Inquinamento idrico e art. 674 c.p.: condanna del sindaco a 200 euro di ammenda

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Mentre il Ministero dell’ambiente si trastulla con una commissione per adeguare il TUA (D. Lgs 152/06) alle nuove norme della Costituzione sull’ambiente, ogni giorno di più appare evidente che questo TUA va, invece, totalmente riscritto al più presto perché, così com’è ridotto dopo centinaia di modifiche bis, ter quater ecc., dove spesso le eccezioni sono più numerose delle regole, a volte è già difficile capire quale sia la norma da applicare; tant’è vero che spesso si preferisce ricorrere alle “vecchie” norme generiche del codice penale; creando, a volte, situazioni di ambiguità che certamente non giovano alla comprensione della legge.

Una di queste “vecchie” disposizioni del codice penale è certamente l’art. 674 c.p., intitolato al “getto pericoloso di cose”, che punisce con l’arresto fino a 1 mese o con l’ammenda fino a euro 206 “chiunque getta o versa in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”; configurando, quindi, un reato contravvenzionale con pena alternativa e con fattispecie molto ampia sia come ambito territoriale sia come condotta ed evento.

E, di recente, abbiamo commentato, su queste colonne, una sentenza della Cassazione che aveva confermato, dichiarandola, tuttavia, prescritta, una condanna ai sensi dell’art. 674 c.p. a 150 euro di ammenda ciascuno a carico dei responsabili della società che gestiva l’impianto e del responsabile del settore lavori pubblici del Comune di Termoli, in quanto, nelle rispettive qualità, dal 2015 al 2018 avevano omesso di assicurare il corretto funzionamento e la necessaria manutenzione dell’impianto di depurazione comunale delle acque, eccedendo i limiti prescritti nella autorizzazione e consentendo così, lo sversamento nell’Adriatico di reflui fognari e liquami maleodoranti atti a offendere e a molestare le persone, con carichi contaminanti pericolosi per la salute dei bagnanti e la qualità delle acque1.

A distanza di pochi mesi, tuttavia, la Cassazione2 ha dovuto occuparsi di un altro caso, del tutto analogo, riguardante un sindaco siciliano il quale “non aveva evitato che i reflui provenienti dall’impianto di depurazione comunale finissero in mare in assenza di idonea depurazione, così imbrattando le acque marine. Si trattava, quindi, anche in questo caso, di uno scarico di acque reflue urbane, il quale dovrebbe rispettare alcuni limiti tabellari fissati dalla legge (allegato 5) o dalle Regioni e deve essere sottoposto ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente in conformità con le indicazioni dell’allegato 5; ovvero più spinto se si tratta di scarichi in corpi idrici ricadenti in aree sensibili (artt. 105 e 106 TUA): obbligo presidiato da sanzione amministrativa da 3.000 a 30.000 euro (art. 133, comma 1 TUA).

Tuttavia, nella sentenza della Cassazione ultima citata, nulla si dice di questi obblighi e delle eventuali sanzioni amministrative ad essi collegate, anche se si ricorda che le sentenze di merito, avevano, tra l’altro, “evidenziato il superamento dei parametri COD e BOD” sin dal 2015. Il ricorso, infatti, dell’imputato sindaco contestava l’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 674 c.p. che aveva portato alla sua condanna a 200 euro di ammenda, e si basava, soprattutto, sulla presunta assenza della dimostrazione che l’offesa si sarebbe indirizzata verso persone, anziché verso mere cose. La risposta della Suprema Corte va ben oltre questo profilo e riassume, in sostanza, le principali conclusioni cui è giunta la giurisprudenza a proposito della applicabilità dell’art. 674 c.p. (anche) a fatti di inquinamento. Problematica affrontata anche da noi, abbastanza di recente, su queste colonne3, quando abbiamo evidenziato, in primo luogo che la Cassazione, in primo luogo, ha costantemente sostenuto4 che, poiché l’art. 674 c.p. riguarda l’offesa o la molestia alle persone, esso è comunque applicabile, in concorso, anche in presenza di specifica normativa contro gli inquinamenti, trattandosi di norme dirette alla tutela di beni giuridici diversi e fondate su presupposti diversi5. In tal modo, si supera, quindi, la difficoltà di applicare normative di settore collegate, in buona parte, all’operato della P.A. e basate su adempimenti formali, in quanto l’ampiezza e la genericità del precetto penale di cui all’ art. 674 c.p. consentono interventi giudiziari diretti da parte della polizia e della autorità giudiziaria in tutto il settore degli inquinamenti anche in caso di inerzia della P.A.; anche se, lo ripetiamo, questa commistione può dar luogo a dubbi e a difficoltà di coordinamento logico-giuridico.

In questo quadro, sembra del tutto superfluo, a questo punto, riportare diffusamente la giurisprudenza della Suprema Corte a proposito dell’applicabilità dell’art. 674 c.p. a fatti di inquinamento. Rinviando, a questo proposito, sia alla lettura integrale della sentenza sia alla lettura della rassegna da noi riportata nel nostro articolo del 2022, sembra sufficiente, in questa sede, ricordare che, secondo la Suprema Corte, si tratta di reato di pericolo per la cui integrazione non occorre un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente l’attitudine a cagionare effetti molesti e dannosi; che non è necessario ricorrere ad una perizia “ben potendo il giudice ricavare tale dato in qualsiasi altro modo”; e che nel concetto di “molestia“, vanno ricomprese “tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo alla persona, situazioni che siano di turbamento della tranquillità e del modo di vivere quotidiano e producano un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività di lavoro e di relazione”; per cui, a prescindere da risultati analitici, nella fattispecie dell’art. 674 c.p. non può non essere ricompresa una situazione, ove esiste uno scarico di acque altamente tossiche e maleodoranti, avvenuto in luogo pubblico.

Vi è, tuttavia, nella sentenza in esame una considerazione del tutto nuova che merita di essere sottolineata. Aggiunge, infatti, la Cassazione che “non vi è dubbio che il mare territoriale (v. Sez. U. Civili, n. 2735 del 02/02/2017, Rv. 642419 – 02) sia una res communis omnium, rispetto al quale sussiste un diritto di uso comune a tutti i componenti della collettività uti cives, ragion per cui l’immissione in mare di sostanze inquinanti in misura superiore ai limiti consentiti cagiona un concreto pericolo di cagionare effetti dannosi alla salute nei confronti di un numero indeterminato di persone. Trattasi di considerazione certamente rilevante specie perché, in una fase storica di privatizzazioni selvagge, ricorda opportunamente che il mare è di tutti; e che, tuttavia, potrebbe provocare qualche dubbio in merito ai rapporti tra superamento di limiti ed evento vietato dall’art. 674 c.p. mentre, come abbiamo visto, la giurisprudenza ritiene invece determinante la circostanza del turbamento della tranquillità delle persone, a prescindere dall’eventuale superamento dei limiti di legge e dall’accertamento di pericolo per la salute. Tuttavia, appare anche evidente che trattasi di una considerazione che va letta nel contesto complessivo della sentenza e solo ad adiuvandum, per cui non sembra creare particolari problemi o ripensamenti rispetto alla interpretazione prevalente.

Una ultima osservazione: nella sentenza in esame, la Cassazione affronta anche, pur se sinteticamente, la questione relativa alla penale responsabilità del sindaco in ordine ad eventi di inquinamento specie con riferimento ai compiti ed alle responsabilità dei dirigenti degli enti locali, cui l’art. 107 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali attribuisce la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, specificando contestualmente che essi “si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Ed anche a questo proposito, la Cassazione richiama la sua costante giurisprudenza (specie in tema di rifiuti) secondo cui resta esclusa la responsabilità del sindaco per situazioni derivanti da problemi di carattere tecnico-operativo, ancorché non meramente esecutivo, riguardanti difficoltà meramente contingenti e di ordinaria amministrazione nonché la sorveglianza dell’operato del personale dipendente, che restano di competenza del dirigente amministrativo di settore; specificando, tuttavia, subito dopo, che, “permane comunque in capo al sindaco, quale figura politicamente ed amministrativamente apicale del comune, il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizzate (in tal senso Cass. Sez. 3, n. 28674 del 2004 Rv. 229293)” e che egli ha, comunque “il dovere di attivarsi quando gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico-operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l’integrità dell’ambiente6.

In conclusione, quindi, pur nel marasma sempre più tragico di una normativa ambientale disomogenea, scoordinata, confusa e ben poco razionale, la Suprema Corte continua a lavorare per salvare il salvabile sia con riferimento al TUA sia con riferimento alle altre norme penali astrattamente applicabili. E non è certo colpa sua se poi, dopo tanta fatica, la conclusione è la conferma della condanna di un sindaco inquinatore a 150 o a 200 euro di ammenda, peraltro prescritta.


  1. AMENDOLA, Come inquinare il mare per anni e cavarsela con 150 euro di ammenda, anzi senza pagare niente in www.unaltroambiente.it 23 novembre 2023↩︎
  2. Cass. Pen., sez. 3, 12 gennaio 2024 (UP 20 ott 2023), in www.unaltroambiente.it febbraio 2024↩︎
  3. AMENDOLA, Inquinamento idrico: la Cassazione e il sempreverde art. 674 c.p. in www.unaltroambiente.it, luglio 2022↩︎
  4. Tra le prime, cfr. Cass. Pen., Sez. 3, 1 luglio 2003, RV 226578, Graziani, con riferimento al concorso con il D. Lgs. 152/99 (in tema di inquinamento idrico) “stante la diversa struttura delle fattispecie ed i differenti beni giuridici tutelati↩︎
  5. Cfr. per tutte Cass. Pen., Sez. 3, 7 novembre 2007- 11 febbraio 2008, n. 6419, Costanza, secondo cui vi è possibilità di concorso tra l’art. 674 C.P. e le norme speciali in materia ambientale (inquinamento atmosferico, inquinamento idrico e inquinamento elettromagnetico) Non sussiste rapporto di specialità, ex art. 9 della legge n. 689 del 1981, tra la norma che sanziona l’effettuazione di scarichi di acque reflue domestiche senza la prescritta autorizzazione) e quella di cui all’art. 674 cod. pen., trattandosi di norme dirette alla tutela di beni giuridici diversi e fondate su diversi presupposti, in quanto esula dalla previsione della fattispecie sanzionata in via amministrativa il fatto di avere cagionato offesa o molestia alle persone. Cfr., altresì, più di recente ID., 18 ottobre-28 novembre 2019, n. 48406, Livello, secondo cui “non vi è rapporto di specialità, nè si verifica assorbimento della norma dell’art. 674 C.P. nelle previsioni incriminatrici relative alla tutela dell’ambiente in generale, quando sussista l’attitudine della condotta incriminata a provocare molestie alle persone, costituente elemento ulteriore ed essenziale della fattispecie di pericolo delineata dalla norma codicistica↩︎
  6. Da ultimo, cfr. Cass. Pen., Sez. 3, 15 novembre 2018 (UP 18 giu 2018) n. 51576, Fenaroli,↩︎