TAR Puglia (BA) Sez. II n. 462 del 13 marzo 2021
Ambiente in genere.Principio di precauzione
Il principio di precauzione ambientale comporta l'obbligo per le Autorità amministrative competenti di stabilire una tutela anticipata rispetto alla fase di applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione. Tale anticipazione è del pari legittima in relazione ad un'attività potenzialmente pericolosa, idonea a determinare rischi che non sono oggetto di conoscenza certa, compresa l'ipotesi di danni che siano poco conosciuti o solo potenziali. Sicché, rispetto ad una situazione di tal genere, il principio di precauzione impone che l'Autorità amministrativa interessata ponga in essere un'azione di prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche
Pubblicato il 13/03/2021
N. 00462/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00059/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 59 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Sici s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Saverio Profeta e Federica Reggi, con domicilio digitale come da P.E.C. iscritte al registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE);
contro
Comune di Barletta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Caruso e Luigi D'Ambrosio, con domicilio digitale come da P.E.C. iscritte al registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE);
per l'annullamento
- della determinazione dirigenziale n. 1586 del 7.11.2018, recante la sospensione in autotutela dell’efficacia del permesso di costruire n. 29/2018 in data 1.10.2018;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;
nonché
sui motivi aggiunti depositati in data 3.4.2019,
per l’annullamento
- della determinazione dirigenziale n. 98 del 28.1.2019, avente ad oggetto il differimento del termine di sospensione in autotutela dell’efficacia del permesso di costruire n. 029/2018, disposto con determinazione dirigenziale n. 1586 del 7.11.2018;
- dell’ordine per la ricorrente, in qualità di proprietaria del sito interessato dal permesso di costruire n. 29/2018, di avviare le procedure di cui all’art. 242 del decreto legislativo n. 152/2006 ai sensi dell’art. 245, comma 2, dello stesso;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Barletta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2021 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta;
L’udienza si tiene mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137 e dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, mediante la piattaforma in uso presso la Giustizia amministrativa, di cui all’allegato 3 al decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 maggio 2020 n. 134;
Su istanza di parte ricorrente, la causa è chiamata per la discussione orale da remoto ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge n. 28/2020 e dell’art. 25 del decreto-legge n. 137/2020.
Sono collegati gli avv.ti Saverio Profeta e Federica Reggi, per la ricorrente, e l'avv. Luigi D'Ambrosio, per l'Amministrazione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato in data 11.1.2019 e depositato in data 14.1.2019 la società Sici s.r.l. impugnava la determinazione dirigenziale del Comune di Barletta n. 1586 del 7.11.2018, notificata in data 24.11.2018, recante la sospensione in autotutela del permesso di costruire n. 029/2018 dell’1.10.2018, rilasciato per la realizzazione di un fabbricato a destinazione residenziale e commerciale, nell’ambito del piano di lottizzazione del c.d. comparto “A”, approvato con la determinazione del Consiglio comunale n. 44 del I.8.2008, altresì impugnando contestualmente ogni altro atto antecedente, connesso e conseguente.
La ricorrente evidenziava in fatto che, in data I.10.2018, il Dirigente dei settori edilizia pubblica e privata e ambiente del Comune di Barletta rilasciava al legale rappresentante della società Sici s.r.l. il permesso di costruire n. 029/2018 per la realizzazione di un fabbricato a destinazione residenziale e commerciale all’interno della particella catastale n. 865, foglio n. 104.
L’edificio in questione era inserito all’interno di un piano di lottizzazione (Comparto “A”) approvato con delibera di Consiglio comunale n. 44 del I.8.2008, che, con specifico riferimento ai suoli di proprietà della società ricorrente, interessava anche le particelle nn. 864, 868, 867, 869, 870, 871, 872, 873, 874, 851, 865, 853, 875, 876, 877 e 878.
L’area in questione risultava ubicata nella periferia sud-est della città di Barletta, confinando a nord-est con la litoranea del Levante, a sud-est con via della Misericordia, a sud-ovest con lo stabilimento industriale Timac e a nord-ovest con suoli attualmente incolti.
L’ambito territoriale anzidetto era ed è attualmente sottoposto ad azioni di monitoraggio ambientale, con particolare riferimento alla qualità delle acque di falda, in conseguenza dalla accertata presenza, in corrispondenza dello stabilimento Timac, di significativi fenomeni di inquinamento - attualmente in corso - che hanno comportato il superamento delle “concentrazioni di soglia di contaminazione” (c.d. CSC) su diversi parametri, ritenuti dalla disciplina di settore rappresentativi della qualità delle matrici ambientali interessate dai detti fenomeni.
In conseguenza di tale situazione, l’intera area era stata sottoposta a monitoraggio ambientale, concretizzatosi nell’installazione di numerosi piezometri, tra i quali uno (il c.d. GWB) ubicato in corrispondenza della litoranea, a valle del sito Timac, sul confine nord-est dell’area interessata dalla lottizzazione.
Con nota prot. n. 7977 in data 6.6.2018, la Regione Puglia ravvisava la necessita di potenziare la rete di monitoraggio, prescrivendo la realizzazione di un ulteriore piezometro (il c.d. POC 01) da ubicarsi a monte del piezometro GWB e a valle del confine con l’area di proprietà Timac, su un suolo compreso nel comparto di lottizzazione e, segnatamente, su quello individuato dalla particella n. 875 del foglio n. 104.
Il piezometro veniva realizzato nell’ottobre del 2018 e da tanto derivava che i primi risultati analitici del monitoraggio ambientale da esso scaturenti sarebbero stati disponibili a partire dal mese di gennaio 2019.
Per tali ragioni, con determina dirigenziale n. 1823 in data 7.11.2018, il Comune di Barletta, ritenendo prudenziale attendere gli esiti di tali indagini prima di acconsentire all’avvio dei previsti lavori di costruzione, stabiliva di sospendere in autotutela l’efficacia del permesso di costruire sopra richiamato fino al 31.1.2019.
In data 9.1.2019, l’odierna ricorrente impugnava innanzi al Tribunale amministrativo regionale detto provvedimento, articolando avverso il medesimo le seguenti censure:
1) “Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria"
In tesi di parte ricorrente, sarebbe stato ravvisabile nel caso in esame un difetto di istruttoria e travisamento dei fatti da parte del Comune di Barletta, laddove nella determinazione dirigenziale n. 1586/2018, veniva evidenziato, tra le altre ragioni a sostegno della sospensione dell’efficacia del titolo edilizio, “che il POC01 ricade nell’area interessata dal permesso di costruire sopra meglio precisato”.
Viceversa, la particella n. 875 non sarebbe stata più di proprietà della società Sici, in quanto ceduta al Comune di Barletta nell’ambito del piano di lottizzazione del comparto e, quindi, non interessata dai lavori a realizzarsi, poiché esterna all’area di cantiere.
2) “Violazione e falsa applicazione del principio di massima precauzione ambientale. Violazione del principio di ragionevolezza e logicità"
Il Comune di Barletta avrebbe violato il principio di massima precauzione ambientale, in quanto, avendo individuato nella società Timac il soggetto responsabile dell’inquinamento, non avrebbe dovuto stabilire ulteriori misure di precauzione applicabili solo in caso di rischio potenziale, poiché, in tesi, ultronee rispetto alle misure di prevenzione già attuate, rispetto a rischi già conosciuti e scientificamente provati.
In altri termini, con il provvedimento impugnato l’Amministrazione resistente avrebbe asseritamente operato un’inversione logica dei principi di precauzione e di prevenzione, prevedendo che in presenza di una misura di prevenzione in atto possa aver luogo l’adozione di una misura di precauzione, allorquando sarebbe, invece, possibile solo il contrario.
3) “Violazione art. 21 quater, l. n. 241/90"
Da ultimo, il provvedimento impugnato sarebbe stato altresì illegittimo in quanto il Comune di Barletta avrebbe omesso d’indicare il termine finale della sospensione del permesso di costruire così come disposta.
In data 22.1.2019, il Comune di Barletta acquisiva i risultati del monitoraggio trimestrale delle acque di falda, verificando l’avvenuto superamento, in corrispondenza del piezometro contrassegnato come GWB, delle soglie di contaminazione previste per alcuni analiti. Sicché, con determinazione dirigenziale n. 98 in data 28.1.2019, il termine di sospensione dell’efficacia del permesso di costruire veniva differito al 6.5.2020.
In data 30.1.2019 si costituiva in giudizio il Comune di Barletta, chiedendo la reiezione del ricorso e dell’istanza cautelare.
Con ricorso per motivi aggiunti in data 29.3.2019, la società Sici s.r.l. impugnava la determinazione dirigenziale n. 98 del 28.1.2019, articolando le seguenti ulteriori censure:
1) “Difetto di competenza. Violazione art. 244, d.lgs. 152/06”
Il Comune di Barletta sarebbe stato incompetente ad adottare la determinazione dirigenziale n. 98/2019 in quanto, ai sensi dell’art. 244 del decreto legislativo n. 152/2006, il potere di ingiungere l’esecuzione delle misure di prevenzione sarebbe rimesso alla provincia.
2) “Violazione e falsa applicazione art. 245, d.lgs. 152/06. Violazione art. 242, d.lgs. 152/06.
Violazione all. 3 al titolo v della parte quarta del d.lgs. 152/06. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto”.
L’ordine impartito alla ricorrente di attivare le procedure di cui all’art. 242 del decreto legislativo n. 152/2006 si sarebbe illegittimamente sovrapposto alle misure tecnico-scientifiche già validate dalle Autorità competenti, deviandole. In altri termini, in tesi di parte ricorrente, la misura adottata dal Comune di Barletta sarebbe stata sproporzionata, poiché sostanzialmente sovrapponibile alle procedure di messa in sicurezza operativa (MISO) del sito inquinato, già in atto.
3) “Violazione art. 240, co. 1, lett. b), d.lgs. 152/06. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto”
L’ordine impartito dall’Amministrazione di attivare le misure di prevenzione di cui all’art. 242, ai sensi dell’art. 245, comma 2, del decreto legislativo n. 152/2006, difettava altresì in radice di qualsivoglia presupposto idoneo a giustificarlo, atteso che sin dal 2011 i monitoraggi della falda avrebbero restituito l’informazione dell’avvenuta contaminazione della falda sotterranea al sito Timac e, quindi, del sottosuolo delle aree adiacenti. Sicché, intervenire in tali contesto sarebbe stato inutile e ingiustificato, posta l’estraneità della società Sici s.r.l. alla fonte della contaminazione, di cui era altresì ampiamente nota l'ubicazione e la provenienza.
4) “Violazione e falsa applicazione art. 245, co. 2, d.lgs. 152/06. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria”.
Secondo le deduzioni della parte ricorrente, sarebbe stata altresì evidente l’irrazionalità del provvedimento impugnato laddove, nonostante l’accertata identità del responsabile dell’inquinamento, fosse stato imposto alla proprietaria del suolo adiacente a quello effettivamente contaminato di porre in essere le misure di prevenzione di cui all’art. 242 del decreto legislativo n. 152/2006.
5) “Violazione art. 250, d.lgs. 152/06. Eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca. Illogicità. Sviamento"
Con il provvedimento impugnato l’Amministrazione civica, sulla scorta di una condotta perpetrata all’indomani del ricorso principale, avrebbe in tesi tentato di addossare alla Sici s.r.l. (proprietaria di un sito adiacente a quello contaminato) le conseguenze della propria inerzia nel porre in essere le operazioni di bonifica del sito.
6) “Ingiustizia manifesta. Sviamento"
Il provvedimento impugnato sarebbe stato, in definitiva, foriero di una misura ingiustificata e abnorme, in quanto emessa in carenza del perseguimento dell’interesse pubblico, rappresentando - in mancanza di prova circa l’effettivo inquinamento - una mera reazione ingiustificata alla proposizione del ricorso principale.
In data 10.5.2019, il Comune di Barletta, avverso i predetti motivi aggiunti, ribadiva la legittimità del proprio operato, insistendo per il rigetto del ricorso, dei motivi aggiunti e della domanda cautelare.
Con ordinanza n. 1696 in data 19.12.2019, ritenutane la necessità a fini istruttori, veniva disposta una verificazione, affidando al dirigente del Servizio tutela e valorizzazione ambientale della Provincia di Lecce i seguenti quesiti: “accerti il tecnico incaricato – alla luce delle doglianze attoree e delle argomentazioni evidenziate dall’Amministrazione resistente nei censurati provvedimenti – previa verifica dello stato dei luoghi, l’esistenza o meno di un possibile superamento, con riferimento a tutte le particelle interessate del PdC n. 29/2018 (864, 868, 867, 869, 870, 871, 872, 873, 874, 851, 865, 853, 875, 876, 877 e 878) dei valori limite di concentrazione (di cui all’Allegato 5, Tabella 2 della Parte IV – Titolo V del decreto legislativo n. 152/2006) nella acque di falda sottostanti dette particelle; ricostruisca l’intera vicenda ambientale per cui è causa e accerti l’eventuale compatibilità dell’area in esame con l’intervento edilizio di cui al citato PDC n. 29/2018, acquisendo, in contraddittorio con le parti, tutti gli atti necessari in possesso delle Amministrazioni coinvolte”.
In data 27.1.2020, in considerazione della rinuncia all’incarico di verificatore nominato, con ordinanza n. 86/2019, ribaditane la necessità per la decisione del ricorso, si disponeva una consulenza tecnica d’ufficio, venendo nominato in qualità di c.t.u. l’ing. Giancarlo Chiaia.
In data 24.11.2020 il consulente tecnico d’ufficio nominato depositava la richiesta relazione.
Le parti insistevano ulteriormente sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di documentazione tecnica, nonché di memorie integrative e di replica.
All'udienza pubblica del 26.1.2021 la causa veniva definitivamente trattenuta in decisione.
Tutto ciò premesso, le censure sono infondate e, pertanto, il ricorso non può essere accolto.
I motivi di ricorso, in quanto strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Giova ricostruire, per quanto qui di interesse, il quadro normativo di riferimento relativo agli obblighi gravanti sul responsabile dell'inquinamento e sul proprietario dell'area.
L'articolo 240, comma 1, lettere m) e p), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce in via generale le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica dei siti inquinati.
L'art. 242 disciplina gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile dell'inquinamento, che si tratti di contaminazione recente o storica, per quanto riguarda in particolare l'adozione delle necessarie misure di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza d'urgenza, la comunicazione nei confronti dei soggetti pubblici competenti e l'esecuzione delle attività di bonifica.
L'art. 244 disciplina i casi in cui sia stato accertato che la contaminazione abbia superato i valori di concentrazione soglia di contaminazione.
In questo caso, l'Amministrazione diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione "a provvedere ai sensi del presente titolo" e quindi anche all'adozione delle misure indicate nell'art. 242.
Il comma 3 stabilisce che "l'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 253".
Il successivo comma 4 stabilisce che "se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall'amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'articolo 250".
L'articolo 245, al comma 1, stabilisce che "le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili".
Secondo il comma 2 della medesima disposizione, "fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità".
L'articolo 250 stabilisce che "qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio".
Dal quadro normativo si qui illustrato, per come analiticamente riletto nell'approdo interpretativo compendiato nell'ordinanza dell'Adunanza plenaria n. 21 del 2013 (richiamata in Cons. Stato, sez. IV, n. 7121 del 2018), emerge che è il responsabile dell'inquinamento il soggetto sul quale gravano, ai sensi dell'art. 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione in via di fatto di uno stato di contaminazione.
A questo proposito, peraltro, la normativa in questione viene interpretata, condivisibilmente, nel senso che il proprietario non responsabile è gravato contestualmente di una specifica obbligazione ex lege di facere che riguarda, però, soltanto l'adozione delle misure di prevenzione (da riferirsi anche alle contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione attuale).
Pertanto, il soggetto proprietario che non abbia prodotto né autonomamente né in concorso l'inquinamento del sito non risponde degli oneri di bonifica per il solo fatto d'essere proprietario, ma sussiste in capo allo stesso una responsabilità di natura patrimoniale limitatamente al valore del sito anche a seguito degli interventi di ripristino posti in essere dall'Autorità competente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502).
Nel caso in esame, in seguito all’attività ispettiva condotta dall’Arpa, dalla Provincia BAT, dal Comune di Barletta e dalla ASL BAT, nonché́ all’esito di indagini svolte dalla Procura di Trani, veniva identificato nella società TIMAC Agro Italia - proprietaria del suolo topograficamente adiacente all’area di proprietà della società Sici s.r.l. - il responsabile dell’inquinamento complessivo del sito.
Per tali ragioni, veniva imposto in capo alla TIMAC l’obbligo di bonifica e di ripristino ambientale del sito (suolo e falda), previa nuova caratterizzazione dello stabilimento e dell’area, con provvedimenti confermati dal Giudice amministrativo di primo e secondo grado (sentenze n. 346/2017 del T.A.R. Puglia - Bari e n. 7121/2018 del Consiglio di Stato).
Nel caso di specie, d'altronde, occorre rilevare che con la impugnata determina dirigenziale n. 1586 del 7.11.2018 il Comune di Barletta sospendeva in autotutela l’efficacia del permesso di costruire, n. 029/2018 dell’1.10.2018, senza imporre alcun onere - finanche a carattere meramente preventivo - a carico della Sici s.r.l.
Pertanto, emerge ictu oculi come le prescrizioni imposte dal Comune alla società ricorrente non possono dirsi illogiche e sono anzi del tutto ragionevoli e pienamente giustificabili alla luce del fondamentale principio di precauzione ambientale.
Come è noto, il principio di precauzione ambientale comporta, infatti, l'obbligo per le Autorità amministrative competenti di stabilire una tutela anticipata rispetto alla fase di applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione.
Lo stesso Consiglio di Stato sul punto ha sancito che tale anticipazione è del pari legittima in relazione ad un'attività potenzialmente pericolosa, idonea a determinare rischi che non sono oggetto di conoscenza certa, compresa l'ipotesi di danni che siano poco conosciuti o solo potenziali. Sicché, rispetto ad una situazione di tal genere, il principio di precauzione impone che l'Autorità amministrativa interessata ponga in essere un'azione di prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (così, Cons. Stato, 18 maggio 2015, n. 2495).
L’analisi di rischio, peraltro, indipendentemente dall’accertamento della responsabilità dell’inquinamento, costituisce un passaggio imprescindibile per attestare l’assenza (o la sussistenza e la consistenza) di rischi per l’ambiente e per le persone e, quindi, per procedere alla realizzazione dell’intervento edilizio. Ed invero, nella relazione del c.t.u. nominato - di per sé estremamente analitica, metodologicamente corretta e i cui risultati il Collegio condivide e fa propri - è stato dettagliatamente evidenziato che in tutta l’area interessata dalla lottizzazione indagata, compresa la parte di proprietà della società istante, sono rilevabili superamenti delle CSC per selenio, nitriti, solfati, cloroformio, cromo esavalente e tetracloroetilene, a conferma di come le misure di messa in sicurezza adottate nel sito TIMAC non avessero - al momento della perizia - completamente espletato il loro effetto di contenimento.
In particolare, per quel che in chiave dirimente qui rileva, in base a quanto rilevato oggettivamente dal c.t.u. l’inquinamento della acque di falda - presumibilmente sconosciuto nella sua esatta entità e gravità al momento del rilascio del permesso di costruire - inciderebbe direttamente e negativamente sulle operazioni di edificazione (prima) e sull’eventuale godimento dell’immobile (poi), e ciò poiché:
- “In fase di costruzione sarà necessario gestire le acque di falda che, come verificato in sede di CTU, contengono inquinanti in concentrazioni superiori alle CSC.
- La realizzazione e gestione del sistema di well point esporrà gli operai al rischio di contatto diretto con le acque di falda.
- Il sistema di drenaggio non sarà certamente in grado di prosciugare completamente lo scavo e pertanto è presumibile che anche gli operai impiagati per la costruzione possano entrare in contatto con le acque di falda.
Una volta ultimata la costruzione, la parete dello scantinato sarà, per un’altezza di 4,00-1,40=2,60 m, costantemente a contatto con le acque di falda. Conseguentemente occorrerà rivalutare il rischio legato all’utenza residenziale che potrà accedere e sostare negli scantinati o nei posti auto” (pag. 7 delle controdeduzioni alla consulenza del 16.12.2020).
Le risultanze della consulenza tecnica di ufficio comprovano, dunque la circostanza che la realizzazione dell’intervento edilizio deve essere preceduta da un’analisi di rischio sanitario e ambientale sito-specifica che, riconosciuta la presenza di una sorgente di contaminazione secondaria (la falda) e di potenziali bersagli (gli operai in fase di costruzione e gli abitanti insediati nell’edificio in fase di esercizio) consenta di escludere effetti negativi sulla salute di questi ultimi in ragione della esposizione prolungata all’azione delle sostanze altamente tossiche e di nota attitudine teratogena presenti in falda con concentrazioni superiori alla soglia di contaminazione. Ed ancora, sulla scorta del materiale istruttorio acquisito, è emersa, da un lato, la necessità in fase di costruzione di provvedere alla gestione di acque di falda che contengono inquinanti in concentrazioni superiori alle CSC, dall’altro, che il sistema di drenaggio previsto dalla ricorrente “non sarà certamente in grado di prosciugare completamente lo scavo e pertanto è presumibile che anche gli operai impiegati per la costruzione possano entrare in contatto con le acque di falda”.
Il Comune di Barletta, pertanto, alla luce dei nuovi elementi di criticità del sito emersi all’esito della CTU, in virtù dei quali il terreno oggetto di contenzioso sarebbe da qualificarsi come “sito potenzialmente contaminato”, ex art. 240, comma 1, lett. b) e d), del decreto legislativo n. 152/2006, correttamente disponeva la sospensione del permesso di costruire “fino alla conclusione delle procedure di cui all’art. 242 del D.lgs. 152/06” al fine di tutelare la salute pubblica e l’ambiente dagli evidentissimi rischi successivamente accertati in modo oggettivo nel corso del presente processo.
Per le precedenti considerazioni, il ricorso principale e quello per motivi aggiunti vanno respinti per manifesta infondatezza nel merito.
Da ultimo, il peculiare profilo tecnico della vicenda in esame in uno con l’oggettivo stato di non conoscenza dell’effettiva configurazione dello stato dei luoghi antecedentemente al completamento dell’istruttoria svolta costituiscono gravi ed eccezionali motivi affinché si disponga l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
Le spese di consulenza tecnica d’ufficio, per come correttamente e congruamente quantificate nella notula depositata in data 6.12.2020, vengono definitivamente poste a carico di parte ricorrente, in quanto avente ad oggetto accertamenti tecnici svolti nell’interesse conoscitivo ed operativo - oltre che giudiziario - della medesima parte.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e su quello per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Pone definitivamente a carico di parte ricorrente le spese di consulenza tecnica d’ufficio, che liquida in € 5.494,99, I.V.A. ed accessori inclusi.
Spese di lite integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2021 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppina Adamo, Presidente
Alfredo Giuseppe Allegretta, Primo Referendario, Estensore
Lorenzo Ieva, Referendario