Cass. Sez. III n. 192 del 7 gennaio 2013 (ud. 24 ott. 2012)
Pres. Lombardi Est. Marini Ric. Rando
Aria. Realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione

Il reato di realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione era previsto dall’art.24, comma 1, del d.P.R. n.203 del 1998, ora sostituito dall'art.279, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152. Appare evidente dalla lettura della disposizione che l’avvio delle operazioni di costruzione di un impianto che possa produrre immissioni in atmosfera deve essere preceduto dal rilascio delle autorizzazioni previste dalla disciplina vigente. Appare, altresì, evidente che la formulazione della norma e la struttura del reato impongono di attribuire a quest’ultimo natura di reato permanente.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Presidente - del 24/10/2012
Dott. MARINI Luigi - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 2523
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere - N. 05337/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RANDO Francesco, nato a Genova il 12/8/1937;
avverso la sentenza del 21/9/2011 del Tribunale di Roma, che lo ha condannato alla pena di 25.000,00 Euro di ammenda in relazione ai reati previsti; a) dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, lett. a); b) dal D.P.R. 24 maggio 1988, n.203, art. 24, comma 1, e art. 6; reati accertati nel dicembre 2004 con permanenza fino alla sentenza di primo grado.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste, con riferimento al capo A, e con rinvio in ordine alla pena, con riferimento al capo B;
udito per l'imputato l'avv. Franco Giampietro, che ha concluso chiedendo accogliersi integralmente il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21/9/2011 il Tribunale di Roma ha condannato il sig. Rando, quale legale rappresentante della "E.Giovi S.r.l.", alla pena di 25.000,00 Euro di ammenda in relazione ai reati previsti: a) dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, lett. a); b) dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 24, comma 1, e art. 6; reati accertati nel dicembre 2004 con permanenza fino alla sentenza di primo grado.
I reati concernono la realizzazione di un impianto di "digestione anaerobica", destinato alla produzione di biogas nel contesto della discarica di rifiuti di Malagrotta (Roma), operata in assenza delle previste approvazione e autorizzazione ex D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (capo a) e in assenza dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera ex D.P.R. 24 maggio 1998, n. 203 (capo b).
Con la sentenza impugnata il Tribunale ha ritenuto la sussistenza delle violazioni, valutando necessario il preventivo rilascio dei provvedimenti autorizzatori e non ritenendo decisivo ad escludere la punibilità il fatto che l'impresa avesse definitivamente abbandonato la realizzazione dell'impianto e rinunciato alla sua entrata in funzione in data 2/8/2004, e cioè successivamente alla segnalazione di reato da parte del Comune di Roma (22/12/2003) e alla prima fase degli accertamenti effettuati dalla Provincia di Roma (22/3/2004). Con ampia e articolata motivazione il Tribunale (pag. 5 e ss) ha affrontato il tema della natura di rifiuto dei materiali trattati (fanghi), quello del regime autorizzatorio (ordinario o semplificato) in assenza di un progetto costruttivo e operativo già definito, quello della regolamentazione delle emissioni in atmosfera. Il Tribunale ha, quindi, affrontato (pag. 16 e seguenti) i temi della natura permanente dei reati e della decorrenza dei termini di prescrizione a far data dalla sentenza di primo grado. 2. Avverso tale decisione il sig. Rando propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando:
Quanto al capo a) della rubrica:
a. Vizio di motivazione e travisamento del fatto ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per essere il Tribunale incorso in palese contraddittorietà. Dopo avere affermato che l'assenza di elaborati progettuali e di elementi certi provenienti dall'impresa non consentono di capire quali fossero esattamente i materiali da trattare, quali le modalità di funzionamento dell'impianto e quale il risultato della lavorazione, il Tribunale ritiene provato sulla base delle prove dibattimentali che l'impianto dovesse trattare "biomasse", e in particolare fanghi di provenienza Acea; ma tale ultima conclusione viene tratta dalle dichiarazioni del dr. Sanna, consulente del pubblico ministero, il quale opera un chiaro riferimento agli "elaborati progettuali" da lui esaminati e a quanto emerge a pag. 36 della relazione di compendio circa le incertezze in ordine alla natura e quantità dei fanghi potenzialmente trattabili;
b. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) e vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e): una volta accertato correttamente che si è in presenza di impianto destinato al trattamento di rifiuti (fanghi di depurazioni civili), il Tribunale accerta in modo altrettanto corretto che l'impresa aveva optato per il regime semplificato, ma giunge poi alla conclusione errata che l'assenza di un valido progetto di costruzione imponga di ricondurre l'iniziativa all'interno del regime ordinario; si tratta di errata applicazione della legge, posto che il regime semplificato, che come ricordato dallo stesso Tribunale ha riguardo agli standard di funzionamento, non può non trovare il proprio momento di controllo allorché si avvia la fase gestoria di esercizio, con la conseguenza che la mera costruzione dell'impianto non necessitava di preventiva autorizzazione e non ricade nella fattispecie di reato identificata dal Tribunale. Palesemente errato, infine, l'argomento utilizzato dal Tribunale per desumere dalla non configurabilità del tentativo nei reati contravvenzionali la conseguenza che la costruzione dell'impianto debba essere ricondotta al regime ordinario.
c. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) con riferimento al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, lett. a) per avere erroneamente il Tribunale ritenuto che il reato di illecita gestione dei rifiuti sia integrato dalla mera costruzione non autorizzata di un impianto senza che questo non proceda ad alcuna attività concreta di ricezione e trattamento dei rifiuti stessi; il Tribunale ha ritenuto, infatti, che l'illecito abbia natura formale e consista nella realizzazione non autorizzata dell'impianto, in ciò operando un richiamo al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 27 mentre la lett. a) del citato art. 51, oggetto dell'imputazione sub a), punisce le attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione, non certamente quella di costruzione di un impianto mai entrato in funzione. Tale erronea conclusione del Tribunale risulta, altresì, in contrasto con quella parte di motivazione (pag. 14) in cui il giudicante distingue, del D.P.R. n. 203 del 1988, ex art. 24 la condotta di inizio della costruzione da quella di attivazione dell'esercizio dell'impianto. Quanto al capo b) della rubrica:
d. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 280 abrogativo del D.P.R. n. 203 del 1988, e alla citata L. del 2006, artt. 267 e 280. Osserva, in particolare, il ricorrente che la normativa introdotta nell'anno 2006 ha modificato la sfera di applicazione della disciplina in questione, abbandonando le ipotesi in cui gli impianti necessitavano di autorizzazione qualora "possano" produrre emissioni per riferirsi ai soli impianti che "producono" emissioni; si tratta di modifica che la stessa Corte di cassazione, Sezione Terza, ha ritenuto rilevante (sentenza n. 40964 del 2006 e sentenza n. 5347 del 2011); così stando le cose, la sentenza impugnata erra quando ritiene integrato il reato dalla circostanza che non possa escludersi con certezza la capacità dell'impianto di produrre emissioni;
c. Vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per difetto totale di indicazione degli elementi di fatto che supportino la conclusione cui è giunto il Tribunale in ordine alla idoneità dell'impianto a produrre emissioni;
f. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione al D.P.C.M. 21 luglio 1989, art. 3 con riferimento alla "torcia di sicurezza" prevista dall'impianto in costruzione;
g. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) con riferimento al regime della prescrizione dei reati, nonché vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e) attesa la contraddittorietà della motivazione addotta dal giudicante che, dopo avere correttamente fissato i principi in tema di cessazione della permanenza del reato, ha ignorato la rilevanza decisiva dell'abbandono del progetto e della costruzione nel corso del mese di agosto 2004 e ritenuto non cessata la condotta rilevante a causa del fatto che il ricorrente non avrebbe informato in modo corretto le autorità competenti, circostanza questa che viene desunta dalle non utilizzabili spontanee dichiarazioni del ricorrente in data 5/8/2004;
h. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) con riferimento al ricorso in motivazione al contenuto delle spontanee dichiarazioni rese dal ricorrente in data 5/8/2004, dichiarazioni non utilizzabili ex artt. 64, 191 e 350 cod. proc. pen..
i. Vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva la Corte che la complessa vicenda è stata ampiamente esaminato sia in sede di motivazione della sentenza impugnata sia in sede di esposizione dei motivi di ricorso. Di tale complessità si è dato conto nelle pagine illustrative del fatto e questo consente alla Corte di procedere concentrando l'attenzione sui due profili che ritiene decisivi.
2. Quanto al capo a) della rubrica, deve rilevarsi che l'analitica ricostruzione operata dal Tribunale manifesta una contraddizione fra quanto esposto a pag. 2 e quanto esposto alle pagg. 4-6 della motivazione. Mentre a pag. 2 si da per accertato che l'impianto fosse destinato a trattare fanghi di depurazione e frazione organica, a pag. 4 e pag. 5 si da atto che non era chiaro neppure in sede di progettazione dell'impianto quali sarebbero state le forme di alimentazione e quali i flussi in uscita a pag. 6, così difettando "un progetto definito". Ancora più chiaramente a pag. 6 si riconosce l'incompletezza del progetto e la non chiarezza delle sue caratteristiche per fino con riguardo agli estremi de "la individuazione, la classificazione, la codificazione e la quantificazione dei rifiuti da trattare", elementi che lo stesso Tribunale considera "momenti essenziali per accertare la liceità o meno della condotta".
3. Se questa è la situazione di fatto, la Corte deve rilevare che la mancanza di chiarezza circa la natura e le caratteristiche dei prodotti che avrebbero dovuto alimentare l'impianto è dimostrata dal fatto che proprio su questa circostanza e sulle caratteristiche dell'impianto sembra essersi formato il disaccordo fra il ricorrente e la ditta fornitrice della parte tecnologica che ha condotto all'abbandono del progetto. Si è in presenza di una incertezza su aspetti essenziali per la valutazione circa l'applicabilità del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 27. In altri termini, va escluso il perfezionarsi della condotta di "realizzazione" di un "nuovo impianto di trattamento di rifiuti", difettando entrambi i profili sopra ricordati.
4. La conclusione che deve essere tratta da quanto precede è che l'ipotesi di reato contestata al sig. Rando al capo A) va esclusa con la formula "il fatto non sussiste". Si è in presenza della non perfezionata realizzazione di un impianto in teoria destinato al trattamento di rifiuti, senza che fossero neppure definite la natura e le caratteristiche dei materiali che avrebbero dovuto essere trattati. Tale condotta si è interrotta prima ancora che venga realizzata una qualsiasi delle condotte e delle attività di gestione, trasporto, commercio o intermediazione di rifiuti che sono per legge soggette a autorizzazione e, dunque, penalmente sanzionate ove detta autorizzazione difetti.
5. Venendo all'esame del capo b) della rubrica, la Corte rileva che il reato di realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione era previsto dal D.P.R. n. 203 del 1998, art. 24, comma 1, ora sostituito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 279, comma 1. Appare evidente dalla lettura della disposizione che l'avvio delle operazioni di costruzione di un impianto che possa produrre immissioni in atmosfera deve essere preceduto dal rilascio delle autorizzazioni previste dalla disciplina vigente. Appare, altresì, evidente che la formulazione della norma e la struttura del reato impongono di attribuire a quest'ultimo natura di reato permanente. Appare evidente, infine, per quanto si è detto, che il ricorrente dette inizio alla costruzione dell'impianto in esame senza munirsi di autorizzazione.
6. Sostiene oggi il ricorrente che difettano gli estremi del reato in quanto non risultava certa l'esistenza di emissioni allorché l'impianto fosse giunto a regime e, al contrario, trattandosi di impianto anaerobico risulterebbe provata l'assenza di emissioni. L'assunto non può essere accolto. La complessità di un impianto che utilizza masse che producono gas richiede che le autorità competenti siano messe in grado di accertane le caratteristiche e di verificare l'esistenza di garanzie circa l'assenza di emissioni a regime o anche solo eventuali; in tal senso debbono interpretarsi le disposizioni citate, che escludono che possa essere consegnata all'imprenditore la scelta se avviare o meno la procedura autorizzativa. È pacifico, infatti, che quello in parola deve essere qualificato come reato di pericolo (per tutte: Sez. 3, n. 10885 dell'1/2/2002, Magliulo, rv 221267) a natura permanente. Il che significa che l'ipotesi incriminatrice viene integrata dalla sola sottrazione delle attività al controllo preventivo degli organi di tutela, avendo il legislatore inteso anticipare l'intervento a tutela dei beni collettivi in tutti i casi in cui un impianto di produzione è destinato a produrre fisiologicamente o anche solo potenzialmente emissioni in atmosfera. Il ricorso deve essere pertanto respinto con riferimento a tale specifica censura.
7. Va, invece, accolto il ricorso con riferimento alla invocata maturazione dei termini prescrizionali. L'ampia e argomentata motivazione della sentenza sul punto non può essere condivisa. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, ancorato la cessazione della permanenza del reato ad alcuni elementi precisi che rispondono all'esigenza di non dare vita a una ipotesi di reato indifferente alla cessazione della situazione antigiuridica. Se con riguardo alla ipotesi di reato consistente nell'attivazione di un impianto si è fatto riferimento al momento in cui l'imputato ha messo gli organi amministrativi in grado di dare corso ai pur tardivi controlli (Sez. 3, n. 9403 del 16/1/2008, Ronchi, rv 238923), nelle ipotesi consistenti nell'avvio della costruzione nella realizzazione degli impianti la Corte ha ancorato il momento di cessazione della permanenza alla presentazione della tardiva richiesta di autorizzazione (Sez. 3, n. 12436 del 20/2/2008, Contento, rv 238924) o, in difetto, al momento in cui le autorità hanno provveduto al controllo dell'impianto (Sez. 3, n. 22018 del 13/4/2010, Consola, rv 247279). In altri termini, si versa nel nostro caso in ipotesi diversa dalla gestione non autorizzata di un impianto e si deve avere riguardo all'ipotesi di realizzazione di un impianto senza che abbia avuto luogo la procedura autorizzazione; questa ultima ipotesi è caratterizzata dal permanere dell'illecito fino al momento in cui cessa quella che potremmo definire la clandestinità della condotta e le autorità divengono in condizione di operare i controlli e assumere le iniziative di loro competenza.
8. Venendo agli estremi del fatto contestato al sig. Rando, è pacifico che la costruzione dell'impianto venne abbandonata nel mese di agosto dell'anno 2004 e che l'accertamento da parte delle autorità ebbe luogo nel successivo mese di dicembre. Qualunque delle due date si intenda assumere come riferimento il reato contravvenzionale deve essere considerato estinto per intervenuta prescrizione. Infatti, anche volendo ritenere, come si afferma nella sentenza impugnata, che la prova postuma della cessazione della condotta non fa venire meno la permanenza, per quanto faccia venire meno la situazione di pericolo anche solo potenziale per i beni tutelati, è evidente che i controlli operati nel mese di dicembre dell'anno 2004 posero fine a quella che la Corte ha definito come clandestinità della condotta e della situazione di fatto e fatto cessare, secondo la giurisprudenza che questo collegio condivide, la permanenza del reato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al capo A perché il fatto non sussiste e in relazione al capo B perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2013