Cass. Sez. III n. 659 del 11 gennaio 2021 (UP 28 ott 2020)
Pres. Lapalorcia Est. Corbetta Ric. Rizzo
Ecodelitti.Attività organizzate fnalizzate al traffico illecito ed ingiusto profitto

In tema di traffico illecito di rifiuti, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 260, comma 1, d.lgs. n.152 del 2006 (ora 452-quaterdecies c.p.)  il requisito dell'ingiusto profitto non deriva dall'esercizio abusivo dell'attività di gestione dei rifiuti, bensì dalla condotta continuativa ed organizzata dei rifiuti finalizzata a conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Enna e appellata dagli imputati, la Corte di appello di Caltanissetta dichiarava non doversi procedere nei confronti di Mario Rizzo e di Maurizio Rizzo in relazione ai reati loro ascritti ai capi 1), commesso sino al 20 dicembre 2013, 2), commesso in epoca antecedente al 3 giugno 2013, 3), 4), 5), limitatamente ai fatti per i quali è stata riportata condanna in primo grado, e 6) perché estinti per prescrizione, e, per l’effetto, riduceva a un anno e due mesi di reclusione la pena inflitta a Mario Rizzo per il residuo reato di cui al capo 7), concernente la violazione dell’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, nel resto confermando la pronuncia di primo grado.

2. Avverso l’indicata sentenza, gli imputati, per il tramite del comune difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione.

3. Il ricorso proposto nell’interesse di Maurizio Rizzo è affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in relazione agi artt. 495, 526 e 191 cod. proc. pen. Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente rigettato il motivo incentrato sull’inutilizzabilità delle videoriprese effettuata da personale del NOE e dei fotogrammi da esse estrapolate, trattandosi di prova illegittimamente acquisite perché il decreto autorizzativo delle video riprese era estremamente generico, senza individuare in modo certo il sito oggetto di monitoraggio, e non potendo essere tale lacuna colmata con la deposizione del m.llo Maselli, e considerando che dette videoriprese erano state eseguite in una proprietà privata, qualificabile come privata dimora, all’intero dell’impianto; la prova sarebbe perciò inutilizzabile, secondo il principio affermato da Cass., Sez. Un., n. 26795 del 28/03/2006.
3.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 507 cod. proc. pen., 111 Cost., 603, comma 1, cod. proc. pen. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale prima, la Corte territoriale poi, rispettivamente aditi ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. e dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., avrebbero ingiustificatamente rigettato l’istanza di confronto tra il m.llo Maselli e  Daniele Parlascino e Gaetano Gagliano su circostanze stimate rilevanti ai fini del decidere (ossia l’esistenza della piattaforma con relative canalette su cui erano adagiati i rifiuti messi in riserva, nonché delle reti frangivento), nonché dell’esperimento giudiziale finalizzato a verificare anche gli effetti video dell’utilizzo degli spruzzatori dell’impianto ai fini dell’abbattimento delle polveri.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed d) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, 192, 526, 546, 530 cod. proc. pen., 101 e 111 Cost., 8 d.m. 5 febbraio 1998 in relazione all’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006.  Dopo aver ripercorso le vicende fattuali e amministrative dell’impianto di proprietà di Mario Rizzo, si osserva che la Corte territoriale avrebbe erroneamente confermato la sussistenza del reato contestato al capo 7), nonostante l’assenza di verifiche in ordine al materiale trasportato, al campionamento, all’analisi, alla misurazione e alla pesatura dei materiali presenti nell’impianto. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe indebitamente valorizzato la deposizione dell’amministratore giudiziario, secondo cui, per un verso, l’impresa operava secondo “metodiche palesemente illecite”, in quanto la Provincia d Enna aveva semplicemente sospeso l’efficacia della determina dirigenziale n. 115 del 4 novembre 2013, e, per altro verso, egli aveva presentato un progetto per rendere conforme l’impianto, dal momento che l’unico intervento realizzato è stato solo l’allargamento della piattaforma quale area d conferimento e mezza in riserva. Aggiunge il ricorrente che: 1) nessuna prescrizione prevedeva la pesatura dei rifiuti, ma solo la loro quantificazione, il che spiega l’assenza nell’impianto, sin dall’origine, della mancanza di un sistema di pesatura; 2) è erronea l’affermazione secondo cui il trattamento dei rifiuti avvenisse in maniera non conforme alla normativa, perché, al momento del controllo e per tutta la durata dell’attività di videoripresa, l’impianto non era funzionante; 3) è parimenti erronea  l’affermazione secondo cui non sono state osservate le metodiche volte all’abbattimento delle polveri; 4) i lavori di livellamento con riporto di terreno vegetale erano stati regolarmente eseguiti nel 2001 dal padre del ricorrente; 5) è errata l’affermazione secondo cui l’attività di gestione avrebbe interessato ingenti quantitativi di rifiuti, circostanza smentita dalla documentazione in atti e dalla deposizione del teste Parlascino; 6) è erronea l’affermazione secondo cui i rifiuti andavano coperti con telone, prescrizione che non è ricompresa in alcuna autorizzazione; 7) non aderente alle acquisizioni dibattimentali è l’affermazione secondo  cui la gran parte dei rifiuti fosse conferita in assenza di caratterizzazione, in violazione dell’art. 9 d.m. 5 febbraio 1998, perché tale onere incombeva al produttore del rifiuto; 8) non corrispondente al vero è l’affermazione secondo cui sarebbero stati formati falsi documenti attestanti trasporti inesistenti, ciò essendo smentito sia della deposizione del teste Maselli, sia dell’esame di Mario Rizzo, condotto con contestuale visione delle riprese video, da cui emerge l’effettività degli scarichi riferiti ai quattro formulati ritenuti erroneamente falsi; 9) non corrisponde al vero che Rizzo Mario effettuò il trasporto e il successivo abusivo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi con il fratello il 21 e il 25 maggio 2013, in quanto l’impianto non era funzionane, né un trasporto illecito il 31 maggio in concorso con Tiziana Quinta, poi assolta dall’addebito, in quanto non si è concretizzato alcuna fattispecie penalmente rilevante. Nel caso in esame, pertanto, stante la regolarità dei tutte le operazioni, non sarebbero perciò ravvisabili gli elementi oggettivi e soggettivi del reato in questione.
3.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62-bis cod. pen., avendo la Corte territoriale omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla mancata applicazione delle circostanze in esame.

4. Il ricorso proposto nell’interesse di Maurizio Rizzo è affidato a un unico articolato motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 259 d.lgs. n. 152 del 2006, 240 cod. pen. 7 CEDU e 42 Cost. Evidenzia il ricorrente come la Corte di appello abbia mantenuto la confisca dell’autocarro, sul presupposto che si tratti di confisca obbligatoria, senza considerare che essa non poteva essere disposta, essendo stata emessa, nei confronti di Maurizio Rizzo, sentenza di improcedibilità per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione.  



CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso presentato nell’interesse di Maurizio Rizzo è inammissibile.

2. Il primo motivo è inammissibile.
2.1. In primo luogo si osserva che, nel caso di specie, un’eventuale ipotesi di inutilizzabilità potrebbe ipotizzarsi con riguardo a videoriprese di luoghi per i quali opera la speciale tutela che la Costituzione accorda al domicilio; nella vicenda in esame, tuttavia, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, non si verte in un caso del genere, in quanto le video riprese riguardano l’esercizio, in luogo esposto al pubblico, dell’attività di impresa svolta dal Rizzo.
2.2. In secondo luogo, e in maniera dirimente, il motivo è generico, perché non spiega in che modo l’eventuale inutilizzabilità delle videoriprese sarebbe in grado di disarticolare il ragionamento probatorio posto a fondamento del giudizio di penale responsabilità per il reato di cui al capo 7), l’unico in relazione al quale il ricorrente è stato condannato.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

4. Si rammenta che, i tema di ammissione di nuove prove ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., le nuove prove, rispetto a quelle inizialmente richieste dalle parti, sono soggette ad una più penetrante e approfondita valutazione della loro pertinenza e rilevanza che è correlata alla più ampia conoscenza dei fatti di causa già acquisita da parte del giudice, pertanto l'omesso esercizio di tale potere-dovere può essere sindacato in sede di legittimità, ma in limiti più ristretti rispetto al potere di ammissione delle prove a richiesta di parte, richiedendosi una manifesta assoluta necessità della trascurata assunzione probatoria, emergente dal testo della sentenza impugnata (Sez. 4 n. 8083 del 08/11/2018, dep. 25/02/2019, Cristiano, Rv. 275149).

5. Orbene, si osserva, in primo luogo, che il motivo è generico, in quanto il ricorrente non spiega in che modo l’eventuale assunzione delle prove richieste avrebbe inciso sulla motivazione relativa al reato di cui al capo 7) – l’unico, si ripete, oggetto di conferma -, considerando che le prove di cui si era sollecitata l’assunzione riguardano la sussistenza dei reati di cui ai capi 1) e 2) (cfr. p. 22 della sentenza impugnata) dichiarati prescritti dalla Corte d’appello, e non avendo il ricorrente evidenziato come l’acquisizione di dette prove avrebbe potuto condurre, con riguardo a tali reati, a una sentenza assolutoria.

6. Si osserva inoltre che il confronto è un mezzo di prova sui generis, perché, presupponendo l’avvenuta escussione di due dichiaranti, che, in relazione a “fatti o circostanze importanti”, come recita l’art. 211 cod. proc. pen., abbiano reso versioni discordanti, mira a verificare non tanto quale delle opposte versioni corrisponda a verità, ma se il contrasto, dopo il confronto, sia effettivo oppure apparente. Invero, può accadere che, anche a seguito delle “reciproche contestazioni” (art. 212 cod. proc. pen.) in grado di stimolare i ricordi, uno dei due dichiaranti converga sulla versione della controporte; se invece il contrasto permane, il giudice procederà alla valutazione delle prove dichiarative nel contesto del materiale probatorio acquisito al fascicolo per il dibattimento.
Il ricorso, anche su talli aspetti, non prende posizione, di talché la doglianza è generica.

7. Lo stesso dicasi in relazione alla richiesta di esperimento giudiziale, tanto più se si considera, come rilevato dalla Corte territoriale, per un verso, la sua sostanziale inutilità a distanza di anni dai fatti, stante le modifiche dello stato dei luoghi e delle dotazioni strumentali, e, per altro verso, il fatto che, come accertato dal Tribunale all’esito della visione delle videoriprese, nessuno spruzzatore era attivo durante le operazioni di trattamento dei rifiuti.

8. Il terzo motivo è inammissibile perché totalmente articolato in fatto.

9. Le censure, pur formalmente deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione, richiamando l'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., si risolvono invece nella richiesta di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e nell'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti, attività entrambe precluse nel giudizio di legittimità, non potendo la Corte di cassazione ripetere l'esperienza conoscitiva del giudice del merito, bensì esclusivamente riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
Nel caso di specie, poi, si è in presenza di una "doppia conforme" statuizione di responsabilità, il che limita all'evidenza i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all'impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l'ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del "travisamento della prova".

10. Ciò posto, i giudici di merito, con doppia valutazione pienamente convergente, hanno acclarato che il ricorrente, mediante la predisposizione di un apparato imprenditoriale complesso, attraverso il paravanto delle autorizzazioni rilasciategli dalla P.A., in maniera abituale a continuativa ha posto in essere una attività di gestione di ingenti quantitativi di rifiuti transitati e depositi nel sito aziendale (dove il carattere ingente deve riferirsi al quantitativo complessivo di rifiuti trattati attraverso la pluralità delle operazioni svolte, anche quando queste ultime, singolarmente considerate, possono essere qualificate di modesta entità: cfr. Sez. 3 n. 39952 del 16/04/2019, dep. 30/09/2019, Radin, Rv. 278531-02), e ciò è avvenuto “abusivamente”, ossia con modalità contra legem, in violazione, cioè, di leggi statali o regionali - ancorchè non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative, costituite da: l’assenza della pesatura, necessaria per verificare il tonnellaggio annuo del materiale ricevuto, così da rispettare i limiti entro cui era stata ottenuta l’autorizzazione in forma semplificata; lo stoccaggio di materiali arrivati con modalità promiscue, a diretto contatto con il suolo e senza l’adozione di metodiche volte all’abbattimento delle immissioni polverose, così che tutto il materiale presente nell’impianto doveva qualificarsi come rifiuto speciale; la formazione di falsi documenti attestanti trasporti inesistenti (quattro nel brevissimo tempo di osservazione); l’assenza della necessaria attività analitica di classificazione e di verifica dei rifiuti, come accertato dalla esigua quantità di rapporti di prova rinvenuti (solo due per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013) a fronte alla mole dei rifiuti conferiti nel sito, nell’ordine di migliaia di tonnellate per anno; il trasporto di rifiuti medianti mezzi non autorizzati.

11. Nel replicare alle argomentazioni difensive, la Corte territoriale, pur dando atto che nel periodo di osservazione fossero ancora in corso i lavori di adeguamento, tuttavia l’impianto era attivo, essendo stata rilevata, mediante captazione visiva e prova documentale, la movimentazione di materiali sia in entrata che in uscita, ciò desumendosi sia dalle operazioni compiute il 3 giugno 2013 da Mario Rizzo, sia dal fatto che, in occasione dell’accesso, i militari hanno accertato la presenza sia di cumuli di materiale edilizio, sia di detriti polverosi che ricoprivano il piano di calpestio, non essendo attivo il sistema di abbattimento delle polveri, sia di vari cumuli, alti circa quattro metri, di materiale di diversa natura, alcuni dei quali già interessati da vegetazione spontanea, nonché di ulteriori ammassi di materiale derivante da attività di demolizione, che coprivano in larga parte il costone collinare esistente tra i due pianori.
La Corte territoriale ha altresì valorizzato le dichiarazioni dell’amministratore giudiziale, all’uopo nominato dopo il sequestro dell’impianto, il quale ha rilevato la palese commistione tra l’area destinata al conferimento dei rifiuti e quella per la loro messa in riserva, la mancata separazione delle categorie di rifiuti conferiti, l’assenza di un sistema di pesatura.

12. Entrambi i giudici di merito hanno altresì ritenuto la sussistenza del dolo specifico, rappresentato dal “fine di lucro”, valorizzando sia i rilevanti risparmi delle spese che si sarebbero rese necessarie per il funzionamento a norma dell’impianto, sia la possibilità di presentarsi sul mercato quale azienda pronta a ricevere, senza alcuna forma di controllo, qualsivoglia quantitativo di rifiuto non caratterizzato, anche mediante conferimenti di cui non restava traccia, così da conseguire il relativo ingiusto profitto.
La Corte ha perciò fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di traffico illecito di rifiuti, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 260, comma 1, d.lgs. n.152 del 2006, il requisito dell'ingiusto profitto non deriva dall'esercizio abusivo dell'attività di gestione dei rifiuti, bensì dalla condotta continuativa ed organizzata dei rifiuti finalizzata a conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti (Sez. 3 n. 35568 del 30/05/2017, dep. 19/07/2017, Savoia, Rv. 271138).

13. Il quarto motivo è inammissibile perché generico.

14. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull'accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 - dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460).
Invero, il riconoscimento delle attenuanti generiche non può risolversi in un indiscriminato potere, da parte del giudice, di mitigazione della pena, a cui corrisponde un preteso “diritto” dell’imputato di vedersi riconosciute dette attenuanti sempre e comunque, ma deve fondarsi sulla sussistenza di precisi elementi fattuali, che, sebbene non espressamente considerati dal legislatore, possano giustificare, nel singolo caso concreto, il contenimento della pena.

15. Ciò posto, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, il ricorso è del tutto generico, non indicando alcun elemento – al di fuori dell’incensuratezza, di per sé non sufficiente per espressa previsione normativa - che, se valutato, avrebbe potuto portare al riconoscimento delle attenuanti in esame.

16. Il ricorso proposto nell’interesse di Maurizio Rizzo è fondato.

17. La Corte d’appello ha confermato la confisca degli autocarri di proprietà di soggetti ritenuti estranei alla commissione del reato il cui all’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, non avendo Maurizio Rizzo, proprietario di uno dei due mezzi, dimostrato la sua buona fede, appellandosi all’indirizzo secondo cui il disposto di cui al comma 4-bis dell'art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, introdotto dall'art. 1, comma 3 della legge 22 maggio 2015, n. 68, si applica anche ai fatti precedenti all'entrata in vigore della disposizione anzidetta in quanto, con questa, il legislatore ha normalizzato il principio giurisprudenziale, preesistente alla novella, secondo cui, in tema di gestione illecita di rifiuti, è obbligatoria, ai sensi dell'art. 259 del d.lgs. n. 152 del 2006, la confisca dei mezzi di trasporto impiegati per il traffico illecito di rifiuti di cui al citato art. 260 (Sez. 3 n. 2284 del 28/11/2017, Benedetti, Rv. 272798).

17. Si tratta di una conclusione errata.

18. La confisca dei due autocarri, uno dei quali - quello targato  DJ711PX - di proprietà di Maurizio Rizzo, già condannato in primo grado anche per il reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 contestato al capo 3) (e quindi, all’evidenza, soggetto certamente non terzo estraneo rispetto a tale fatto), è stata disposta ai sensi dell’art. 259, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, a tenore del quale “Alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 256 e 258, comma 4, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto”.
Come emerge dal chiaro dato testuale, obliterato dalla Corte d’appello, la confisca del mezzo di trasporto, in relazione alle fattispecie di reato espressamente indicate, è obbligatoria ove sia pronunciata sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti: non, quindi, quando è stata pronunciata sentenza di improcedibilità per estinzione del reato per prescrizione.
Su questa interpretazione è attestata la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha escluso l'applicabilità della confisca mezzo di trasporto in caso sia di decreto penale di condanna (Sez. 3, n. 26548 del 2/07/2008, Sez. 3, n. 24659, 15/06/2009), sia, appunto, di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 3, n. 9070 del 04/10/2017, Carfì srl, non massimata), e ciò perché la confisca obbligatoria consegue solamente alla sentenza di condanna o a quella di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.  
Le medesime conclusioni, del resto, sono state coerentemente affermate anche in relazione all’ipotesi, affine, prevista dall’art. 260, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, essendosi escluso, anche in tal caso, l'applicabilità della confisca dell'area adibita a discarica ove sia pronunciata sentenza di prescrizione del reato (Sez. 3 n. 16436 del 21/01/2020, Errico, Rv. 279273; Sez. 3, n. 37548 del 27/06/2013, Rattenuti, Rv. 257687; Sez. 3, n. 13741 del 22/03/2013, non massimata).

19. In applicazione del principio ora ricordato, la sentenza va perciò annullata senza rinvio nei confronti d Maurizio Rizzo limitatamente alla confisca dell’autocarro targato DJ711PX, che deve essere restituito all’avente diritto.

20. Essendo il ricorso di Mario Rizzo inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro  in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Rizzo Maurizio limitatamente alla statuizione di confisca dell’autocarro targato DJ711PX, che elimina.
Dichiara inammissibile il ricorso di Rizzo Mario, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28/10/2020.