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Tutela penale contro l’inquinamento da campi elettromagnetici

Luca Ramacci Pretura Circondariale di Venezia  Sostituto Procuratore della Repubblica

Inquinamento ambientale da campi elettromagnetici

Cercherò di essere telegrafico e ringrazio per avermi dato l’opportunità di parlare - per la prima volta devo dire - dell’esperienza che ho avuto come Pubblico Ministero nel campo dell’inquinamento elettromagnetico.

Mi dicono che la platea è formata prevalentemente da tecnici e quindi vi prego di scusare eventuali ingenuità da parte di chi, come me, ritiene ancora la accensione di una lampadina un miracolo.

L’argomento di cui io tratto, gli aspetti giudiziari della questione, è un argomento sottovalutato anche da gran parte dei miei colleghi; il “complimento” che più spesso mi fanno è quello di dirmi che parlo di fantascienza, questo perché la situazione è, in campo legislativo, molto caotica.

Prima di iniziare vi debbo dire come ha agito il mio ufficio e come ho agito io.

Io mi sono documentato con i lavori, per me comprensibili, che sono riuscito a reperire: gli studi dell’Istituto Superiore della Sanità. Quindi, quando farò riferimento a problemi della salute o a problemi tecnici, riferisco quello che credo di avere appreso da studi di altri, perché non posso e non voglio assolutamente prendere il posto di chi è esperto della materia.

Fatte queste considerazioni e ritenuto che c’era qualcosa da controllare, ho fatto un’altra valutazione e mi sono chiesto se fosse giusto, indipendentemente dalla pericolosità dell’esposizione ai campi elettromagnetici, che un cittadino abbia anche aumentata di un solo grado la temperatura corporea e mi è sembrato che anche questa non fosse una cosa giusta. Detto questo ho cercato di vedere quali fossero i rimedi per il cittadino che si trova esposto, suo malgrado, ai campi elettromagnetici.

Le iniziative giudiziarie in questo campo sono pochissime per quello che mi è dato sapere e si contano, per vari motivi, sulle dita di una mano, anche se c’è una lenta inversione di tendenza.

Questa situazione di scarsa attenzione è dovuta ad una serie di elementi: principalmente alla disciplina del settore che, come abbiamo sentito anche questa mattina, è estremamente frammentaria. C’è una legislazione statale che di fatto è inattuata o, comunque, concretamente inattuabile; ci sono degli sforzi encomiabili di alcune amministrazioni che hanno con la propria produzione normativa fissato dei parametri di ammissibilità e cercato di regolare la materia. Quest’attività legislativa crea dei problemi, perché incide sull’uniformità di valutazione del fenomeno sull’intero territorio nazionale.

Fortunatamente si segnala, come abbiamo sentito oggi, un attivismo del legislatore manifestatosi nella predisposizione di diversi progetti di legge, che però poi bisogna vedere come concretamente potranno essere attuati.

Un altro elemento importante che determina la sottovalutazione del problema da parte della magistratura penale è la mancanza di conclusioni univoche da parte della comunità scientifica. Noi dobbiamo basarci, per forza, sugli studi e sulle valutazioni dei periti che nominiamo per fare misurazioni e controlli e questo stato di incertezza crea a sua volta incertezza al Magistrato che poi deve applicare le norme; incertezza che forse è anche data, questa è una mia ipotesi, da protocolli di indagine da parte di chi deve fare la valutazione non sempre uniformi (ovviamente noi dobbiamo avvalerci delle valutazioni che ci forniscono questi tecnici specializzati).

La maggior attenzione che in questo periodo è rivolta ai campi elettromagnetici è data, secondo me, dall’attivismo di alcune associazioni e di gruppi spontanei di cittadini che hanno cominciato a porre il fenomeno all’attenzione non solo della stampa, ma anche della magistratura in un primo tempo in sede prevalentemente civile e amministrativa e adesso anche in sede penale.

Per mia personale esperienza e per quello che sento anche dai colleghi so che incominciano ad arrivare nelle Procure Circondariali le prime denunce di cittadini che, preoccupati della potenzialità offensiva del fenomeno, ritengono di dover segnalare quanto avviene per verificare se ci siano strumenti atti ad eliminarlo o controllarlo.

È una forma di inquinamento, questa, molto subdola che non è immediatamente percepibile dalle persone comuni, come avviene per l’inquinamento acustico o quello chimico e quindi anche questo ha limitato, in un primo tempo, il numero di denunce.

Un ultimo, ma non meno importante motivo della scarsa attenzione di cui ho detto, è anche rappresentato dalla scarsissima diffusione di decisioni giudiziarie sulla materia.

Chiunque (e in particolare le persone che fanno il mio mestiere e gli operatori del diritto) abbia tentato di fare con i normali mezzi a disposizione quali il CED (Centro di Elaborazione Dati della Corte di Cassazione) o altri strumenti una ricerca dei precedenti giurisprudenziali, avrà avuto modo di verificare come le decisioni che vengono normalmente pubblicate sono quelle che negano o non considerano l’esistenza del fenomeno dell’inquinamento da campi elettromagnetici. Questo perché queste sentenze sono state pubblicate esclusivamente su riviste giuridiche che hanno un determinato orientamento.

Quindi si ha notizia delle decisioni sfavorevoli e non, almeno sino ad oggi, di quelle favorevoli a chi ritiene il fenomeno preoccupante.

Alla distratta presenza degli operatori del diritto deve aggiungersi anche, perché le cose o si dicono chiaramente o non si dicono, l’enormità degli interessi politici ed economici che sottostanno a questo tipo di interventi. Basta pensare da quali impianti provengono i campi elettromagnetici e potete rendervi conto di cosa significhi fare un’indagine di questo genere.

Le norme penali in tema di inquinamento elettromagnetico non esistono; quindi non abbiamo delle disposizioni specifiche che regolino il fenomeno e non sembra che la situazione sia destinata a mutare, perché nei progetti di legge di cui si è parlato non vengono previste sanzioni penali, ma soltanto sanzioni amministrative. E qui entra in discussione il problema della depenalizzazione e delle sanzioni amministrative. Queste ultime sarebbero una buona cosa se fossero realmente applicate e applicabili. Di fatto queste sanzioni, normalmente - parlo dell’esperienza non in questo campo, ma, per esempio, per l’inquinamento idrico e per quello che è successo con la Legge Quadro per l’inquinamento acustico - vengono irrogate da enti che spesso assumono la duplice veste di controllore e di controllato e chiunque abbia la voglia di fare una verifica sulle sanzioni amministrative applicate per le altre leggi che le prevedono in materia di ambiente, avrà modo di constatare che di fatto queste sanzioni non vengono quasi mai irrogate e, quando lo sono, esistono vari strumenti, previsti dalla legge, che consentono di paralizzare gli effetti tanto delle sanzioni amministrative quanto di tutte le attività conseguenti, come le ordinanze che inibiscono o impongono la limitazione delle emissioni. Come diceva il precedente relatore, si può ricorrere al TAR, questo blocca l’ordinanza e si arriva ad un nulla di fatto.

Quindi il ricorso alla norma penale è un’“extrema ratio”, ma consente, nonostante le difficoltà, di ottenere qualche risultato concreto.

Ovviamente per poter agire in questo campo abbiamo dovuto limitare l’indagine ad un settore specifico, perché noi possiamo individuare tre grosse categorie di individui esposti a campi elettromagnetici, (le possiamo ricavare anche da quello che si è detto oggi): una parte delle persone esposte sono lavoratori addetti a lavorazioni particolari. Questi soggetti li abbiamo esclusi dall’indagine perché sono soggetti che, almeno in via indiretta, sono tutelati da specifiche norme sulla sicurezza del lavoro; si tratta poi di soggetti informati, cioè di soggetti i quali si presume siano consapevoli dei rischi che corrono.

Un’altra categoria che è stata eliminata è quella degli utilizzatori di apparecchi di uso comune come gli elettrodomestici, ritenendo anche in questo caso che questi soggetti fossero garantiti dalla predisposizione di standard di costruzione che sono previsti dalle normative comunitarie e che dovrebbero determinare un controllo da parte del costruttore sui rischi conseguenti.

La categoria che abbiamo invece considerato a maggior rischio e quindi oggetto di indagine è quella dei cittadini comuni esposti ai campi elettromagnetici da diverse sorgenti, per una serie di motivi: perché si tratta, normalmente, di soggetti non informati; si tratta di una categoria di persone disomogenea, che quindi varia per fasce d’età, per condizioni di salute. Sono persone che potrebbero assumere anche determinati farmaci, con condizioni fisiche generali che possono interagire in modo negativo con i campi elettromagnetici. Quindi noi abbiamo ritenuto di riferirci a questa che abbiamo individuato come una specifica area di rischio.

Individuati questi soggetti, si è cercato di vedere quali fossero gli strumenti processuali utilizzabili. Le decisioni che sono più diffuse sulla materia riguardano l’utilizzazione dell’art.700 del Cod. di Proc. Civ.

Non voglio entrare in particolari tecnici sia perché non c’è tempo, sia perché non credo che in questa sede interessino; comunque, per farvi capire, è lo stesso strumento utilizzato per la “cura Di Bella”.

È uno strumento processuale particolare a cui hanno fatto ricorso gruppi di cittadini per impedire o cercare di impedire la costruzione di elettrodotti o altri impianti a rischio.

Questi procedimenti spesso hanno avuto un esito positivo, ma non hanno trovato poi successiva conferma nel giudizio di merito.

Diverso esito hanno avuto poi i procedimenti amministrativi promossi davanti al TAR e al Consiglio di Stato.

Credo che nel dossier distribuito dal WWF siano citate alcune delle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato che sono arrivate ad impedire (entro i limiti previsti per la decisione del TAR e del Consiglio di Stato, quindi con riferimento alla legittimità di atti amministrativi) la costruzione di impianti e hanno preso in considerazione vari aspetti del fenomeno, fino a considerare il rischio rappresentato dai varchi elettromagnetici installati in alcuni uffici pubblici.

In sede penale, che è la materia che poi io tratto, il primo di intervento è rappresentato da una decisione ormai storica del 1987 del Pretore di Pietrasanta, il quale per primo prese in considerazione il rischio di inquinamento da campi elettromagnetici, ma lo prese in considerazione un po' alla larga perché applicò la disciplina prevista dalla legge urbanistica alla costruzione di un elettrodotto. La sentenza è storica non tanto per il fatto che si sia ritenuta necessaria l’autorizzazione per la costruzione di un impianto di questo genere, ma per il fatto che ha preso per prima in considerazione questo fenomeno e ha posto anche l’attenzione su un altro aspetto a volte trascurato: l’impianto sorgente, l’antenna o l’elettrodotto non ha effetti soltanto sulla salute del cittadino, ma ha anche un notevole impatto ambientale perché incide anche notevolmente sull’aspetto urbanistico e paesaggistico. Dopo questa prima decisione si è utilizzato un altro strumento che è l’art. 650 del C. Penale, il quale prevede una sanzione nel caso in cui si contravvenga ad un ordine impartito dall’autorità per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico ed igiene. E l’ipotesi, per esempio, che ho preso in considerazione io è quella del sindaco di Baone, un comune in provincia di Padova, il quale di fronte a segnali allarmanti da parte della USL competente che evidenziava la presenza di forti campi elettromagnetici in prossimità di ripetitori radio-televisivi ha emesso un’ordinanza con cui veniva inibito l’accesso alle persone che potevano eventualmente avvicinarsi all’impianto.

Questo è uno strumento utile, ma è uno strumento un po' particolare perché va a colpire non chi provoca l’emissione di campi elettromagnetici, ma chi invece deve essere tutelato, cioè il cittadino che volontariamente o no si avvicina alla sorgente. Quindi è una forma di tutela del tutto indiretta. La pena prevista poi da questa norma è una pena blanda: arresto fino a tre mesi e pena pecuniaria sino a 400.000 L., significa che con 200.000 L. di oblazione ci si libera del problema.

Più recentemente, e questo è invece un processo veramente importante, anche se non si è ancora concluso, ho avuto notizia di un procedimento penale avviato innanzi al Pretore di Rimini per il reato di lesioni colpose. Questo vuol dire che per la prima volta nella storia giudiziaria si è riconosciuto in sede di incidente probatorio, quindi in una perizia che può essere utilizzata nella fase dibattimentale, l’effettiva correlazione tra l’esposizione a campi elettromagnetici (qui si trattava di un elettrodotto) e le patologie lamentate da alcuni cittadini che avevano presentato querela.

Nel caso di Rimini è stata fatta una perizia (con incidente probatorio), affidata ad un medico il quale ha riscontrato un’effettiva correlazione tra lesioni ed esposizione a campi elettromagnetici. Per chi volesse approfondire la questione, segnalo che il WWF dovrebbe avere a disposizione gli atti visto che si è costituito parte civile nel processo.

Anche questa forma di tutela è un’arma un po' spuntata perché si interviene quando il danno è fatto; il giudice penale interviene solo quando la lesione si è ormai verificata, quando il cittadino, la popolazione ha già subito l’esposizione a campi elettromagnetici e soprattutto il reato di lesioni colpose è un reato punibile a querela di parte e quindi è necessaria l’iniziativa dell’interessato che deve formulare un’espressa istanza di punizione al giudice.

Vediamo come andrà a finire questo processo, sicuramente sarà un precedente molto importante che verrà usato da altri uffici giudiziari.

Per quanto riguarda la mia personale esperienza, posso dire che io ho scelto un’altra strada, un po' più avventurosa, ma forse un po' più efficace: l’applicazione degli articoli 674 e 675 del Cod. Pen.

Vi faccio grazia di tutti i problemi tecnico-giuridici, chi vuole li troverà nella sentenza e nella nota che dovrebbe esservi stata fornita con il materiale.

L’applicazione di queste disposizioni di legge è stata una scelta un po' sofferta da parte mia. In un primo tempo avevo sostenuto con un collega in una pubblicazione che questa norma non era applicabile per i campi elettromagnetici per problemi di tassatività, cioè, detto in parole semplici: questi articoli sono stati scritti negli anni ‘30, il legislatore quando li ha scritti teneva presente, nel getto pericoloso di cose, l’ipotesi della signora che lancia il secchio di acqua sporca sulla vicina o del contadino che brucia le foglie secche vicino al giardino del confinante; quindi avevo sostenuto con il collega che non era possibile applicare questa disposizione nel caso dell’esposizione a campi elettromagnetici, per quanto fosse quella che più si avvicinava alla fattispecie in oggetto.

Successivamente, tenuto conto anche degli articoli che sono usciti su questa vicenda dei campi elettromagnetici, ho rivisto un po' la questione, sono andato a riguardare la giurisprudenza della Corte di Cassazione e debbo dire che ho riscontrato un notevole ampliamento dell’ambito di applicazione di questa disciplina, ampliamento che consente adesso di poter ritenere utilizzabile anche per l’esposizione a campi elettromagnetici questa norma.

Dicevo che non entro negli aspetti tecnici, però diciamo che le caratteristiche fisiche dei campi elettromagnetici possono ricondursi nel concetto di “cosa” previsto dalla legge, abbiamo fatto una serie di considerazioni per cui il campo elettromagnetico, avendo una sua individualità fisica e essendo suscettibile di misurazione e di utilizzazione per scopi diversi, poteva rientrare nel concetto giuridico di “cosa” e quindi poteva arrecare molestie e disturbo alle persone.

La cosa importante, dal punto di vista pratico, è che questi due reati, previsti da questi articoli, sono reati diversi. Sono reati “di pericolo”, per cui il grosso vantaggio che si ha utilizzando questa disposizione è che la sua utilizzazione può avvenire prima ancora che un danno possa essere arrecato ad un soggetto e non si punisce solo un’attività che provochi lesione ma anche la semplice molestia. E siccome per “molestia” la Cassazione intende anche il patema d’animo o la preoccupazione che il pensiero dell’esposizione ad un rischio potrebbe procurare ad un soggetto (l’abbiamo sentito anche prima da uno dei relatori) questa situazione che può verificarsi attraverso l’esposizione a campi elettromagnetici sicuramente rientra, a mio avviso naturalmente, nel concetto di molestie e quindi può consentire una repressione del fenomeno prima ancora che questo procuri dei danni.

Queste mie elucubrazioni sono state poi trasfuse in una richiesta di sequestro preventivo che riguardava un impianto di radiotrasmissione su un palazzo di Mestre e il GIP, sorprendentemente, ha accolto questa tesi e ha ordinato il sequestro dell’impianto, sequestro che però è stato applicato in una forma che spesso viene utilizzata per ottenere qualcosa: il “sequestro condizionato”.

Anche qui non entro nei particolari, comunque nella pratica il giudice ordina il sequestro a condizione che venga rimesso a norma l’impianto entro un certo periodo di tempo. Se l’impianto non viene rimesso a norma allora scatta il sequestro. In questo caso, stranamente, i responsabili delle quattro emittenti interessate all’antenna in questione hanno preferito smantellare l’antenna e trasferirla in un altro luogo.

Devo dire che mi è dispiaciuto un po', perché io speravo che impugnassero il sequestro per portarlo subito in Cassazione e vedere che cosa la Corte di Cassazione potesse dire su questa vicenda. Invece ci hanno dato soddisfazione solo togliendo l’antenna e collocandola in un altro posto.

La possibilità di operare il sequestro, forse non è nemmeno il caso di dirlo, è quella che consente di avere dei risultati efficaci, perché il sequestro è un affilato coltello alla gola dell’interessato, il quale si trova di fronte all’alternativa di mettersi in regola o di dover chiudere l’impianto e questa, ovviamente, utilizzando altro tipo di normativa, quella che prevede sanzioni amministrative, non è una strada praticabile.

L’attività di indagine che stiamo ora svolgendo (questa di cui vi ho parlato riguardava un singolo impianto) è nata tra l’altro in modo banale: a Venezia i garage sono più preziosi delle abitazioni e costruiscono dei palazzi destinati ad accogliere le vetture. In uno di questi palazzi era stato istallato un ripetitore di una radio privata e i proprietari dei garage lamentavano un fastidioso effetto della trasmissione radio: saltavano tutti i comandi dei garage per cui si aprivano le porte da sole, c’erano dei problemi di questo genere.

Abbiamo fatto dei controlli sull’area della città di Mestre e abbiamo riscontrato non tanto quell’impianto come non a norma, ma un altro impianto che poi è stato sequestrato. Abbiamo tenuto presenti i limiti previsti dalla normativa vigente come punto di riferimento.

Attualmente stiamo effettuando un controllo a tappeto su tutta la provincia che dovrebbe concludersi a fine Aprile; abbiamo preso preventivamente tutte le informazioni tecniche sugli impianti radio-televisivi, le informazioni tecniche sugli impianti radiobase di telefonia cellulare e acquisito informazioni tecniche e la cartografia degli elettrodotti. Sono state fatte poi delle verifiche teoriche e strumentali riferite in un “data base” predisposto da un tecnico, abbiamo ora una mappa delle emissioni sul territorio e, per le segnalazioni di situazioni a rischio che dovessero essere fatte, contiamo di muoverci nello stesso modo, sperando che si ottenga un qualche risultato.

Credo che l’attività svolta sia efficace perché noi abbiamo una cartina di tornasole per vedere se il lavoro che facciamo va bene: l’agitazione dei soggetti coinvolti. Debbo dire che, in questo caso, l’agitazione c’è stata con conseguente interessamento da parte di avvocati, con richieste di collaborazione abbastanza spontanee da parte dei soggetti interessati dal controllo. Quindi evidentemente è una strada efficace, altrimenti non ci sarebbero state questo tipo di reazioni.

Concludo dicendo che i dati raccolti, una volta concluse le indagini, sono a disposizione di tutti; quindi chi volesse utilizzarli per studio può richiederli.

Infine, concludendo lancio un appello: parliamone ancora di questo problema, perché se ne parla troppo poco; troverete nella documentazione che vi è stata data un indirizzo di un sito internet che abbiamo attivato come Procura della Repubblica (WWW.LEXAMBIENTE.COM/), c’è uno spazio dedicato agli interventi, uno spazio utile anche per continuare a parlare di questo fenomeno. Grazie.