TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 1478 del 22 dicembre 2017
Ambiente in genere.Legittimazione ad agire innanzi al giudice amministrativo dei comitati

Va riconosciuta in capo ad un comitato spontaneo di cittadini la legittimazione ad impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di interessi collettivi dei cittadini stessi allorquando dimostri di avere un collegamento stabile con il territorio ove svolge l'attività di tutela degli interessi stessi, di avere svolto una attività protratta nel tempo e quindi di non esistere soltanto “in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti

Pubblicato il 22/12/2017

N. 01478/2017 REG.PROV.COLL.

N. 01865/2015 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1865 del 2015, proposto da:
Gianì Valentina, Sovardi Maria Dolores, Gritti Maria Rosa, Cavallanti Giulia Francesca, Cavallanti Martina, Cavallanti Luigi, Barboglio Reginelda, Ferla Pio, Beretta Claudia, Beretta Marco, Beretta Mariantonio, Mussini Giovanna, Rovida Maco, Chiarelli Annibale, in proprio e in qualità di membri del Comitato “No Biogas per l'Ambiente”, rappresentati e difesi dagli avv.ti
Luca Griselli, Paolo Provenzano e Marco Salina, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Alberto Salvadori in Brescia, Via XX Settembre n. 8;

contro

Comune di Credera Rubbiano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Ceceri e Giuseppe Pacifico, con domicilio ex lege presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Zima n. 3;

nei confronti di

Società Agricola Rover S.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Ferraris, Enzo Robaldo e Anteo Massone, con domicilio ex lege presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Zima n. 3;

per l'annullamento

- DEL PROVVEDIMENTO IN DATA 3/7/2015, RECANTE LA REIEZIONE DELL’ISTANZA DI ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DEGLI ATTI RELATIVI ALLA PROCEDURA ABILITATIVA SEMPLIFICATA (PAS), ATTIVATA DALLA SOCIETA’ ROVER PER LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO IMPIANTO A BIOGAS IN CREDERA RUBBIANO;

- DEL SILENZIO SIGNIFICATIVO FORMATOSI SULLA PAS PRESENTATA IL 27/3/2013;

- DEL SILENZIO SIGNIFICATIVO FORMATOSI SULLA PAS IN VARIANTE DEPOSITATA IL 21/5/2015;

- DI OGNI ALTRO ATTO COLLEGATO, CONNESSO E/O CONSEQUENZIALE A DETTI ATTI.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Credera Rubbiano e di Società Agricola Rover S.S.;

Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2017 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

A. I ricorrenti sono persone fisiche che affermano di essere proprietarie e/o residenti in aree limitrofe all’impianto di cui si controverte – con distanze che variano da un minimo di 288 metri a un massimo di 1.426 (doc. 5) – e di aver aderito al Comitato spontaneo “No Biogas per l’Ambiente” (in precedenza “No Biogas Credera Rubbiano”), costituito nel gennaio 2015 al fine di salvaguardare la popolazione dall’impatto della centrale termoelettrica realizzata in loco.

Riferiscono che, dopo l’istanza di accesso formulata da uno di loro il 30/1/2015, hanno preso cognizione dell’intera pratica di Procedura Abilitativa Semplificata (di seguito: PAS) solamente il 20/3/2015, data di ostensione dei documenti.

B. In data 27/3/2013 la Società Agricola Rover Società Semplice – che svolge attività di allevamento zootecnico – ha depositato istanza di PAS ai sensi dell’art. 6 del D. Lgs. 28/2011 e del paragrafo 3.4 delle “linee guida regionali per l’autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili” (D.G.R. 3298/2012). Si tratta di un impianto di generazione elettrica tramite combustione di biogas di digestione anaerobica, non operante in assetto cogenerativo e avente un capacità di generazione inferiore a 250 KWe. Il progetto prevede l’alimentazione dell’insediamento in parte con prodotti (insilato di mais) e in parte con sottoprodotti di origine biologica (liquame bovino e letame), che fermentando producono il biogas – da utilizzare per la combustione nel cogeneratore e per ottenere energia termica ed energia elettrica da immettere in rete – oltre al digestato, da distribuire sui terreni mediante carrobotte.

C. Oltre alla richiesta di ulteriore documentazione, il 12/6/2015 i ricorrenti (attraverso il Comitato) hanno avanzato istanza di annullamento in autotutela del silenzio assenso formatosi sulla PAS depositata dalla controinteressata nel marzo 2013. Con provvedimento in data 3/7/2015, impugnato in questa sede, il Responsabile del Servizio Tecnico comunale si è pronunciato sfavorevolmente, allegando i chiarimenti del responsabile del procedimento e rilevando che l’amministrazione non aveva emesso alcun atto tipico in presenza di una PAS assimilabile a una DIA, e che il progetto – di notevole complessità – non richiedeva il rilascio di autorizzazioni o provvedimenti analoghi, implicando la responsabilità della Società nella formulazione delle dichiarazioni (parte integrante del progetto medesimo).

Con gravame depositato presso la Sezione a seguito della trasposizione del ricorso straordinario, gli esponenti impugnano l’atto in epigrafe, deducendo i seguenti motivi in diritto:

a) Violazione dell’art. 4 della direttiva 2011/92 UE, dell’art. 4 della direttiva 2001/42 UE, dell’art. 117 comma 1 della Costituzione, della Convenzione di Aarhus ratificata con L. 108/2001, lesione del principio di precauzione, dato che il progetto dell’impianto – di potenza termica inferiore alla soglia di 50 MWt – non è stato assoggettato al procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) sulla base delle Linee guida regionali di cui alla DGR 3298/2012, le quali tuttavia si pongono in plateale conflitto con la vincolante normativa comunitaria e, in quanto tali, avrebbero dovuto essere disapplicate;

b) Violazione della Convenzione di Aaarhus per mancato coinvolgimento e difetto di un’appropriata informazione della cittadinanza con riguardo all’attività in oggetto;

c) Violazione del punto 3.3 della D.G.R. 3298/2012, dell’art. 75 del DPR 445/2000, eccesso di potere per sviamento, carenza di istruttoria, illogicità, in quanto il procedimento semplificato ex art. 6 del D. Lgs. 28/2011 (sostitutivo dell’ordinario procedimento di autorizzazione unica) è ammesso per gli impianti aventi capacità di generazione inferiore a 250 Kwe (dato nominale e potenziale), e la Società Rover ha dichiarato una potenza elettrica del cogeneratore biogas di 249 Kw quando nella relazione tecnica descrittiva che accompagna la PAS in variante è auto-certificata la potenza di 250 Kw (con conseguente obbligo di avviare l’iter autorizzativo ordinario e falsità dell’autodichiarazione, che provoca la decadenza dai benefici conseguiti);

d) Violazione dell’art. 97 della Costituzione, inosservanza dell’art. 69 delle NTA e del principio dell’auto-vincolo, eccesso di potere per difetto di motivazione, dato che la controinteressata avrebbe dovuto predisporre la valutazione di incidenza dell’impianto sull’area SIC denominata “La Zerbaglia” (distante poco più di 1 Km), appartenente ai siti Natura 2000 e sottoposta alla direttiva habitat; in particolare, l’art. 69 delle NTA estende l’obbligo dell’anzidetta valutazione alle opere che, pur sviluppandosi al di fuori di tali aree, possono avere comunque incidenze significative su di esse;

e) Violazione dell’art. 97 della Costituzione, degli artt. 16 comma 6 del D. Lgs. 139/2006 e 3 del DPR 151/2011, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, poiché la relazione tecnica descrittiva allegata all’istanza di PAS in variante contempla modifiche del gruppo antincendio, senza che i Vigili del Fuoco si siano espressi sulla dichiarata riduzione delle dimensioni dapprima autorizzate, alla luce dell’inattualità del parere favorevole reso dai medesimi il 20/3/2013 (sull’istanza originaria);

f) Violazione dell’art. 6 del D. Lgs. 28/2011, delle linee guida regionali (punto 3.4 lett. F), dell’art. 11 del DPR 380/2011, eccesso di potere per carenza di istruttoria, inosservanza dell’art. 75 del DPR 445/2000, in quanto l’istanza di PAS è stata inoltrata il 28/3/2013 dalla Società Agricola Rover Società Semplice, in qualità di persona giuridica proprietaria del terreno che ospita l’impianto, mentre il titolare effettivo del diritto reale risulta essere la persona fisica Antonio Ottaviani (non coincidente con la compagine), con conseguente (ulteriore) non corrispondenza al vero della dichiarazione presentata, tenuto conto che la precisazione dell’esistenza di un contratto di affitto a favore della Società Rover è stata fornita solamente con la PAS in variante del maggio 2015;

g) Violazione dell’art. 60 del PGT del Comune di Credera Rubbiano, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, dato che il terreno sul quale insiste l’insediamento produttivo si trova in zona agricola di II fascia, e la previsione urbanistica fa in proposito rinvio alla disciplina del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Adda Sud, la quale (cfr. art. 29) esclude attività produttive industriali o di artigianato che importino l’emissione di sostanze nocive nell’aria, nell’acqua o nel suolo anche se di modesta entità (e i biogas producono incontestatamente emissioni); inoltre, la stessa disposizione stabilisce che l’edificazione a servizio dell’agricoltura è ammessa solo in prossimità e a completamento di insediamenti agricoli preesistenti, e le nuove costruzioni devono uniformarsi alla tradizione costruttiva del contesto territoriale (e l’impianto è privo di tali caratteristiche).

D. Si sono costituite in giudizio l’amministrazione e la controinteressata, sollevando eccezioni in rito e chiedendo la reiezione del gravame nel merito.

E. Con ordinanza n. 1889, depositata il 15/10/2015 questa Sezione ha rigettato la domanda cautelare, mentre il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 524 – resa dalla sez. V il 18/2/2016 – ha accolto l’appello, riformando il provvedimento interinale del giudice di prime cure ai limitati fini di una sollecita fissazione del merito.

F. Alla pubblica udienza del 22/11/2017 il gravame introduttivo è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

La ricorrente censura il silenzio-significativo e il provvedimento di diniego di autotutela emesso nell’ambito della Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) per la costruzione e l’esercizio di un impianto di generazione di energia elettrica alimentato a biogas.

LE ECCEZIONI IN RITO

I. La controinteressata e il Comune intimato hanno dedotto il difetto di legittimazione attiva del Comitato, con pochi iscritti (una ventina) e di recentissima costituzione (gennaio 2015), ed avente come unica finalità quella di opporsi all’impianto a biogas di Rover (cfr. statuto).

L’eccezione è fondata.

I.1 I Comitati istituiti in forma associativa temporanea, che perseguono obiettivi di natura ambientale in modo occasionale o episodico (anche se statutariamente previsti), ed hanno uno scopo specifico e limitato nel tempo, costituiscono una mera proiezione degli interessi dei soggetti individuali che ne fanno parte e non sono, quindi, portatori di interessi diffusi radicati nel territorio; in quanto tali, non sono legittimati ad agire davanti il giudice amministrativo per contestare atti aventi rilevanza nelle materie del commercio e dell’urbanistica-edilizia (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II-ter – 25/7/2017 n. 8941 e i precedenti ivi citati ossia T.A.R. Sardegna n. 1415/2010; Consiglio di Stato n. 4928/2014; T.A.R. Lombardia Milano n. 1607/2016). Questo T.A.R. (cfr. sentenza Sez. I – 23/6/2014 n. 668, che risulta appellata) ha sostenuto che <<Costante insegnamento giurisprudenziale riconosce in capo ad un comitato spontaneo di cittadini la legittimazione ad impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di interessi collettivi dei cittadini stessi allorquando dimostri “di avere un collegamento stabile con il territorio ove svolge l'attività di tutela degli interessi stessi”, di avere svolto una “attività… protratta nel tempo” e quindi di non esistere soltanto “in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti”: così fra le molte C.d.S. sez. IV 19 febbraio 2010 n°1001, ma anche sez. VI 23 marzo 2011 n°3107 e sez. V 22 marzo 2012 n°1640, correttamente citate dalla difesa dei controinteressati (memoria 14 giugno 2013 p. 4); in tal senso poi anche la giurisprudenza della Sezione, per tutte sez. I 11 marzo 2011 n°398>> (si veda anche T.A.R. Veneto, sez. III – 25/6/2015 n. 718).

I.2 Nel caso all’esame del Collegio, non è stato neppure comprovato in concreto l’adeguato grado di rappresentatività e stabilità del Comitato (composto da poche persone), tenuto anche conto della sua recentissima costituzione (2015), in prossimità dei fatti che hanno originato la controversia.

I.3 Nella memoria depositata il 19/5/2017, parte ricorrente sostiene che in realtà il ricorso non è stato presentato dal Comitato “No Biogas Per L’Ambiente” bensì da 14 soggetti, che hanno coltivato la causa sia in proprio sia quali esponenti del Comitato predetto. Ebbene, il Collegio è dell’opinione che l’espressione “quali membri del Comitato” vada interpretata nel senso dell’imputazione dell’azione promossa dai singoli individui alla persona giuridica di cui fanno parte poiché – diversamente opinando – si registrerebbe un’impropria divaricazione tra le persone fisiche e la compagine di cui fanno parte (e per la quale dichiarano espressamente di promuovere la lite). Peraltro, la puntualizzazione dei ricorrenti conferma che il Comitato non può agire nel presente giudizio.

II. Contrariamente a quanto opinano le parti resistenti, va invece riconosciuta la legittimazione ad agire in capo ai singoli soggetti che hanno proposto il gravame. Costoro fanno valere il criterio della vicinitas, in quanto residenti nel territorio comunale, in zone vicine all'impianto (da un minimo di 288 metri a un massimo di circa 1,5 Km). Sulla rappresentazione fornita non interferiscono – in modo rilevante e apprezzabile – le prospettazioni delle parti resistenti: la controinteressata si limita ad opporre la “notevole distanza” dall’impianto senza esibire le misure effettive, mentre il Comune fa riferimento ai quasi 300 metri della Sig.ra Gianì e ai 600 metri “almeno” degli altri esponenti. Questi ultimi prospettano, in conseguenza della realizzazione dell'impianto, possibili danni all’habitat ambientale – per la prossimità all’area SIC denominata “La Zerbaglia” – nonché sotto il profilo della perdita di valore dei loro immobili (cfr. perizia in atti – doc. 27, che dà conto del deprezzamento delle unità immobiliari nel raggio di 1,5 Km., in misura oscillante tra il 5% e il 20%).

II.1 Tali elementi inducono il Collegio a riconoscere ai predetti ricorrenti il titolo per agire in giudizio. Le doglianze sollevate investono tematiche di natura ambientale (omesso esperimento della VIA, mancata informazione preventiva dei cittadini) e ciò – secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale – impone un approccio non restrittivo all'individuazione della lesione che potrebbe astrattamente fondare l'interesse all'impugnazione: anche sotto la spinta del diritto europeo, la materia della tutela dell'ambiente si connota per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e del coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati, come è dimostrato dalle scelte legislative in tema di partecipazione alle procedure di V.A.S. e V.I.A., di legittimazione all'accesso alla documentazione in materia ambientale, di valorizzazione degli interessi "diffusi" anche quanto al profilo della legittimazione processuale (cfr. T.A.R Toscana, sez. I – 12/9/2016 n. 1334, T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II – 2/12/2015 n. 1051, confermata in appello da Consiglio di Stato, sez. IV – 10/2/2017 n. 573, che evocano Consiglio di Stato, sez. IV – 12/5/2014 n. 2403).

II.2 Infine, questo T.A.R. (cfr. sez. I – 4/6/2015 n. 795) è giunto ad affermare che “… Occorre poi sottolineare che, se il progetto riguarda opere o impianti per cui si pone, o potrebbe porsi, il problema dell’assoggettabilità alla VIA, la legittimazione a intervenire nella procedura e a proporre impugnazione deve essere riconosciuta non solo ai vicini ma a tutti coloro che fanno parte del “pubblico interessato” ai sensi dell’art. 1 par. 2-e della Dir. 2011/92/UE. L’ambito della legittimazione si estende quindi fino a comprendere l’intera collettività che abbia un qualche punto di contatto con la nuova opera”.

III. Le riflessioni appena esposte inducono a ritenere sussistente anche l’interesse ad agire (messo in discussione dall’eccezione sollevata dalla controinteressata nel punto A.III della memoria di costituzione, e dal Comune in fondo a pagina 8 della propria). Oltre ai rilievi svolti ai precedenti paragrafi II.1 e II.2, al paragrafo II. si è dato conto del possibile pregiudizio all’habitat e della perdita di valore dei rispettivi fondi (avvalorata da una perizia). Anche se l’elaborato peritale non approfondisce la deduzione con analisi argomentative ed elementi documentali, è opinione del Collegio che l’esistenza e la vicinanza di un nuovo impianto produttivo renda del tutto verosimile una ripercussione sul valore economico dei beni immobili insistenti in zona.

IV. E’ infondata l’eccezione di carenza di interesse in capo a tutti i ricorrenti, sollevata dalla controinteressata per l’asserita assenza dei requisiti necessari per promuovere un ricorso collettivo (la lacunosa esposizione delle condizioni di legittimazione e di interesse precluderebbe di verificare l’identità e l’omogeneità delle posizioni giuridiche azionate).

IV.1 Come ha rammentato il T.A.R. Valle d’Aosta nella sentenza 23/1/2017 n. 2 (che risulta appellata) il ricorso collettivo è ammissibile quando esiste identità sostanziale e processuale della situazione giuridica di cui si chiede tutela, non sono in alcun modo configurabili conflitti di interesse tra i singoli ricorrenti, le loro posizioni soggettive risultano adeguatamente specificate ed è dimostrata la convergenza dei loro interessi in ordine al giudizio (cfr. Consiglio di Stato, sez. III – 21/3/2016 n. 1120).

IV.2 Nella fattispecie, si registra una sostanziale identità di condizione in capo ai ricorrenti, i quali risiedono in prossimità all’area ove è ubicato l’impianto e denunciano congiuntamente lesioni sotto il profilo ambientale ed economico: ciò è sufficiente per accreditare l’omogeneità delle rispettive posizioni avanzate in giudizio.

V. Con ulteriore eccezione, le resistenti deducono l’inammissibilità della domanda introdotta (di annullamento di atti ex art. 29 Cpa) in quanto, in presenza di un’autodichiarazione del privato a norma dell’art. 19 comma 6-ter della L. 241/90, l’unica azione proponibile è quella avverso il silenzio dell’amministrazione, per l’omessa inibizione di attività avviate sulla scorta di SCIA o DIA (istituti ai quali la PAS è equiparabile): la circostanza che l’art. 6 del D. Lgs. 28/2011 abiliti l’avvio della realizzazione dell’impianto dopo 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione acclara l’equiparazione della PAS alla DIA, entrambe consentendo al privato lo svolgimento di un’attività senza alcun atto di assenso qualificabile come provvedimento amministrativo.

L’eccezione è priva di fondamento.

V.1 Il Collegio è anzitutto dell’opinione che la fattispecie di cui si discute sia inquadrabile nell’alveo del silenzio assenso, la cui formazione è connessa al mancato esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione nel termine di legge, atteso che la manifestazione espressa della volontà contraria all’intervento impedisce il concretarsi dell’inerzia qualificata, cui solamente viene attribuito valore legale di provvedimento ampliativo richiesto dal privato (T.A.R. Puglia Bari, sez. I – 22/9/2016 n. 1125, ad avviso del quale “in assenza di una contraria regola legislativa, rileva il principio generale per il quale il silenzio assenso non si forma quando, entro il termine previsto dalla legge, vi sia stato l'esercizio del potere e non sia dunque ravvisabile l'inerzia dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 maggio 2016, n. 1859)”. Come per l’art. 5 del D. Lgs. 28/2011, anche la messa in esercizio dell’impianto nell’ipotesi semplificata dell’art. 6 è consentita con il titolo abilitativo tacito, formatosi per silenzio assenso, salvo l’obbligo di invio della dichiarazione di ultimazione dei lavori e del certificato di collaudo (prescritti rispettivamente dai commi 6 e 8 del medesimo art 6). La ricostruzione dell’art. 6 come un’ipotesi di silenzio assenso è stata condivisa anche da T.A.R. Venezia, sez. III – 19/12/2016 n. 1406, T.A.R. Lazio Latina – 9/12/2015 n. 802 e T.A.R. Abruzzo Pescara – 16/4/2015 n. 169).

V.2 Peraltro, deve darsi conto della tesi (illustrata da Consiglio di Stato, sez. IV – 28/6/2017 n. 3154) per la quale il procedimento introdotto dell'art. 6 del D. Lgs. 28/2011 sarebbe assimilabile a quello di una "D.I.A. a legittimazione differita" – analogamente a quanto previsto dall’art. 19 della L. 241/90 e dall’art. 23 del DPR 380/2001 (disciplinante la D.I.A. edilizia) – rispetto alla quale il Comune ha il potere di verificare la sussistenza in concreto delle condizioni cui il legislatore subordina la possibilità di esercitare l'attività in questione, che viene intrapresa senza bisogno di un provvedimento autorizzatorio a monte, essendo esso surrogato dall'assunzione di auto-responsabilità del privato insita nella dichiarazione documentata (o nella segnalazione certificata).

Per tale ipotesi, il Consiglio di Stato (sez. IV – 7/6/2017 n. 2751) ha dato atto che “la giurisprudenza, in relazione agli effetti eventualmente lesivi delle posizioni giuridiche dei terzi prodotti dalla dichiarazione di inizio attività, ha ammesso la tutela dei controinteressati (Cons. Stato Ad. Pl. n. 15/2011 già citata; Cons. Stato Sez. IV 15/12 2011 n. 6614) configurando uno strumento di tutela che sia compatibile con la natura privatistica della D.I.A. costituito, in particolare, da un’azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire per veder acclarata la insussistenza dei presupposti che legittimano lo svolgimento dell'attività sulla scorta di una semplice denuncia, ai sensi dell'art. 31 commi 1, 2 e 3 del d. Lgs n. 104/2010 (Cons. Stato Sez. IV 26/7/2012 n. 4255)”. Del resto, proprio la citata pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 15 del 29/7/2011 ha affermato che, “nell'ambito di un quadro normativo sensibile all'esigenza costituzionale di una piena protezione dell'interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dell'azione generale di accertamento” non preclude “la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate, ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell'interesse legittimo” (detta affermazione è stata condivisa recentemente da T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater – 24/2/2017 n. 2829).

V.3 Quale che sia l’impostazione da accogliere (silenzio-assenso ovvero DIA a legittimazione differita), la tutela del soggetto privato che si assume leso è comunque garantita dall’ordinaria azione di annullamento ovvero da un’azione di accertamento atipica, per cui la domanda azionata dai ricorrenti nella presente causa si rivela immune da vizi processuali, non dovendo necessariamente assumere la forma dell’actio contra silentium invocata dal Comune e dalla controinteressata.

V.4 Peraltro, non va sottaciuto che gli esponenti hanno ritualmente impugnato anche il provvedimento 3/7/2015, recante il diniego di autotutela sulla formazione dell’assenso sulla PAS. Sulla prospettata natura di mera conferma ipotizzata dal Comune a pag. 10 della memoria di costituzione, questo T.A.R. (cfr. sez. I – 2/2/2017 n. 148 che risulta appellata) ha rammentato come la giurisprudenza (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, sez. V – 23/12/2016 n. 5442) abbia chiarito che si configura un atto meramente confermativo (cd. conferma impropria) allorché l'amministrazione, di fronte ad un'istanza di riesame, si limiti a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna ulteriore istruttoria e senza valutare nuovamente gli elementi di fatto e di diritto già vagliati in precedenza (per cui non si riaprono i termini per l'impugnazione); con la conferma cd. “propria”, viceversa, l'amministrazione entra nel merito dell’istanza e, dopo aver riesaminato i fatti e i motivi prospettati dal richiedente, si esprime in senso negativo con una nuova decisione, fonte di disciplina del rapporto che costituisce un provvedimento autonomamente impugnabile (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI – 17/7/2017 n. 3513). Rileva il Collegio che, con l’impugnato provvedimento di diniego, il Responsabile del Servizio Tecnico ha approfondito la vicenda, interpellando anzitutto il responsabile del procedimento (il quale ha elaborato un’articolata nota di replica – punto per punto – alle deduzioni avversarie). In aggiunta, ha specificato la rilevanza del mancato rilascio di un provvedimento tipico e la responsabilità che la Società interessata si è assunta con l’auto-dichiarazione: nel complesso, i plurimi elementi nuovi che affiorano nel provvedimento 3/7/2015 lo riconducono nell’alveo della conferma cd. “propria”, e lo rendono autonomamente censurabile in sede giurisdizionale.

VI. Non è, infine, suscettibile di apprezzamento l’eccezione di inammissibilità per l’avvenuta proposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato (poi oggetto di trasposizione innanzi a questo T.A.R.), che appresta una tutela meramente costitutiva. A tacer d’altro, si osserva che l’azione avverso il provvedimento di rigetto della domanda di autotutela ha natura impugnatoria, e detta circostanza è sufficiente a depotenziare la tesi avanzata.

IL MERITO DELLA CONTROVERSIA

1. Passando all’esame del merito, con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 4 della direttiva 2011/92 UE, dell’art. 4 della direttiva 2001/42 UE, dell’art. 117 comma 1 della Costituzione, della Convenzione di Aarhus ratificata con L. 108/2001, la lesione del principio di precauzione, dato che il progetto dell’impianto – di potenza termica inferiore alla soglia di 50 MWt – non è stato assoggettato al procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) sulla base delle Linee guida regionali di cui alla D.G.R. 3298/2012, le quali tuttavia si pongono in plateale conflitto con la vincolante normativa comunitaria e, in quanto tali, avrebbero dovuto essere disapplicate sul punto; ciò in quanto:

• la Corte di Giustizia ha stigmatizzato la prassi diffusa presso gli Stati membri, tesa a stabilire criteri e/o soglie di assoggettabilità a VIA suscettibili di sottrarre all’adempimento prescritto la totalità dei progetti presentati;

• la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia (n. 2009/2086), che ha indotto il Governo ha introdurre modifiche all’art. 6 comma 7 del D. Lgs. 152/2006 (è stato adottato allo scopo il D.L. 24/6/2014 n. 91);

• il medesimo Governo ha impugnato alla Corte costituzionale le previsioni di una legge della Regione Marche che contemplavano criteri dimensionali per la selezione dei progetti da sottoporre alla procedura di VIA: con sentenza 22/5/2013 n. 93 la Consulta ha dichiarato la fondatezza della questione di legittimità, evidenziando che la direttiva 2011/92 UE stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di assoggettare a VIA non solo i progetti indicati nell’allegato I ma anche quelli descritti nell’allegato II qualora si rivelino idonei a generare un impatto ambientale importante all’esito della procedura di screening; “Tale screening deve essere effettuato avvalendosi degli specifici criteri di selezione definiti nell’allegato III della stessa direttiva e concernenti, non solo la dimensione, ma anche altre caratteristiche dei progetti (il cumulo con altri progetti, l’utilizzazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l’inquinamento ed i disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione e il loro impatto potenziale con riferimento, tra l’altro, all’area geografica e alla densità della popolazione interessata). Tali caratteristiche sono, insieme con il criterio della dimensione, determinanti ai fini della corretta individuazione dei progetti da sottoporre a VIA o a verifica di assoggettabilità nell’ottica dell’attuazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (considerando n. 2) ed in vista della protezione dell’ambiente e della qualità della vita (considerando n. 4)”;

• sulla base dei citati principi e della sentenza della Corte costituzionale, la recente giurisprudenza si è allineata al canone secondo cui i progetti di impianti di produzione di biogas vanno assoggettati al procedimento di VIA qualunque sia la loro potenza nominale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 2/9/2014 n. 4727 e altre pronunce citate).

Detto ordine di idee deve essere condiviso, dovendo la normativa pertinente (cfr. linee guida regionali di cui alla D.G.R. 3298/2012) essere disapplicata perché in contrasto con la direttiva 92/2011/UE concernente la valutazione d’impatto ambientale.

1.1 L’allegato IV alla Parte Seconda del D. Lgs. 152/2006, nell’elencare i progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità di competenza delle Regioni, prevede al punto n. 2, lett. a) gli “impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW”. L’allegato alle linee guida regionali per l'autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER), approvate con deliberazione della Giunta regionale 18/4/2012 n. 9/3298, stabilisce al punto 4.2.2. – per gli impianti alimentati a biomasse – la verifica di assoggettabilità alla VIA regionale degli “impianti termici (combustione, pirolisi, gassificazione, digestione anaerobica) per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MWt e inferiore o uguale a 150 MWt” (lett. a).

Ai sensi dell’art. 4, comma 2, della direttiva 13/12/2011 n. 2011/092/CE, per i progetti elencati nell’allegato II, “… gli Stati membri determinano se il progetto debba essere sottoposto a valutazione … prendono tale decisione, mediante: a) un esame del progetto caso per caso; b) o soglie o criteri fissati dallo Stato membro”. Ai sensi del successivo comma 3, qualora sia effettuato un esame caso per caso o siano fissate soglie o criteri di cui al paragrafo 2, si tiene conto “dei pertinenti criteri di selezione riportati nell'allegato III”, quali le caratteristiche dei progetti, la loro localizzazione, le tipologie e le caratteristiche dell’impatto potenziale (ciascun criterio è accompagnato da sub-parametri di dettaglio). Sempre ai sensi dell’art. 4 comma 3 della direttiva, peraltro, gli Stati membri “possono fissare soglie o criteri per stabilire in quali casi non è necessario che i progetti siano oggetto … di una valutazione dell'impatto ambientale, e/o soglie o criteri per stabilire in quali casi i progetti debbono comunque essere sottoposti a una valutazione dell'impatto ambientale ….”. Fra i progetti elencati nell’allegato II figurano (punto 3.a) gli impianti industriali per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda (non compresi nell’allegato I): per detti impianti, dunque, la decisione può essere il frutto dell’esame del progetto caso per caso o del raffronto con le soglie e/o criteri fissati dallo Stato membro che, a sua volta, può stabilire se i progetti siano sottoposti a VIA secondo le loro caratteristiche o localizzazione o debbano esservi comunque sottoposti.

1.2 Il Collegio si richiama alla puntuale sentenza del T.A.R. Veneto, sez. III – 9/2/2015 n. 155 che ha affrontato un caso simile a quello in esame. La pronuncia ha premesso che la Commissione europea ha proposto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (n. 2009/2086) perché la direttiva sopra citata impone un preciso obbligo per gli Stati membri di assoggettare a valutazione di impatto ambientale i progetti descritti nell’allegato II, qualora si rivelino idonei a generare un impatto ambientale importante all’esito della procedura di verifica di assoggettabilità (screening), e tale verifica deve essere effettuata attraverso specifici criteri di selezione, definiti nell’allegato III della direttiva: questi ultimi si riferiscono alle loro dimensioni, al cumulo con altri progetti, all'utilizzazione di risorse naturali, alla produzione di rifiuti, all'inquinamento e ai disturbi ambientali, alla localizzazione (che tenga conto dell'utilizzazione attuale del territorio e delle capacità di carico dell'ambiente naturale), alle caratteristiche dell'impatto potenziale con riferimento, tra l’altro, all'area geografica e alla densità della popolazione interessata. La normativa nazionale per tempo vigente, al contrario, si limita a prevedere delle soglie dimensionali al fine di escludere la necessità della verifica di assoggettabilità alla procedura di VIA per determinate categorie di progetti.

1.3 Il Governo italiano, su impulso di tale procedura di infrazione, ha impugnato in via principale una legge della Regione Marche (26/3/2012 n. 3) in materia di valutazione di impatto ambientale, assumendo come parametro interposto ai sensi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, la direttiva 92/2011/UE. La Corte Costituzionale, con la sentenza 22/5/2013 n. 93 – evocata dalla parte ricorrente – ha accolto il ricorso, dichiarando l’illegittimità costituzionale della legge regionale nella parte in cui, nell’individuare i criteri per identificare i progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità, non prevede che si debba tener conto, caso per caso, di tutti i parametri indicati nell’Allegato III alla direttiva n. 2011/92/UE, come prescritto dall’articolo 4, paragrafo 3, della medesima.

1.4 Come chiarito dalla giurisprudenza intervenuta successivamente a tale sentenza della Consulta (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 29/4/2014 n. 4727) deve quindi essere disapplicata la normativa nazionale che statuisce esenzioni “automatiche” per gli impianti di potenza inferiore ad una data soglia, perché “si deve rilevare come, infatti, a fondare la tesi della doverosità della V.I.A. concorrano i principi di precauzione e dell’azione preventiva, propri del diritto comunitario, sanciti all’art. 191 del T.F.U.E., ove il legislatore, nell’affermare che <<la politica della Comunità in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela (…)>>,induce a ritenere che la V.I.A. non possa, certamente, escludersi sulla semplice base della soglia di potenza. Ogni normativa contrastante con la normativa comunitaria in materia ambientale che impone la V.I.A. quale provvedimento volto a valutare compatibilità degli insediamenti produttivi con le esigenze di tutela dell’ecosistema deve pertanto essere disapplicata” (si veda anche T.A.R. Marche – 15/7/2014 n. 707).

1.5 Anche il T.A.R. Umbria – 23/3/2016 n. 266 ha correttamente osservato che <<Anche se la sentenza n. 93/2013 si riferisce alla sola illegittimità costituzionale degli allegati A1, A2, B1 e B2 alla l. reg. Marche 26 marzo 2012, n. 3, nel loro complesso, nella parte in cui, nell'individuare i criteri per identificare i progetti da sottoporre a VIA regionale o provinciale ed a verifica di assoggettabilità regionale o provinciale, non prevedono che si debba tener conto di altri criteri in aggiunta a quello dimensionale, è da ritenere che la decisione della Corte sia espressione di un principio generale, laddove afferma l’insufficienza del “solo criterio dimensionale, senza che vi sia alcuna disposizione che imponga di tener conto, caso per caso, in via sistematica, anche degli altri criteri di selezione dei progetti, tassativamente prescritti negli allegati alla citata direttiva Ue, come imposto dall'art. 4, par. 3, della stessa direttiva” (Corte cost., 22 maggio 2013, n. 93). … Limitandosi a stabilire soglie di tipo solo dimensionale, al di sotto delle quali i progetti non sono assoggettabili alla procedura di v.i.a. e non prevedendo l'obbligo di tenere conto di tutti gli altri criteri di cui alla direttiva 2011/92/Ue, le norme … della l.reg. Marche n. 3 del 2012 sono state ritenute costituzionalmente illegittime per contrasto con l'obbligo comunitario gravante sugli stati membri di effettuare lo screening in materia di impatto ambientale avvalendosi di tutti gli specifici criteri di selezione dei progetti tassativamente prescritti dalla direttiva medesima (Corte cost., 22 maggio 2013, n. 93). …. L’oggetto di detto obbligo comunitario non può però valere nei soli confronti della L.R. Marche sebbene in tutte le fattispecie in cui i progetti implichino un screening in materia di impatto ambientale: nell'individuare i progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità, il legislatore regionale deve perciò tenere conto non solo delle dimensioni dei medesimi, ma anche di tutti gli altri criteri indicati dalla direttiva 13 dicembre 2011 n. 2011/92/Ue, elevando le soglie dimensionali proprio in considerazione delle specifiche caratteristiche ambientali dei medesimi progetti ivi indicati>>.

1.6 Anche il T.A.R. Toscana, sez. II – 13/7/2015 n. 1071 ha richiamato il Consiglio di Stato, sez. IV – 22/9/2014 n. 4727, per cui ove il progetto non sia stato sottoposto a V.I.A. perché al di sotto della soglia di potenza fissata dalla legislazione regionale, prescindendo dagli altri criteri individuati dalla normativa europea di settore (direttiva 2011/92/UE), sussiste il contrasto tra la legislazione interna applicata e detta normativa europea (già rilevato dalla Corte costituzionale con riferimento alla legislazione regionale delle Marche): detto conflitto ha indotto il Consiglio di Stato, nella sentenza citata, a riconoscere come doverosa, da parte del giudice amministrativo, la disapplicazione della norma interna (si vedano anche T.A.R. Campania Napoli, sez. VII – 29/1/2015 n. 549; T.A.R. Piemonte, sez. II – 27/7/2016 n. 1072).

1.7 In conclusione, merita apprezzamento il primo motivo di ricorso. Previa disapplicazione delle Linee guida regionali di cui alla D.G.R. 3298/2012 (e dell’allegato IV, Parte II, punto 2, lett. a), del D. Lgs. 152/2006 per tempo vigente), gli atti impugnati non possono che essere annullati in ragione dell’omessa sottoposizione a verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale: in assenza di una normativa nazionale che tenga conto di “tutti” e non solo “di uno” dei criteri elencati all’Allegato III della direttiva 2011/92/UE, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della stessa, si deve ritenere che le tipologie progettuali enucleate all’allegato IV, Parte II, punto 2, lett. a), del D. Lgs. 152/2006, debbono essere sottoposte a screening di VIA in base ad una valutazione da svolgersi caso per caso.

1.8 Le parti resistenti hanno invocato la normativa sopravvenuta, introdotta dell’art. 15 del D.L. 24/6/2014 n. 91 conv. in L. 11/8/2014 n. 116, la cui attuazione era demandata all’adozione di linee guida nazionali mediante un decreto ministeriale, sulla base di tutti i criteri di cui all’allegato III della direttiva. In proposito, l’art. 15 del D.L. predetto ha aggiunto all'articolo 6, comma 7, lettera c) del D Lgs. 152/2006 le seguenti statuizioni: “per tali progetti [quelli elencati all’allegato IV], con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i profili connessi ai progetti di infrastrutture di rilevanza strategica, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono definiti i criteri e le soglie da applicare per l'assoggettamento dei progetti di cui all'allegato IV alla procedura di cui all'articolo 20 sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato V. Tali disposizioni individuano, altresì, le modalità con cui le regioni e le province autonome, tenuto conto dei criteri di cui all'allegato V e nel rispetto di quanto stabilito nello stesso decreto ministeriale, adeguano i criteri e le soglie alle specifiche situazioni ambientali e territoriali. Fino alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, la procedura di cui all'articolo 20 è effettuata caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato V”, recante i criteri per la verifica di assoggettabilità in ossequio alla normativa comunitaria; all'articolo 6, il comma 9 è stato sostituito dal seguente: “9. Fatto salvo quanto disposto nell'allegato IV, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui al comma 7, lettera c), le soglie di cui all'allegato IV, ove previste, sono integrate dalle disposizioni contenute nel medesimo decreto”. Con successivo D.M. 30/3/2015 n. 52 sono state emanate le linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dei progetti di competenza delle Regioni e delle Province autonome.

1.9 Non è condivisibile la prospettazione delle parti resistenti, in quanto:

- costituisce principio generale e consolidato, compendiato nella proposizione tempus regit actum, quello per cui la legittimità di un provvedimento amministrativo va scrutinata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, con conseguente irrilevanza di novelle legislative che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi (Consiglio di Stato, sez. VI – 5/7/2017 n. 3311; sez. IV – 11/11/2014 n. 5525 e la giurisprudenza ivi evocata): solo laddove medio tempore muti il quadro normativo che governa il procedimento, le fasi residue sono rette dalla normativa vigente nel momento del loro svolgimento, e tuttavia nella fattispecie di cui si discorre, alla data di entrata in vigore delle modifiche legislative il procedimento era da tempo ultimato;

- il D.L. 91/2014 ha introdotto un regime transitorio in materia di verifica di assoggettamento a VIA, nella parte in cui ha stabilito che, fino all’entrata in vigore del decreto ministeriale con cui sarebbero stati definiti i criteri e le soglie da applicare per l’assoggettamento alla fase di verifica, il relativo procedimento avrebbe dovuto essere effettuato a seguito di un esame “caso per caso”, al quale sottoporre ogni progetto compreso nelle categorie elencate nell’Allegato IV alla Parte Seconda del D. Lgs. 152/2006 (e, conseguentemente, contemplato anche dalle linee guida della Regione Lombardia del 18/4/2012);

- il D.M. 30/3/2015 n. 52 ha affidato alle autorità regionali il compito di ridurre ulteriormente le soglie dimensionali di cui all'allegato IV della parte seconda del D. Lgs. 152/2006 o di stabilire criteri e condizioni per effettuare direttamente la procedura di VIA per determinate categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, ritenute meritevoli di particolare tutela dagli strumenti normativi di pianificazione e programmazione regionale; detta previsione, cronologicamente successiva all’adozione degli atti impugnati, deve comunque essere interpretata in conformità alle disposizioni comunitarie delle quali si è dato ampiamente conto (per cui il dato oggettivo della potenza dell’impianto è soltanto uno dei plurimi elementi meritevoli di approfondimento).

2. Seguendo il medesimo percorso argomentativo, si rivela fondata anche l’ulteriore censura, con la quale i ricorrenti lamentano la violazione degli obblighi informativi incombenti sui presentatori del progetto e sulle autorità, previste dalla Convenzione di Aarhus ratificata con L. 16/3/2001 n. 108, che impone di far precedere le attività suscettibili di produrre effetti pregiudizievoli sull’ambiente da un’informazione adeguata, tempestiva ed efficace del pubblico interessato.

2.1 Anche relativamente a tale censura è necessario richiamare la già citata sentenza della Corte Costituzionale 22/5/2013 n. 93 la quale, a seguito dell’impugnazione in via principale da parte del Governo della Legge della Regione Marche che prevedeva l’adempimento di obblighi informativi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tali norme per violazione degli specifici obblighi che discendono dalla normativa comunitaria, che vincolano il legislatore ai sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non è stato previsto, nell'ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, per il proponente, l'obbligo di specificare tutte le informazioni prescritte dall'art. 6, paragrafo 2, della direttiva 2011/92/UE. Infatti, ha osservato la Corte che “fin dalla entrata in vigore della direttiva 85/337/CEE, gravava sugli Stati membri, fra gli altri, l'obbligo di garantire trasparenza e informazione e la possibilità effettiva di partecipazione del <<pubblico interessato>> alle attività decisionali in materia ambientale. Il 25 giugno 1998 la Comunità europea ha sottoscritto la convenzione UN/ECE sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale («Convenzione di Aarhus»), ratificata il 17 febbraio 2005. Ad essa fa espressamente riferimento la direttiva 2011/92/UE, che, al considerando n. 19, ricorda come tra gli obiettivi della predetta Convenzione vi sia quello di «garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali in materia ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone». A tale scopo, la predetta direttiva prescrive all'art. 6, paragrafo 2, che il pubblico sia informato, attraverso pubblici avvisi oppure in altra forma adeguata, «in una fase precoce delle procedure decisionali in materia ambientale [...] e, al più tardi, non appena sia ragionevolmente possibile fornire le informazioni» su una serie di aspetti concernenti, fra l'altro: a) la domanda di autorizzazione; b) il fatto che il progetto sia soggetto a una procedura di valutazione dell'impatto ambientale; c) le autorità competenti responsabili dell'adozione della decisione, quelle da cui possono essere ottenute le informazioni in oggetto, quelle cui possono essere presentate osservazioni o quesiti, nonché i termini per la trasmissione di osservazioni o quesiti; d) la natura delle possibili decisioni o l'eventuale progetto di decisione; e) la disponibilità delle informazioni; f) i tempi ed i luoghi in cui possono essere ottenute le informazioni in oggetto e le modalità alle quali esse sono rese disponibili; g) le modalità precise della partecipazione del pubblico. Al fine di assicurare l'adempimento dei prescritti obblighi informativi, la medesima direttiva precisa espressamente, inoltre, che «gli Stati membri stabiliscono le modalità dettagliate di informazione del pubblico (ad esempio mediante affissione entro una certa area o mediante pubblicazione nei giornali locali)» (art. 6, paragrafo 5)”. In linea con quanto affermato dal T.A.R. Veneto, sez. III – 9/2/2015 n. 155, si osserva che (anche in questo caso) le norme succitate, pur contenute in una direttiva, impongono obblighi chiari, precisi e incondizionati relativamente sia alla necessità di fornire le informazioni in una fase iniziale della procedura, che ai contenuti e alle modalità di pubblicazione: pertanto anche il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, dato che il Comune intimato non risulta aver fornito tempestivamente e con modalità adeguate una serie di informazioni rilevanti, e ha quindi posto in essere atti in contrasto con le indicazioni recate da norme della direttiva da considerarsi self executing. Per completezza, si segnala che il legislatore è intervenuto, sostituendo l’art. 20 comma 2 del D. Lgs. 152/2006 mediante l’art. 15 comma 1 lettera g) del D.L. 24/6/2014 n. 91, convertito con modificazioni in L. 11/8/2014 n. 116. L’intera materia è stata poi rivisitata dal D. Lgs. 16/6/2017 n. 104, recante l’attuazione della Direttiva 2014/52/UE del 16/4/2014, di modifica della direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

3. Il Collegio ritiene infine di prendere posizione sulla questione della “VIA postuma”, sulla quale si è recentemente pronunciata la Corte di Giustizia, e rispetto alla quale – all’udienza pubblica del 21/6/2017 – il Presidente aveva prospettato alle parti “la complessiva opportunità di un rinvio per attendere detta decisione della Corte anche su questo punto di interesse per la controversia” (cfr. verbale d’udienza).

3.1 E’ noto che il carattere preventivo della valutazione ambientale è giustificato dalla necessità che, nel processo decisionale, l’autorità amministrativa competente “tenga conto il prima possibile delle eventuali ripercussioni sull’ambiente di tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, al fine di evitare fin dall’inizio inquinamenti e altre perturbazioni piuttosto che combatterne successivamente gli effetti” (Corte di Giustizia UE – 3/7/2008 causa C-215/06, Commissione c. Irlanda richiamata da T.A.R. Piemonte, sez. II – 5/10/2017 n. 1082).

3.2 Tuttavia, la Corte di Giustizia UE (Prima Sezione, sentenza 26/7/2017 nelle cause riunite C-196/16 E C-197/16) ha puntualizzato che <<In caso di omissione di una valutazione di impatto ambientale di un progetto prescritta dalla direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva 2009/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, il diritto dell’Unione, da un lato, impone agli Stati membri di rimuovere le conseguenze illecite di tale omissione e, dall’altro, non osta a che una valutazione di tale impatto sia effettuata a titolo di regolarizzazione, dopo la costruzione e la messa in servizio dell’impianto interessato, purché le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non offrano agli interessati l’occasione di eludere le norme di diritto dell’Unione o di disapplicarle e la valutazione effettuata a titolo di regolarizzazione non si limiti alle ripercussioni future di tale impianto sull’ambiente, ma prenda in considerazione altresì l’impatto ambientale intervenuto a partire dalla sua realizzazione>>.

3.3 Non è possibile, in questa sede, esprimersi su poteri amministrativi non ancora esercitati, e tuttavia il Collegio ritiene di svolgere comunque alcune riflessioni:

- la sentenza della Corte di Giustizia non preclude il compimento di una VIA “in sanatoria”, a due condizioni: l’una – negativa – tesa ad evitare l’elusione o la disapplicazione delle norme del diritto dell’Unione in materia, l’altra (a contenuto positivo) per assicurare l’esame approfondito dell’incidenza dell’impianto sull’ambiente, a partire dalla sua costruzione e avvio in esercizio;

- l’impianto a biogas della Rover si colloca nella fascia bassa della scala dimensionale nell’ambito della produzione di energia (249 KW), e non sono state rappresentate problematiche (quanto meno percepibili o evidenti) durante il periodo di funzionamento;

- il progetto di cui si controverte dovrebbe verosimilmente essere sottoposto a screening preventivo, ossia a valutazione preliminare di sottoposizione a VIA: si tratta, dunque, di decidere se sottoporlo o meno a VIA sulla base dell’impatto più o meno significativo sull'ambiente, previa acquisizione in via istruttoria di tutti gli elementi conoscitivi necessari a fornire una compiuta rappresentazione della sua incidenza.

Restano salve le ulteriori determinazioni dell’autorità amministrativa.

4. In conclusione, il ricorso introduttivo è fondato e merita accoglimento, restando assorbite le ulteriori questioni dedotte. Peraltro, a mero titolo di completezza, si osserva che le ulteriori censure appaiono prive di fondamento, condividendosi in proposito le pur succinte riflessioni sviluppate nell’ordinanza cautelare di questa Sezione 15/10/2015 n. 1889.

5. Le spese di lite possono essere equamente compensate, per la complessità delle questioni sottoposte e la novità (all’epoca dei fatti) del thema decidendum.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), previa estromissione dal giudizio del Comitato “No Biogas per l’Ambiente”, definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Stefano Tenca, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Stefano Tenca        Roberto Politi