TAR Campania (NA) Sez. VI n.1521 del 2 aprile 2012
Urbanistica.Potere sanzionatorio e decadenza.

La validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di un'istanza ex art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto

N. 01521/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01545/2007 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1545 del 2007, proposto da:
Cosentino Pompeo, rappresentato e difeso dall'avv. Filomena Giglio e, ai sensi dell’art. 25 del d. lgs. 104/2010, domiciliato d’ufficio, in assenza di elezione di domicilio nel Comune di Napoli, presso la Segreteria del T.A.R. Campania in Napoli, piazza Municipio, 64;

contro

Comune di Casamicciola Terme, in persona del legale rappresentante pro – tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

dell’ordine di demolizione n. 70 del 13.12.2006.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2012 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il gravame in epigrafe il ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione n. 70 del 13.12.2006, spedita dal Comune di Casamicciola Terme a fronte dell’abusiva edificazione, su un preesistente fabbricato sito nel territorio del suddetto Comune, al corso Vittorio Emanuele, delle seguenti opere: “manufatto avente una superficie interna di mt. 6,45x3,15, posto in adiacenza alla propria abitazione, realizzato in muratura perimetrale in celloblock, di spessore pari a 30 cm su tre lati….”.

Avverso tale atto ha, dunque, articolato le seguenti censure:

1) l’ordine di rimessione in pristino sarebbe illegittimo a cagione della pendenza di istanze di condono e di accertamento di conformità urbanistica non delibate;

2) risulterebbero violate le garanzie di partecipazione al procedimento;

3) il provvedimento non sarebbe assistito da una congrua motivazione, anche in considerazione della violazione dell’articolo 3 della legge n. 241/1990, nella parte in cui richiede – in caso di motivazione per relationem – che l’atto richiamato (nella specie il rapporto dell’u.t.c.) sia reso noto e disponibile;

4) incompetenza del dirigente in quanto il Comune non avrebbe comprovato l’adozione della normativa regolamentare di attuazione del principio di separazione tra indirizzo politico e gestione;

5) l’area di sedime non sarebbe soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta (ma solo di inedificabilità relativa), per cui non potrebbe trovare applicazione la fattispecie di cui all’articolo 27 del d.p.r. 380/2001 ed inoltre l’Autorità procedente avrebbe dovuto verificare l’effetiva compromissione di rilevanti interessi urbanistici e paesistici;

6) non essendo stato accertato alcun danno ambientale l’Autorità procedente avrebbe potuto disporre l’applicazione di un’indennità pecuniaria;

7) non sarebbero stati acquisiti il parere e le determinazioni rispettivamente della commissione edilizia integrata e del Sindaco, quale autorità sub – delegata ai BBAA;

8) il provvedimento impugnato non sarebbe assistito da una congrua istruttoria, siccome fondato solo sul rapporto dell’UTC.

Il Comune di Casamicciola Terme non si è costituito in giudizio.

All’udienza del 7.3.2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

La vicenda cui il suddetto mezzo inerisce costituisce il punto di riferimento di diversi procedimenti, sanzionatori e di sanatoria, solo in parte confluiti nel rapporto controverso sottoposto all’attenzione del Collegio.

Ed, invero, la parte ricorrente, oltre ad aver spiegato domanda impugnatoria, ha presentato, in data 27.2.2007 un’istanza di accertamento di conformità sulla quale il Comune di Casamicciola Terme non si è ancora pronunciato. Risulta, inoltre, prodotta in allegato al ricorso una domanda di condono presentata in data 30.5.1986 prot.llo 5499, n° progressivo 0228870200.

Tanto premesso, e rinviando in prosieguo la disamina delle implicazioni che si riconnettono all’attivazione dei suddetti procedimenti di sanatoria, vanno, anzitutto, passate in rassegna le singole osservazioni censoree articolate avverso la sanzione ripristinatoria irrogata dall’Amministrazione intimata.

Nel procedimento delibativo che questo Tribunale è chiamato a svolgere, assume priorità logica l’esame delle censure che investono la legalità estrinseca dell’atto impugnato, vale a dire l’osservanza degli obblighi procedurali, nonchè la ricorrenza di quei requisiti di affidabilità formale, la cui esistenza condiziona, in via pregiudiziale, il corretto approccio – in sede di sindacato giurisdizionale - ai profili di contenuto delle determinazioni assunte dall’Amministrazione.

Nella suddetta prospettiva metodologica va anzitutto scrutinata la censura con cui parte ricorrente deduce l’incompetenza dell’organo burocratico che ha adottato il provvedimento impugnato. Tanto in ragione del fatto che, in tale atto, non risultano menzionate le disposizioni, statutarie o regolamentari, che, in via di mera tesi, avrebbero consentito il conferimento al dirigente dei poteri de quibus.

La censura è infondata.

Il passaggio ai dirigenti, nella materia edilizia, delle competenze originariamente attribuite al Sindaco ha, infatti, avuto un'evoluzione progressiva, che risulta, però, da tempo definitivamente completata: ad opera dell'art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997, che ha modificato l'art. 51 legge n. 142/90, è stata, infatti, attribuita ai dirigenti, tra l'altro, la competenza ad emanare atti in materia edilizia, anche se solo in virtù dell'art. 2 della legge n. 191/1998 il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione anche i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi. Ad ogni buon conto, l’art. 107, comma 2, del d. l.vo 18 agosto 2000 n. 267, nel quale sono confluite le disposizioni citate, prevede che sono di competenza dei dirigenti "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientrati tra le funzioni del segretario o del direttore generale".

Va, inoltre, aggiunto che del tutto coerentemente con il descritto quadro normativo, il Testo unico sull’edilizia, di cui al d.P.R. 380 del 2001, attribuisce la competenza ad adottare le misure sanzionatorie in subjecta materia sempre “al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale”.

In tale quadro normativo, che risponde ad una tendenza irretrattabile di organizzazione dei poteri pubblici secondo l’apicale esigenza di distinzione fra livello politico e livello burocratico di gestione amministrativa, l’orientamento della giurisprudenza si è da tempo consolidato nel far rientrare le ripetute misure, direttamente e senza l’intermediazione di fonti regolamentari, nella sfera di competenza del dirigente (cfr., ex multis, Cons. Stato, sezione quinta, 18 novembre 2003, n. 7318, Tar Campania, Napoli, questa sesta sezione, 25 settembre 2009, n. 5088 e 24 settembre 2009, n. 5071; sezione seconda, 13 febbraio 2009, n. 802; sezione terza, 6 novembre 2007, n. 10670; sezione quarta, 13 gennaio 2006, n. 651; sezione ottava, n. 9600 del 2008; Cass. civ., sezione seconda, 6 ottobre 2006, n. 21631).

Prive di pregio si rivelano, poi, le doglianze con cui la parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui cura è imposta all’Autorità procedente dall’art. 7 della legge 241/1990 ovvero, nei procedimenti ad istanza di parte, anche dall’art. 10 bis della medesima legge.

L’infondatezza delle censure in esame discende, invero, come già ripetutamente affermato dalla sezione (cfr., tra le tante, sentenze n. 1847 del 30 marzo 2011 e n. 8776 del 25 maggio 2010) e dal giudice d’appello (cfr. Cons. Stato, sezione quarta, 5 marzo 2010, n. 1277), dalla ineluttabilità della sanzione repressiva comminata dal Comune di Casamicciola Terme, anche a cagione dell’assenza – come di seguito meglio evidenziato - di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento giustificativo, sicchè alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva all’Amministrazione procedente.

Dirimente in senso ostativo alle pretese attoree, peraltro, appaiono le previsioni di cui all’art. 21 octies della legge 241/1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Alcun pregio hanno, poi, le ulteriori censure con cui parte ricorrente, mediante argomentazioni generiche, lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta dal Comune di Casamicciola Terme e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato.

Sul punto, è sufficiente osservare che alcun dubbio residua sulla completezza delle risultanze istruttorie acquisite dal Comune attraverso i propri organi (accertamento tecnico redatto dal locale U.T.C.), di cui vi è indiretta conferma nella stessa mancanza di una contestazione, in fatto, sulla natura degli abusi accertati.

Sotto diverso profilo, mette conto evidenziare che la puntuale descrizione delle opere abusive – che hanno portato alla realizzazione di un nuovo manufatto in adiacenza ad una pregressa abitazione - riflette con assoluta evidenza la rilevanza edilizia dei contestati abusi, fatta palese dalla chiara attitudine dei suddetti interventi ad integrare gli estremi di una nuova costruzione con conseguente, significativa alterazione dell’originario stato dei luoghi.

Per le medesime ragioni – e cioè a cagione della ineluttabilità della sanzione comminata - non può poi esser concesso ingresso ai profili di doglianza che lamentano la mancanza di ulteriori approfondimenti istruttori dovuti all’omessa acquisizione del parere della commissione edilizia integrata e delle preventive determinazioni del Sindaco quale Autorità sub – delegata ai fini ambientali; d’altro canto, in sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata, dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente (art. 31 t.u. edilizia) e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio (Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenza 26 giugno 2009, n. 3530; 676 del 10 febbraio 2009, 27 marzo 2007, n. 2885).

Allo stesso modo si rivela immune dalle censure attoree l’ordito motivazionale in cui impinge il provvedimento impugnato, manifestamente idoneo ad evidenziare la consistenza degli abusi in contestazione.

Segnatamente, le opere realizzate (“manufatto avente una superficie interna di mt. 6,45x3,15, posto in adiacenza alla propria abitazione, realizzato in muratura perimetrale in celloblock, di spessore pari a 30 cm su tre lati….”), comportanti aumenti di superficie e di volume, con conseguente significativa alterazione dello stato dei luoghi, riflettono, di per se stesse, con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che imponeva il previo rilascio, oltre che dell’autorizzazione paesistica anche, del permesso di costruire. Ed, invero, non può essere revocato in dubbio il fatto che l'intervento ricada in zona assoggettata a vicolo paesaggistico, in considerazione - giusta quanto si evince dal preambolo dell’atto impugnato – della sua realizzazione in un'area dichiarata di notevole interesse pubblico con d.m. 23.5.58 e, pertanto, soggetta alle previsioni di cui al d. l.vo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché al regime vincolistico del piano territoriale paesistico dell’isola di Ischia approvato con d.m. dell’8.2.1999.

In ragione di quanto detto, stante l'alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi, l’intervento in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultava soggetto alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica (titolo autonomo non conseguibile a sanatoria ex combinato disposto fra art. 146 e successivo art. 167, commi 4 e 5 del medesimo decreto, che esclude sanatorie per interventi non qualificabili come manutentivi o che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ;Tar Campania, questa sesta sezione, sentenza n. 1973 del 14 aprile 2010).

Sotto diverso profilo, la consistenza delle opere realizzate, comportanti aumenti di superfici e di volume, con incremento del carico urbanistico e alterazione dello stato dei luoghi, imponeva il previo rilascio del permesso di costruire.

A fronte delle descritte emergenze istruttorie, la realizzazione dell’opera in contestazione, in mancanza del prescritto permesso di costruire, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza, che, nell’ambito della disciplina di settore, assurge ad atto dovuto.

Sul punto, vale anzitutto rilevare l’inconferenza delle deduzioni attoree nella parte in cui affermano che l’area di sedime non sarebbe soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta (ma solo di inedificabilità relativa), per cui non potrebbe trovare applicazione la fattispecie di cui all’articolo 27 del d.p.r. 380/2001. La piana lettura del provvedimento impugnato riflette, di contro, che lo schema legale di riferimento concretamente applicato dall’Autorità procedente è quello di cui all’articolo 31 del d.p.r. 380/2001 e non già quello – erroneamente considerato dal ricorrente ai fini dell’articolazione delle doglianze in esame – previsto dal precedente articolo 27 del medesimo testo normativo.

Peraltro, ed a fini di completezza espositiva, si ritiene, comunque, di dover precisare che l’art. 27 del d.p.r. 380/2001 sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate e siffatta misura resta applicabile sia che venga accertato l'inizio che l'avvenuta esecuzione di interventi abusivi e non vede la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta (Tar Campania, questa sesta sezione, sentenze n. 2076 del 21 aprile 2010 e n. 1775 del 7 aprile 2010 e sezione terza, 11 marzo 2009, n. 1376).

Tanto premesso, è possibile ora soggiungere che nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001 – nella cui previsione va sussunta la fattispecie in esame - non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione ( cfr. T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; 4 luglio 2001, n. 3071; Consiglio Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529).

Che, ancora, l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ anche perché la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa, fermo comunque che, in presenza dell'operata qualificazione delle opere realizzate, bisognevoli dei prescritti titoli abilitativi e non essendo rilasciabile a posteriori l'autorizzazione paesaggistica, alcuno spazio vi è per far luogo alla sola sanzione pecuniaria (Tar Campania Napoli, sempre questa sesta sezione, 14 aprile 2010, n. 1975).

D’altro canto, è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui, una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540): l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.

Va poi disattesa l’ulteriore censura con cui la parte ricorrente lamenta l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato, all’uopo deducendo l’inettitudine strutturale del provvedimento a veicolare nelle forme prescritte dalla legge conferenti argomentazioni a sostegno del relativo contenuto precettivo; e ciò a cagione del fatto che l’impugnato provvedimento farebbe rinvio ai motivi contenuti in altro atto, giammai notificato, e, dunque, di per se stesso, non idoneo ad integrare il mentovato provvedimento per relationem.

La censura è infondata.

Il preambolo del provvedimento impugnato reca, invero, un rinvio esplicito all’accertamento tecnico redatto dall’UTC prot. int. N°683 del 17.10.2006, del quale, pertanto, mutua integralmente i contenuti.

Appare, dunque, di tutta evidenza come la fattispecie in esame rifletta specularmente lo schema giuridico convalidato dall’3, comma III della l. n. 241 del 1990, secondo cui “Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama”.

Resta, poi, acquisito che la disponibilità dell'atto richiamato per relationem debba essere intesa nel senso che all'interessato deve essere consentito di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, sicché non sussiste l'obbligo dell'Amministrazione di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 11 febbraio 2011 , n. 896).

In definitiva, il provvedimento amministrativo preceduto da atti istruttori o da pareri può ritenersi adeguatamente motivato per relationem anche con il mero richiamo ad essi, giacché tale richiamo sottintende l'intenzione dell'Autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata, ma a condizione che dal complesso degli atti del procedimento siano evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione, onde consentire al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall'ordinamento e al giudice amministrativo, ove investito della relativa controversia, di sindacarne la fondatezza (cfr. Consiglio di stato, sez. VI, 24 febbraio 2011 , n. 1156).

Né è possibile convalidare le (generiche) osservazioni di parte ricorrente in ordine al mancato apprezzamento – in sede di motivazione - delle (possibili) conseguenze pregiudizievoli per l’integrità delle opere regolarmente assentite.

Sul punto, è sufficiente notare che tale impedimento assume rilievo esclusivamente nell’economia di fattispecie ( ex art. 33 e 34 del d.p.r. 380/2001) – qui non configurabili – diverse da quella (art. 31 del d.p.r. 380/2001) in contestazione. Senza contare poi che, in presenza di un intervento edilizio realizzato in assenza del prescritto titolo abilitativo, l'ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 15 luglio 2010 , n. 16807; sez. VII n. 1624 del 28.3.2008).

Sciogliendo la riserva formulata in premessa, occorre ora stimare le possibili implicazioni rinvenienti dall’affermata pendenza di procedimenti di condono e di accertamento di conformità urbanistica.

Giova rammentare che la parte ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato siccome spedito senza una preliminare delibazione sulla pendente domanda di condono presentata dal ricorrente in data 30.5.1986 ed acquisita al protocollo del Comune con il numero 5499 (n° progressivo 0228870200).

Tanto premesso, a giudizio del Collegio, assume rilievo ostativo al costrutto di parte ricorrente, la mancata dimostrazione dell’effettiva coincidenza tra l’oggetto della mentovata domanda di condono e le opere in contestazione.

La ricostruzione in cui impinge l’atto di gravame è, invero, affidata a generiche allegazioni, prive di un adeguato supporto probatorio. Risulta, infatti, versata in atti unicamente la suindicata domanda, senza il relativo corredo documentale. Siffatta documentazione si rivela, dunque, del tutto inidonea ad identificare gli abusi oggetto di condono, siccome priva finanche di una descrizione delle opere eseguite (di cui vengono riportate solo le superfici, peraltro nemmeno coincidenti con quelle in contestazione).

In definitiva, gli elementi addotti a sostegno del costrutto giuridico attoreo si rivelano complessivamente generici e privi di una valenza rappresentativa affidabile.

Tale lacuna nell’impianto assertivo della domanda attorea non può che refluire a danno dello stesso ricorrente.

Sul punto non può essere sottaciuto che il principio cd. dispositivo con metodo acquisitivo – operante nel processo amministrativo - trova ragione di essere in riferimento solo ad atti e documenti formati ovvero custoditi dall’Amministrazione, per i quali, non essendovi un immediato e generalizzato accesso da parte del privato, più difficile potrebbe risultare l’assolvimento dell’onus probandi nei rigorosi termini di cui all’art. 2967 c.c.

Il ricorrente, in tali ipotesi, è tenuto solo ad allegare un principio di prova, spostandosi, per il resto, a carico dell'amministrazione l'onere di fornire la prova contraria alle deduzioni esposte in domanda e di dimostrare la legittimità dell'atto impugnato.

Viceversa, in tutti i casi – com’è quello di specie - nei quali sono nella piena disponibilità della parte gli elementi atti a sostenere la fondatezza della domanda giudiziale azionata la regola generale dell'onere della prova trova integrale applicazione pure nel processo amministrativo.

L’attenuazione del principio di cui all’art. 2967 c.c., non può, dunque, trovare applicazione nel caso in esame, trattandosi di fatti rimasti circoscritti alla sfera di conoscibilità del solo ricorrente, sicchè, in tale ipotesi, si riespande l’onere processuale di fornire validi supporti dimostrativi a sostegno delle proprie allegazioni.

Il suddetto principio – già introdotto in via pretoria – trova oggi formale consacrazione nell’art. 64 (comma 1°) del D.Lgs. 2-7-2010 n. 104, secondo cui “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”.

Quanto poi al procedimento di cui all’art. 36 del d.p.r. 380/2001, è sufficiente osservare che la domanda di sanatoria è stata presentata in data 27.2.2007 e, dunque, in epoca successiva all’ordine di demolizione oggetto del presente gravame, adottato il 13.12.2006, di talchè l’attivazione (postuma) del procedimento di sanatoria giammai potrebbe condizionare la validità del mentovato provvedimento repressivo.

In aderenza ad un diffuso orientamento giurisprudenziale anche di questa Sezione, deve rilevarsi che la validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di un'istanza ex art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se da un lato la presentazione dell'istanza ex art. 36 determina inevitabilmente un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, all'evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell'istanza, la demolizione di un'opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l'atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza. All'esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell'accertata conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell'originario carattere abusivo dell'opera realizzata. Di contro, in caso di rigetto dell'istanza, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, con la sola precisazione che il termine concesso per l'esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell'interessato, che non può rimanere pregiudicato dall'avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l'accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell'intero termine a lui assegnato per adeguarsi all'ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.

La proposizione di un'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, in tempo successivo all'emissione dell'ordinanza di demolizione, incide, in definitiva, unicamente sulla possibilità dell'Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione, ma non si riverbera sulla legittimità del precedente provvedimento di demolizione (cfr. ex multis TAR Campania, VI Sezione, 24 settembre 2009 n. 5071).

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto.

Nulla è dovuto per le spese in considerazione della mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:

Renzo Conti, Presidente

Arcangelo Monaciliuni, Consigliere

Umberto Maiello, Consigliere, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/04/2012