Cass. Sez. III n. 22252 del 4 giugno 2008 (Cc. 24 apr. 2008)
Pres. Vitalone Est. Squassoni Ric. D’ambra
Beni Ambientali. Attività di cava

In materia di coltivazione delle cave, la competenza esclusiva riconosciuta alla Regione Siciliana dallo Statuto speciale ( art.14 lett.f e lett.h) non limita l\'ambito della tutela penale in materia ambientale. In particolare, LR 127-1980 prevede che l\'autorizzazione del Distretto Minerario possa essere rilasciata quando il parere dell\' autorità preposta alla tutela del vincolo, richiesto, non sia stato comunicato nel termine di sessanta giorni. Tale disposizione significa solo che la autorizzazione amministrativa alla conduzione della cava può prescindere dal parere espresso della Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali ; la norma non introduce una eccezione alla necessità del nulla asta ambientale per le attività estrattive che si svolgono in zone tutelate.
Rientrano tra le aree vincolate ex lege quelle gravate da uso civico; in questi territori- per raggiungere il risultato di un equilibrato sviluppo ed evitare danni al paesaggio- gli interventi, pur possibili, devono svolgersi secondo le linee programmate dalla autorità amministrativa e previa autorizzazione ambientale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Magistrati: Camera di consiglio
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 24/04/2008
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 00489
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 003864/2008
ha pronunciato la seguente: N. 41183/2007



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) D\'AMBRA VINCENZO, N. IL 14/09/1942;
avverso ORDINANZA del 25/10/2007 TRIB. LIBERTÀ di MESSINA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
sentite le conclusioni del P.G. Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori Avv. SBACCHI Gioacchino del Foro di Palermo, Avv. GULLINO Alberto del Foro di Messina.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L\'indagato D\'ambra Vincenzo ha proposto ricorso per Cassazione per l\'annullamento della ordinanza 27 settembre 2007 con la quale il Tribunale di Messina ha respinto la richiesta di riesame di un sequestro preventivo che grava sulla intera area di una cava, compresi stabilimenti e macchinari, situata nel Comune di Lipari evidenziando la configurabilità dei reati previsti del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, art. 734 c.p..
Lo stesso indagato ha proposto ricorso per Cassazione avverso la ordinanza 25 ottobre 2007 del Tribunale di Messina che ha confermato il sequestro preventivo di un\' altra aera utilizzata dal D\'Ambra per la gestione della cavaci tenendo ipotizzabili i reati di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, art. 633 c.p..
Alla odierna udienza, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, i due ricorsi sono stati riuniti.
Tanto premesso, si osserva che i Giudici hanno ritenuto il territorio sottoposto a vincolo paesaggistico a sensi della L. n. 1497 del 1939, e della L. n. 431 del 1985, e successive modificazione in quanto gravato da usi civici e vulcani; il Piano Territoriale Paesaggistico delle Isole Eolie ha previsto, tra gli usi civici da tutelare, l\'estrazione della pomice in forme tali da non compromettere la sussistenza del bene; la L.R. n. 2 del 2001, art. 89, comma 5, ha stabilito che le norme del Piano Territoriale Paesaggistico non si applichino se in contrasto con l\'uso civico di estrarre la pomice nella sua originaria estensione.
Tale disciplina, a parere dei Giudici, non esonerava l\'interessato dal richiedere il preventivo nulla osta paesaggistico che è carente nel caso concreto; l\'esercizio della cava, inoltre, era illegittimo dal 31.12 2005 anche perché l\'autorizzazione del Distretto Minerario aveva perso efficacia.
Nonostante ciò, l\'indagato aveva proseguito l\'attività come dimostrano le investigazioni effettuate in relazione alle quali i Giudici hanno disatteso la prospettazione inerente alla violazione dei diritti della difesa.
In merito al reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, i Giudici hanno evidenziato che in una area fossero depositati residui della lavorazione della pomice (ed "fuori vaglio" e "lapilli") per i quali non era provata la destinazione al riutilizzo; per questa ragione e per la mancanza di un progetto approvato dalla autorità amministrativa competente, il Tribunale ha escluso l\'esonero dalla disciplina dei rifiuti previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186, (sulle terre e le rocce da scavo). Anche la fattispecie dell\'art. 734 c.p., è stata ritenuta configuratale dai Giudici per l\'alterazione delle bellezze naturali del luogo.
Per quanto concerne il residuo delitto, il Tribunale ha rilevato come la mera disponibilità del Sindaco (con nota 2973 del 14 febbraio 1982) allo stoccaggio del materiale non consentisse allo indagato l\'occupazione del suolo demaniale.
Infine, il Tribunale ha osservato come la libera disponibilità della cava potesse agevolare la reiterazione delle condotte illecite e che, inoltre, il sequestro fosse applicabile a sensi dell\'art. 321 c.p.p., comma 2, trattandosi di beni confiscabili.
Nelle censure del ricorso per Cassazione, l\'indagato deduce difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che sia il Piano Paesaggistico sia la L.R n. 2 del 2001 escludono qualsiasi intento liquidatorio degli usi civici estrattivi "nella originaria estensione" che è quella delineata dalla L. n. 10 del 1908, che non prevedeva limitazioni alla estrazione della pomice;
- che l\'uso civico de quo è tutelato direttamente dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, e dalla L.R. n. 2 del 2001, per cui il relativo esercizio non costituisce alcuna violazione dei vincoli ambientali;
- che i piani di coltivazione della cava sono stati sottoposti, a cura della autorità preposta alla vigilanza della attività estrattiva, al Sovrintendente competente che ha valutato la compatibilità paesaggistica;
- che le indagini sulla localizzazione del prelievo (finalizzato a verificare la continuazione della attività di escavazione) avrebbero dovuto essere effettuate con le forme garantite dell\'art. 360 c.p.p.;
- che i materiali depositati non costituivano rifiuti in quanto destinati al riutilizzo come risulta dal piano di coltivazione della cava: sul punto, il Tribunale ha fatto riferimento alla disciplina delle terre e rocce da scavo non applicabile al caso;
- che la violazione dell\'art. 734 c.p., non è configurabile stante la mancanza di distruzione delle bellezze naturali;
- che il provvedimento autorizzatorio 14 febbraio 1982 del Sindaco gli consentiva il possesso e la piena disponibilità dell\'area demaniale per cui la fattispecie dell\'art. 633 c.p., è inesistente;
- che i beni non erano sequestrabili a sensi dell\'art. 321 c.p.p., comma 2, non essendo passibili di confisca;
- che i Giudici non hanno risposto alla richiesta di limitare il vincolo reale alla sola area ove era reperibile la ed "roccia madre". La Corte rileva che censure del ricorrente sono meritevoli di accoglimento nel limite in prosieguo precisato per cui i provvedimenti impugnati devono essere annullati con rinvio al Tribunale di Messina.
L\'esercizio della attività di cava è subordinato al rilascio della autorizzazione amministrativa di competenza del Distretto Minerario di cui il D\'Ambra era munito sino alla data del 1 maggio 2006. Successivamente a tale epoca, l\'estrazione non può considerarsi legittima per carenza del provvedimento autorizzatorio; la sentenza 12 aprile 2007 del Tar, citata dal ricorrente, gli permette solo la commercializzazione dei prodotti lapidei esistenti e non la loro ulteriore estrazione.
Tuttavia, il tema della autorizzazione amministrativa non è rilevante dal momento che la sua mancanza configura un illecito amministrativo inconferente in questa sede.
Essenziale, invece, è la problematica sulla necessità della autorizzazione ambientale esclusa dal ricorrente sotto un duplice profilo: sia per il rilievo che l\'uso civico di estrarre la pomice è tutelato in se dalla normativa di riferimento statale e regionale sia per la circostanza che era munito della autorizzazione del Distretto Minerario (rilasciata previa emissione di tutti i necessari pareri). Le prospettazioni non sono condivisibili.
In materia di coltivazione delle cave, la competenza esclusiva riconosciuta alla Regione Siciliana dallo Statuto speciale (art. 14 lett. f e lett. h) non limita l\'ambito della tutela penale in materia ambientale.
In particolare, L.R. n. 127 del 1980, prevede che l\'autorizzazione del Distretto Minerario possa essere rilasciata quando il parere dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo, richiesto, non sia stato comunicato nel termine di sessanta giorni.
Tale disposizione significa solo che la autorizzazione amministrativa alla conduzione della cava può prescindere dal parere espresso della Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali; la norma non introduce una eccezione alla necessità del nulla osta ambientale per le attività estrattive che si svolgono in zone tutelate (Cassazione, Sezione, 3 sentenza n 107/1997).
Rientrano tra le aree vincolate ex lege quelle gravate da uso civico;
in questi territori - per raggiungere il risultato di un equilibrato sviluppo ed evitare danni al paesaggio - gli interventi, pur possibili, devono svolgersi secondo le linee programmate dalla autorità amministrativa e previa autorizzazione ambientale. La circostanza che l\'uso civico sia l\'oggetto diretto di tutela (come del resto tutti i beni individuati per categoria dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142) non esonerava l\'indagato dal munirsi del nulla osta ambientale. Il rilievo difensivo sulla esistenza della autorizzazione del Distretto Minerario, preceduta dai necessari pareri, non ha incidenza sul reato; le valutazioni per l\'esercizio della attività della cava hanno scopo ed ambito diverso da quelle necessarie per la protezione delle zone vincolate.
Di conseguenza - poiché i piani di coltivazione della cava dovevano essere sottoposti ad un duplice controllo - è configurabile la violazione del D.Lgs. 42 del 2004, art. 181, in relazione al quale il momento di cessazione della permanenza, connessa alla verifica della ultimazione della attività estrattiva, è stata fissato dai Giudici nella data dei sequestri; secondo la tesi difensiva, tale epoca sarebbe coincidente con la scadenza della autorizzazione amministrativa alla gestione della cava.
Tale questione, rilevante per i Giudici del procedimento principale (per la individuazione della prescrizione e della pena) non ha incidenza nel presente procedimento in quanto non influisce sulla configurabilità del reato.
Sussiste, pure il ed fumus per la contravvenzione prevista dall\' art. 734 c.p.; sul punto, si rileva come l\'estrazione della pomice effettuata con le moderne tecnologie, non possa rispettare l\'originaria estensione dell\'uso, collegata a metodi manuali, con conseguente alterazione della originaria bellezza del luogo. A diversa conclusione si deve pervenire per quanto concerne il reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2. In fatto è stato accertato che ricorrente depositava prodotti della lavorazione della pomice (scarti del processo produttivo e lapilli) nella area di proprietà comunale; il Pubblico Ministero ha ritenuto che tali materiali fossero qualificabili come rifiuti e che il loro deposito, o abbandono incontrollato, integrasse la violazione della ricordata norma.
Anche il Tribunale ha reputato che il materiale fosse da considerarsi rifiuto in relazione al quale non era applicabile la ipotesi derogatoria prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186, in mancanza di prova del loro effettivo riutilizzo.
La Corte non condivide questa conclusione in quanto il referente normativo utilizzato dal Tribunale non è puntuale; non è applicabile la disposizione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186 (che disciplina le "terre da roccia e da scavo" ed i "residui della lavorazione della pietra"), ma quella più specifica in tema di cave. Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 1, escludeva dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti "in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge" i materiali provenienti dallo sfruttamento delle cave;
l\'esonero era subordinato alla circostanza che il materiale fosse soggetto a diversa disciplina.
Il D.Lgs. n. 152 del 2006 (art 185) ha riprodotto la ricordata esclusione eliminando il riferimento alle specifiche disposizioni;
pertanto, il materiale di cava era, senza condizioni, non qualificabile rifiuto.
Il recente D.Lgs. n. 4 del 2008 ha reinserito la clausola di riserva per cui l\'attuale disciplina in materia è sovrapponibile a quella dello abrogato D.Lgs. n. 22 del 1997.
In presenza di questa successione di norme, non è essenziale puntualizzare il tempus commissi delicti; con riferimento sia al D.Lgs. n. 152 del 2006, sia alla normativa anteriore e posteriore, il materiale non poteva essere incluso nel novero dei rifiuti dal momento che la Regione Siciliana ha introdotto specifiche disposizioni in tema di sfruttamento delle cave.
Consegue che il sequestro, per la parte in esame, non è legittimo. Per quanto riguarda il reato previsto dall\'art. 633 c.p., la conclusione dei Giudici richiede un ulteriore vaglio ed approfondimento alla luce della tesi difensiva.
L\'indagato non nega la occupazione del suolo pubblico, ma sostiene che l\'immissione nel possesso è stata legittima per la non equivoca disponibilità in tale senso della Pubblica Amministrazione. A corroborare l\'assunto, si pone la circostanza che il possesso è stato pacifico e continuo e l\'esistenza della ricordata nota sindacale (non inserita negli atti in visione di questa Corte) della quale il Tribunale e l\'indagato offrono una diversa, e plausibile, interpretazione; alla individuazione della esatta esegesi, provvederà il Tribunale in sede di rinvio.
I nuovi Giudici dovranno, pure, riesaminare la problematica delle esigenze di cautela in riferimento alla eliminazione del reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, (con conseguente inapplicabilità della ipotesi di sequestro prodromico alla confisca di cui all\'art. 321 c.p.p., comma 2) ed alla determinazione che assumeranno per il delitto di occupazione abusiva di suolo pubblico. Questa Corte, pur avendo rilevato la non configurabilità della contravvenzione in materia di rifiuti, non ritiene provvedere al dissequestro ; dal testo dei provvedimenti in esame, risulta che i beni sono stati vincolati sia per impedire la continuazione della condotta antidoverosa in relazione al reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 sia per inibire la protrazione della attività di cava e conseguente reato ambientale.
P.Q.M.
La Corte:
Annulla le ordinanze impugnate con rinvio al Tribunale di Messina. Così deciso in Roma, il 24 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2008