Tecnica investigativa Ambientale:  la videosorveglianza, (anche con “foto trappole”) per l’accertamento delle violazioni contro l’abbandono dei rifiuti

di Giuseppe AIELLO

Il ricorso ai sistemi di video controllo del territorio, da parte degli enti locali, per rispondere alla domanda di sicurezza dei cittadini, è un fenomeno che in Italia ha registrato una crescita significativa negli ultimi anni. L’uso massiccio della videosorveglianza da parte dei Comuni è comunque, senza dubbio, strettamente connesso all’ innovazione normativa degli ultimi tempi che ha attribuito ai sindaci specifiche competenze volte a garantire l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana1. Proprio perché investiti di questi nuovi poteri e competenze, l’art. 1 comma 1 della Legge 23 aprile 2009, nr. 38, che ha convertito in Legge con modificazioni il D.L. 23 febbraio 2009, nr. 11, ha previsto che “ per la tutela della sicurezza urbana, i comuni possono utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico”, oltre che “la conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza e’ limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione”. Il Garante, nel provvedimento generale del 2010 al punto 5.2., si occupa dell’uso dei sistemi di videosorveglianza per l’accertamento delle violazioni in materia di deposito dei rifiuti e discariche e stabilisce << In applicazione dei richiamati principi di liceità, finalità e proporzionalità, l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza risulta lecito con riferimento alle attività di controllo volte ad accertare l’utilizzo abusivo di aree impiegate come discariche di materiali e di sostanze pericolose solo se non risulta possibile, o si riveli non efficace, il ricorso a strumenti e sistemi di controllo alternativi. Analogamente, l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza è lecito se risultano inefficaci o inattuabili altre misure nei casi in cui si intenda monitorare il rispetto delle disposizioni concernenti modalità, tipologia ed orario di deposito dei rifiuti, la cui violazione è sanzionata amministrativamente (art. 13, l. 24 novembre 1981, n. 689)>>. In considerazione di quanto riportato nel provvedimento prima dell’utilizzo dei sistemi di videocontrollo i Comuni devono dimostrare di aver attivato le classiche misure di controllo del territorio in materia di abbandono dei rifiuti e di corretta applicazione delle disposizioni dettate dal Comune per la raccolta dei rifiuti senza ottenere positivi risultati. Può essere sicuramente sufficiente riportare tali condizioni negli strumenti regolatori che il Comune, nella sfera dell’autonomia dell’Ente, può adottare per l’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza, non essendo più obbligatorio, dal 2010, l’ ”atto di documentazione delle scelte” (Regolamento). L’attivazione di qualsiasi sistema di videosorveglianza per il controllo del territorio, comporta l’osservanza degli obblighi di informativa previsti dall’art. 13 del D.Lvo N° 196/2003, mediante l’apposizione del cartello che deve essere collocato prima del raggio di azione della telecamera, anche nelle sue immediate vicinanze e non necessariamente a contatto con gli impianti. Le riprese filmate e l’estrapolazione dei fotogrammi per l’accertamento degli illeciti ambientali potranno riguardare sia le violazioni contemplate nel Testo Unico Ambientale, D.lgs 152/ 2006, (utilizzo abusivo di aree impiegate come discariche di materiali e di sostanze pericolose con riflessi penali e/o ammnistrativi a seconda delle norme violate e delle relative sanzioni stabilite: D.lgs 152/2006 artt. 256, 255) sia le violazioni amministrative alle disposizioni emanate dal Comune (corretto conferimento dei rifiuti). Nei casi in cui le riprese filmate avvengono nel corso di indagini di P.G., esempio classico il controllo sulle discariche o altri aspetti penalmente rilevanti, gli obblighi d’informativa potrebbero essere omessi in base alla deroga prevista al punto 3.1.1 del provvedimento del Garante. Negli ultimi tempi i Comuni stanno abbinando ai sistemi di videosorveglianza fissi, collegati alle centrali operative dei Comando di P.M., l’uso di apparati mobili del tipo “fototrappole” così come comunemente vengono chiamate, oppure “appariti di video riprese mobili”, che si stanno rilevando dei forti alleati in grado di aumentare l’incisività dei controlli con risultati efficaci ed efficienti in particolare se valutati in rapporto costo - benefici. Il basso costo delle apparecchiature ha spinto molti enti ad installare tale tipo di apparecchiature e non sempre chi li utilizza si è preoccupato di rispettare la complessa normativa vigente con il rischio di incorrere in sanzioni anche gravi. Proprio per questo è auspicabile che per ogni tipologia di impianto venga effettuata una verifica con la seguente conclusione: “L’impianto di videosorveglianza è stato realizzato nel rispetto delle prescrizioni tecniche di cui al provvedimento generale sulla videosorveglianza del Garante per la protezione dei dati personali datato 08 aprile 2010. Il titolare del trattamento rimane responsabile di tutte le violazioni connesse alla necessità e/o opportunità dell’impianto ed al complessivo trattamento dei dati personali.” La domanda nasce spontanea e cioè l’uso delle “foto trappole”, da parte dei Comuni, per accertare illeciti ambientali è lecito o meno?

La mia risposta è certamente si a condizione che vengano rispettate tutte le disposizioni vigenti in materia. Proprio per le differenti caratteristiche e per l’uso specifico di tali apparecchiature è consigliabile che il Comune si dia delle regole conformandosi alle disposizioni vigenti in materia per evitare che gli operatori possano incorrere in responsabilità che potrebbero essere anche di carattere penale. E’ auspicabile che esse vengano riportate in un apposito regolamento della “videosorveglianza ambientale” proprio per dare maggiore trasparenza e tutela della privacy. Si ritiene inoltre opportuno, qualora i sistemi di video sorveglianza vengano usati per la contestazione degli illeciti in materia di rifiuti, che il Comune regolamenti dettagliatamente anche l’intera fase delle procedura di accertamento sin dal momento del posizionamento del sistema di video controllo, all’ asportazione dei dati dalle schede di memoria al processo di visione, estrapolazione dei fotogrammi(art 13 L.689/1981), verbalizzazione dell’illecito (ex art 14 L.689/1981) e conservazione dei dati per il processo sanzionatorio, tenendo quindi presente che i fotogrammi costituiscono quello che il Garante definisce “dato personale”. Come statuito da una recente sentenza della Suprema Corte2, che richiama ulteriori pronunce giurisprudenziali sul punto, in linea con la lettura della definizione di “dato personale” contenuta nell’art. 4 del codice privacy fornita dall’Autorità Garante, non è possibile dubitare del fatto che l’immagine (fotogramma) costituisca dato personale, “trattandosi di dato immediatamente idoneo a identificare una persona, a prescindere dalla sua notorietà”. Bisogna tenere bene in mente che gli operatori incaricati del processo di visione dei fotogrammi sono incaricati del trattamento dei “dati personali”, figura di primissima rilevanza nell’organigramma di privacy di qualsiasi struttura poiché, sotto la diretta autorità del Titolare e del Responsabile (se nominato), egli è colui il quale, dietro apposita autorizzazione, effettua materialmente le operazioni di trattamento sui dati personali. La definizione legislativa di "incaricati" la troviamo, in primo luogo, all’art. 4, comma 1, lett. h) del D.Lgs. 196/2003 (Codice Privacy) che li identifica come "le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile". La figura dell’Incaricato viene ulteriormente definita all’art. 30, comma 1, ove si sancisce che "Le operazioni di trattamento possono essere effettuate solo da incaricati che operano sotto la diretta autorità del titolare o del responsabile, attenendosi alle istruzioni impartite". Logicamente va ricordato che per alcune tipiche attività, quali quelle di Polizia Giudiziaria, è necessaria, anche la relativa specifica qualifica, ex art. 57 C.P.P. .

Per concludere, si ritiene opportuno rammentare che il “Codice in Materia dei Dati Personali” prevede, in caso di utilizzo di sistemi di video controlli con l’ inosservanza della normativa, il blocco dell’attività di ripresa e l’inutilizzabilità dei dati raccolti, oltre alle sanzioni amministrative e penali, trattate negli articoli 161 e successivi, che possono essere aumentate in misura fino a quattro volte maggiore a seconda delle possibilità economiche del contravventore. In particolare, la sanzione prevista per l’omissione del cartello informativo va da 6.000€ a 36.000€ (Art.161). L’omessa o errata notificazione al Garante, laddove prevista, comporta una sanzione tra i 20.000€ ed i 120.000€ (Art. 163). La cessione illecita dei dati raccolti è punita con una sanzione da 10.000€ a 60.000€ (Art. 162). I danni (anche non patrimoniali) causati dall’inosservanza delle norme sono punibili con la reclusione da 6 a 24 mesi, e devono comunque essere risarciti (Art. 167). La dichiarazione di falsità al Garante, anche in fase di accertamenti, è invece punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni (Art. 168).

Ad ogni buon conto, pur se è possibile utilizzare i diversi sistemi di video sorveglianza per la lotta agli abbandoni dei rifiuti, occorre tener presente che:

•le immagini che riprendono una persona sono dati personali, così come i dati anagrafici o le ulteriori informazioni che consentono di identificare, in modo diretto o indiretto, una persona fisica;

•in base alla normativa privacy, il titolare del trattamento, è tenuto a segnalare la presenza delle telecamere attraverso apposito cartello informativo e a rispettare gli ulteriori adempimenti previsti dal codice privacy e dal Provvedimento del Garante dell’8 aprile 2010;

•la normativa privacy trova applicazione sia nel caso in cui il sistema di videosorveglianza consenta la registrazione delle immagini, sia nel caso in cui permetta la loro solo visualizzazione.

Inoltre, è doveroso tener presente, che se la scelta delle tecnologie non è appropriata alle condizioni di applicazione, se è errato il posizionamento o il puntamento delle telecamere, se il personale di sorveglianza non è adeguatamente formato o non conosce la zona videosorvegliata e le procedure di verbalizzazione o ancora non sostiene con convinzione l’intervento, ben difficilmente si otterranno risultati positivi.

Novembre 2016

1 V. l’art. 6, comma 8, del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 convertito in legge, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, l. 23 aprile 2009, n. 38, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”; d.l. 23 maggio 2008, n. 92,convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 24 luglio 2008, n. 125, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza urbana”, il cui art. 6 ha novellato l’art. 54 del d.lg. 18 agosto 2000, n. 267, con cui sono stati disciplinati i compiti del sindaco in materia di ordine e sicurezza pubblica. Con il decreto del 5 agosto 2008 il Ministro dell’interno ha stabilito l’ambito di applicazione, individuando la definizione di incolumità pubblica e sicurezza urbana, nonché i correlati ambiti di intervento attribuiti al sindaco. Cfr., altresì, l. 15 luglio 2009, n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (art. 3).

2 sentenza n. 17440 del 2/09/2015 della Corte di Cassazione