TAR Emilia Romagna, Bo, Sez. I, n. 128, del 18 febbraio 2013
Ambiente in genere.Divieto insediamento industria insalubre

La giurisprudenza, occupandosi dei rapporti tra pianificazione urbanistica e industrie insalubri, ha avuto modo di osservare che, se è da escludere la legittimità di un divieto di insediamento di dette attività esteso all’intero territorio comunale, è tuttavia al contempo vero che lo strumento urbanistico, nell’ambito dei poteri di gestione del territorio che fanno capo agli enti locali, può inibire la localizzazione di industrie insalubri in determinate zone di carattere storico o residenziale o in aree che siano già in condizioni particolarmente difficili sul piano ambientale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00128/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00292/2002 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 292 del 2002 proposto da F.lli Rossi fu Alderige S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., difesa e rappresentata dall’avv. Benedetto Graziosi e presso lo stesso elettivamente domiciliata in Bologna, via dei Mille n. 7/2;

contro

il Comune di Torriana, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Vittorino Cagnoni ed elettivamente domiciliato in Bologna, via Marsili n. 15, presso lo studio dell’avv. Luciana Petrella; 
la Provincia di Rimini, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

della deliberazione del Consiglio comunale di Torriana n. 37 del 9 novembre 2001, recante l’approvazione della “variante art. 49 norme tecniche di attuazione al P.R.G.”;

della deliberazione del Consiglio comunale di Torriana n. 75 del 29 dicembre 1998, recante l’adozione della variante.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Torriana;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il dott. Italo Caso;

Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 7 febbraio 2013 i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:



FATTO e DIRITTO

Con deliberazione n. 75 del 29 dicembre 1998, ai sensi dell’art. 15, comma 4, della legge reg. n. 47 del 1978, il Consiglio comunale di Torriana provvedeva all’adozione di una “variante” al piano regolatore generale, riformulando il testo dell’art. 49 delle norme tecniche di attuazione (relativo alle destinazioni d’uso ammesse nelle «zone territoriali omogenee produttive D»); successivamente, con deliberazione n. 37 del 9 novembre 2001 il Consiglio comunale completava il procedimento, approvando definitivamente la “variante”. La nuova norma di piano introduceva il divieto di insediamento delle industrie insalubri di prima classe e (in parte) di seconda classe in località Colombare - Molino Vigne, definendo anche il particolare regime delle attività preesistenti.

Avverso tali atti ha proposto impugnativa la società ricorrente, proprietaria di un immobile ubicato in località Colombare - Molino Vigne e destinato a “zincaturificio” (industria insalubre di prima classe); in particolare, dopo il rilascio da parte della Provincia di Rimini dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera (che ha consentito l’avvio dell’attività produttiva), l’interesse al ricorso viene ricondotto alla circostanza che il titolo edilizio del relativo immobile, formatosi per silentium prima della “variante”, è stato riconosciuto dal TAR Emilia-Romagna con sentenza n. 145/2001 e che un’eventuale riforma della pronuncia da parte del giudice d’appello farebbe venir meno, con effetto ex tunc, il titolo edilizio stesso e renderebbe di conseguenza non più legittimo l’insediamento in ragione del regime restrittivo introdotto della “variante” oggetto della presente controversia.

Denuncia l’interessata l’inosservanza dei termini perentori fissati dall’art. 21 della legge reg. n. 47 del 1978 e dall’art. 21 della legge n. 136 del 1999, con conseguente approvazione della “variante” quando era oramai decaduta l’Amministrazione dal potere di provvedere; lamenta, ancora, che la riformulazione – in fase di approvazione – dell’art. 49 delle n.t.a. del piano regolatore abbia inciso in maniera così radicale sul testo inizialmente deliberato da dover richiedere in realtà una vera e propria riadozione della “variante”, tenuto altresì conto della circostanza che l’avere limitato la possibilità di interventi di ampliamento e modifica dei preesistenti impianti a quelli “…esistenti e già produttivi alla data del 28.12.98 …” risponderebbe all’evidente obiettivo di svuotare di contenuto il successo ottenuto in sede giudiziale dalla società ricorrente con il riconoscimento della formazione del silenzio-assenso sulla pregressa domanda di concessione edilizia, sì da rivelare la sussistenza di un vizio di eccesso di potere per sviamento, oltre che l’effettuazione di una scelta del tutto illogica; imputa, poi, all’Amministrazione comunale di non avere fatto precedere l’adozione della “variante” dalla comunicazione di avvio del procedimento ex artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, risultando fin dall’inizio ben determinati i soggetti destinatari della nuova disciplina di piano e ben individuati gli immobili immediatamente interessati dagli effetti delle determinazioni da assumere; deduce, infine, il difetto di istruttoria e di motivazione, nonché il travisamento dei fatti e l’erroneo esercizio dellapotestas variandi, per non essersi adeguatamente accertati il reale stato dei luoghi e gli effettivi rischi ambientali legati all’insediamento di industrie insalubri nella zona e per non essersi neppure attentamente ponderati gli interessi pubblici e privati coinvolti, ma anche per essersi inesattamente asserita la presenza di nuclei residenziali nelle immediate vicinanze dell’area e per essersi fatto ricorso alla variante urbanistica in assenza di fatti sopravvenuti e di giustificate nuove valutazioni delle situazioni pregresse. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.

Si è costituito in giudizio il Comune di Torriana, resistendo al gravame.

Dichiarata la perenzione del ricorso con decreto n. 350 del 12 giugno 2012, il Presidente del Tribunale ha successivamente revocato il decreto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, dell’all. 3 al d.lgs. n. 104 del 2010, e ha disposto la reiscrizione della causa sul ruolo di merito (v. decreto n. 952 del 3 ottobre 2012).

All’udienza del 7 febbraio 2013, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.

Osserva il Collegio che una prima serie di questioni è incentrata sulla tardività dell’atto di approvazione della “variante”, in quanto – a dire della società ricorrente – il provvedimento sarebbe intervenuto quando erano oramai decorsi i termini perentori previsti dall’art. 21 della legge reg. n. 47 del 1978 e dall’art. 21 della legge n. 136 del 1999, sicché l’Amministrazione comunale avrebbe completato l’iter dopo che si era già consumato il relativo potere (e sarebbe stato consentito solo avviare un nuovo procedimento).

Le doglianze sono infondate.

Quanto al termine di cui all’art. 21 della legge reg. n. 47 del 1978 (“Il Consiglio comunale, sentito il parere della Commissione edilizia, decide sulle osservazioni e sulle opposizioni ed approva il piano entro e non oltre i 120 giorni dalla scadenza…”), questa Sezione ha già avuto occasione di rilevare che il termine di 120 giorni ivi previsto ha natura meramente ordinatoria (v. sent. n. 1747 del 12 novembre 2002). Quanto, poi, al termine di cui all’art. 21 della legge n. 136 del 1999 (“L’approvazione degli strumenti urbanistici generali e delle relative varianti da parte delle regioni, delle province o di altro ente locale, ove prevista, interviene entro il termine perentorio di dodici mesi dalla data del loro deposito …”), la giurisprudenza ha precisato che la sua inosservanza integra unicamente la fattispecie del silenzio-inadempimento e, in relazione alla disciplina regionale di volta in volta applicabile, può al più legittimare l’esercizio dei poteri sostitutivi di altri enti (v. TAR Abruzzo, Pescara, 28 agosto 2006 n. 445; Cons. Stato, Sez. IV, ord. 20 aprile 2001 n. 2312).

Altre censure investono il nuovo testo dell’art. 49 delle n.t.a. del piano regolatore, quale risultante a séguito dell’approvazione della “variante”. Da un lato, si adduce che la sopraggiunta radicale modifica della formulazione originariamente definita in sede di adozione della “variante” avrebbe imposto una rinnovazione ab initio del procedimento; dall’altro lato, si assume illogica la scelta di sottrarre alla facoltà di interventi edilizi di ampliamento/modifica gli insediamenti esistenti ma non anche già produttivi alla data del 28 dicembre 1998, e comunque si assume dettata una simile scelta dall’esclusivo obiettivo di vanificare il titolo edilizio che la società ricorrente aveva visto riconosciutosi in sede giudiziale.

Le doglianze vanno in parte disattese e in parte dichiarate inammissibili per carenza di interesse.

Quanto alle variazioni intervenute in sede di approvazione, non ritiene il Collegio che si tratti di rielaborazione tanto innovativa da alterare i tratti essenziali delle scelte originarie; in realtà, allo scopo di aderire alle osservazioni della Provincia di Rimini, l’iniziale generico divieto di industrie insalubri in una parte del territorio comunale (“…con esclusione, in località Colombare Molino Vigne (Tav. 3C), delle Industrie insalubri di prima classe (tutte) e di seconda classe, limitatamente alla lettera A - sostanze chimiche e fasi interessate soglia qualitativa, come elencate nel Decreto Ministeriale della Sanità del 05.09.1994 …”) è stato successivamente integrato con la previsione, tra l’altro, della possibilità di interventi edilizi di ampliamento e modifica limitati però alle attività già in essere alla data del 28 dicembre 1998 (“…relativamente ai fabbricati destinati come esercizio effettivo di attività di industria insalubre esistenti e già produttivi alla data del 28.12.1998 sono ammessi interventi di ampliamento e modifica purché conformi alle prescrizioni di zona delle NTA del PRG e del regolamento edilizio vigente e purché preceduti dalla presentazione di programmi di riqualificazione e sviluppo aziendale predisposti dalle aziende interessate e riferiti ad una dimensione di medio termine. I suindicati programmi sono valutati ed approvati dal Consiglio Comunale sulla base di obiettivi di tutela ambientale, nonché dei conseguenti adeguamenti di infrastrutture atti a garantire la tutela della salute, della sicurezza e tenendo conto delle attività insalubri esistenti nonché degli ambiti residenziali circostanti e complessivamente dello sviluppo sostenibile dei luoghi. L’approvazione di menzionati programmi di qualificazione e sviluppo aziendale da parte del Consiglio Comunale costituisce presupposto indispensabile per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie e per la formazione di qualsiasi titolo abilitativo secondo le leggi urbanistiche vigenti … ”), e si è così introdotta, solo per dette attività, una limitata facoltà di esecuzione di opere edilizie di tipo non meramente conservativo, in parziale deroga al divieto assoluto di interventi che conseguiva all’originario testo della norma di piano, la quale dunque conserva, anche nella nuova e definitiva versione, la sostanziale ostilità per le industrie insalubri nella località Colombare - Molino Vigne, semplicemente regolandone le situazioni legate alle attività preesistenti, in ossequio al principio, ripetutamente riconosciuto in giurisprudenza, secondo cui, per essere la disciplina contenuta negli strumenti urbanistici generali destinata a svolgere i propri effetti ordinatori e conformativi esclusivamente per il futuro, i limiti e le condizioni cui viene subordinata l’attività edilizia non riguardano le opere già eseguite in conformità della disciplina previgente, che mantengono la loro precedente e legittima destinazione e possono di conseguenza essere assoggettate, pur se difformi dalle nuove prescrizioni, agli interventi necessari a mantenerne la funzione. Né v’è ragione di individuare nel testo definitivo della norma di piano un intento punitivo della società ricorrente, che in effetti non vede in tal modo preclusa l’operatività del titolo edilizio riconosciutole dal giudice amministrativo, se è vero – e l’interessata non prova il contrario – che il suo insediamento industriale resta salvo anche dopo l’approvazione della “variante”. Quanto, infine, alla circostanza che il requisito dell’essere gli impianti “…esistenti e già produttivi alla data del 28.12.98…” escluderebbe arbitrariamente la società ricorrente dalla possibilità di ambire in futuro ad interventi di sviluppo ed ampliamento della propria attività, il Collegio è dell’avviso che, indipendentemente da ogni considerazione di merito, non vi sia titolo per far valere la questione in questa sede, poiché – come è noto – l’interesse all’impugnazione di un provvedimento che si assume illegittimamente emanato richiede non solo che il ricorrente possa trarre vantaggio dal suo annullamento, ma anche che l’atto sia lesivo e cioè lo collochi in una posizione sfavorevole o lo privi di una posizione giuridica favorevole; il che difetta nel caso di specie, per riguardare la doglianza un pregiudizio non attuale e semmai suscettibile di concretarsi solo e soltanto nel momento in cui la ditta avvertirà l’esigenza di apportare le variazioni edilizie che l’Amministrazione comunale dovesse negarle, in linea del resto con il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui le norme tecniche di attuazione di uno strumento urbanistico sono atti a contenuto generale, recanti prescrizioni di natura normativa e programmatica, destinate a regolare la futura attività edilizia e, in quanto tali, non sono di per sé immediatamente lesive di posizioni giuridiche soggettive di singoli, sicché la loro impugnazione può avvenire solo unitamente all’impugnazione del provvedimento che ne costituisca la concreta applicazione, ed il termine per la proposizione del relativo ricorso decorre non dalla data di pubblicazione della norma di piano, bensì dalla piena conoscenza del provvedimento esecutivo (v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna, Parma, 18 dicembre 2007 n. 628), circostanza che vale naturalmente per l’aspetto dell’astratta possibilità di (futuri) interventi di ampliamento/modifica degli insediamenti preesistenti, e non vale invece per il generale divieto di industrie insalubri in loco, esso sì direttamente lesivo della posizione della società ricorrente per essere ancora pendente il giudizio amministrativo che riguarda il titolo edilizio formatosi per silentium e quindi ancora sub iudice l’ammissibilità stessa del suo insediamento industriale.

Le restanti censure, tutte infondate, investono l’atto di adozione della “variante”.

Quanto alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, non rileva che la nuova disciplina di piano riguarderebbe immobili ben individuati e soggetti ben determinati. Come la giurisprudenza ha più volte ricordato, dal disposto dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990 (“Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti … di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”) scaturisce che l’adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione, non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati, a meno che la variante concerna l’esecuzione di una singola opera pubblica su di un’area ben individuata – e ciò perché non viene in tal caso in rilievo un autentico atto di pianificazione o programmazione del territorio –, mentre il principio di partecipazione di cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 non ha ragione d’essere nei procedimenti di adozione degli strumenti urbanistici, per i quali l’esigenza del contraddittorio tra le parti, pubbliche e private, risulta già salvaguardata nell’ambito della disciplina legale di formazione degli stessi (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 2011 n. 5229).

Quanto, poi, alla scelta operata dall’Amministrazione comunale – che ha introdotto il divieto di insediamento di industrie insalubri in località Colombare - Molino Vigne –, la società ricorrente assume la decisione immotivata e frutto di carente istruttoria, oltre che fondata la stessa su di un travisamento di fatto e sull’arbitrario e ingiustificato esercizio dello ius variandi. Sennonché – osserva il Collegio – la giurisprudenza, occupandosi dei rapporti tra pianificazione urbanistica e industrie insalubri, ha avuto modo di osservare che, se è da escludere la legittimità di un divieto di insediamento di dette attività esteso all’intero territorio comunale, è tuttavia al contempo vero che lo strumento urbanistico, nell’ambito dei poteri di gestione del territorio che fanno capo agli enti locali, può inibire la localizzazione di industrie insalubri in determinate zone di carattere storico o residenziale o in aree che siano già in condizioni particolarmente difficili sul piano ambientale (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2005 n. 1190). Non appaiono allora censurabili, perché non generiche e arbitrarie e non rivelatrici di una carente istruttoria, le considerazioni poste a base della scelta del Consiglio comunale di Torriana in sede di adozione della “variante” (“…Premesso che il Comune di Torriana si è dotato di un nuovo Piano Regolatore Generale, approvato dalla Regione Emilia-Romagna con atto G.R. nr. 884 del 3 giugno 1997; che l’art. 49 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. disciplina le zone produttive D, indicando la destinazione d’uso ammesse, raggruppandole in nr. 11 categorie produttive; Considerato che in particolare l’area produttiva sita in località Colombare Molino Vigne (Tavola 3C del PRG) convive con un insediamento residenziale storico, che successivamente si è ampliato nel tempo; Considerato, altresì, che in detta specifica zona esistono e sono in attività almeno 5 aziende catalogabili come “attività insalubri di 1^ classe” (da D.M. Sanità del 5.9.94) e precisamente: - nr. 2 aziende produttrici di calce e leganti per l’edilizia; - nr. 1 azienda produttrice di smalti ceramici con l’impiego di altoforni e relative emissioni in atmosfera; - nr. 1 azienda per la rigenerazione e lavaggi di fusti in lamiera, il ripristino degli stessi e lo smaltimento dei rifiuti residui inquinanti e tossici precedentemente contenuti. Per di più sempre nella medesima zona è ubicata un’azienda (che occupa una superficie ca 50500 mq.) che ha una ampia capacità di stoccaggio, imbottigliamento e movimentazione di G.P.L. (gas di petrolio liquefatti) ad uso autotrazione e domestico. Detta Azienda che è la più grossa d’Italia è classificata come industria insalubre di 1^ classe ma è soprattutto a “RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE” ai sensi delle direttive C.E.E. 501/82 più comunemente nota come “direttiva Seveso” e successivamente resa esecutiva dal D.P.R. 17.05.1988 nr. 175 e integrata dalla legge 137/97. Considerato che ai sensi delle disposizioni dell’art. 216 del R.D. 27.07.1934 nr. 1265 le lavorazioni insalubri debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontano dalle abitazioni; Ritenuto a questo punto impegno precipuo della Amministrazione precludere assolutamente nuovi insediamenti insalubri in località località Colombare - Molino Vigne (Tavola 3C del P.R.G.) per non aggravare una situazione già critica e precaria data la presenza nella stessa zona di attività “insalubri di 1^ classe” già vicinissime ai nuclei residenziali preesistenti agli insediamenti industriali; Acclarato altresì che anche particolari speciali cautele per l’incolumità della salute pubblica non sempre nel passato sono state sufficienti a eliminare rischi ambientali. Si è verificato di recente che una attività artigianale con lavorazione ad alto rischio ha prodotto un grosso inquinamento di una parte del territorio comunale che ha imposto un provvedimento sindacale di chiusura temporanea della attività e di diffida per la bonifica dei siti inquinati. Accertato che in sede di pianificazione urbanistica si possa escludere in via generale e preventiva in relazione alla salubrità dell’ambiente, nella fattispecie già esposto ad elevato rischio di inquinamento, la realizzabilità nella zona Colombare - Molino Vigne di altre industrie cosiddette insalubri …”). Dette considerazioni, invero, evidenziano un vaglio non approssimativo e non manifestamente illogico dello stato dei luoghi – essendo evidente che in sede pianificatoria l’Amministrazione comunale non è chiamata allo svolgimento di una tipica funzione di tutela della salute pubblica (e non è quindi necessario che si approfondiscano aspetti di carattere strettamente sanitario) quanto piuttosto è tenuta al compimento di scelte che implicano l’ordinato assetto del territorio e, in quest’ottica, anche la distribuzione equilibrata delle attività industriali astrattamente suscettibili di determinare rischi aggiuntivi per l’ambiente se concentrate in àmbiti troppo ristretti –, mentre la possibilità che simili attività si insedino in altri comparti del medesimo territorio comunale, senza allontanare quelle già in essere, salvaguarda al contempo le esigenze produttive ed economiche locali contemperandole con i molteplici interessi, anche di ordine ambientale, della comunità. Non era poi necessaria una specifica valutazione della posizione della società ricorrente, trattandosi di “variante normativa” estesa all’intero comparto territoriale e non finalizzata ad incidere su singole situazioni soggettive, anche in ragione del fatto che l’assenza, al momento dell’adozione della “variante”, di un giudicato di annullamento di diniego di concessione edilizia escludeva un affidamento qualificato della ricorrente suscettibile di dare luogo all’obbligo di puntuale motivazione da parte dell’Amministrazione.

Né il dedotto vizio di travisamento di fatto appare sorretto da allegazioni puntuali ed esaustive. Contesta la società ricorrente la veridicità dell’asserita circostanza della prossimità di nuclei residenziali agli insediamenti industriali, ma nel far ciò essa fa genericamente riferimento ad una distanza di centinaia di metri, che non è in sé però obiezione decisiva, perché se si trattasse di poche centinaia di metri non si potrebbero comunque escludere, secondo dati di comune esperienza, conseguenze dannose legate ad eventuali fenomeni di inquinamento ambientale, sicché il concetto di “vicinanza” utilizzato dall’Amministrazione e la sua corrispondenza alla realtà non appaiono in realtà messi in seria discussione dalla censura dell’interessata.

Né, infine, persuade la tesi per cui la potestas variandi sarebbe stata esercitata in assenza dei relativi presupposti. Per costante giurisprudenza, invero, le ragioni sopravvenute che giustificano il ricorso allo strumento della “variante” possono essere sia quelle relative alla valutazione di fatti o situazioni emerse successivamente alla redazione del piano regolatore, sia quelle già presenti ab origine ma la cui valutazione è stata riconosciuta erronea o insufficiente, con la conseguenza che spetta all’Amministrazione comunale, nell’ambito di una facoltà ampiamente discrezionale, la possibilità di modificare con apposite varianti la disciplina di piano, senza obbligo di motivazione specifica ed analitica, purché venga fornita una indicazione congrua delle diverse esigenze che si è dovuto affrontare e a condizione che le soluzioni predisposte in funzione del loro soddisfacimento siano coerenti con i criteri d’ordine tecnico-urbanistico stabiliti per la formazione del piano regolatore generale (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 26 gennaio 1999 n. 74). Nella fattispecie, come si è detto, il Comune di Torriana ha sufficientemente chiarito a quale ritenuta deficienza della disciplina di piano ha inteso porre rimedio inibendo il moltiplicarsi di lavorazioni insalubri in località Colombare - Molino Vigne.

In conclusione, il ricorso va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile per carenza di interesse.

Le spese di lite possono essere compensate, a fronte delle complessità delle questioni dedotte.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile per carenza di interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 7 febbraio 2013, con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Calvo, Presidente

Ugo Di Benedetto, Consigliere

Italo Caso, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)