Consiglio di Stato Sez. II n. 8126 del 6 dicembre 2021
Caccia e animali.Piano faunistico venatorio e siti di importanza comunitaria
 
L’art. 5 D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 dispone che, nella pianificazione e programmazione territoriale, si deve tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione, quindi impone ai proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistico-venatori e le loro varianti, di predisporre uno studio per individuare e valutare gli effetti che il piano può avere sul sito, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. La riportata disposizione si limita a prescrivere al soggetto proponente (in questo caso) del piano faunistico-venatorio, di predisporre uno studio per individuare e valutare gli effetti che il piano può avere sul sito (di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione), tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo; dunque non preclude affatto che la valutazione di incidenza riguardi anche i siti già esistenti. Anzi è del tutto ragionevole che, proprio in ragione della novità del piano proposto, la valutazione di incidenza sia estesa a qualunque sito, sia esso di nuova individuazione o preesistente.

Pubblicato il 06/12/2021

N. 08126/2021REG.PROV.COLL.

N. 10461/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10461 del 2014, proposto da:
Federazione Italiana della Caccia della Lombardia e Federazione Italiana della Caccia Sez. Prov. di Bergamo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. Franco Bertacchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Stefano Di Meo in Roma, via G. Pisanelli, 2;

contro

Provincia di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessio Petretti, Giorgio Vavassori, Bortolo Luigi Pasinelli e Katia Nava, con domicilio eletto presso lo studio Petretti in Roma, via degli Scipioni, 268/A;
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Sabrina Gallonetto e Annalisa Santagostino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paolo Barletta in Roma, via Fogliano, 4/A;

nei confronti

ACL - Associazione Cacciatori Lombardi, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) n. 363/2014, resa tra le parti, concernente approvazione del Piano Faunistico Venatorio provinciale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bergamo e della Regione Lombardia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice, nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2021, la Cons. Laura Marzano;

Nessuno comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO

La Federazione Italiana della caccia – sez. Lombardia e sez. di Bergamo - ha impugnato la sentenza n. 363 del 9 aprile 2014 con cui il T.A.R. Lombardia, Sede di Brescia, ha respinto il ricorso avverso il provvedimento di approvazione del Piano Faunistico Venatorio della Provincia di Bergamo (D.C.P. 79 del 10 luglio 2013).

I fatti di causa possono sintetizzarsi come segue.

Con sentenza del T.A.R. Brescia n. 1532 del 9 aprile 2010 (in accoglimento parziale del ricorso proposto all'epoca dal WWF Italia) venivano annullati la delibera del Consiglio Provinciale di Bergamo n. 44 del 9 luglio 2008 recante "Nuovo Piano Faunistico Venatorio", il decreto 18 giugno 2008 n. 6845 della Direzione Generale qualità dell'ambiente della Regione Lombardia, recante "Valutazione di incidenza del Piano Faunistico Venatorio" e la determinazione dirigenziale 4 luglio 2008 n. 1927, di valutazione ambientale strategica dello stesso piano.

Riattivato, quindi, il procedimento, con decreto dirigenziale n. 4400 del 27 maggio 2013 della Direzione Generale Ambiente, Energia e Sviluppo sostenibile, la Regione Lombardia ha dato corso alla valutazione di incidenza (VINCA) del Piano faunistico venatorio (PFV) della Provincia di Bergamo, ai sensi dell'art. 5 D.P.R. n. 357/97 "Regolamento recante attuazione della direttiva 9/37/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche": la Regione ha espresso una valutazione di incidenza positiva – ovvero assenza di possibilità di arrecare una significativa incidenza negativa – sull'integrità dei siti facenti parte della Rete Natura 2000 del PFV della Provincia di Bergamo, dettando alcune prescrizioni numerate dal n. 1 al n. 38.

Con decreto dirigenziale n. 1208 del 17 giugno 2013 la Provincia ha adottato il parere motivato ambientale come parte integrante e sostanziale, facendo propri i contenuti e le prescrizioni del decreto n. 4400/13 della Regione. A seguire, la Provincia ha adeguato il PFV, approvato in via definitiva con deliberazione consiliare n. 79 del 10 luglio 2013.

Ritenendo che il Piano presentasse criticità (con riferimento al calcolo del territorio agro-silvo-pastorale interdetto all'attività venatoria, alla determinazione dei valichi montani ed alle prescrizioni dettate dalla Regione) l’odierna appellante impugnava la delibera di Consiglio Provinciale della Provincia di Bergamo n. 79 del 10 luglio 2013 unitamente agli atti presupposti.

Il T.A.R. Brescia, con sentenza n. 363 del 9 aprile 2014, respingeva integralmente il ricorso.

Avverso la suddetta sentenza la parte appellante è insorta con il gravame in epigrafe, formulando i motivi di seguito sintetizzati.

1) Capo 1.A della sentenza: error in iudicando per palese irragionevolezza, manifesta illogicità e travisamento delle circostanze di fatto poste a base della motivazione con cui il T.A.R. ha ritenuto corretta la prescrizione di sottoporre a VINCA ogni singolo appostamento fisso di caccia già esistente ed autorizzato nei siti di Rete Natura 2000, oltre che gli appostamenti siti sino a 1000 metri di distanza dagli stessi (prescrizioni nn. 15 e 16 VINCA).

2) Capo 1.B della sentenza: error in iudicando, illogicità e travisamento dei fatti posti alla base della decisione con cui è stata respinta la censura relativa alle prescrizioni 17 e 18 del Decreto VINCA 4400/2013, relative al divieto di cambio titolare per i capanni posti entro i 1.000 metri dal SIC Valpredina, di rilascio di nuove autorizzazioni entro lo stesso limite e la possibilità di rinnovo dell'autorizzazione allo stesso titolare comunque solo previa Valutazione di Incidenza Ambientale specifica per il singolo appostamento.

3) Capo 1.C: illogicità della motivazione, error in iudicando, travisamento dei fatti posti alla base della decisione di:

- (punto I) respingere la doglianza relativa alla dedotta illegittimità del procedimento seguito per vietare su tutto il territorio provinciale di impiantare e mantenere piante baccifere alloctone quali la pyracanta, la phytolacca (amaranto) e il ciliegio tardivo entro il raggio di metri 100 dagli appostamenti fissi (prescrizione n. 19 della VINCA Decreto 4400/2013);

- (punto II) giudicare legittima e motivata la prescrizione della VINCA (prescrizione n. 21) con cui la Regione Lombardia ha vietato su tutto il territorio provinciale il ripopolamento e la reintroduzione della pernice rossa (alectoris rufa);

- (punto III) ritenere motivate e ragionevoli le prescrizioni nn. 6, 7, 8, 9, 10 della VINCA riguardanti restrizioni all'attività cinofila nei siti di Rete Natura 2000 e sino a 1000 metri di distanza da essi, il divieto di immissione di selvaggina allevata in tutte le Zone Cinofile istituite nei siti di Rete Natura 2000 e sino a 1000 metri di distanza dagli stessi, nonché il divieto assoluto di istituire zone cinofile e tenere gare cinofile entro il raggio di 1000 metri dai confini del SIC Valpredina;

- (punto IV) ritenere legittima la prescrizione con cui la Regione ha imposto la riperimetrazione della Zona Addestramento Cani "Fontana" secondo cartografie fornite dal Parco dei Colli di Bergamo.

4) Capo 2 della sentenza: error in iudicando, carenza di motivazione, illogicità e contraddittorietà laddove è stata respinta la doglianza attinente il computo del TASP Territorio Agro-Silvo-Pastorale ai fini del calcolo delle percentuali di territorio da destinare a tutela della fauna selvatica.

5) Capo 4 della sentenza: contraddittorietà della motivazione, error in iudicando, erronea interpretazione dei fatti relativamente alla doglianza riferita al calcolo della distanza piana tra appostamenti fissi e di appostamenti fissi da strade e immobili, nonché da istituti di protezione, SIC e ZPS, mediante coordinate GPS.

Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, con separati atti, la Provincia di Bergamo e la Regione Lombardia, chiedendo entrambe la reiezione dell’appello con conferma integrale della sentenza impugnata.

In vista della trattazione del merito tutte le parti hanno depositato memorie conclusive e memorie di replica.

In particolare la parte appellante, con la memoria del 29 ottobre 2021, ha dichiarato di non avere più interesse alla decisione sul motivo V sia in ragione di una modifica della Legge Regionale 26/93 sia in quanto gli organi preposti hanno comunque iniziato a misurare le distanze tra appostamenti con metodologie congruenti alla misurazione delle distanze effettive.

La Provincia di Bergamo ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, atteso che l’approvazione del Piano Faunistico Venatorio provinciale è avvenuta, in vigenza della delega di funzioni di cui alla L.R. 16 agosto 1993, n. 26 e alla L.R. 9 dicembre 2008, n. 31, con deliberazione del consiglio provinciale n. 79 del 10 luglio 2013, che non è stata annullata dal T.A.R. Brescia; precisa che tali funzioni, a far data dal 1 aprile 2016, sono state trasferite alla Regione Lombardia per effetto della L.R. 8 luglio 2015, n. 19 e della L.R. 12 ottobre 2015, n. 32, che hanno dato attuazione alla L. 7 aprile 2014, n. 56 (“Legge Delrio”), il cui art. 1, comma 96, lettera c) prevede che: "l'ente che subentra nella funzione succede anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso".

La parte appellante, nella memoria di replica del 9 novembre 2021 ha sostanzialmente aderito a tale eccezione.

All’udienza pubblica del 30 novembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare va respinta l’istanza di estromissione dal giudizio della Provincia di Bergamo in quanto, pur essendo state le funzioni di che trattasi trasferite, a far data dal 1 aprile 2016, alla Regione Lombardia per effetto della L.R. 8 luglio 2015, n. 19 e della L.R. 12 ottobre 2015, n. 32, gli atti impugnati sono comunque riferibili anche alla Provincia sicchè legittimamente la stessa sta in giudizio per resistere al gravame, quale litisconsorte necessaria, pur con la precisazione che, in ragione della successione ex lege prevista dall’art. 1, comma 96, lettera c), L. 7 aprile 2014, n. 56, l’eventuale effetto conformativo della presente pronuncia non potrà che dispiegarsi esclusivamente nei confronti della Regione subentrante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, ord. n. 1610 del 22 aprile 2016).

Si è in presenza, infatti, di una situazione di riassetto di un apparato organizzativo necessario della pubblica amministrazione configurante una successione nel munus, costituente fenomeno di natura pubblicistica concretizzato nel passaggio di attribuzioni fra amministrazioni pubbliche, con trasferimento della titolarità sia delle strutture burocratiche che dei rapporti amministrativi pendenti, senza soluzione di continuità (v. in tal senso, in fattispecie analoghe, Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3369; id., 24 novembre 2015, n. 5329).

Sempre in via preliminare il ricorso deve essere dichiarato improcedibile quanto al quinto motivo, avendo la parte appellante dichiarato di non avere più interesse alla decisione sul punto.

Quanto ai restanti motivi, l’appello è infondato e va respinto.

2. Con il primo motivo la sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha ritenuto corrette le prescrizioni nn. 15 e 16 VINCA, che impongono di sottoporre a VINCA ogni singolo appostamento fisso di caccia già esistente ed autorizzato nei siti di Rete Natura 2000, oltre che gli appostamenti siti sino a 1000 metri di distanza dagli stessi.

La parte appellante evidenzia che a sensi del DPR 357/97 e del DPR 120/2003, attuativi della Direttiva Habitat, la VINCA deve essere fatta solo per le attività, gli interventi, i progetti e le pianificazioni di nuova realizzazione. Inoltre, gli appostamenti già autorizzati nei SIC e nelle ZPS in sede di pianificazione sono stati tutti censiti mediante georeferenziazione GPS e ne è stata già valutata l'incidenza ambientale, tanto che in essi è stata vietata la caccia in caso di terreno coperto di neve salvo che per le specie cesena e tordo sassello. Sostiene, quindi, che la motivazione della sentenza sarebbe tautologica e illogica.

La sentenza impugnata dopo aver richiamato le premesse del decreto VINCA, ha respinto la censura ritenendo ragionevole la sottoposizione a VINCA di qualunque appostamento fisso (sia o meno esistente) non ancora “direttamente” e “singolarmente” sottoposto a detta indagine, tenuto conto del carattere generale della VINCA effettuata sul Piano Faunistico Venatorio nel suo complesso.

Sull’espansione della predetta valutazione di incidenza al di fuori del perimetro di Rete Natura 2000 e per un’estensione di 1.000 metri, il T.A.R. ha poi ritenuto che tale misura precauzionale sia del tutto ragionevole e si allinei all’obiettivo di conservazione degli habitat e di tutela della flora e della fauna dei siti protetti, in quanto tiene logicamente conto del potenziale sconfinamento delle specie animali anche al di fuori del perimetro astrattamente individuato in sede di regolazione.

L’appellante lamenta che il giudice di prime cure non si sia espresso sulla difformità della previsione dal dettato normativo e, quanto alla doglianza relativa all’estensione della prescrizione, oltre che agli appostamenti esistenti o erigendi all'interno dei SIC e delle ZPS, anche a quelli siti sino a 1000 metri di distanza dagli stessi, osserva che ciò che per il T.A.R. è ragionevole sarebbe, invece, del tutto irragionevole.

2.1. Le riportate censure sono infondate.

L’art. 5 D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 dispone che, nella pianificazione e programmazione territoriale, si deve tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione, quindi impone ai proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistico-venatori e le loro varianti, di predisporre uno studio per individuare e valutare gli effetti che il piano può avere sul sito, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo.

Osserva il Collegio che la riportata disposizione si limita a prescrivere al soggetto proponente (in questo caso) del piano faunistico-venatorio, di predisporre uno studio per individuare e valutare gli effetti che il piano può avere sul sito (di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione), tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo; dunque, diversamente da quanto opina la parte appellante, non preclude affatto che la valutazione di incidenza riguardi anche i siti già esistenti. Anzi è del tutto ragionevole che, proprio in ragione della novità del piano proposto, la valutazione di incidenza sia estesa a qualunque sito, sia esso di nuova individuazione o preesistente.

Non sussiste, quindi, la dedotta contrarietà della prescrizione n. 15 al dettato normativo.

Né, d’altra parte, appare tautologica o illogica la valutazione del T.A.R. relativamente alla prescrizione n. 16, comportante l’espansione della VINCA al di fuori del perimetro di Rete Natura 2000 e per un’estensione di 1.000 metri.

Il Collegio concorda con il primo giudice nel ritenere che si tratti di una misura precauzionale ragionevole e coerente con l’obiettivo di conservazione degli habitat e di tutela della flora e della fauna dei siti protetti.

Non coglie nel segno la tesi delle appellanti secondo cui, poiché lo sconfinamento degli animali sarebbe soltanto temporaneo o di passaggio, sarebbe illogico estendere la VINCA anche oltre il perimetro di Rete Natura 2000. Invero, se lo scopo è quello di preservare l’habitat naturale è ragionevole la prevista estensione essendo fisiologico che alcune specie animali sconfinino anche al di fuori del perimetro di rete Natura 2000 formalmente delimitato in sede di regolazione.

3. Con il secondo motivo viene censurato il capo 1.B della sentenza.

L’appellante non condivide le motivazioni con le quali il T.A.R. ha ritenuto legittime, in quanto ragionevoli, le prescrizioni 17 e 18 del Decreto VINCA 4400/2013, relative al divieto di cambio titolare per i capanni posti entro i 1.000 metri dal SIC Valpredina, di rilascio di nuove autorizzazioni entro lo stesso limite e la possibilità di rinnovo dell'autorizzazione allo stesso titolare comunque solo previa Valutazione di Incidenza Ambientale specifica per il singolo appostamento.

Lamenta, come già fatto in primo grado, che è stata introdotta una fascia di tutela di estensione di dieci volte più grande dell'area oggetto di tutela. Aggiunge che dalle cartografie emerge che la fascia di rispetto, considerata anche la parte che ricade dentro l'Oasi di Valpredina ove la caccia è interdetta in ogni forma, è più larga di almeno sei volte rispetto alla larghezza del SIC: quindi sostiene che il Giudice di prime cure avrebbe travisato i fatti laddove ha fondato il proprio rigetto sulla considerazione che l'area di tutela avrebbe una "estensione in un raggio non eccessivo".

Quindi considera che, se è pur vero che la Provincia, nell'allinearsi alla VINCA regionale emessa "sentito l'Ente Gestore del sito di Rete Natura 2000”, non doveva motivare l'adesione, tuttavia sono proprio le prescrizioni della VINCA (dettate dall'Ente Gestore che deve essere "sentito") ad essere palesemente viziate poiché contrarie ai principi di proporzionalità, non discriminazione, ragionevolezza e la logicità; diversamente opinando si riconoscerebbe agli Enti Gestori dei SIC e delle ZPS un potere decisionale in merito a piani e programmi demandati alla PA nei quali, invece, bisogna tener conto di interessi contrapposti.

La sentenza impugnata, dopo aver dato atto che la prescrizione deriva dal parere (di natura obbligatoria e preliminare ai sensi dell’art. 25 bis, comma 6, L.R. 86/83) dell’Ente gestore del SIC “Valpredina”, ha affermato che la stessa non risulta incongrua alla luce del punto di partenza già esaminato, ossia il giudizio sfavorevole sulla presenza di appostamenti fissi nelle aree di Rete Natura 2000: quindi ha considerato che l’estensione in un raggio (ritenuto) non eccessivo dell’area di tutela appare conforme allo spirito della richiamata direttiva europea in materia di protezione della flora e della fauna.

3.1. Osserva il Collegio che le doglianze di parte appellante si incentrano, in estrema sintesi, sull’aggettivo “non eccessivo” utilizzato dal primo Giudice con riferimento al raggio di estensione dei divieti in parola, raggio che, invece, l’appellante, dal suo punto di vista, ritiene sproporzionato ed eccessivamente penalizzante per la caccia.

Ciò posto, il Collegio ritiene che le considerazioni del Giudice di primo grado siano condivisibili, rilevando al contempo che la parte appellante, più che rappresentare nello specifico indici rivelatori della irragionevolezza del limite così fissato, esprime in realtà il proprio non gradimento della prescrizione in parola, accampando il generico disagio di vedersi interdire alla caccia una zona che ritiene troppo ampia alla stregua di parametri soggettivi piuttosto che oggettivamente comparabili.

Condivisibile è anche la considerazione del T.A.R. di non irragionevolezza della prescrizione alla luce del principio comunitario di precauzione di cui all’art. 191, par. 2, del Trattato dell’Unione Europea, che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere la protezione di tali valori sugli interessi economici, anche indipendentemente dall'accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli che ne derivano.

Si tratta di un principio che assume particolare rilevanza in tema di attività venatoria (cfr. d recente, Cons. Stato, Sez. III, 1 dicembre 2020, n. 7609).

Il motivo è, dunque, infondato e va respinto.

4. Con il terzo motivo la parte appellante ripropone le censure formulate in primo grado contro:

- la prescrizione n. 19 che vieta su tutto il territorio provinciale di impiantare e mantenere piante baccifere alloctone quali la pyracanta, la phytolacca (amaranto) e il ciliegio tardivo entro il raggio di metri 100 dagli appostamenti fissi: sostiene che la prescrizione sarebbe immotivata e non sarebbe stata preceduta da attenta istruttoria;

- la prescrizione n. 21 con cui si è vietato su tutto il territorio provinciale il ripopolamento e la reintroduzione della pernice rossa (alectoris rufa) laddove, invece, la Provincia di Bergamo nel parere motivato ambientale aveva proposto (ai fini della tutela di SIC e ZPS e di evitare eventuali fenomeni di ibridazione con a coturnice in Zona Alpi) di vietare i ripopolamenti di pernice rossa nelle aree in cui è presente la coturnice e di vietarne il ripopolamento se non a determinate distanze (1000 metri) da SIC e ZPS a fronte di accurato studio sull'areale di spostamento ed eventuale erratismo degli esemplari appartenenti a questa specie;

- le prescrizioni nn. 6, 7, 8, 9, 10 della VINCA riguardanti restrizioni all'attività cinofila nei siti di Rete Natura 2000 e sino a 1000 metri di distanza da essi, il divieto di immissione di selvaggina allevata in tutte le Zone Cinofile istituite nei siti di Rete Natura 2000 e sino a 1000 metri di distanza dagli stessi, nonché il divieto assoluto di istituire zone cinofile e tenere gare cinofile entro il raggio di 1000 metri dai confini del SIC Valpredina: obietta che il Decreto Pecoraro Scanio del 17 ottobre 2007 ha dettato non solo i limiti in cui si può esercitare la caccia nei siti di Rete Natura 2000, ma ha anche consentito in essi l'addestramento dei cani, sicché il divieto introdotto sarebbe immotivato;

- la prescrizione n. 14 che impone la riperimetrazione della Zona Addestramento Cani "Fontana" secondo cartografie fornite dal Parco dei Colli di Bergamo laddove, invece, il Decreto Pecoraro Scanio consente l'addestramento cani anche dentro i SIC, ritenendo dunque l'attività cinofila regolamentata non dannosa.

4.1. Anche le censure testé riportate sono infondate.

4.1.1. Il T.A.R. ha premesso che phytolacca, pyracanta e ciliegio selvatico sono specie vegetali alloctone (extra-europee), di notevole interesse alimentare per numerose specie di uccelli (in particolare i passeriformi) attratti dai frutti prodotti da tali piante coltivate presso gli appostamenti fissi. Su tale presupposto il primo Giudice correttamente, a parere del Collegio, ha affermato che il presupposto e al contempo il fine di non compromettere gli habitat naturali per l’espansione crescente e invasiva di specie selvatiche alloctone vegetali appare più che giustificato: ciò sulla base della documentazione istruttoria versata in atti e richiamata in sentenza.

4.1.2. Quanto al divieto di ripopolamento e/o introduzione e/o reintroduzione della pernice rossa (che non è originaria della zona Alpina) su tutto il territorio provinciale, il decreto regionale di VINCA (pag. 21), come correttamente riportato dal primo giudice, afferma che la pernice rossa, come evidenziato dalla letteratura scientifica di settore, “è da considerarsi a tutti gli effetti specie alloctona per la pianura padana nella zona alpina” e che “tra le prime cause riconosciute di perdita di biodiversità vi sia la presenza di specie alloctone”, per cui si giustifica il divieto di immissioni “sia da un punto di vista scientifico sia conservazionistico”.

Osserva il Collegio che si tratta di prescrizione fondata su dati e studi scientifici la cui attendibilità non è scalfita dalle argomentazioni, peraltro generiche, dell’appellante. Né può costituire motivo di allentamento della rete di protezione degli habitat naturali la considerazione che le condizioni di tali habitat siano già compromesse, considerazione che, semmai, può giustificare il potenziamento degli obiettivi di tutela e non l’allentamento. D’altra parte, il fatto che l’Alectoris rufa sia una specie alloctona in grado di compromettere la biodiversità, appare ragione scientifica sufficiente a giustificarne il divieto di immissione su tutto il territorio provinciale.

4.1.3. Va condivisa la motivazione della sentenza impugnata anche nella parte relativa alle prescrizioni n. 6, 7, 8, 9, 10 della VINCA riguardanti: le restrizioni imposte all'attività cinofila nei siti di Rete Natura 2000 e sino a 4.1.3. 1000 metri di distanza da essi, il divieto di immissione di selvaggina allevata in tutte le Zone Cinofile istituite nei siti di Rete Natura 2000 e sino a 1000 metri di distanza dagli stessi, il divieto assoluto di istituire zone cinofile e tenere gare cinofile entro il raggio di 1000 metri dai confini del SIC Valpredina.

Premesso che il Piano Faunistico Venatorio è la sede normativa deputata a disciplinare “le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani, ai sensi dell’art. 14, comma 3, lett. f) L.R. 26/93, come ricordato dal T.A.R. bresciano, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 193 del 17 luglio 2013, ha affermato che la disciplina dell’attività di allenamento e addestramento dei cani da caccia rientra nel concetto di attività venatoria, sicché anch’essa è soggetta alla pianificazione con le medesime modalità procedimentali e con le connesse garanzie sostanziali.

Il decreto VINCA sottolinea che “lo Studio di incidenza e le sue integrazioni, valutano potenzialmente negativa la presenza di zone cinofile, indicando quali misure di mitigazione le norme previste dalla pianificazione stessa per i siti della Rete Natura 2000”; si può quindi concordare con il primo Giudice che tali statuizioni intendono contemperare le aspirazioni dei portatori di interessi allo svolgimento delle gare con quelli (prevalenti) di tutela della fauna, che appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale.

La prescrizione n. 9 impone una maggior tutela per il SIC Valpedrina, per il quale si afferma la necessità di mitigare l’incidenza derivante dall’uso a fini venatori di cani da caccia che potenzialmente possono sconfinare nel SIC o addirittura nella riserva naturale disturbando la zoocenosi presente (cfr. pagg. 8/9 decreto VINCA).

La prescrizione n. 10 sul divieto di immissione di fauna allevata nelle zone cinofile istituite nei siti Rete Natura 2000 o nel raggio di 1000 metri, è collegata al rischio “che l’introduzione di grossi contingenti di esemplari di allevamento comporta frequentemente squilibri nei ripopolamenti faunistici locali, a causa della conseguente competizione limitare e dell’integrazione aggressiva verso esemplari selvatici di altre specie con analoga ecologia. La presenza di fonti alimentari facili abbondanti, costituito dalla fauna immessa, può determinare l’incremento dei predatori, con conseguenze anche sui ripopolamenti selvatici al momento in cui venissero a mancare gli esemplari immessi” (cfr. decreto VINCA pag. 22).

Osserva il Collegio che le motivazioni su cui si fondano le contestate prescrizioni appaiono congrue e conformi allo spirito della direttiva Habitat. D’altra parte le argomentazioni di parte appellante, ancora una volta, sono mere espressioni di non gradimento delle limitazioni in rassegna ma non prospettano evidenze scientifiche di segno contrario, tali da confutare quelle acquisite nel corso della complessa istruttoria.

4.1.4. Né coglie nel segno, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 193/2013 cit., la censura sulla prescrizione n. 14, riguardante la riperimetrazione della Zona Addestramento Cani "Fontana" secondo le cartografie fornite dal Parco dei Colli di Bergamo. La tesi dell’appellante è che l’attività cinofila in Italia sia a tutti gli effetti un'attività sportiva, che solo marginalmente coinvolge l'attività venatoria.

La prescrizione, peraltro, risulta motivata sulla base del parere preliminare e obbligatorio dell’Ente gestore dei Siti coinvolti, condizionato all’introduzione di una “fascia cuscinetto”, resa necessaria dalla contiguità con la zona a Parco Naturale e dal possibile disturbo per gli animali ivi presenti, in considerazione della libertà di movimento dei cani durante l’addestramento e al rischio di sconfinamento nei siti protetti.

5. Non ha miglior sorte il quarto motivo, con cui l’appellante ripropone le critiche, già svolte in primo grado, sulla metodologia di calcolo applicata dalla Provincia per l'individuazione della superficie del TASP "produttivo a fini faunistici" o "utile alla fauna selvatica" e, conseguentemente, della percentuale di esso da interdire all'attività venatoria e da destinare a tutela della fauna selvatica.

Sintetizzando le argomentazioni sul punto, l’appellante ritiene che sia errato il conteggio del TASP produttivo a fini faunistici.

Ricorda l’appellante che, ai sensi della L. 157/92, le Regioni devono destinare a protezione della fauna quote di territorio agro-silvo-pastorale (TASP) dal 10% al 20% in zona Alpi e dal 20% al 30% nel restante territorio, mentre l’art. 13, comma 3, L.R. 26/93 stabilisce che, al fine di calcolare il TASP della Regione destinato a tutela, debba essere conteggiato anche quello chiuso alla caccia per effetto di altre leggi nonché delle norme di cui agli artt. 17 (Oasi di Protezione), 18 (Zone di Ripopolamento e Cattura), 37 (Fondi chiusi) e 43 (divieti) della stessa L.R. 26/93. Quindi sostiene che si sarebbero dovute conteggiare anche tutte quelle aree di TASP ove la caccia non è consentita, seppur principalmente per motivi di sicurezza pubblica chiamate "fasce di rispetto" e, ai fini cartografici, "buffer stradali".

La Provincia, invece, ha ritenuto di non poter conteggiare dette fasce nel computo del territorio agro-silvo-pastorale chiuso alla caccia ai sensi dell'art. 13, comma 3, L.R. 23/96, dovendo ottemperare alla sentenza 1532/2010 del T.A.R. Brescia.

Ricorda l’appellante che il Consiglio di Stato, in una sentenza pubblicata a distanza di pochi giorni da quella del T.A.R. Brescia, ha affermato che sarebbero correttamente computate, nelle quote di territorio destinate a tutela, non solo le "aree protette" in senso stretto, ma tutte quelle aree chiuse alla caccia a vario titolo, purché costituenti territorio agro-silvo-pastorale, ivi comprese le fasce di rispetto stradali ove qualificabili come territorio produttivo a fini faunistici dalla Regione.

Ciò posto, l’appellante critica la sentenza impugnata laddove ha affermato che, quanto alla mancata decurtazione, dal totale del territorio, delle fasce di rispetto (buffer stradali) nella loro globale estensione, la misura standard individuata (ossia quella di 10 mt. per lato) non appare illogica nella prospettiva della maggior tutela della fauna ed ha ritenuto «accettabile l'opzione di inserire i buffer nella stima complessiva per poi escluderli in sede di determinazione della quota "protetta"».

Afferma l’appellante:

- che una simile motivazione (maggior tutela della fauna) non sarebbe rinvenibile nell’iter di approvazione del piano;

- che sarebbe illogico considerare i buffer nel calcolo totale del TASP per poi escluderli dal calcolo del TASP protetto;

- che la percentuale di TASP chiuso alla caccia deve essere computata a livello regionale, con la conseguenza che la definizione delle quote di territorio chiuse alla caccia sarebbe dovuta essere frutto di coordinamento con le altre Province;

- che la sentenza impugnata sarebbe intrinsecamente contraddittoria laddove ha ritenuto che la Provincia, nonostante il diverso orientamento del Consiglio di Stato di pochi giorni dopo, ha deciso di attenersi alla sentenza del T.A.R. Brescia n. 1532/2010;

- che comunque la corretta esecuzione della citata sentenza del 2010 avrebbe dovuto comportare non solo l’esclusione delle fasce di rispetto stradali e delle aree protette già dal TASP di base ma, altresì, l’esclusione delle fasce di rispetto stradale non nella misura di 10 metri da ogni lato per ogni metro lineare (come ha fatto la Provincia), bensì di 50 metri per ogni metro.

5.1. Al fine di inquadrare le doglianze formulate con il motivo in esame, è necessario fare un passo indietro, tornando alle statuizioni rese sul punto dalla sentenza n. 1532/2010, non impugnata e, dunque, passata in giudicato.

Al capo 19 la citata pronuncia, dopo aver illustrato il contenuto e il significato delle disposizioni contenute nella L.R. 16 agosto 1993 n. 26, ha dato una lettura costituzionalmente orientata delle modifiche alla stessa apportate dalla L.R. 27 febbraio 2007 n. 5, affermando, per quanto in questa sede rileva, che “ai sensi della normativa così interpretata, sicuramente potrà far parte della quota protetta di TASP un territorio ove la caccia è vietata ai sensi del comma 1 lettera b), perché si tratta di area protetta; non già il territorio delle già ricordate fasce di rispetto stradali, ferroviarie e urbane”.

Al successivo capo 20 ha precisato che dalla CTU espletata era invece risultato “che parte significativa del TASP protetto individuato dal Piano è costituito dai buffer predetti, e quindi da terreni inidonei a svolgere la richiesta funzione di protezione dei selvatici. In senso conforme, del resto, anche il D.P.R. 21 febbraio 2006 su parere del C.d.S. sez. II 6 aprile 2005 in pratica 2728/2003 (doc. 3 Provincia, cit.), citato in premesse, che come si è detto in sede di ricorso straordinario ebbe ad annullare una precedente versione del PFV bergamasco proprio per avere incluso i buffer stradali nella quota di TASP protetto, del quale, contrariamente a quanto dedotto dall’Amministrazione, non si è ritenuto di tener conto”. Sulla base di tali rilievi la sentenza in rassegna ha annullato il Piano (anche) sotto questo profilo, “che l’Amministrazione dovrà effettivamente considerare nel riesercitare il proprio potere”.

5.2. Le riportate statuizioni depongono innanzitutto per la correttezza della sentenza in questa sede impugnata (n. 363/2014) laddove ha affermato che “la Provincia di Bergamo ha scelto di non valorizzare – tra le percentuali di territorio protetto – le aree di rispetto stradale e le linee ferroviarie … alla luce della sentenza n. 1532/2010 di questa Sezione (divenuta irrevocabile)” aggiungendo che “la nuova scelta compiuta appare comunque legittima, alla luce del principio “formale” di attuazione del giudicato amministrativo e del valore “sostanziale” della prevalenza della tutela dell’ambiente e dell’habitat naturale sugli interessi venatori”.

Osserva il Collegio che risulta condivisibile l’affermazione del T.A.R. lombardo secondo cui, nella riedizione del potere a seguito dell’annullamento, la Provincia dovesse necessariamente seguire le indicazioni fornite dalla sentenza n. 1532/2010 in ossequio al formale principio di attuazione del giudicato amministrativo, anche se una decisione successiva di questo Consiglio, su altra vicenda, aveva espresso un orientamento in parte diverso.

5.3. Anche in ordine alle diverse modalità di calcolo del TASP “di base” e del TASP "produttivo", ovvero "utile alla fauna", la sentenza impugnata non palesa la contraddittorietà che l’appellante le attribuisce.

Invero alle pagine 30-37 del Piano la Provincia illustra le modalità seguite, consistite nello scandire in 4 fasi il calcolo ossia:

1° Fase - Individuazione dell’improduttivo faunistico secondo le classi d’uso del suolo contenute nel DUSAF 2007;

2° Fase - Individuazione delle poligonazioni DUSAF per le classi 332 e 335 sopra i 2.700 mt. di altitudine e per le classi 5121 e 5122 sopra i 2.000 mt. di altitudine;

3° Fase - Calcolo della superficie del sedime della rete viaria (strade ex statali e provinciali) non considerate nelle delimitazioni DUSAF 2007;

4° Fase - Determinazione della TASP provinciale.

In particolare il Piano spiega che “Il calcolo del Territorio agro-silvo-pastorale della provincia di Bergamo è stato effettuato seguendo un’unica procedura, ovvero sottraendo dal totale della superficie territoriale provinciale tutte le superfici considerate improduttive, di origine antropica o naturale. Nel dettaglio, sono state sottratte alla superficie totale provinciale tutte le perimetrazioni elencate nella 1° fase, nonché la superficie del sedime stradale, le cui modalità di calcolo sono illustrate nella 3° Fase. Il territorio agro-silvo-pastorale (TASP) della provincia di Bergamo, ottenuto come sopra descritto, ha una superficie pari a Ha 233.304,18. Per i dati conseguentemente derivati, riguardanti la superficie totale del territorio di ogni singolo ATC e Comprensorio Alpino, la TASP dei medesimi, la superficie totale delle aree protette, la TASP delle medesime e le quote percentuali destinate a protezione della fauna selvatica ai sensi dell’art. 13, c. 3, della L.R. 16.08.1993, n. 26, si rimanda agli appositi cartigli dei singoli allegati cartografici”.

Dalle modalità seguite dalla Provincia emerge che l’individuazione del TASP di base ben poteva comprendere anche le fasce di rispetto, trattandosi di aree comunque caratterizzate dalla presenza di vegetazione, pur non essendo zone nelle quali la fauna possa vivere stabilmente e riprodursi in modo relativamente indisturbato; diversa attenzione doveva, invece, essere riservata al TASP produttivo, destinato alla protezione della fauna, per l’individuazione del quale la sentenza n. 1532/2010 aveva chiaramente indicato doversi escludere le fasce di rispetto.

5.4. Parimenti non è ravvisabile alcuna illogicità nella sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto non irragionevole “la misura standard individuata”: il riferimento è alla quantificazione della fascia di rispetto stradale in 10 mt. per lato e non di 50 mt. per lato, come preteso dall’appellante.

A quanto risulta dagli atti di causa le fasce di rispetto sono di 25 metri per lato per le strade statali e provinciali, 5 metri per lato per le strade comunali e 50 metri per lato per autostrade e ferrovie. Appare evidente, dunque, che l’individuazione di mt. 10 rappresenta un valore medio che condivisibilmente il T.A.R. ha ritenuto non irragionevole, a prescindere dall’affermazione, che resta del tutto neutrale, che ciò sia stato fatto per la “maggior tutela della fauna”.

5.5. Quanto, infine, alla doglianza per cui, ai sensi dell’art. 13 L.R. 26/93 e dell’art. 10, comma 3, L. 157/92, che stabiliscono che le percentuali di territorio chiuso alla caccia debbano essere computate e rispettate a livello regionale, va condiviso il ragionamento del primo Giudice secondo cui la mancanza di un Piano faunistico approvato dalla Regione non impedisce l’espletamento delle dovute funzioni di regolazione da parte degli Enti locali.

In proposito il T.A.R. ha pure osservato che il quadro pianificatorio in materia faunistico venatoria non è completamente assente, dato che la sentenza n. 1532/2010 non ha esteso il suo “effetto caducante” nei confronti del Piano Faunistico Venatorio 2006 (emendato nel 2007) e che l’art. 14 L.R. 26/93, novellato dalla L.R. 19/2006, dispone che i PFV continuino a esplicare i loro effetti, fino a quando non siano espressamente modificati.

Va condivisa anche la considerazione di chiusura secondo cui sarebbe comunque privo di senso lasciare il territorio agro-silvo-pastorale provinciale privo di pianificazione in attesa del futuro intervento regionale, in quanto alla stessa fauna selvatica non sarebbe accordato un sufficiente grado di tutela derivante dalla puntuale individuazione di aree protette.

Si può richiamare in proposito quanto affermato da questo Consiglio, in una fattispecie in cui era stato impugnato un piano faunistico venatorio regionale, laddove, nel disporre il solo effetto conformativo senza annullamento, specificando che gli atti impugnati in primo grado conservassero i propri effetti sino a che la Regione li avesse modificati o sostituiti, la sentenza ha aggiunto che “Sarebbe infatti contrario al buon senso, oltre che in contrasto con l’interesse fatto valere in giudizio, disporre l’annullamento ex tunc o ex nunc delle misure di tutela già introdotte, sol perché esse siano risultate insufficienti (non essendovi, né essendo stata prospettata, una normativa suppletiva di salvaguardia)” (Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755).

Conclusivamente, per tutto quanto precede, l’appello, quanto ai motivi per i quali residua l’interesse, deve essere respinto.

6. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la parte appellante alla rifusione, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 3.000,00 (tremila) oltre oneri di legge in favore della Provincia di Bergamo e in € 3.000,00 (tremila) oltre oneri di legge in favore della Regione Lombardia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2021, con l'intervento dei magistrati:

Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere, Estensore