Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3447, del 25 giugno 2013
Elettrosmog.Le apparecchiature tecnologiche non sono pertinenze dell’edificio, né opere precarie

E’ legittima l’ordinanza comunale con la quale si è ingiunto a Telecom SpA di rimuovere gli apparati tecnologici (container destinati ad ospitare centrali per il servizio telefonico), di verificare la statica dell’edificio e di sistemare l’area di pertinenza. La natura non precaria dell’opera (container) emerge con chiarezza dall’utilizzo prolungato della stessa, di guisa che, in disparte ogni considerazione sulle apparecchiature ivi contenute, comunque non pertinenziali “all’edificio”, né costituenti “impianto tecnologico al servizio dell’edificio”, ma semmai della rete di servizi Telecom. Dunque, trova applicazione la consolidata giurisprudenza amministrativa, secondo cui in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, per cui la precarietà va esclusa ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03447/2013REG.PROV.COLL.

N. 06219/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6219 del 2012, proposto da: 
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Pietro Ferraris, Enzo Robaldo, Filippo Lattanzi, con domicilio eletto presso Filippo Lattanzi in Roma, via G. P. da Palestrina, 47;

contro

Comune di Cinigiano, non costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE III n. 00166/2012, resa tra le parti, concernente esecuzione lavori di ristrutturazione edificio e sistemazione aree di pertinenza.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2013 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’Avvocato Lattanzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con la decisione in epigrafe indicata n. 3283/2012 il Tribunale amministrativo regionale della Toscana ha soltanto parzialmente accolto il ricorso proposto dall’odierna appellante Telecom Italia s.p.a. volto ad ottenere l’annullamento dell'ordinanza n. 12/2003 a firma del responsabile dell'Area Tecnica - Settore edilizia privata ed ambiente del Comune di Cinigiano, assunta in data 29 marzo 2003, notificata il successivo 31 marzo 2003, con la quale era stato ordinato a Telecom di eseguire i lavori ivi indicati.

In punto di fatto era accaduto che la Telecom Italia s.p.a. (proprietaria di un fabbricato di modeste dimensioni, realizzato in pietre a vista, cui è adiacente un cortile nel quale sono stati posati due container destinati ad ospitare centrali per il servizio telefonico, previsti nei provvedimenti autorizzatori del 1979 e del 1985 – dei quali soltanto quello assentito per ultimo sarebbe ancora in funzione-) era stata destinataria di una ordinanza impositiva di prescrizioni da parte del Comune di Cinigiano.

In particolare, con l’ordinanza oggetto di impugnazione n. 12 del 29.3.2003, le si era ingiunto di completare la ristrutturazione previa verifica della statica dell’edificio, di sistemare esternamente l’immobile, di rivedere il sistema di smaltimento interno al lotto, di rimuovere i container, di sistemare l’area di pertinenza con modalità da concordare.

Il detto Comune, infatti, aveva rilevato la necessità di lavori di manutenzione a chiusura di un intervento di ristrutturazione dell’edificio della Telecom, contestandone le condizioni di fatiscenza strutturale tali da poter minare la stabilità di un adiacente fabbricato adibito a civile abitazione ed aveva evidenziato che l’interruzione di detto intervento aveva causato l’inefficienza del sistema di smaltimento delle acque, provocando inconvenienti di tipo igienico sanitario e contestando l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione n. 74 del 1979 quanto ai due container installati.

L’appellante società era insorta prospettando articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere investenti l’intero provvedimento gravato ed aveva altresì proposto domanda risarcitoria (a quest’ultima aveva rinunciato nel corso del giudizio; ed il primo giudice, pur affermando la irritualità della rinuncia a detto petitum, l’ha comunque dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse).

Il Tribunale amministrativo, previo approfondito esame della legislazione disciplinante la materia, e disattese le radicali eccezioni di carenza di potere (sulla scorta dell’art. 55 del regolamento edilizio) e di perplessità ed incompetenza, ha accolto il gravame – salvo che per la parte riguardante la rimozione dei containers - in quanto reso in carenza di istruttoria e motivazione.

Ha invece disatteso le censure con riferimento alla parte del provvedimento investente i containers, (la originaria ricorrente aveva sostenuto che la disposta rimozione dei containers poteva giustificarsi solo sulla base dell’art. 7 della legge n. 47/1985, mentre invece la loro installazione era stata preventivamente assentita dal Comune: era stato altresì affermato che comunque la posa di containers non richiedeva concessione edilizia, ma semplice autorizzazione ex art. 7 della legge n. 94/1982).

Quanto a tale versante del gravame, invece, il primo giudice ha ripercorso i momenti salienti sottesi alla originaria installazione dei containers, rammentando che la odierna appellante, in attesa di edificare la nuova centrale telefonica, in data 21.9.1979 aveva presentato al Comune domanda di nulla osta alla collocazione provvisoria di un container di metri 6,06 per 2,50 e altezza di metri 3,40. Tale istanza era stata accolta con il rilascio della concessione edilizia n. 74 del 5.10.1979, la quale dettava la prescrizione secondo cui il container avrebbe dovuto essere nascosto con piante.

Con domanda del 23.2.1985 la appellante aveva presentato domanda di concessione relativa all’installazione di un secondo container, precisando con nota dell’11.9.1985 che il manufatto avrebbe avuto carattere precario: l’installazione precaria era stata quindi assentita con concessione n. 19 del 24.10.1985.

Ne conseguiva - ad avviso del Tribunale amministrativo - che la natura precaria dei containers dichiarata nel secondo titolo edilizio rilasciato e nella prima istanza della odierna appellante ed il mancato adempimento della prescrizione dettata dal titolo rilasciato nel 1979, giustificavano l’ordine di rimuovere tali manufatti.

Ciò perché, da un canto, il manufatto assentito con concessione edilizia in precario poteva essere conservato soltanto finché il Comune non avesse deciso di chiederne la rimozione (facendo così venire meno l’efficacia del titolo edilizio provvisoriamente rilasciato e rendendo l’opera, non più tollerata, sostanzialmente assimilabile ad un abuso edilizio da rimuovere).

Sotto altro profilo, la (incontestata da parte dell’appellante) mancata ottemperanza alla prescrizione prevista nel titolo edilizio del 1979 (“il container dovrà essere opportunamente nascosto con piante soprattutto nella parte prospiciente la strada provinciale”) si doveva configurare come condizione risolutiva del titolo medesimo.

Né poteva accogliersi la censura incentrata sul regime di autorizzazione ex art. 7 della legge n. 94/1982, posto che trattavasi di manufatti installati da oltre 25 anni e di rilevanti dimensioni (metri 6,06 per 2,50 e altezza di metri 3,40) dal che discendeva che ricorrevano nel caso in esame le caratteristiche di una permanente trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, per la presenza stabile del manufatto.

La originaria ricorrente rimasta soccombente ha proposto un articolato appello avverso la sentenza in epigrafe, chiedendone la riforma nella parte in cui aveva respinto il gravame proposto avverso la prescrizione di rimuovere i containers contenuta nel punto d) della gravata ordinanza .

In particolare, con il primo motivo di gravame, la appellante società, pur senza negare che rispondeva al vero che il provvedimento concessorio rilasciato nel 1979 (e relativo al primo container installato) contenesse una prescrizione rimasta inadempiuta (quella per cui “il container dovrà essere opportunamente nascosto con piante soprattutto nella parte prospiciente la strada provinciale”) ha contestato l’assimilazione di tale prescrizione ad una condizione risolutiva.

Il primo giudice aveva errato, secondo l’appellante, laddove aveva assimilato la prescrizione citata ad una condizione risolutiva di natura civilistica (non apponibile ad un provvedimento amministrativo e che, in quanto illegittima, doveva considerarsi inesistente).

In ogni caso, l’inottemperanza alla detta prescrizione avrebbe al più potuto legittimare l’inoltro di una preventiva diffida ad adempiere, e non anche l’immediata emissione di un ordine di rimozione (che, comunque, contrastava altresì con il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa).

Inoltre l’avversata prescrizione contenuta nella concessione edilizia risultava illegittima, perché il Comune avrebbe dovuto in primo luogo provvedere ad annullare in autotutela la concessione rilasciata e soltanto successivamente sarebbe stato possibile imporre la demolizione del manufatto.

La circostanza, infine, che non fosse stato tenuto in alcuna considerazione il prevalente interesse pubblico al mantenimento dei containers, costituiva ulteriore comprova della illegittimità del provvedimento (ed erroneamente la sentenza di prime cure non aveva colto tale aspetto).

Con il secondo motivo di censura l’appellante ha evidenziato che i containers erano destinati ad ospitare impianti tecnologici e rivestivano natura pertinenziale rispetto all’edificio dalla stessa posseduto; in quanto tali avrebbero dovuto essere assentiti mercé provvedimento autorizzatorio (e non già mercé concessione): ne discendeva che non avrebbero potuto essere azionati i poteri repressivi di cui all’art. 7 della legge n. 47 del 1985.

Alla camera di consiglio del 18 settembre per la delibazione del petitum cautelare il ricorso è stato rinviato al merito.

Alla udienza pubblica dell’11 giugno 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO



1. Ritiene il Collegio doversi affermare l’infondatezza dell’appello.

2. Quanto ai connessi motivi di censura contenuti nel primo motivo di gravame, è certamente infondato quello con il quale si contesta – già sotto il profilo teorico – l’apponibilità di una “condizione risolutiva” alla concessione edilizia.

2.1. In via generale si evidenzia invece che - contrariamente a quanto sostenutosi nell’appello - la giurisprudenza amministrativa ha ammesso da tempo l'istituto del provvedimento (di solito, abilitativo) condizionato, con ciò superando le perplessità che vennero espresse in passato dalla dottrina giuridica, che costruiva l'atto amministrativo all'interno della teoria generale degli atti giuridici (com'è noto, modellata su quella positiva del negozio giuridico di diritto tedesco), e che quindi contestava la possibilità di introdurre elementi accidentali nell'atto amministrativo.

La giurisprudenza (spinta da una prassi degli organi amministrativi sempre stata molto propensa all'utilizzo di provvedimenti di approvazione condizionati ad alcune prescrizioni introdotte dall'amministrazione) ha riconosciuto la legittimità di tale tipo di provvedimenti.

Ciò in quanto simili clausole accidentali, che esattamente vanno definite “prescrizioni”, semplificano la procedura (se non fosse possibile approvare con condizioni occorrerebbe infatti: 1) respingere spiegando i punti del progetto che devono essere rivisti, 2) ripresentare il progetto, 3) riapprovare il progetto emendato) e concorrono ad inverare la regola generale sul divieto di aggravamento del procedimento amministrativo, di cui all'art. 1, co. 2, l. 241/90 (si veda, sul punto, Consiglio Stato, sez. IV, 15 luglio 1993, n. 712; Consiglio Stato, sez. V, 29 novembre 2004, n. 7762; ma anche T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 02 novembre 2010, n. 4520).

Il Collegio condivide tale modo di procedere, che consente di esercitare meglio quella potestà conformativa costituente il proprium del potere autorizzatorio: se alla semplice alternativa approvare/non approvare si aggiunge, infatti, anche la facoltà di approvare con prescrizioni, si ampliano i poteri conformativi dell'amministrazione, che ha la possibilità, in questo modo, di modellare meglio la propria decisione alle particolarità del caso di specie.

2.2. La circostanza, peraltro, che l’appellante non abbia in passato impugnato in parte qua il provvedimento concessorio soggetto alla prescrizione della piantumazione dell’area (ben guardandosi tuttavia dall’ottemperarvi una volta ottenuto il richiesto titolo) rende incontestabile la detta prescrizione, restando unicamente da valutare le conseguenze della (non negata neanche da parte dell’appellante, lo si ripete) inottemperanza della stessa.

2.3. A tal proposito, l’appellante ha abilmente introdotto nel procedimento un elemento suggestivo, sostenendo, da un canto, che dovesse essere comparato l’interesse pubblico sotteso al mantenimento dei container (e che il provvedimento non tenesse conto del canone di proporzionalità) e, per altro verso, affermando la illegittimità dell’ordine di rimozione per mancato previo annullamento della concessione rilasciata e per omesso preventivo inoltro di una diffida ad ottemperare la prescrizione rimasta (per quasi 25 anni!) inosservata.

2.3.1. Contrariamente a quanto sostenutosi nell’appello, rileva il Collegio che nessun atto di autotutela incidente sulla concessione sarebbe stato necessario, posto che non erano state realizzate opere non ivi previste, né difformi dal titolo, ma era stata disattesa una prescrizione “condizionante”, il cui rispetto ( consistendo essa in una condotta – quella della piantumazione- ovviamente successiva alla installazione del container) avrebbe potuto essere verificato soltanto ex post.

2.3.2. Sotto altro profilo, va rilevato che in via generale è ben vero che, in caso di annullamento d'ufficio, l'Amministrazione ha l'obbligo di evidenziare quale sia l'interesse pubblico al ritiro del provvedimento.

Ma va parimenti rimarcato che tale regola non opera e non può operare - per la stessa ratio tutoria alla quale si ispira - nei casi in cui l'annullamento del provvedimento consegua automaticamente all'avverarsi di una condizione risolutiva che sia stata posta (in funzione di un controllo da esperire successivamente) fin da un momento anteriore all'adozione dell'atto.

Secondo tale modulo procedimentale semplificato, dunque, la rimozione consegue direttamente ed automaticamente - come fisiologico effetto del controllo, e dunque come atto dovuto - alla mancata ottemperanza della prescrizione condizionante apposta al titolo e rimasta inottemperata per un quarto di secolo, non occorrendo alcuna ulteriore ed autonoma verifica dell'interesse pubblico al ritiro.

E ciò in quanto la ratio della prescrizione consisteva - a ben guardare - non già nell'abolire un controllo (o nel renderlo meno efficace, fornendo un indebito vantaggio a chi tenti di beneficiare di situazioni non conformi alla legge), ma solamente nel posticiparlo (in funzione acceleratoria) per poi farne eventualmente retroagire gli effetti.

2.4. Da tali premesse non può che concludersi che nella fattispecie per cui è causa la rimozione era né più né meno che un atto dovuto, automaticamente conseguente al risultato dell'atto di controllo; e che pertanto non occorreva alcuna valutazione ulteriore in merito all'interesse pubblico alla prescrizione di rimuovere il manufatto (interesse che, infatti, è intrinsecamente connesso a qualsiasi atto di c.d. "controllo successivo", operando quest'ultimo, per sua stessa struttura, come condizione risolutiva di un atto già adottato).

2.5. Il primo motivo di gravame, pertanto, deve essere senz’altro disatteso nella sua interezza.

3. Non migliore sorte merita la seconda censura formulata dall’appellante società, della cui astratta ammissibilità potrebbe per il vero dubitarsi, sol che si consideri che la stessa non ebbe a dolersi, allorché i provvedimenti le vennero rilasciati, né della natura degli stessi (concessione piuttosto che, come sostenutosi in appello, autorizzazione), né della prescrizione “risolutiva” agli stessi apposta.

In ogni caso, la doglianza è infondata nel merito.

Essa si fonda sul disposto dell’art. 7 del d.l. 23 gennaio 1982, n. 9 convertito ex art. 1 della legge 25marzo1982 n. 94 (“Fatte salve le norme di cui all'art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, alle opere di recupero abitativo di edifici preesistenti di cui alle lettere b) e c) dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, si applicano le disposizioni dell'art. 48 della legge medesima.

Sono altresì soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497:

a) le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti;

c) le occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizione di merci a cielo libero;

c) le opere di demolizione, i reinterri e gli scavi che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere.

Per gli interventi di cui al comma precedente, la istanza per l'autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori si intende accolta qualora il sindaco non si pronunci nel termine di sessanta giorni. In tal caso il richiedente può dar corso ai lavori dando comunicazione al sindaco del loro inizio.

Non sono soggette a concessione né ad autorizzazione del sindaco le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro edificato.

Alle istanze previste dal presente articolo si applicano le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 8 del presente decreto.”).

Senonché, è agevole riscontrare che, da un canto, se anche fosse stato errato il “nomen” apposto ai provvedimenti abilitativi, e gli stessi avessero avuto natura autorizzatoria, ugualmente la omessa ottemperanza alla prescrizione condizionante impostavi dal Comune avrebbe comportato la legittimità del provvedimento di rimozione.

Secondariamente, la natura non precaria dell’opera emerge con chiarezza dall’utilizzo prolungato della stessa, di guisa che – in disparte ogni considerazione sulle apparecchiature ivi contenute, comunque non pertinenziali “all’edificio”, né costituenti “impianto tecnologico al servizio dell’edificio”, ma semmai della rete di servizi Telecom, dal che si evince che non appare esattamente invocata la succitata disposizione - trova applicazione la consolidata giurisprudenza amministrativa, pienamente condivisa dal Collegio, secondo cui in materia edilizia rileva l'oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, per cui la precarietà va esclusa ogni volta che l'opera sia destinata a fornire un'utilità prolungata nel tempo (ex multis, ed anche con riguardo specifico ai containers, si vedano T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 21 ottobre 2009, n. 1922; Consiglio Stato, sez. V, 18 marzo 1991, n. 280; Consiglio Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321).

Alla stregua delle superiori considerazioni l’appello va quindi disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

4.Conclusivamente, l’appello va respinto con conseguente conferma dell’appellata decisione.

5. Nessuna statuizione è dovuta sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)