ART. 674 C.P., EMISSIONI MOLESTE E INQUINAMENTI. E’ L’ORA DELLE SEZIONI UNITE?

a cura di Gianfranco Amendola

Già più volte, anche su questo sito, ci siamo occupati dell’applicazione dell’art. 674 c.p.[1] a fatti di inquinamento attribuibili ad emissioni provenienti da attività dotata di autorizzazione amministrativa e/o per cui manchi la prova del superamento dei limiti stabiliti da normativa speciale. Trattasi, quindi, di il problema che sorge con riferimento alla seconda parte di questo articolo, riferita alle emissioni di gas, vapori o fumi, la quale, con l’inciso “nei casi non consentiti dalla legge” sembra postulare un collegamento tra norma penale e normativa di settore.

A questo proposito, in estrema sintesi, la Suprema Corte ha attraversato 2 fasi:

1)Dal 1966 al 2000 ha affermato che <<nella espressione “nei casi non consentiti dalla legge” rientrano non solo le ipotesi espressamente vietate dalla legge.... ma anche quelle non consentite dall’ art. 844 codice civile nei rapporti di vicinato o da regolamenti locali o da specifiche prescrizioni dell’ autorità amministrativa, anche se l’ attività è autorizzata. Le normative antinquinamento non hanno, di fatto, legittimato qualsiasi “emissione” inferiore agli standards, anche nell’ ipotesi in cui non si siano attuate le opere di prevenzione e contenimento adeguate al progresso tecnologico>>.

4) Dal 2000, tuttavia, la Cassazione prevalente (anche se con vistose eccezioni) ha cambiato orientamento, affermando, sempre con riferimento alla seconda parte dell’art. 674 c.p., che “non basta l’affermazione che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli standards fissati dalla legge (il DPR 203/88, nel qual caso il reato previsto dall’art. 674 c.p. concorre con quello eventualmente previsto dalla legge speciale), mentre quando, pur essendo le emissioni contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato o arrechino concretamente fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 c.c.”; per cui “non è configurabile il reato di cui all’articolo 674 c.p. nel caso in cui le emissioni in atmosfera provengano da un’attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi speciali in materia di inquinamento atmosferico”.

Devesi rilevare, a questo punto, che, nello stesso periodo, l’art. 674 è stato più volte utilizzato dalla giurisprudenza in relazione all’inquinamento elettromagnetico, ma sempre con riferimento alla prima parte dell’art. 674 c.p., e, quindi, senza affrontare, in tale settore, la problematica di cui sopra (relativa, come rilevato, alla seconda parte).

Tuttavia, il 26 settembre 2008 veniva depositata la sentenza Cass. Pen., sez. 3, 26  settembre 2008 (ud. 13 maggio 2008), Pres. Lupo, est. Franco, n. 36845, Tucci, relativa al presunto inquinamento elettromagnetico provocata da radio Vaticana, in cui la Suprema Corte, andando ben oltre la questione sottopostale, riteneva che l’art. 674 c.p., se pure formalmente diviso in 2 parti, non si riferisce a due distinte ipotesi di reato, ma ad un  solo reato di cui la seconda ipotesi non sarebbe altro che una specificazione della prima (e, comunque, si tratterebbe di analogia in bonam partem). In tal modo, tutte le fattispecie previste dall’art. 674 c.p. (prima e seconda parte) rientrerebbero  nell’ambito di una unica ipotesi di reato, che non sarebbe configurabile nel caso in cui getto o emissioni provengano da attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenuti nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che li riguardano, il cui rispetto implica una presunzione assoluta di legittimità del comportamento. Quindi, per la configurazione del reato, vi sarebbe la necessità che “qualora si tratti di attività considerata dal legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia prevista e disciplinata, l’emissione avvenga in violazione delle norme o prescrizioni di settore che regolano la specifica attività”.

Tale interpretazione, completamente innovativa, veniva recentemente confermata da una raffica di sentenze (sempre in tema di inquinamento elettromagnetico) depositate il 15 aprile 2009, dalla stessa sezione con lo stesso Presidente e lo stesso estensore [2].

Lo stesso giorno, tuttavia, la stessa sezione, con un diverso Presidente ed estensore, confermava, a proposito di attività autorizzata, l’orientamento tradizionale in tema di inquinamento atmosferico, affermando che << il reato di cui all'art. 674 c.p. si configura in presenza di un evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori non solo nei casi di emissioni inquinanti in violazione dei limiti di legge, ma anche quando sia superato il limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ.>> (Cass. pen., sez. 3, 15 aprile 2009 (c.c. 12 febbraio 2009), n. 15734, Schembri). Anzi, richiamava espressamente la sentenza Cass. Pen., sez. 3, n. 38936/2005, Riva, RV 232359, secondo cui (e la citazione è in neretto nella sentenza in esame) <<la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. è è integrabile indipendentemente dal superamento dei valori limite d’emissione eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un’attività produttiva di carattere industriale autorizzata può procurare molestie alle persone, per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici, atteso che il reato de quo mira a tutelare la salute e l’incolumità delle persone indipendentemente dall’osservanza o meno di standards fissati per la prevenzione dell’inquinamento atmosferico>>

Un compromesso veniva operato da Cass. pen, sez. 3, n.16286 del 17 aprile 2009 (Ud. 18 dic. 2008), Del Balzo (in tema di inquinamento da polveri), la quale, deliberata dopo la sentenza Tucci, affermava che <<la clausola "nei casi non consentiti dalla legge" esclude il reato non per tutte le emissioni provocate dalla attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. Solo queste ultime emissioni si presumono legittime. Non possono presumersi come legittime, invece, le altre emissioni, connesse più o meno direttamente all’attività produttiva regolamentata, che il legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose perché superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di cautela imposte all’imprenditore>>. In proposito la dottrina ha rilevato che si è <<ridimensionata in modo sicuramente accettabile la portata della sentenza Tucci >> pur <<non risolvendo, purtroppo in modo definitivo lo stato di incertezza che da molti anni impedisce un esatto inquadramento della effettiva portata dell’art. 674 c.p.>>[3].

Tale ultimo orientamento veniva ribadito da diverse sentenze per cui si poteva ritenere che questo fosse l’orientamento ormai consolidato.

Tuttavia – e siamo all’ultimo atto- pochi giorni fa è stata depositata una importante sentenza della Cassazione relativa all’inquinamento da polveri della centrale ENEL di Porto Tolle (Cass. Pen., sez. 3, 27 aprile 2011 (ud. 11 gennaio 2011), n. 16422, in www.lexambiente.it) dove la Suprema Corte, in primo luogo ribadisce la impostazione tradizionale della netta divisione dell’ art. 674 c.p. due parti, per cui, vertendosi nella fattispecie della prima parte, “non debbono essere presi in esame ai fini della responsabilità gli ulteriori requisiti fissati dalla seconda parte dello stesso articolo”.

Subito dopo afferma che “merita ricordare” la sentenza Schembri (sopra citata)[4], la quale “ha affermato il principio che il mantenimento delle emissioni entro i limiti consentiti non è di per sé sufficiente ad escludere l’esistenza della contravvenzione contestata, potendo assumere rilevanza l’omessa adozione delle misure tecniche in grado di impedire il verificarsi di molestie alle persone……”.

Sembra trattarsi, quindi, di una piena sconfessione della sentenza Tucci (che non viene neppure citata) e di un ritorno all’orientamento tradizionale.

Se questo è il quadro giurisprudenziale attuale, è bene che vi sia al più presto un chiarimento definitivo della Cassazione a sezioni unite su una problematica di rilevanza notevolissima nella lotta agli inquinamenti.

Ed è appena il caso di ripetere che, a nostro sommesso avviso, la Corte dovrebbe attestarsi proprio sull’ orientamento della sentenza Schembri e di quella ultima citata.

Continuando a ripeterci, vogliamo ancora ribadire che solo in questo modo, infatti, si evita una totale ed obbligata soggezione, nel campo delle attività inquinanti, del giudice penale (e della legge penale) rispetto all’autorità amministrativa (ed alle norme di settore, così spesso raffazzonate, confuse e pasticciate), anche se fosse provata la lesione o la messa in pericolo del bene giuridico protetto da una norma penale. Perché, a questo punto, se si accettano le osservazioni della Cassazione nella sentenza Tucci, sempre in nome della razionalità del sistema e della analogia in bonam partem, sembra che si possa andare ben oltre l’art. 674 c. p. ed applicare questo principio a qualsiasi reato, incluso l’omicidio o il disastro; con la conseguenza che una ancora incerta  interpretazione relativa ad una limitata fattispecie penale (la seconda parte dell’art. 674 c.p. relativa alle emissioni di gas, vapori e fumo) diventa principio generale, valido per qualsiasi reato commesso nell’ambito di una “attività socialmente utile”.

In sostanziale contrasto, peraltro, con tutta la recentissima e coraggiosa giurisprudenza, anche della terza sezione, nei confronti di colossi dell’industria chimica responsabili della morte di migliaia di lavoratori, la cui giustificazione era stata proprio quella dell’essere regolarmente autorizzati e nell’aver rispettato le limitate prescrizioni dell’epoca, nonostante vi fossero già, sempre all’epoca, fondatissimi elementi per ritenere la nocività delle lavorazioni. Con buona pace del principio di precauzione, e del diritto alla salute costituzionalmente garantito, che sembra dover soccombere  rispetto alle attività economiche o produttive (“socialmente utili” le chiama la sentenza Tucci, che, in realtà, riguardava radio Vaticana).

In contrasto anche con numerose sentenze del giudice civile in tema proprio di inquinamento elettromagnetico, secondo cui <<aderendo all'indirizzo espresso dalla prevalente giurisprudenza sulla analoga questione dei parametri stabiliti in tema di immissioni acustiche, il rispetto di tali limiti normativi, anche per il loro carattere pubblicistico, non implica una presunzione assoluta di liceità delle immissioni, ben potendo sussistere una situazione che, pur rispettosa dei limiti, si riveli in concreto lesiva, anche solo potenzialmente del diritto alla salute (il principio è stato affermato anche dalla sentenza Cass. 27 luglio 2000 numero 9893, riguardante un caso di inquinamento elettromagnetico). Tale impostazione appare la più coerente con la necessità di dare piena tutela al diritto costituzionale anche in ambiti, quale è quello in esame, nei quali le conoscenze scientifiche non sono ancora giunte a risultati certi e definitivi>>[5].

Conclusione peraltro, pienamente in armonia, con la giurisprudenza della Corte Costituzionale la quale, già nel 1990, dovendo occuparsi della definizione di <<migliore tecnologia disponibile>> subordinata alla condizione che essa non comportasse <<costi eccessivi>>, rilevava che “la disposizione definitoria … va interpretata nell'assoluto rispetto del principio fondamentale del diritto alla salute sancito dell'art. 32 della Costituzione.

Conseguentemente il condizionamento al costo non eccessivo dell'uso della migliore tecnologia disponibile va riferito al raggiungimento di livelli inferiori a quelli compatibili con la tutela della salute umana.[6]

D’altra parte, abbiamo già espresso il nostro sommesso avviso di condividere totalmente l’affermazione della Cassazione nella sentenza Tucci  secondo cui l’interpretazione del giudice deve sempre tener conto della “razionalità del sistema”, e quindi occorre essere particolarmente cauti tutte le volte che si valuti una fattispecie di reato nell’ambito di attività autorizzata e rispettosa della normativa di settore. E’ ovvio che sempre il superamento dei limiti di legge costituisce un elemento oggettivo certamente da considerare, al fine di valutare, a livello probatorio, l’attitudine nociva delle emissioni necessaria per l’integrazione del reato. Tanto più nel settore dell’inquinamento elettromagnetico, dove mancano conclusioni certe, a livello scientifico, circa la nocività delle esposizioni e dove il superamento dei limiti è punito con sanzione amministrativa salvo che il fatto costituisca reato. Ed è altrettanto pacifico che il superamento o meno dei limiti deve essere valutato anche e soprattutto nell’ambito  dell’indagine doverosa sull’elemento soggettivo da fare caso per caso anche se trattasi di contravvenzione.

Ma non è questo che dice la Cassazione nella sentenza Tucci, la quale, invece, afferma un principio generale assoluto e rigido, valido per tutte le emissioni: solo se l’attività non è autorizzata e non rispetta i limiti per essa stabiliti dalla legge di settore, il reato di cui all’art. 674 è ipotizzabile. Mentre non lo è neppure se, nel concreto, a prescindere dal superamento dei limiti, si raggiungesse la prova oggettiva dell’attitudine molesta, se non addirittura della molestia arrecata alle persone: la prova, cioè, proprio della lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale.

Quid iuris, allora, se si prova una molestia e nulla si sa dei limiti perché non sono stati fatti controlli o si tratta di controlli contestabili tecnicamente? E se i limiti, come spesso accade, vanno misurati come “media” e non tengono, quindi, conto, dei picchi molesti o pericolosi? Ovvero vengono misurati solo raramente e sempre con preavviso all’interessato? E quale razionalità di sistema si riscontra se puniamo la molestia provocata dalla puzza di industria autorizzata (non ci sono limiti di legge) e non puniamo la molestia molto più preoccupante derivante da radiazioni elettromagnetiche perchè non sono stati effettuati controlli sul rispetto dei limiti?

Con la conseguenza che viene frustrata totalmente la ratio della norma, la quale –non dimentichiamolo- mira a tutelare la tranquillità delle persone, a prescindere dalle autorizzazioni e dal superamento dei limiti.

 

 


[1] L’art. 674 c.p. punisce con l’arresto o con l’ammenda, “chiunque getta o versa in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo atti a cagionare tali effetti”.

[2] cfr. per tutte Cass. Pen., sez. 3, 15 aprile 2009 (c.c. 9 gennaio 2009), n. 15707, Abbaneo in www.lexambiente.it

[3] RAMACCI, Articolo 674 cod. pen. e inquinamento atmosferico nella giurisprudenza della Cassazione, in Ambiente e sviluppo 2009, n. 7, pag. 620 e segg.

[4] In verità, si parla della sentenza Bua, ma trattasi di evidente errore materiale che ha trasposto il nome del P.M. a quello del ricorrente

[5] Trib. Venezia, sez. 3 civile, ord. 14 aprile 2003 n. 214, in Riv. Giur. ambiente 2003, n. 6, pag. 1069 e segg. Nello stesso senso, da ultimo, Trib. Modena, sez. 1, 5 maggio 2004, proc. n. 303/2000, Zini c. ENEL, ove si afferma che <<va ribadito il criterio ermeneutico e di giudizio ormai consolidato in giurisprudenza (si veda in particolare la giurisprudenza penale in tema di inquinamenti, in particolare idrici, e quella civile in tema di immissioni sonore) secondo cui l'emanazione di standard normativi pone un limite di accettabilità dell'immissione che deve indubbiamente essere tenuto presente nella valutazione concreta della tollerabilità delle immissioni...... ma che l'atto normativo, in tal caso, non può precludere una valutazione in concreto di intollerabilità, atteso anche che l'integrità della persona ed il bene primario della salute non possono essere valutati in termini esclusivamente fisici e materialmente constatabili in modo universale e differenziato. ….>>

[6] Corte costituzionale    7-16 marzo 1990, n 127