Cass. Sez. III n. 392 del 8 gennaio 2021 (CC 9 ott 2020)
Pres. Sarno Est. Andreazza Ric. PM in proc. Minervini
Ecodelitti.Inquinamento ambientale e pregiudizio all’ambiente

Se è ben vero che con riguardo al  delitto di inquinamento ambientale di cui all'art. 452-bis cod, pen., l'accertamento di un concreto pregiudizio arrecato all’ambiente va effettuato nei limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono necessariamente la prova della contaminazione del sito nel senso indicato in particolare dalla lett. e) dell’art. 240 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e, dunque, renderebbero non dirimente il mancato superamento delle “concentrazioni soglia-rischio”, non deve neppure trascurarsi che la compromissione e il deterioramento richiesti devono riguardare, secondo quanto testualmente enunciato dalla stessa norma codicistica, “porzioni estese o significative” dello stesso suolo, solo così acquistando concretezza, nella strutturazione della previsione, il requisito del pericolo.

                                                 RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siena ha  proposto ricorso avverso la ordinanza del Tribunale di Siena  di rigetto dell’appello dello stesso P.M. avverso il decreto del G.i.p. di reiezione della richiesta di sequestro preventivo del fondo di mq. 30.000 situato in Murlo e adibito, tra il 2003 e il 2012, a poligono di tiro gestito dalla “associazione tiro dinamico senese” per il reato, tra gli altri addebitati, di cui all’art. 452-bis cod. pen. in relazione alla compromissione e al deterioramento dei terreni causati dai rifiuti generati dalla attività di tiro e non rimossi.

2. Con un primo motivo deduce violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 452 bis cod. pen..
Rileva che il Tribunale ha ritenuto insussistente il fumus dell’elemento del reato rappresentato dai significativi compressione e deterioramento dell’inquinamento del terreno provocato dalla mancata rimozione delle munizioni esplose posto che, da un lato, i risultati delle analisi di Arpat nell’ambito di procedura di bonifica attivata ex art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006 avrebbero evidenziato il superamento delle concentrazioni soglia rischio per  una sola delle diciannove  sub-aree di cui al terreno e, dall’altro, quanto alla consulenza del P.M., il solo superamento delle concentrazioni soglia non proverebbe un danno ambientale, dovendo caratterizzarsi il sito al fine di verificare l’effettiva contaminazione.
Rileva allora il ricorrente come il Tribunale, tra l’altro non considerando gli esiti della consulenza del P.M., abbia non correttamente adottato criteri di valutazione propri del giudizio di merito e non di quello cautelare, e come, inoltre, l’avere scelto quale parametro quello della concentrazione soglia di rischio  conduca ad escludere tutte quelle ipotesi in cui l’analisi di rischio, effettuata su una matrice ambientale, nell’ambito di una procedura di bonifica, non evidenzia appunto un superamento di tali concentrazioni, in contrasto con l’affermazione della Corte di cassazione secondo cui il reato di cui all’art. 452-bis cod. pen. ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 e ss. d. lgs. n. 152 del 2006.

3. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 452-bis cod. pen. in relazione al requisito della “abusività” della condotta, ritenuto dal Tribunale insussistente a fronte del fatto che l’accumulo dei residui delle munizioni non è stata frutto di condotta abusiva. Tuttavia abusività non significherebbe solo carenza di autorizzazione ma anche condotte compiute in violazione di leggi statali o regionali o di prescrizione amministrative ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale; e tra di esse rientrerebbero dunque anche l’inosservanza delle prescrizioni imposte dal progetto di bonifica.

4. Con un terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. in relazione al requisito del periculum in mora. A fronte dell’affermazione del Tribunale per cui il rischio di aggravamento delle conseguenze del reato deriva dalla permanenza in loco dei rifiuti, sicché il sequestro dell’area non avrebbe alcun effetto utile, si osserva che la possibilità di accedere liberamente al fondo potrebbe favorire la lesione di beni giuridici ulteriori  e diversi rispetto a quello dell’ambiente ovvero la commissione da parte dell’indagato di ulteriori reati in materia ambientale.
Ha presentato memoria l’indagato chiedendo in primis l’inammissibilità del ricorso, posto che la Procura avrebbe chiesto una rivalutazione in fatto del raggiungimento della soglia di compromissione dei luoghi necessaria per la verificazione del pericolo, e, in subordine, il rigetto.


                                     CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso, riguardante il profilo del fumus del reato specificamente considerato nel provvedimento impugnato, ovvero quello di cui all’art. 452-bis cod. pen., è inammissibile.
L’assunto del P.M. ricorrente è infatti incentrato sulla pretesa erronea valorizzazione, espressa dai giudici del riesame ai fini di ritenere la sussistenza di elementi indicativi, allo stato,  della compromissione o deterioramento significativi e misurabili del suolo in oggetto, del solo parametro rappresentato dalle “concentrazioni soglia rischio” utilizzato nelle analisi dell’Arpat (parametro superato, come visto sopra, in relazione ad una sola delle sub-aree) trascurando, invece, di considerare l’ulteriore parametro rappresentato dalla concentrazione soglie di contaminazione, il cui superamento, valorizzato nell’analisi del proprio consulente, sarebbe stato ingiustificatamente pretermesso dallo stesso Tribunale.
Ora, se è ben vero che, secondo quanto già affermato da questa Corte, con riguardo al  delitto di inquinamento ambientale di cui all'art. 452-bis cod, pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, l'accertamento di un concreto pregiudizio arrecato all’ambiente va effettuato nei limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono necessariamente la prova della contaminazione del sito nel senso indicato in particolare dalla lett. e) dell’art. 240 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Sez. 3, n. 50018 del 19/09/2018, Izzo, Rv. 274864), e, dunque, renderebbero non dirimente il mancato superamento delle “concentrazioni soglia-rischio”, non deve neppure trascurarsi che la compromissione e il deterioramento richiesti devono riguardare, secondo quanto testualmente enunciato dalla stessa norma codicistica, “porzioni estese o significative” dello stesso suolo, solo così acquistando concretezza, nella strutturazione della previsione, il requisito del pericolo.
Ne deriva che, a fronte della affermazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla presenza di pericolo di inquinamento, sia pure valutata attraverso il superamento delle concentrazioni di soglia rischio, in una sola delle diciannove sub-aree di cui si compone il terreno, sarebbe stato onere del P.M. specificare se, invece, l’affermata sussistenza di superamento del livello di concentrazione soglia di contaminazione risultante da plurimi campioni prelevati durante le analisi, abbia riguardato una sola o più sub-aree, e se sì, quante, ricomprese nel terreno in sequestro.
In altri termini, proprio in ordine al necessario profilo di valutazione, riguardante anche la fase cautelare inerente la diffusività, all’interno del suolo in oggetto, della compromissione o del deterioramento conseguente alla condotta omissiva contestata all’indagato, da cui non può evidentemente prescindersi neppure in caso di valorizzazione del superamento del livello di concentrazione soglia di contaminazione, è mancata, nel ricorso del Pubblico Ministero, ogni specificazione idonea a consentire una corretta valutazione del fumus relativo a tutti gli elementi costitutivi richiesti dalla previsione dell’art. 452-bis cit..
Il motivo appare dunque generico sul punto, e, conseguentemente, inammissibile, restando inoltre assorbito il secondo motivo relativo al profilo della presenza della natura “abusiva” della condotta.

2. In ogni caso, anche il terzo motivo, relativo alle esigenze cautelari sulla cui base è stato richiesto il sequestro, è inammissibile.
L’ordinanza impugnata, onde escludere la ricorrenza delle stesse, ha chiarito in primo luogo che, essendo il pericolo di inquinamento legato, nella specie, non ad una condotta attiva dell’uomo che si tratti di impedire (peraltro il terreno è stato restituito al legittimo proprietario nell’anno 2016), ma al rilascio di sostanze dai rifiuti (bossoli, ogive e munizioni) depositati in loco per effetto dell’attività di tiro esercitata a suo tempo ed ora cessata, non troverebbe ragion d’essere una misura che, come il sequestro dell’area, tale rilascio non potrebbe certo impedire, giacché solo un’opera di completa bonifica del suolo potrebbe, evidentemente, evitare la verificazione di una prosecuzione del pericolo.
Tale assunto, certamente coerente con la ratio stessa della misura, non è stato contrastato, in ricorso, dal P.M. che ha invece fatto leva sulla possibilità che il libero accesso al fondo (ora, come detto, nelle mani del proprietario-terzo) giacché non recintato, di terzi, potrebbe cagionare la lesioni di beni giuridici, quali la salute, diversi ed ulteriori rispetto a quelli dell’ambiente.
Sennonché, a prescindere da ogni altra considerazione, già l’ordinanza impugnata aveva chiarito, sotto un profilo fattuale, qui non sindacabile (tanto più versandosi in presenza dei limiti di impugnabilità discendenti dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.) e, dunque, non censurabile neppure dal ricorrente, soprattutto laddove la prospettazione venga fatta in astratto, non essere, dagli atti di indagine, emerso alcun rischio, concreto ed attuale, per la salute delle persone, trattandosi “di una zona nella quale transitano solo sporadicamente i cacciatori, ma che di fatto non è utilizzata per alcuna attività”.

3. In definitiva il ricorso del Pubblico Ministero deve essere, per le ragioni sopra esposte, dichiarato inammissibile.

                                                   P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2020