Cass. Sez. III n. 40982 del 4 ottobre 2013 (Ud. 26 giu 2013)
Pres. Fiale Est. Sarno Ric. Pucillo
Caccia e animali. Caccia ai fringillidi
Per i fringillidi occorre distinguere tra specie di cui è fatto divieto assoluto di caccia da quelle per le quali è ammessa la c.d. caccia in deroga. Solo le prime rientrano nella lettera b) dell'art. 30 della L. 157/92, mentre per le altre specie si renderà applicabile la lettera h) della medesima disposizione. Poiché non vi sono limitazioni di carattere numerico, la lettera b) dell'art. 30 citato è configurabile nel caso in cui anche uno solo degli esemplari rientri tra quelli indicati al paragrafo precedente. Anche per la lettera h) è sufficiente - salva l'esistenza di normativa regionale - un solo esemplare e dunque per configurare la violazione della lettera h) non si rende necessario, di regola, accertare che gli esemplari siano in numero superiore a cinque.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. FIALE Aldo - Presidente - del 26/06/2013
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - SENTENZA
Dott. SARNO Giulio - rel. Consigliere - N. 1936
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere - N. 2910/2013
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
PUCILLO GIUSEPPE N. IL 05/10/1945;
avverso la sentenza n. 554/2009 TRIB. SEZ. DIST. di EBOLI, del 20/04/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SARNO GIULIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il tribunale di Salerno, con una sentenza in epigrafe, ha condannato Pucillo Giuseppe alla pena dell'ammenda, ritenendolo responsabile delle contravvenzioni di cui all'art. 81 cpv. c.p.p., L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. b), e) ed h), per avere esercitato l'uccellagione di fauna selvatica ed in particolare di cardellini con l'impiego di reti, nonché per avere detenuto e catturato esemplari appartenenti a specie protette inserite negli allegati 1 e 2 della convenzione di Berna del 19 settembre 1979 in numero superiore a cinque esemplari.
Il fatto risale al 29 luglio 2007 allorquando nel corso di un giro di ricognizione guardie del WWF di altre associazioni ambientaliste avevano constatato la condotta dell'imputato.
2. Avverso tale decisione ha proposto appello l'imputato, per il tramite del proprio difensore, deducendo che l'accusa si fonda sulle dichiarazioni di un agente volontario del WWF il quale avrebbe immediatamente posto in libertà gli uccelli e che non solo il teste avrebbe ammesso di non essere un ornitologo esperto ne' di essere dotato di titoli per riconoscere le specie diverse, ma nemmeno si sarebbe proceduto alla designazione di un esperto in materia a mente dell'art. 348 c.p.p., comma 4 e che, pertanto, non vi sarebbe la prova al di là del ragionevole dubbio in ordine all'appartenenza degli uccelli alle specie protette. In più si fa rilevare che tale accertamento si sarebbe reso necessario in quanto per la sussistenza del reato di cui all'art. 30, lett. h) rileva anche il numero dei fringillidi di specie protetta catturati. Si rileva inoltre che tale fattispecie risulta assorbita in quella della lett. b). Si contesta infine la sussistenza degli elementi di prova per il reato di uccellagione.
3. Trattandosi di condanna alla pena dell'ammenda l'appello va convertito il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 593 c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1 Sono manifestamente infondati i rilievi attinenti alla formazione della prova.
Occorre anzitutto premettere che non essendo prevista espressamente alcuna "prova legale" in materia, vale il principio del libero convincimento per cui il giudice ben può trarre la prova della sussistenza del reato dalle dichiarazioni del teste che ha rinvenuto i volatili senza dover necessariamente ricorrere all'ausilio di consulenti qualora ritenga, come nella specie, di poter raggiungere la prova del reato sulla base delle sole dichiarazioni del teste. Queste ultime, peraltro, come già più volte precisato dalla Corte, purché credibili e riferite a fatti specifici di diretta cognizione, non necessitano, in vista dell'utilizzazione probatoria, di riscontri esterni perché, in assenza di specifici e riconoscibili elementi idonei a giustificare il sospetto di dichiarazioni consapevolmente false, il giudice deve presumere che il testimone abbia correttamente riferito quanto a sua effettiva conoscenza e deve limitarsi a verificare la compatibilità tra il contenuto delle dichiarazioni testimoniali e le altre risultanze probatorie (ex multis Sez. 2^ 28/02/2007 n. 16627, Rv 236652).
Nè si appalesa decisivo il rilievo secondo cui il teste non fosse dotato di particolari conoscenze riguardo alle specie dei volatili e, dunque, in buona sostanza, non potesse essere in grado di esprimere un parere tecnico sulla tipologia degli esemplari rinvenuti. Avuto riguardo al caso di specie, nulla lascia intendere che il denunciante, pur non essendo per sua ammissione un esperto qualificato del settore, non fosse in grado di individuare la specie degli uccelli rinvenuti.
Peraltro, a prescindere dall'aspetto di merito insito nella valutazione indicata che necessariamente sfugge al sindacato di questa Corte, occorre ricordare che gli arresti delle precedenti decisioni di legittimità tengono comunque a tenere fermo il principio secondo cui la valutazione tecnica è di regola estranea alla testimonianza.
Si è precisato, infatti, che sono ammissibili ed utilizzabili le dichiarazioni del testimone "tecnico", ovvero particolarmente esperto in un dato settore, che riferisca dati di fatto, sia pur nella percezione "qualificata" consentita dalle sue speciali conoscenze, non anche quelle contenenti valutazioni dei predetti dati di fatto secondo il soggettivo apprezzamento del testimone, che potrebbero entrare a far parte del materiale probatorio soltanto attraverso una consulenza tecnica od una perizia (Sez. 2^, 19/09/2007, n. 40840, Rv 238758).
4.2 Sono del tutto generici e riguardano comunque aspetti di merito i rilievi concernenti il reato di uccellagione.
4.3 Per quanto concerne invece l'assorbimento del reato di cui all'art. 30, lett. h), in quello di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. b), si rileva quanto segue.
L'art. 30, comma 1, lett. b), sanziona chi abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell'elenco di cui all'art. 2. Alla lett. h) si prevede, invece, la sanzione penale per chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o per chi esercita la caccia con mezzi vietati, la stessa pena si applica a chi esercita la caccia con l'ausilio di richiami vietati di cui all'art. 21, comma 1, lett. r).
La giurisprudenza più recente si è attestata sulla posizione in base alla quale è configurabile la violazione della lett. b) nel caso di esemplari protetti riconducibili all'allegato 2 della Convenzione di Berna (Sez. 3^ (Cass. Pen., Sez. 3^, n. 23931, 22.06.2010; n. 16441 del 16/03/2011 Rv. 249859).
E ciò in quanto dell'art. 30, lett. b), richiama l'art. 2 della medesima legge che, oltre alle specie espressamente indicate, alla lett. c) fa espresso riferimento alle specie che le direttive comunitarie o le convenzioni internazionali (o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) indicano come minacciate di estinzione.
Vengono quindi in considerazione la direttiva 147/2009 del 30 novembre 2009 concernente la conservazione degli uccelli selvatici e la Convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa del 19 settembre 1979. La prima, all'art. 4 a sancire che "1. Per le specie elencate nell'allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l'habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione. A tal fine si tiene conto....(omissis)" e nell'allegato 1 include i Fringillidae Carduelinas.
L'Allegato 2^ della Convenzione di Berna, così come emendato, dal 27 aprile 1996, a seguito di una revisione delle liste delle specie operata dal Comitato permanente della Convenzione in data 26/1/1996 (pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 201 del 1996), espressamente include invece tra i carduelis: Carduelis chloris;
Carduelis carduelis; Carduelis spinus; Carduelis flavirostris;
Carduelis cannabina; Carduelis flammea; Carduelis hornemanni. Ora se è vero che la direttiva 147/2009/CE, si limita a prevedere con la norma citata differenti gradi di protezione, e non una generica protezione speciale valevole per tutte le specie richiamate, e che non può essere, quindi, considerato decisivo il richiamo a quest'ultima per ricondurre dell'art. 30, lett. b), tutte le specie di Fringillidae Carduelinas, tale rilievo non può evidentemente valere per le specie riconducibili al divieto imposto dalla Convenzione di Berna.
Alla lett. h) occorre, pertanto, avere riguardo solo per le restanti specie di fringillidi.
Si rendono necessarie talune puntualizzazioni anche per quest'ultima disposizione.
Come noto, la lett. h) sanziona penalmente con l'ammenda chi abbatte, cattura o detiene più di cinque fringillidi.
Qualora il numero di fringillidi abbattuti, catturati o detenuti sia inferiore alla predetta quantità, alla L. n. 157 del 1992, art. 31, comma 1, lett. h), contempla, invece, la sola sanzione amministrativa.
Il sistema sanzionatorio descritto deriva probabilmente, come evidenziato anche dalla dottrina, dalla circostanza che al momento dell'entrata in vigore della legge quadro sull'attività venatoria, vi erano specie di fringilli cacciabili che poi sono stati espunti dall'elenco delle specie cacciabili a seguito dell'emanazione del D.P.C.M. del 22.11.1993.
Per effetto di quest'ultimo si è posta pertanto la necessità di rivisitare quegli orientamenti di legittimità che avevano recepito l'originaria distinzione normativa.
Questa Sezione, con la sentenza n. 11111 del 30 marzo 2006, Rv 233668, ha affermato, infatti, il principio secondo cui dopo l'entrata in vigore del DPCM 22 novembre 2003 le disposizioni relative ai fringillidi appartenenti alla fauna selvatica (senza distinzione tra fringuelli, peppole ed altre specie) non sono più applicabili, giacché la cattura, l'abbattimento o la detenzione anche di un solo esemplare appartenente a tale famiglia è punito con l'ammenda ai sensi della L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. H), trattandosi di specie per la quale la caccia non è consentita in alcun periodo dell'anno.
La sentenza in questione ha ritenuto possibile distinguere tra l'abbattimento lecito e quello illecito secondo che avvenga o meno nei periodi venatori previsti, e tra il trattamento sanzionatorio penale o amministrativo in base al numero degli esemplari abbattuti, solo se e quando fringuelli, peppole o altri fringillidi siano nuovamente inclusi tra le specie cacciabili, per effetto di direttive comunitarie o convenzioni internazionali, recepite nell'ordinamento italiano attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (ex art. 18, comma 3), ovvero per effetto di deroghe regionali disposte della L. n. 157 del 1992, ex art. 19 bis, secondo le finalità e i rigorosi requisiti previsti dall'art. 9 della direttiva 79/409/CE (ora 147/2009/CE).
Su quest'ultimo aspetto la decisione si allinea evidentemente alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 129 del 2004, originata da un conflitto di attribuzione della Regione Lombardia nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona il 2 novembre 2002 nell'ambito di un procedimento penale per il reato previsto dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. h).
E, dunque, in presenza di normativa regionale, si è ritenuto ancora operativo il discrimine tra illecito penale e amministrativo costituito dal numero degli esemplari di fringillidi, che per l'illecito penale deve essere superiore alle cinque unità (ex multis, Sez. 3^, n. 40265 del 03/10/2002 Rv. 225700; Sez. 3^, n. 47872 del 20/10/2011 Rv. 251966).
Conclusivamente per i fringillidi occorre distinguere tra specie di cui è fatto divieto assoluto di caccia da quelle per le quali è ammessa la ed. caccia in deroga.
Solo le prime rientrano dalla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. b), mentre per le altre specie si renderà applicabile la lett. h) della medesima disposizione.
Poiché non vi sono limitazioni di carattere numerico, dell'art. 30 cit., lett. b), è configurabile nel caso in cui anche uno solo degli esemplari rientri tra quelli indicati al paragrafo precedente. Anche per la lett. h) è sufficiente - salva l'esistenza di normativa regionale - un solo esemplare alla luce dei numerosi pronunciamenti di questa Sezione in precedenza richiamati.
E dunque per configurare la violazione della lett. h) non si rende necessario, di regola, accertare che gli esemplari siano in numero superiore a cinque.
Non vi può essere pertanto alcun concorso apparente di norme, come indicato dal ricorrente, operando le stesse in ambiti distinti e ben definiti.
I rilievi del ricorrente, siccome in contrasto con quanto esposto e/o eterogenei rispetto alle tematiche trattate sono dunque anche sotto quest'ultimo profilo inammissibili.
6. A mente dell'art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1000.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2013