentiva di ritenere avvenuto «l’adeguamento della normativa regionale alle disposizioni dettate dal legislatore nazionale in materia di protezione del paesaggio»;

che, a fronte di tale atto, non perveniva una formale accettazione della rinuncia da parte della Regione Lazio, tale non potendosi ritenere la dichiarazione ricevuta dalla cancelleria di questa Corte il giorno stesso in cui si è tenuta l’udienza nella quale il ricorso è stato trattato, in quanto, formulata dal procuratore costituito della Regione, non rinviava ad alcuna deliberazione assunta nel medesimo senso da parte della Giunta regionale, organo dotato di legittimazione a procedere alla accettazione della rinunzia proveniente dalla controparte (ordinanza n. 418 del 2008);

che, tuttavia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la rinuncia non regolarmente accettata, pur non comportando la estinzione del processo, può fondare, unitamente ad altri elementi, una dichiarazione di cessazione della materia del contendere per carenza di interesse del ricorrente (fra le molte, ordinanze n. 159 e n. 53 del 2009 e n. 418 del 2008);

che, nella specie, non risulta che la norma impugnata abbia avuto, nel periodo precedente alla intervenuta modificazione della disposizione da essa richiamata, applicazione;

che il suindicato intervento normativo può ritenersi satisfattivo della pretesa avanzata col ricorso, anche tenuto conto dell’inequivoco contenuto dell’atto di rinuncia;

che sono, pertanto, venute meno le ragioni della controversia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2010.