Pres. Lupo Est. De Maio Ric. Bortolato
Aria. Configurabilità del reato di cui all'art. 674 cod. pen.
Non è configurabile il reato di cui all'art. 674 cod. pen. (emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone), nel caso le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, atteso che la espressione "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa indicazione della necessità che l'emissione avvenga in violazione delle norme di settore, il cui rispetto integra una presunzione di legittimità.
Svolgimento
del
processo
Con
sentenza in data 28 novembre 2003
del Tribunale di Padova, sez. distacc. di Cittadella, Alessandro
Bortolato fu
condannato alla pena di giustizia perché riconosciuto
colpevole del reato di
cui agli artt..81 capv-674 cp (“perché, quale
responsabile per la sicurezza e
ambiente della S.P.A. Cartiera di
Carbonera, con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso,
nell’esercizio dell’attività produttiva
e gestione degli impianti, provocava
emissione di fumi, vapori e odori che cagionavano molestie alle persone
residenti nelle zone limitrofe, in Camposampietro dal 27 maggio
Avverso
tale sentenza ha proposto
ricorso il difensore, il quale deduce tre motivi, tutti incentrati sul
rilievo
che l’impianto di depurazione era stato regolarmente
autorizzato fin dal 1998 e
in seguito nuovamente approvato sia dall’ARPAV
che dalla Provincia. Con il primo motivo viene dedotto, sotto i profili della violazione
dell’art. 674
cp e della mancanza e manifesta illogicità della
motivazione, la non
ravvisabilità dell’elemento oggettivo del reato,
perché la valutazione, operata
una volta per tutte dall’amministrazione, non potrebbe essere
rimessa in
discussione dal Giudice ordinario, cui sarebbe demandato “di
verificare, sulla
base peraltro di una propria valutazione, la tollerabilità
delle immissioni che
pure rispettano gli standards normativi”.
Con il secondo motivo il ricorrente censura, sotto i profili del
travisamento
del fatto e/o della manifesta illogicità della motivazione
sull’elemento
soggettivo del reato, i passaggi della sentenza impugnata che hanno
ritenuto
non decisiva, ai fini della non ravvisabilità del detto
elemento, l’esistenza dei
citati provvedimenti autorizzativi. Con il terzo motivo viene dedotto,
sempre
sotto il profilo del difetto dell’elemento soggettivo del
reato, con ampia
citazione di giurisprudenza di questa Corte, che “
Il ricorso è nella sua sostanza fondato, in quanto il Tribunale, per un verso, non ha ben valutato che l’art. 674 cp punisce le emissioni di gas, vapori e fumo, atti a offendere, imbrattare o molestare persone, “nei casi non consentiti dalla legge” e, per l’altro, ha affermato, citando giurisprudenza non recente, che “nessuna legge autorizza un soggetto ad emettere nell‘atmosfera esalazioni tali da offendere o molestare persone” (sez. III, 25 giugno 1999 n. 11295) e che, anzi, “la legge tende a ridurre e contrastare il fenomeno dell‘inquinamento dell‘aria” (sez. III, 7 luglio 2000 n. 8094). La questione dell’interpretazione dell’inciso suddetto è stata a lungo dibattuta: i relativi termini sono stati limpidamente delineati nella sent. di questa Corte sez. III, 23 ottobre 2004, PM inc. Pannone, alla quale si rinvia e che qui viene richiamata nei suoi passaggi essenziali. La giurisprudenza di legittimità ha spesso ravvisato, in ipotesi di emissioni nell’atmosfera, l’elemento oggettivo del reato in questione sulla base dei rilievi che le emissioni stesse:
a) sono riconducibili a una delle tre tipologie indicate dalla norma (gas, vapori, fumo); b)hanno la potenzialità di arrecare molestie alle persone.
Sotto tale ultimo profilo, invero, la giurisprudenza ha sempre dato della nozione di molestie una interpretazione ampia, ricomprendendovi tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo e comunque di “turbamento della tranquillità e della quiete delle persone”, che producono “un impatto negativo, anche psichico, sull‘esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione” (v., tra le molte, sez. I, 22 gennaio 1996 n. 678, PM in c. Viale; sez. III, 24 gennaio 1995 n. 771, Ranaldi; sez. I, 4 febbraio 1994 n. 1293, Sperotto); su tali basi è stato ritenuto che costituisce molestia anche il semplice arrecare alle persone diffusa preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute derivanti da esposizione a emissioni atmosferiche inquinanti (sez. III, 7 aprile1994 n. 6598, Gastaldi).
Il problema posto dalla lettura della norma, già evidenziatosi dopo l’entrata in vigore della legge contro l’inquinamento atmosferico 13 luglio 1966 n. 6l5, è proprio quello dell’interpretazione dell’inciso “nei casi non consentiti dalla legge”; a tale proposizione, infatti, è collegata l’esigenza di individuare il rapporto tra l’art. 674 cp e la disciplina di settore, in particolare la citata l. n. 615/1966 e il DPR 203/1988, tenuto presente che il concorso tra norme speciali in materia ambientale e l’art. 674 cp è stato ritenuto possibile da questa Corte sia con riferimento all’inquinamento atmosferico (tra le tante, oltre alla già citata sent. Gastaldi, sez. I, 31 agosto 1994 n. 9357, Turino; sez. III, 26 giugno 1985 n. 6249, Boni), sia con riferimento all’inquinamento idrico (sez. I, 10 novembre 1998 n. 13278, Mangione).
Per il passato, l’orientamento giurisprudenziale quasi univoco (cfr., tra le meno antiche, 12497/1999, rv. 214571; 11295/1999 rv. 214633; sez.I, 21 gennaio 1998 n. 739; 3919/1997, rv. 207383; sez. I 27 gennaio 1996 n. 863; 11984/1995, rv. 203 130; sez. III, 7 aprile 1994 n. 6598) è stato nel senso che: I) rientra pacificamente nei “casi non consentiti dalla legge” il superamento della soglia delle emissioni fissata nella normativa di settore; II) il regolare rilascio dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio di una determinata attività e il rispetto dei limiti tabellari non escludono di per sé la configurabilità della contravvenzione codicistica, in quanto le discipline antinquinamento non hanno legittimato qualsiasi emissione che pur sia rispettosa dei detti limiti. Ne deriva - sempre secondo tale orientamento - che, ove l’attività, benché autorizzata, produca emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall’art. 844 c.c. ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici, è configurabile il reato ex art. 674 cp, non essendo possibile ritenere lecito l’esercizio di un’attività produttiva che, anche se rispettosa degli standards, implichi la sopportazione di inconvenienti che eccedono i limiti della normale tollerabilità; si sosteneva che la legalità formale dell’attività e il rispetto dei limiti tabellari prefissati non escludono tout court la responsabilità penale dell’agente, essendo questi comunque obbligato a ricorrere alla migliore tecnologia disponibile per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine della tutela della salute umana e dell’ambiente, valori costituzionalmente garantiti. Secondo il citato orientamento, quindi, l’inciso di cui si discute (“nei casi non consentiti dalla legge”) deve intendersi riferito non solo alla specifica normativa dì settore, ma alla legge in generale e quindi anche alle prescrizioni del codice civile (in particolare, dell’art. 844).
Tale orientamento giurisprudenziale è stato vivamente contrastato da qualificata dottrina, che ha sostenuto che, se è condivisibile non escludere la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 674 cp quando - nonostante il rilascio da parte della P.A. dell’autorizzazione ad esercitare un’attività e ad emettere determinate sostanze nell’atmosfera - non esistano precisi limiti tabellari fissati dalla legge o dall’autorità amministrativa, da cui deriva per il giudice l’esigenza di accertare in concreto le caratteristiche quali-quantitative delle emissioni per valutarne il rispetto della tollerabilità consentita dai principi ispiratori delle leggi di settore (cd. stretta tollerabilità), non altrettanto può dirsi nel caso in cui l’ambito di liceità delle emissioni sia stato preventivamente valutato dalla PA. A tal fine è stato rilevato, innanzi tutto, che la volontà del legislatore del 1988 è stata chiaramente quella di privilegiare, nella tutela dell’atmosfera contro l’inquinamento industriale, il ruolo della PA., limitando il potere di intervento del giudice penale rispetto a quello riconosciutogli precedentemente dalla giurisprudenza; in secondo luogo, che il richiamo dell’art. 674 cp ai “casi non consentiti dalla legge” rimarrebbe, interpretando la norma nel senso di cui alla giurisprudenza sopra citata, completamente svuotato di contenuto.
In un’ottica siffatta, mutando indirizzo, si è mossa la giurisprudenza più recente (con le sentenze sez. I, 7 luglio 2000 n. 8094, Mao; sez. III, 23 gennaio 2004 n. 81, PM in c. Pannone), che ha rilevato che l’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che l’emissione (di gas, vapori o fumi) atta a molestare persone avvenga in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico. Consegue che, poiché la normativa contiene una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni che non superino la soglia fissata dalle leggi speciali in materia, ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 674 cp, non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma “è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli standards fissati dalla legge”; quando, invece, le emissioni, pur essendo contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino concretamente fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 c.c. In altri termini, secondo tale orientamento, all’inciso in esame deve riconoscersi, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza precedente, un valore decisivo di limite tra l’illecito penale e l’illecito civile. A tale più recente orientamento il Collegio ritiene di dover aderire, segnalando che lo stesso si è consolidato, estendendosi anche in riferimento all’emissione di onde elettromagnetiche (sez. I, 14 marzo 2002 n. 23066, Rinaldi e 12 marzo 2002 n. 15717, Pagano).
Va, in definitiva, ribadito il principio secondo cui il reato di cui all’art. 674 cp (emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone) non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano, come nel caso in esame, da un’attività regolarmente autorizzata e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, in quanto l’espressione nei casi non consentiti dalla legge costituisce una precisa indicazione della necessità che l’emissione avvenga in violazione delle norme di settore, il cui rispetto, per contro, integra una presunzione di legittimità.
In base a tale principio, deve concludersi che la sentenza impugnata è inficiata dalla denunciata violazione dell’art. 674 cp, per non essere stata l’affermazione di responsabilità basata sull’accertamento positivo del superamento dei limiti imposti dalla legge; la sentenza stessa va, pertanto, annullata con rinvio allo stesso Tribunale, tenuto ex art. 627 co. 3 cpp, ad uniformarsi al principio qui enunciato: nel conseguente giudizio, accerterà se le emissioni in questione abbiano superato i limiti imposti dall’autorizzazione o dalla legge e solo in caso positivo affermerà l’esistenza del reato di cui all’art. 674 cp.