Pres. Postiglione Est. Lombardi Ric. Condina
Acque. Differenza tra utilizzazione agronomica e scarico
L’immissione diretta sul suolo mediante tubo in pvc recapitante previo ruscellamento in una vasca ad assorbimento priva di impermeabilizzazione di acque reflue da frantoio è del tutto estranea al concetto di utilizzazione agronomica e deve essere inquadrata nello scarico non autorizzato di reflui industriali
Svolgimento del processo
Con la sentenza
impugnata il tribunale dì Palmi ha
affermato la colpevolezza di
Condina Francesca in ordine
al reato di cui
all’art. 59, comma primo, del
D.L.vo n. 152/99, ascrittole,
perché, quale titolare di un
frantoio
oleario, effettuava lo smaltimento delle acque reflue industriali
provenienti
da tale impianto senza la prescritta
autorizzazione.
E’ stato
accertato in punto di fatto dal giudice
di merito che
le acque derivanti dalla lavorazione delle
olive venivano sversate mediante un
tubo in pvc in un terreno limitrofo al frantoio e di qui, per effetto dì “ruscellamento”, confluivano
in un fosso di raccolta scavato a valle, privo di impermeabilizzazione.
La sentenza ha
affermato che l’autorizzazione ottenuta
dalla Condina
- da ultimo rinnovata
il 3 dicembre 1997 -, per effettuare
l’utilizzazione
agronomica delle predette acque reflue mediante
spandimento sul terreno, era irrilevante,
avendo il giudice di merito
ravvisato nel fatto posto in essere
dall’imputata
un’ipotesi dì immissione diretta
nel
suolo delle acque reflue
industriali senza la prescritta autorizzazione,
sanzionato
ai sensi dell’art. 59, comma primo, del D.L.vo n. 152/99 e non
dall’art. 8 della
L. n. 574/96.
La sentenza
ha inoltre escluso che potesse ritenersi applicabile in favore
dell’imputata il termine quadriennale
concesso per la regolarizzazione
degli scarichi
dall’art.
62 del citato decreto
legislativo, riferendosi detto termine
ai soli scarichi già muniti di
autorizzazione alla data di entrata
in vigore della nuova
normativa.
Avverso la sentenza
ha proposto ricorso il
difensore dell’imputata, che la denuncia per
violazione di legge e vizi della
motivazione.
Motivi
della
decisione
Con un unico
mezzo di annullamento la
ricorrente denuncia la
violazione ed errata applicazione dell’art.
59, comma primo, del D.L.vo
n. 152/99, dell’art. 8 della L. n.
574/96, nonché la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità
della
motivazione della sentenza derivante dell’erronea lettura e
mancata valorizzazione della documentazione
prodotta dalla difesa della
imputata, documentazione analiticamente indicata in ricorso.
Con il
motivo di gravame si ribadisce,
in sintesi, che il
fatto di cui alla contestazione
doveva essere inquadrato nella ipotesi
della utilizzazione a
fini agronomici delle acque provenienti
dal frantoio, uso per il
quale
Si aggiunge
che, essendo l’imputata munita
delle citate
autorizzazioni per l’utilizzazione agronomica
delle acque provenienti dal
frantoio,
risultava applicabile il termine quadriennale per la regolarizzazione dello scarico concesso
dall’art. 62 del D.L.vo n.
152/99 e si
conclude affermando che nella specie
risulta
altresì carente la prova in ordine
alle caratteristiche organolettiche
delle acque di cui alla contestazione.
Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente la Corte rileva che tuttora
non si è verificata la
prescrizione del reato
ascritto all’imputata, essendo rimasto sospeso
il decorso del
termine della prescrizione per effetto dei
rinvii del dibattimento, su
richiesta del
difensore, dalle udienze del 20 ottobre 2004 al 15 dicembre 2004 e del 30
giugno 2005 al 20 ottobre 2005, per
complessivi mesi cinque e giorni tredici.
Ciò precisato, deve
essere in primo luogo affermata
la inammissibilità della
censura afferente a pretesi vizi
della motivazione della sentenza
impugnata, in quanto la
contestazione sul punto, anche
a seguito della
modifica dell’art. 606, comma primo lett
e), c.p.p., introdotta dall’art. 8, comma
primo lett. b), della L. n. 46/2006, non può essere fondata
sulla richiesta di una
nuova lettura delle
risultanze probatorie, già
compiutamente esaminate dal giudice di merito,
per inferirne una diversa valutazione di circostanze fattuali.
E’ altresì inammissibile il rilievo in ordine
ad una assenta carenza di prove circa la natura delle acque reflue di
cui alla
contestazione, sia perché in contrasto con l’accertamento di fatto
contenuto
nella sentenza, sia perché nulla risulta essere stato dedotto sul punto
nella
sede di merito.
Tanto premesso, la Corte rileva che ì
riferimenti normativi indicati in ricorso non sono esatti.
Il giudice di merito ha correttamente
qualificato le acque utilizzate per la lavorazione delle olive
provenienti da
frantoio come acque reflue industriali, ai sensi dell’art. 2, comma
primo lett.
h), del D.L.vo n. 152/99, trattandosi di acque derivanti da un’attività
produttiva di beni, diverse dalle acque domestiche o da quelle
meteoriche di
dilavamento (cfr. sez. III, 200435843, Rizzo, rv 229134; sez. III,
200534141,
Mastino, rv 232470) e non essendo stata neppure dedotta nella sede di
merito la
possibile ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 28, comma sette
lett. e),
del medesimo decreto legislativo.
Orbene, la possibile utilizzazione
agronomica, tra l’altro, delle acque di vegetazione residuate dalla
lavorazione
delle olive, è puntualmente prevista dall’art. 2, primo comma lett. n
bis), del
D.L.vo n. 152/99, inserito dall’art. 1, primo comma lett. d), del
D.L.vo n. 258/2000
(attualmente art. 74, comma primo lett. p), del D.L.vo 3 aprile 2006 n.
152).
Ai sensi dell’art. 59, comma 11 ter, del D.L.vo
n. 152/99, introdotto dall’art. 23, comma primo lett. g) del D.L.vo n.
258/2000, l’utilizzazione agronomica, tra l’altro, delle acque di
vegetazione
dei frantoi oleari, al di fuori dei casi e delle procedure previste
dall’art.
38 del medesimo testo normativa, è punita alternativamente con la
sanzione
dell’ammenda, di importo uguale a quella prevista dal primo comma
dell’art. 59,
o dell’arresto (attualmente art. 137, comma 14 del D.L.vo n. 152/06).
Il fatto ascritto all’imputata, pertanto,
anche alla luce delle puntualizzazioni contenute in ricorso, è comunque
sanzionato penalmente ai sensi delle disposizioni citate.
Peraltro, il giudice di merito ha esattamente
affermato che, nel caso in esame, non ricorre un’ipotesi di
utilizzazione
agronomica delle acque reflue provenienti da frantoio, senza
l’osservanza delle
relative prescrizioni, avendo accertato in punto di fatto che tali
acque
venivano direttamente immesse nel suolo mediante una vasca ad
assorbimento, in
quanto priva di qualsiasi impermeabilizzazione.
Orbene, tale fatto deve essere configurato
quale scarico di acque industriali senza la prescritta autorizzazione,
ai sensi
dell’art. 59, comma primo, del D.L.vo n. 152/99, essendo del tutto
estraneo
alla assenta utilizzazione agronomica.
Del
tutto
inconferente è inoltre il riferimento della ricorrente ai termini
concessi
dall’art. 62, comma 11, del decreto legislativo citato ai titolari di
scarichi
preesistenti per regolarizzare la propria posizione ai sensi della
nuova
normativa, riferendosi detta disposizione agli scarichi già autorizzati
o a
quelli per i quali l’obbligo di autorizzazione è stato introdotto dal
decreto legislativo,
mentre le autorizzazioni citate in
ricorso, peraltro risalenti
al
1997, si riferiscono ad attività per l’utilizzazione
agronomica delle acque reflue che è cosa diversa dallo
scarico diretto nel suolo, di cui sono
stati accertati gli estremi in
sentenza.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue la condanna
della ricorrente al pagamento
delle spese processuali.