RADIO VATICANA E LA SENTENZA DI CONDANNA DEL TRIBUNALE DI ROMA

a cura di Gianfranco Amendola

Pubblico volentieri l’intervento del collega e amico Gianfranco AMENDOLA che fornisce un prezioso contributo ad una corretta comprensione della discussa vicenda di “Radio Vaticana” ed una argomentata risposta all’articolo di M. ORLANDI pubblicato in formato elettronico in questo sito grazie a Giurisprudenza di Merito che ce ne ha fornito il testo.
Nel gestire questo sito mi sono imposto la regola del silenzio sugli interventi ospitati allo scopo di favorire un dibattito quanto più ampio e libero possibile, limitandomi ad inserire quale contributo alla discussione generale quanto mi capita ogni tanto di pubblicare altrove.
Violo però questa la regola affermando che condivido
in toto le argomentazioni sviluppate da Gianfranco AMENDOLA in generale e, in particolare, quelle sul sempre attuale tema dell’inquinamento elettromagnetico. Non ritengo sia una violazione troppo grave, avendo in passato scritto e detto fin troppo su questo argomento, tanto da essere “responsabile” quel ricorrente, delle prime due decisioni della cassazione.
Per favorire lo studio della ho aggiunto nel testo che segue i link ai documenti ed alle decisioni richiamate presenti nel sito

Luca RAMACCI

RADIO VATICANA E LA SENTENZA DI CONDANNA DEL TRIBUNALE DI ROMA

a cura di Gianfranco Amendola

Recentemente su questo sito è stato riprodotto l’articolo Radio Vaticana, la <> della quiete pubblica ed il <> di onde radio. Una non condivisibile sentenza del Tribunale di Roma vista sotto il profilo del diritto internazionale”, pubblicato nel numero di febbraio 2007 di Giurisprudenza di merito, a firma del prof. Maurizio Orlandi, docente di diritto internazionale dell’economia e di diritto dell’Unione europea nell’Università “La Sapienza” di Roma.

L’Autore, commentando la sentenza che ha condannato in primo grado i responsabili di Radio Vaticana per le molestie provocate agli abitanti della zona tramite inquinamento elettromagnetico, premette che il penale non è il suo “abituale campo di indagine” ma subito dopo aggiunge che “in questa circostanza gli aspetti internazionali della pronuncia in epigrafe sono molti, rilevanti e discutibili, per cui una indagine principalmente limitata a tali aspetti mi sembra opportuna”. Nel prosieguo dell’articolo, il prof. Orlandi sostiene che il caso doveva essere limitato ad una normale controversia di diritto internazionale, che il giudice italiano non ha giurisdizione su Radio Vaticana e che inquadrare il fatto nell’art. 674 c.p., relativo al “gettito (sic) di cose atte ad offendere o imbrattare o molestare le persone sembra contrastare .. con il principio della irretroattività e del divieto di interpretazione analogica delle norme penali”.

Diciamo subito che la sentenza criticata non è definitiva e, pertanto, sarebbe auspicabile una maggior cautela nei giudizi in questa fase. Tanto più che pende in fase di indagini preliminari un altro procedimento a carico delle stesse persone per reati ben più gravi, attinenti alla salute ed alla vita degli abitanti la zona limitrofa a Radio Vaticana.

Diciamo anche subito che le argomentazioni critiche del prof. Orlandi a proposito della non giurisdizione del giudice italiano e del divieto di “interferenza” da parte dello Stato italiano sono già state ampiamente dibattute e risolte, con una motivazione completa e convincente dalla Cassazione nella sentenza della prima sezione penale, 9 aprile 2003, n. 22516. Così come le argomentazioni critiche relative all’applicabilità o meno dell’art. 674 c.p. (divieto di analogia ecc.) sono state già lucidamente esposte e sostenute, con dovizia di riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, nel giudizio di primo grado (e ripetute nell’atto di impugnazione), dal difensore degli imputati prof. Franco Coppi, il quale, a differenza del prof. Orlandi, insegna (ed è fra i migliori) proprio diritto penale ed opera, come “abituale campo di indagine” proprio nel penale. Ed ovviamente la sentenza (di condanna) del Tribunale di Roma ne ha tenuto debitamente conto nel motivare e nel giungere alla conclusione opposta.

Sotto questi profili, quindi, l’articolo del prof. Orlandi costituisce una esternazione di opinioni critiche in massima parte non nuove, parte delle quali già respinte in via definitiva dalla Cassazione e, per il resto, respinte (per ora) in primo grado dal Tribunale di Roma; esternazione, quindi, che già trova nelle due sentenze una confutazione serrata e, a mio sommesso avviso, del tutto convincente.

Tuttavia, visto che di tali argomentazioni contrarie nell’articolo in esame vi è ben poco visto che si chiama in ballo anche la giurisprudenza della Corte europea, e visto che questo sito è giustamente ben conosciuto ed apprezzato da tutti i giuristi che si occupano di normativa ambientale, sembra opportuno, per ora, fornire al lettore almeno qualche brevissimo ulteriore elemento di valutazione limitato al campo abituale di indagine di chi scrive, e cioè il penale.

In primo luogo, è bene ricordare che i responsabili della Radio Vaticana sono stati condannati per il reato di cui agli artt. 110, 674 c. p. in quanto, in concorso tra loro, nella loro qualità di responsabili della gestione e del funzionamento della Radio Vaticana, diffondevano, tramite gli impianti siti in Santa Maria di Galeria, radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare le persone residenti nelle aree circostanti, -ed in particolare a Cesano di Roma-, arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento.

Nel caso di specie non si tratta di ipotesi disciplinata dall'articolo 9 del codice penale, che riguarda il delitto comune del cittadino all'estero, bensì dell'ipotesi prevista dall'articolo 6, che riguarda i reati commessi nel territorio dello Stato, che sono puniti secondo legge italiana. Infatti, ai sensi del secondo comma dell'articolo 6, "il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione e omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od omissione”.

Si tratta, quindi, di reato commesso nel territorio italiano in quanto è nel territorio italiano che si sono verificate le conseguenze dannose e pericolose del reato, e cioè l'evento. In proposito, cfr. Cass. pen., sez. 1, 4 luglio 1986, RV 174196, la quale, a proposito del reato in esame, ha ritenuto che il "danno criminale è da individuare nell'interesse protetto e cioè l'incolumità pubblica e delle persone nei luoghi di pubblico transito o nelle abitazioni, e che le conseguenze dannose si riferiscono a quei fatti conseguenti correlati in via diretta al predetto interesse e cioè alle conseguenze dovute alla emissione......". Conferma evidente, quindi, che nel reato di cui all’art. 674 c.p., l'evento, quale conseguenza della emissione, consiste nel pericolo o nel danno per le persone; e pertanto il reato si considera commesso dove si verifica tale evento, e cioè nel territorio italiano.

Come poteva lo Stato italiano rinunziare a perseguire penalmente un reato commesso sul suo territorio a danno di cittadini italiani francamente ci sfugge; tanto è vero che la stessa difesa degli imputati ha giustamente rinunciato a riproporre in giudizio questa tesi oggi sposata dal prof. Orlandi. Ma forse la soluzione si trova in un’altra singolare tesi enunciata dallo stesso Autore, secondo cui non dovrebbe essere Radio Vaticana a ridurre la potenza delle sue emissioni moleste e nocive ma lo Stato italiano ad “ordinare l’evacuazione della zona circostante le installazioni di Santa Maria di Galeria, con l’esproprio e l’abbattimento delle costruzioni esposte a radiazioni eccessive (evidentemente con spese a carico dello Stato italiano)…”.

In secondo luogo, leggendo l’articolo in esame circa la giurisprudenza relativa all’applicabilità dell’art. 674 c.p. a fatti di inquinamento elettromagnetico, sembra che vi siano state solo due (o, al massimo tre) sentenze di Cassazione, e per di più contrastanti e successive ai fatti di causa, specie con riferimento all’ambito dei verbi <> e <> nonché sulle <> (elementi che, secondo il prof. Orlandi, non consentirebbero l’applicabilità dell’art. 674 c.p. a fatti di inquinamento elettromagnetico). Per cui, nella decisione in esame, a nulla rileverebbero i precedenti giurisprudenziali che, secondo la giurisprudenza della Corte europea, “per contribuire a chiarire la portata della legge nazionale devono essere formati prima della commissione dei fatti ed essere chiari e costanti”, perché, in caso contrario essi non costituiscono un “elemento tale da consentire al singolo individuo di avere piena coscienza che il proprio comportamento può costituire reato”.

Diciamo subito che sono inesatte tutte le premesse di questa tesi.

Quanto, infatti, alla giurisprudenza italiana, ovviamente, ci si può riferire solo alla prima parte della norma, in quanto l’inquinamento elettromagnetico di certo non rientra né tra i gas né tra i vapori né tra i fumi. E pertanto, era del tutto prevedibile che l’attenzione di dottrina e giurisprudenza si accentrasse soprattutto sull’ambito dei verbi <> e <> nonché sulle <>. A questo proposito, va segnalato che appare assolutamente prevalente la conclusione secondo cui questi termini solo tali da ricomprendere anche le emissioni elettromagnetiche. In particolare, la Cassazione, con una importantissima sentenza del 1999 stabiliva che “il fenomeno noto come inquinamento elettromagnetico è astrattamente riconducibile alla previsione dell’art. 674 c.p…. L'apertura culturale mostrata dal codice Rocco nel dilatare la nozione di cosa rilevante per il diritto penale (l’art. 624, comma 2, equipara l’energia alle “cose mobili”) autorizza ad attribuire all'art. 674 una dimensione più ampia di quella originariamente conferitagli e conforme ad una visione della legge in armonia con il marcato dinamismo dello Stato moderno. Non sembra arbitraria, dunque, la conclusione che tra le "cose" di cui parla la norma incriminatrice debbono farsi rientrare anche i campi elettromagnetici, per la loro stessa essenza considerati da A. Einstein altrettanto reali "della sedia su cui ci si accomoda”, o, più esattamente, i treni di onde, che si disperdono in tutte le direzioni a somiglianza di quelle generate nell'acqua dal lancio di un sasso, quale effetto delle variazioni dei campi medesimi prodotte dalle oscillazioni delle cariche elettriche. Ancora più agevole è ricondurre il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche nell'ambito dell'amplissimo significato che ha nella nostra lingua il verbo "gettare". Esso, infatti, non sta solo ad indicare l’azione di chi lancia (più popolarmente butta) qualcosa nello spazio o verso un punto determinato, ma è anche sinonimo di <> e, per estensione, come già in Dante Alighieri, di <>[1]. Trattasi, peraltro, di conclusione del tutto coerente con i più recenti orientamenti della Suprema Corte, i quali hanno costantemente esteso, con riferimento all'ambito complessivo dell' art. 674 c.p., sia il concetto di "cose"[2], sia quello di "getto" o "versamento" onde ricomprendervi qualsiasi immissione nell'ambiente che possa riuscire molesta per le persone[3].

A questa sentenza seguivano numerose altre decisioni sia della Suprema Corte sia della giurisprudenza di merito in cui la tesi dell’ astratta applicabilità dell’art. 674 c.p. veniva confermata se non addirittura dato per scontata[4].

L’unica eccezione si riscontrava dopo la entrata in vigore della nuova legge sull’inquinamento elettromagnetico, con una sentenza in cui la Cassazione escludeva l’astratta possibilità di inquadramento della condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di cui all’art. 674 c.p. <<in quanto la suddetta norma descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nella emissione di onde elettromagnetiche: l'azione del "gettare in luogo di pubblico transito... cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone" è ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici. Il gettare delle "cose" presuppone la preesistenza di dette cose in natura, mentre la emissione di onde elettromagnetiche consiste nel "generare" (e, quindi, far nascere o far venire ad esistenza) "flussi di onde" che prima dell'azione "generatrice" non esistevano. L’ assumibilità delle onde elettromagnetiche nel concetto di "cose" non può essere poi automatica, ma richiede, necessariamente una esplicita previsione normativa, come è awenuto, ad esempio, con la previsione di cui al secondo comma dell'art. 624 c.p. Altrettanto può dirsi per quanto riguarda l'ipotesi della emissione di gas, vapori o fumi, relativamente ai quali ogni tentativo di equiparazione alle onde elettromagnetiche appare del tutto arbitrario. Una interpretazione estensiva in malam partem della norma incriminatrice di cui all'art. 674 c.p.è vietata in base al cosiddetto "principio di stretta legalità", contenuto, oltre che nella norma di garanzia di cui all'art. 1 deI codice penale, anche dalla disposizione contenuta nell'art. 25 della Costituzione. A ciò si aggiunga che la norma contenuta nell'art. 14 delle Disposizioni della legge in generale esclude che la legge penale si applichi "oltre i casi e i tempi in esse considerati">>[5].

Tuttavia, il giorno successivo, la stessa sezione emetteva decisione completamente opposta, la quale, pur se incidentalmente, ricordava che <<con precedenti decisioni di questa sezione è stato affermato il principio che il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetico è astrattamente riconducibile nalla ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 674 c.p.>>[6]. Ed anzi, due mesi dopo, con specifico riferimento alla sentenza Suraci, precisava di <<dissentire da tale più recente orientamento e ritiene di ribadire quanto espressamente statuito dalle due sentenze del 1999, anche in ragione della loro coerente riconducibilità al consolidato, quanto persuasivo, orientamento formatosi con riguardo alla relazione possessoria dell’emittente con il campo elettromagnetico ingenerato>>[7]; confermando ancora una volta, due giorni dopo, che la sentenza Suraci costituisce una <<isolata pronuncia>>, di <<aderire alla giurisprudenza maggioritaria, riguardante la possibilità di realizzazione della condotta materiale del reato di cui all’art. 674 c.p. mediante la emissione di onde cagionate dai campi elettromagnetici generati da apparecchiature di ripetizione radiotelevisiva>> e che, se pure è vero che <<il legislatore del 1930 non ha affatto pensato alla specifica ipotesi dell’emissione di onde elettromagnetiche e, più in generale, al fenomeno dei danni da elettrosmog>>, è anche vero che, così come chiarito dalla Cassazione civile <<la locuzione “cose” usata dal legislatore nella formulazione dell’art. 674 c.p. comprende anche l’energia elettromagnetica, che non soltanto è suscettibile di valutazione economica ma anche provvista di una sua particolare fisicità, ben potendo essere misurata, utilizzata e formare oggetto di appropriazione>>. E pertanto, in quanto “cosa”, essa <<è suscettibile di essere “gettata”, dal momento che il relativo verbo usato dal legislatore nel descrivere la materialità della condotta ha nella lingua italiana un ampio significato (non soltanto indica l’azione di chi lancia qualcosa, ma è anche quella del “mandar fuori, emettere disperdere”; cfr. la relativa voce del vocabolario della lingua italiana dell’UTET), che perfettamente ricomprende il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche>>[8].

Insomma, con buona pace del prof. Orlandi, la giurisprudenza quasi unanime (con una sola decisione contraria) della Suprema Corte ammette la applicabilità in astratto dell’art. 674 c.p. a fatti di inquinamento elettromagnetico. E cade, quindi, la sua conclusione secondo cui, non essendovi precedenti giurisprudenziali chiari e costanti, tali da “consentire al singolo individuo di avere piena coscienza che il proprio comportamento può costituire reato”, la condanna dei responsabili di Radio Vaticana sarebbe in contrasto con la giurisprudenza comunitaria.

Né può farsene una questione di date, come pure ritiene il prof. Orlandi, secondo cui il processo riguarda “fatti accaduti a partire dal luglio 1999, quindi in data antecedente al formarsi di quella giurisprudenza che oggi il Tribunale di Roma usa per affermare l’applicabilità dell’art. 674 al gettito (sic) di onde elettromagnetiche”. Infatti, a parte che, come ben sanno i penalisti, nella contestazione del reato l’abbreviazione <> significa “accertato” e non “accaduto”, nel caso in esame nel capo di imputazione era indicato testualmente <<Reato permanente, acc. dal luglio 1999>>, e quindi la contestazione della permanenza ha compreso abbondantemente tutte le sentenze sopra citate.

In ogni caso, va sottolineato che nel nostro paese i precedenti giurisprudenziali non creano la legge, per cui non si capisce perché, nel motivare la sua interpretazione della legge, il giudice italiano non dovrebbe tener conto anche di eventuali sentenze (a favore o contro) intervenute successivamente ai fatti di causa. E non si dica che, nel caso di Radio Vaticana, i responsabili non si erano resi conto della possibile illiceità della loro condotta: basta scorrere le pagine del dibattimento e della sentenza per verificare che essi erano stati più volte avvisati delle gravissime molestie arrecate al vicinato; tanto è vero che le stesse autorità ecclesiastiche, in epoca ben precedente all’inizio del procedimento penale, avevano richiesto per iscritto ai loro contadini di lasciare la zona per il pericolo di danni alla salute.

In conclusione, allo stato contro i responsabili di Radio Vaticana vi è una sentenza di condanna non definitiva. La si può, ovviamente, condividere o criticare. Ma, in attesa che la vicenda processuale si chiuda, è meglio evitare drastiche prese di posizione specie quando vengono emesse fuori dell’abituale campo di indagine professionale e contengono notevoli elementi di imprecisione.



[1] Cass. pen., sez. 1, 14 ottobre 1999, Cappellieri, in Foro it. 2001, n. 1, parte seconda, c. 29 e segg., con nostra nota Inquinamento elettromagnetico, d.m. 381/98 e art. 674 c.p.

[2] Quanto alla qualifica dell’energia come “cosa” cfr. l’accurato e completo studio di DELL’ANNO, Energia e assetto del territorio: profili istituzionali, Padova 1983, pag. 16 e segg. con ampi richiami di dottrina, ove si conclude che “l’energia rientra tra le cose materiali anche se sfugge al requisito della tangibilità e non si presta ad una agevole rilevazione con il normale uso dei sensi umani”.

[3] da ultimo, cfr. Cass. Pen., sez. 3, 8 novembre 1999, n. 14249, Greppi, secondo cui il reato sussiste per “qualsiasi sostanza immessa nell’atmosfera, non costituente componente normale della stessa”..

[4] Cass. pen., sez. 1, 13 ottobre 1999, n. 5592, Pareschi, anche essa in Foro it., cit. con nostra nota; Id. 1 giugno 2000, Rigoni, n. 4102 in Rivistambiente 2000, n. 1, pag. 72 e segg.; Trib Roma, sez. riesame provv. sequestro, ord. 9 marzo 2000, in Foro it., cit.. e ord. 11 gennaio 2001 in Ambiente 2001, n. 4, pag. 379 e segg. con nota di RAMACCI, Elettrosmog, un altro passo avanti della giurisprudenza di merito.

[5] Cass. pen., sez. 1, 30 gennaio 2002, Suraci, in Rivistambiente 2002, nn. 4-5, pag. 446 e segg.

[6] Cass. pen., sez. 1, 31 gennaio 2002, Fantasia, in Rivistambiente 2002, nn. 4-5, pag. 446 e segg.

[7] Cass. pen., sez. 1, 12 marzo 2002, Pagano e Arcucci, in Rivistambiente 2002, n. 7, pag. 750 e segg.

[8] Cass. pen., sez. 1, c.c. 14 marzo 2002, Rinaldi, RV. 221653, in Cass. Pen. 2003, n. 116, pag. 462 e segg., con nota di DE FALCO, Alcuni punti quasi fermi in tema di rilevanza penale dell’inquinamento elettromagnetico