TAR Lazio (RM) Sez.I quater n.2526 del 15 marzo 2012
Urbanistica.Immobili in zona A e demolizione

L’art. 33 comma 4° d.p.r. n. 380/01 deve essere interpretato nel senso che per gli immobili in zona A è la Soprintendenza, in quanto organo competente ex lege, a valutare se il particolare pregio del manufatto giustifichi l’applicazione della sola sanzione pecuniaria; qualora ciò non avvenga il Comune può evitare di irrogare la demolizione solo nell’ipotesi generale prevista dal comma 2 dell’art. 33 ovvero nel caso di impossibilità tecnica di ripristino da intendersi riferita al pericolo di pregiudizio per la parte conforme dell’immobile, da ritenersi insussistente nella fattispecie in ragione della natura delle opere abusive contestate e della mancanza di specifica deduzione di parte ricorrente.

N. 02526/2012 REG.PROV.COLL.

N. 02318/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2318 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da
DOLCE VITA S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, largo Messico n. 7 presso lo studio dell’avv. Federico Tedeschini che, unitamente all’avv. Paola Conticiani, la rappresenta e difende nel presente giudizio

contro

- ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove n. 21 presso la sede dell’avvocatura comunale e rappresentata e difesa nel presente giudizio dall’avv. Rodolfo Murra;
- MUNICIPIO I DI ROMA CAPITALE, in persona del legale rappresentante p.t. – non costituito in giudizio

per l'annullamento

dei seguenti atti:

a) determinazione dirigenziale n. 2377 del 23/11/10 prot. n. 93230 con cui Roma Capitale ha ingiunto la demolizione delle opere ivi indicate;

b) verbale di accertamento tecnico dell’abuso prot. n. 60229 del 29/07/10;

c) atti connessi ivi compresi, ove necessario, la determinazione dirigenziale n. 970 del 27/05/10 di sospensione dei lavori, la comunicazione di constatata violazione urbanistica del 20/05/10 prot. n. 80139/10 nonché la nota del 15/02/10 prot. n. 12184 emessa dall’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio I di Roma Capitale, tutti già impugnati con il ricorso n. 8754/10 R.G.;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2012 il dott. Michelangelo Francavilla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 3 marzo 2011 e depositato il 16 marzo 2011 la Dolce Vita s.r.l. ha impugnato la determinazione dirigenziale n. 2377 del 23/11/10 prot. n. 93230 con cui Roma Capitale, sulla base degli atti endoprocedimentali e connessi in epigrafe riportati (anch’essi gravati), ha ingiunto la demolizione delle opere ivi indicate.

Roma Capitale, costituitasi in giudizio con comparsa depositata il 24 marzo 2011, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il Municipio I di Roma Capitale, benché ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. 2888/11 del 31 marzo 2011 il Tribunale ha chiesto a Roma Capitale di depositare la documentazione ivi indicata.

Con ricorso notificato in date 09/06/11 e 10/06/11 la Dolce Vita s.r.l. ha proposto motivi aggiunti avverso gli atti già gravati in via principale.

Con ordinanza n. 5986/11 del 5 luglio 2011 il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare formulata dalla ricorrente.

All’udienza pubblica del 26 gennaio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato e, nei limiti di quanto in prosieguo specificato, merita accoglimento.

La Dolce Vita s.r.l. impugna la determinazione dirigenziale n. 2377 del 23/11/10 prot. n. 93230 con cui Roma Capitale, sulla base degli atti endoprocedimentali e connessi in epigrafe riportati (anch’essi gravati), ha ingiunto la demolizione delle opere ivi indicate.

Va, innanzi tutto, rilevato che l’oggetto della decisione di merito del Tribunale è costituito esclusivamente dalla determinazione dirigenziale di demolizione n. 2377 del 23/11/10 prot. n. 93230.

Ed, infatti, l’impugnazione degli altri atti, per altro formulata per alcuni di essi in via eventuale (“ove necessario” è scritto nell’epigrafe del ricorso), è da ritenersi irricevibile, in quanto proposta oltre il termine decadenziale d’impugnazione (come si evince dal fatto che gli atti in esame risultano oggetto di altro precedente giudizio, secondo quanto dedotto dalla stessa esponente) e (per quanto attiene al verbale di accertamento tecnico dell’abuso prot. n. 60229 del 29/07/10) inammissibile per difetto d’interesse in quanto concernente un atto endoprocedimentale e, come tale, non lesivo dell’interesse della ricorrente.

Ciò posto va, poi, evidenziato che con la determinazione dirigenziale n. 2377 del 23/11/10 prot. n. 93230 Roma Capitale ha ingiunto la demolizione ed il ripristino degli abusi ivi indicati e consistenti nel mutamento di destinazione d’uso e nell’accorpamento dei locali interrati, nell’ampliamento di tre bocche di lupo corrispondenti a piazza della Quercia, nella realizzazione di una nuova finestra su via dei Venti e di una nuova scala in zona T1 di PRG, nella realizzazione di una canna fumaria e di una tenda e nella “mancata osservanza della disciplina transitoria per gli interventi in edifici oggetto di condono edilizio” (così nel provvedimento impugnato).

Con la prima censura la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 3, 10, 22, 31 e 37 d.p.r. n. 380/01 nonché 3 l. n. 241/90 ed eccesso di potere sotto vari profili deducendo, in particolare, che nella fattispecie mancherebbero “i presupposti per l’applicazione dell’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001 in concreto invocato dall’amministrazione resistente nel comminare la sanzione demolitoria alle difformità contestate” (pag. 12 dell’atto introduttivo) non ricorrendo, tra l’altro, alcuna delle ipotesi di variazione essenziale al permesso di costruire previste dall’art. 32 d.p.r. n. 380/01.

Il motivo è infondato.

Dall’esame del provvedimento impugnato emerge che nella fattispecie l’amministrazione comunale ha applicato non già le norme (artt. 31 e 32 d.p.r. n. 380/01) poste a fondamento della censura ma l’art. 33 d.p.r. n. 380/01 come si evince dal riferimento, presente nell’atto, all’art. 16 l. r. n. 15/08 e alla qualificazione dell’intervento – corretta - come “ristrutturazione edilizia” senza titolo abilitativo.

Non conferente, pertanto, risulta il richiamo, presente nel gravame, a norme, quali gli artt. 31 e 32 d.p.r. n. 380/01, che sanzionano una fattispecie diversa da quella effettivamente contestata.

Con la seconda censura la ricorrente contesta l’esistenza di abusi edilizi tali da legittimare la sanzione demolitoria e ripristinatoria in concreto irrogata.

Il motivo è fondato nei soli limiti di quanto in prosieguo specificato.

Va, innanzi tutto, rilevato che, come correttamente prospettato dalla ricorrente, quanto contestato al punto a) del provvedimento impugnato, secondo cui “agli atti non risultano, relativamente all’unità immobiliare in oggetto, le planimetrie catastali d’impianto (anno 1939 – 1940)” non costituisce ex sé abuso edilizio né legittima l’irrogazione della sanzione ripristinatoria trattandosi di circostanza che, al più, qualora imputabile alla ricorrente (il che non risulta, invero, dimostrato) avrebbe dovuto essere fatta valere in sede istruttoria nell’ambito dei procedimenti amministrativi scaturiti dalle istanze di condono edilizio e dalle denunce d’inizio di attività presentate per l’immobile oggetto di causa.

Con riferimento, poi, alle contestazioni sub b) e c) del provvedimento impugnato, relative al mutamento di destinazione d’uso e all’accorpamento dei locali interrati, il Tribunale ritiene esistenti i vizi di eccesso di potere e violazione dell’art. 32 d. l. n. 269/03 prospettati in relazione alla dedotta impossibilità di sanzionare gli interventi ivi indicati.

Dall’esame del provvedimento impugnato emerge che Roma Capitale dubita della correttezza della domanda di condono prot. n. 187661 del 10 dicembre 2004, con cui la ricorrente ha chiesto la sanatoria degli illeciti realizzati ai piani interrati e consistenti nel “cambio di destinazione d’uso da magazzino a commerciale per una superficie di mq. 70 e mc. 210,00 con accorpamento ai locali superiori”, evidenziando, in particolare (punti b e c del provvedimento impugnato) che, malgrado nell’istanza di sanatoria le opere risultino ultimate alla data del 31 marzo 2003, esse non figurano nei successivi atti di acquisto; inoltre, sarebbe stata indicata, come oggetto di condono, una superficie pari a 70 mq. e riguardante particelle catastali, destinate a scale e corridoi, diverse da quelle effettivamente interessate.

Le circostanze in esame non legittimano, però, l’adozione della sanzione demolitoria in quanto avrebbero dovuto essere valutate nell’ambito del procedimento di condono scaturito dalla presentazione della relativa domanda la cui definizione con provvedimento espresso costituisce ineludibile presupposto, secondo quanto risulta dall’art. 38 l. n. 47/85 richiamato dall’art. 32 d. l. n. 269/03, per l’adozione della sanzione demolitoria avente ad oggetto le medesime opere (in questo senso da ultimo, TAR Lazio – Roma n. 7190/11).

Per altro, anche nel merito, le circostanze indicate ai punti b) e c) del provvedimento impugnato non sono indicative degli abusi ivi contestati dal momento che, come correttamente prospettato in parte qua nella seconda censura, l’indicazione dello stato di fatto effettivo degli immobili è potuta emergere solo allorché l’ordinamento (con l’entrata in vigore della normativa sul condono) lo ha consentito, pena l’autodenuncia dell’abuso e la conseguente incommerciabilità del bene (da ciò l’irrilevanza della mancata indicazione degli atti di acquisto del 01/04/04 e del 14/06/04), mentre ogni questione sull’individuazione delle particelle oggetto di condono deve essere valutata nell’ambito del procedimento di sanatoria.

Per quanto attiene al procedimento penale in corso, menzionato da Roma Capitale nella memoria depositata il 27/04/11 e negli atti alla stessa allegati ed avente ad oggetto l’istanza di condono presentata dalla ricorrente, se ne deve affermare l’irrilevanza in questa sede in assenza di statuizioni giurisdizionali, ad esso riconducibili, aventi forza di giudicato.

Passando, poi, all’esame degli ulteriori interventi contestati e a quanto dedotto con la seconda censura, si rileva quanto segue.

Non può essere condivisa la prospettazione di parte ricorrente allorché deduce che l’opera indicata al punto d) del provvedimento impugnato, consistente nell’ampliamento di tre bocche di lupo, sarebbe assistita da idoneo titolo abilitativo e, precisamente, dalla d.i.a. prot. n. 63076 del 01/08/06.

Con la nota prot. n. 63076 del 01/08/06, infatti, la ricorrente si è limitata a presentare un’integrazione della denuncia d’inizio di attività prot. n. 58755 del 18 agosto 2005 attraverso il deposito di due nuovi elaborati grafici relativi al “post operam” dei piani terra ed interrato in cui, per la prima volta, compaiono le intercapedini per bocca di lupo con keller a protezione.

Secondo quanto risulta dal verbale di accertamento dell’abuso prot. n. 12184/2010 sul posto è stata riscontrata “l’apertura al piano interrato di tre asole corrispondenti ad altrettanti vani intercapedine (di mq. 1,20 ciascuno) ottenuti mediante scavo verso la superficie della piazza; le tre intercapedini al piano terra risultano finite da corrispondenti griglie orizzontali <keller> disposte su suolo pubblico e sullo stesso piano di quota di calpestio della piazza e al piano interrato con rivestimento e pavimentazione in mattonelle e verso l’immobile la parete verticale è stata completata…da finestre allo scopo di dotare il piano interrato di luce e aria diretta”.

In sostanza, risultano creati volumi interrati che, però, non compaiono nella denuncia d’inizio di attività prot. n. 58755 del 18 agosto 2005 e nella asseverazione ex art. 23 comma 1° d.p.r. n. 380/01 alla stessa allegata ma solo negli elaborati grafici depositati con l’integrazione oggetto della nota prot. n. 63076 del 01/08/06.

Le opere in esame, pertanto, non sono assistite da idoneo titolo abilitativo non essendo rappresentate nella relazione del progettista che ne avrebbe dovuto asseverare, come prescritto dall’art. 23 comma 1° d.p.r. n. 380/01, la relativa conformità allo strumento urbanistico (in questo senso anche TAR Lazio – Roma n. 35023/10).

Ad analoga conclusione deve pervenirsi per la finestra realizzata su via dei Venti, contestata al punto e) del provvedimento impugnato, che, contrariamente a quanto dedotto nella seconda censura, non è presente nella d.i.a. prot. n. 58755 del 18/08/05 ed, in particolare, nella relazione asseverata e nei grafici alla stessa allegati.

La dedotta preesistenza della finestra stessa, poi, non ne legittima la riapertura senza titolo edilizio in quanto l’intervento in esame comporta, comunque, la modifica del prospetto e, pertanto, deve essere qualificato come “ristrutturazione edilizia”.

Per quanto concerne la scala il Tribunale evidenzia che la stessa, al pari dell’opera contestata al punto d) del provvedimento impugnato (tre bocche di lupo) di cui in precedenza si è dato atto, non figura nella relazione asseverata ma solo nei grafici allegati alla denuncia d’inizio di attività prot. n. 58755 del 18/08/05 che è stata modificata, quanto a disposizione della scala stessa, dall’elaborato grafico depositato con nota prot. n. 32056 dell’11 aprile 2006.

L’opera, pertanto, non risulta assistita da idoneo titolo abilitativo non essendosi la relazione asseverata del progettista espressa sulla conformità del manufatto alla normativa urbanistica; per altro, la stessa norma invocata dalla ricorrente (art. 4 della disciplina transitoria del P.R.G. all’epoca vigente), nel consentire in zona A solo il “rifacimento e consolidamento di strutture fatiscenti (murature, solai di calpestio, di copertura e scale)”, non può essere ritenuta applicabile alla fattispecie in mancanza della prova della fatiscenza delle preesistenti strutture laddove lo spostamento (da un civico all’altro di via della Quercia) della scala è stato, in realtà, determinato dalla necessità di accorpare i locali.

Per quanto concerne, poi, la canna fumaria la stessa ricorrente deduce di avere spontaneamente eseguito la prescrizione ripristinatoria e, pertanto, la censura, in parte qua, si appalesa inammissibile per difetto d’interesse; in ogni caso la realizzazione di un tratto di canna fumaria in rame, diverso dalla preesistente struttura in muratura interna, costituisce alterazione del prospetto ed integra un intervento di ristrutturazione edilizia che, ai sensi degli artt. 3 e 10 lettera c) d.p.r. n. 380/01, avrebbe dovuto essere assentito con permesso di costruire.

In ordine alla tenda, infine, non può condividersi l’interpretazione di parte ricorrente circa l’incompatibilità tra gli articoli 50 del regolamento edilizio del Comune di Roma e 6 punto f della delibera del Consiglio comunale n. 260/97, posti a fondamento della prescrizione demolitoria, e l’allegato B alla delibera di Consiglio comunale n. 119/05 che, nel consentire la realizzazione di “tende in aggetto da muro”, non vanifica il limite del rispetto dei “sesti delle porte” previsto dalle norme in precedenza citate.

Per quanto concerne, infine, la “mancata osservanza della disciplina transitoria per gli interventi in edifici di condono edilizio”, contestata al punto l) dell’atto gravato, il Tribunale rileva che la carenza documentale ad essa sottesa avrebbe dovuto essere contestata nell’ambito dei procedimenti amministrativi scaturiti dalle denunce d’inizio di attività presenti in atti attraverso una richiesta d’integrazione istruttoria o, al più, mediante l’ordine di non eseguire l’intervento ex art. 23 comma 6° d.p.r. n. 380/01: sul punto, pertanto, la specifica censura formulata dai ricorrenti merita di essere condivisa.

Con il ricorso depositato in data 17 giugno 2011 la ricorrente propone, poi, all’esito del deposito del verbale di accertamento del 29/07/10 e della nota prot. n. 47361 del 15/06/10 con la quale il Comune di Roma (trattandosi di immobile compreso in zona A) ha chiesto alla Soprintendenza il parere in ordine alla demolizione ex art. 33 d.p.r. n. 380/01, un motivo aggiunto deducendo, in particolare, la violazione del citato art. 33 in quanto il Comune avrebbe adottato la sanzione senza motivare in ordine all’esito della richiesta del parere alla Soprintendenza e, comunque, alle valutazioni che l’hanno indotto a prescegliere la misura repressiva reale e a ritenere che le opere da rimuovere non comportino pregiudizio per le strutture preesistenti regolarmente autorizzate.

Il motivo è infondato.

L’art. 33 comma 4° d.p.r. n. 380/01 prevede che “qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente”.

Nella fattispecie l’iter procedimentale previsto dalla norma in esame risulta rispettato avendo Roma Capitale con la nota del 15/06/10 richiesto alla Soprintendenza il parere di competenza che non è stato dalla stessa reso nel termine previsto.

La mancata espressione del parere ha legittimato l’adozione della sanzione demolitoria da parte del Comune né in tale ipotesi l’ente ha l’obbligo di esternare, attraverso uno specifico onere motivazionale, la scelta tra sanzione pecuniaria e demolitoria la quale ultima costituisce la misura ordinariamente applicabile in ipotesi, quali quella in esame, di ristrutturazione edilizia senza titolo.

In altri termini, l’art. 33 comma 4° d.p.r. n. 380/01 deve essere interpretato nel senso che per gli immobili in zona A è la Soprintendenza, in quanto organo competente ex lege, a valutare se il particolare pregio del manufatto giustifichi l’applicazione della sola sanzione pecuniaria; qualora ciò non avvenga il Comune può evitare di irrogare la demolizione solo nell’ipotesi generale prevista dal comma 2 dell’art. 33 ovvero nel caso di impossibilità tecnica di ripristino da intendersi riferita al pericolo di pregiudizio per la parte conforme dell’immobile, da ritenersi insussistente nella fattispecie in ragione della natura delle opere abusive contestate e della mancanza di specifica deduzione di parte ricorrente.

Per questi motivi il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento nei limiti di quanto specificato in precedenza.

Va, pertanto, annullata la gravata determinazione dirigenziale di demolizione n. 2377 del 23/11/10 prot. n. 93230 nella sola parte in cui la stessa ha ad oggetto le contestazioni di cui ai punti ivi indicati sub A), B), C) ed L).

L’accoglimento solo parziale del ricorso giustifica, ai sensi degli artt. 26 d. lgs. n. 104/92 e 92 c.p.c., la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) accoglie il ricorso nei limiti di quanto specificato in motivazione;

2) dispone la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del giorno 26 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Elia Orciuolo, Presidente

Pierina Biancofiore, Consigliere

Michelangelo Francavilla, Consigliere, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/03/2012