Cass. Sez. III n. 44293 del 28 novembre 2007 (Ud 7 nov. 2007)
Pres. Postiglione Est. Lombardi Ric. Condina
Acque. Differenza tra utilizzazione agronomica e scarico

L’immissione diretta sul suolo mediante tubo in pvc recapitante previo ruscellamento in una vasca ad assorbimento priva di impermeabilizzazione di acque reflue da frantoio è del tutto estranea al concetto di utilizzazione agronomica e deve essere inquadrata nello scarico non autorizzato di reflui industriali

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il tribunale dì Palmi ha affermato la colpevolezza di Condina Francesca in ordine al reato di cui all’art. 59, comma primo, del D.L.vo n. 152/99, ascrittole, perché, quale titolare di un frantoio oleario, effettuava lo smaltimento delle acque reflue industriali provenienti da tale impianto senza la prescritta autorizzazione.

E’ stato accertato in punto di fatto dal giudice di merito che le acque derivanti dalla lavorazione delle olive venivano sversate mediante un tubo in pvc in un terreno limitrofo al frantoio e di qui, per effetto dì “ruscellamento”, confluivano in un fosso di raccolta scavato a valle, privo di impermeabilizzazione.

La sentenza ha affermato che l’autorizzazione ottenuta dalla Condina - da ultimo rinnovata il 3 dicembre 1997 -, per effettuare l’utilizzazione agronomica delle predette acque reflue mediante spandimento sul terreno, era irrilevante, avendo il giudice di merito ravvisato nel fatto posto in essere dall’imputata un’ipotesi dì immissione diretta nel suolo delle acque reflue industriali senza la prescritta autorizzazione, sanzionato ai sensi dell’art. 59, comma primo, del D.L.vo n. 152/99 e non dall’art. 8 della L. n. 574/96.

La sentenza ha inoltre escluso che potesse ritenersi applicabile in favore dell’imputata il termine quadriennale concesso per la regolarizzazione degli scarichi dall’art. 62 del citato decreto legislativo, riferendosi detto termine ai soli scarichi già muniti di autorizzazione alla data di entrata in vigore della nuova normativa.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.

 

Motivi della decisione

Con un unico mezzo di annullamento la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 59, comma primo, del D.L.vo n. 152/99, dell’art. 8 della L. n. 574/96, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza derivante dell’erronea lettura e mancata valorizzazione della documentazione prodotta dalla difesa della imputata, documentazione analiticamente indicata in ricorso.

Con il motivo di gravame si ribadisce, in sintesi, che il fatto di cui alla contestazione doveva essere inquadrato nella ipotesi della utilizzazione a fini agronomici delle acque provenienti dal frantoio, uso per il quale la Condina aveva già in precedenza ottenuto un’apposita autorizzazione, sicché l’eventuale violazione delle modalità stabilite per effettuare detta operazione costituiva esclusivamente un illecito amministrativo ai sensi dell’art. 8 della L. n. 5 74/96.

Si aggiunge che, essendo l’imputata munita delle citate autorizzazioni per l’utilizzazione agronomica delle acque provenienti dal frantoio, risultava applicabile il termine quadriennale per la regolarizzazione dello scarico concesso dall’art. 62 del D.L.vo n. 152/99 e si conclude affermando che nella specie risulta altresì carente la prova in ordine alle caratteristiche organolettiche delle acque di cui alla contestazione.

Il ricorso non è fondato.

Preliminarmente la Corte rileva che tuttora non si è verificata la prescrizione del reato ascritto all’imputata, essendo rimasto sospeso il decorso del termine della prescrizione per effetto dei rinvii del dibattimento, su richiesta del difensore, dalle udienze del 20 ottobre 2004 al 15 dicembre 2004 e del 30 giugno 2005 al 20 ottobre 2005, per complessivi mesi cinque e giorni tredici.

Ciò precisato, deve essere in primo luogo affermata la inammissibilità della censura afferente a pretesi vizi della motivazione della sentenza impugnata, in quanto la contestazione sul punto, anche a seguito della modifica dell’art. 606, comma primo lett e), c.p.p., introdotta dall’art. 8, comma primo lett. b), della L. n. 46/2006, non può essere fondata sulla richiesta di una nuova lettura delle risultanze probatorie, già compiutamente esaminate dal giudice di merito, per inferirne una diversa valutazione di circostanze fattuali.

E’ altresì inammissibile il rilievo in ordine ad una assenta carenza di prove circa la natura delle acque reflue di cui alla contestazione, sia perché in contrasto con l’accertamento di fatto contenuto nella sentenza, sia perché nulla risulta essere stato dedotto sul punto nella sede di merito.

Tanto premesso, la Corte rileva che ì riferimenti normativi indicati in ricorso non sono esatti.

Il giudice di merito ha correttamente qualificato le acque utilizzate per la lavorazione delle olive provenienti da frantoio come acque reflue industriali, ai sensi dell’art. 2, comma primo lett. h), del D.L.vo n. 152/99, trattandosi di acque derivanti da un’attività produttiva di beni, diverse dalle acque domestiche o da quelle meteoriche di dilavamento (cfr. sez. III, 200435843, Rizzo, rv 229134; sez. III, 200534141, Mastino, rv 232470) e non essendo stata neppure dedotta nella sede di merito la possibile ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 28, comma sette lett. e), del medesimo decreto legislativo.

Orbene, la possibile utilizzazione agronomica, tra l’altro, delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, è puntualmente prevista dall’art. 2, primo comma lett. n bis), del D.L.vo n. 152/99, inserito dall’art. 1, primo comma lett. d), del D.L.vo n. 258/2000 (attualmente art. 74, comma primo lett. p), del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152).

Ai sensi dell’art. 59, comma 11 ter, del D.L.vo n. 152/99, introdotto dall’art. 23, comma primo lett. g) del D.L.vo n. 258/2000, l’utilizzazione agronomica, tra l’altro, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, al di fuori dei casi e delle procedure previste dall’art. 38 del medesimo testo normativa, è punita alternativamente con la sanzione dell’ammenda, di importo uguale a quella prevista dal primo comma dell’art. 59, o dell’arresto (attualmente art. 137, comma 14 del D.L.vo n. 152/06).

Il fatto ascritto all’imputata, pertanto, anche alla luce delle puntualizzazioni contenute in ricorso, è comunque sanzionato penalmente ai sensi delle disposizioni citate.

Peraltro, il giudice di merito ha esattamente affermato che, nel caso in esame, non ricorre un’ipotesi di utilizzazione agronomica delle acque reflue provenienti da frantoio, senza l’osservanza delle relative prescrizioni, avendo accertato in punto di fatto che tali acque venivano direttamente immesse nel suolo mediante una vasca ad assorbimento, in quanto priva di qualsiasi impermeabilizzazione.

Orbene, tale fatto deve essere configurato quale scarico di acque industriali senza la prescritta autorizzazione, ai sensi dell’art. 59, comma primo, del D.L.vo n. 152/99, essendo del tutto estraneo alla assenta utilizzazione agronomica.

Del tutto inconferente è inoltre il riferimento della ricorrente ai termini concessi dall’art. 62, comma 11, del decreto legislativo citato ai titolari di scarichi preesistenti per regolarizzare la propria posizione ai sensi della nuova normativa, riferendosi detta disposizione agli scarichi già autorizzati o a quelli per i quali l’obbligo di autorizzazione è stato introdotto dal decreto legislativo, mentre le autorizzazioni citate in ricorso, peraltro risalenti al 1997, si riferiscono ad attività per l’utilizzazione agronomica delle acque reflue che è cosa diversa dallo scarico diretto nel suolo, di cui sono stati accertati gli estremi in sentenza.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.